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populismo

Il problema non sono i furbetti dei 600 euro, ma i leader che li hanno portati in Parlamento

Guardare il dito e la luna. È una storia che comincia come una barzelletta: ci sono tre leghisti, c’è un Cinque Stelle e uno di Italia Viva, la caccia ai nomi sarà lo sport della giornata e forse anche dei prossimi giorni. Che in mezzo ai richiedenti ci siano anche presidenti di regioni (che certo non hanno stipendi inferiori ai parlamentari) sembra essere sfuggito ai più. L’importante sono i parlamentari, gli obiettivi sono i parlamentari, tutti addosso ai parlamentari. Sia chiaro: che i cinque siano l’antitesi di quella disciplina e di quell’onore che sono richiesti dalla Costituzione a chi si ritrova a governare la cosa pubblica è fuori da ogni dubbio.

Chiedere 600 euro nella comodissima posizione dell’essere parlamentare è un gesto infimo, siamo d’accordo ma una riflessione ragionata e ampia dovrebbe spingerci a porci domande e allargare la discussione. Una norma, ad esempio, che prevede un contributo a pioggia, senza limiti di reddito, a tutti è politicamente sbagliata e praticamente inutile ai fini dell’uguaglianza sociale: i parlamentari hanno sfruttato una falla nella legge (e fanno schifo anche per questo) che ha permesso a molti benestanti di usufruire di un bonus di cui non avevano bisogno. Diciamolo: dare 600 euro a tutti è stata una pessima idea, forse dettata dall’emergenza, ma una pessima idea. Il buon legislatore scrive le leggi (e i decreti) perché siano funzionali ai più bisognosi e perché sbarrino la strada ai furbi. In questo caso non è successo, diciamolo chiaramente.

Poi dell’epoca Covid sarebbe da raccontare anche quella parte di imprenditori che hanno usufruito della cassa integrazione senza avere nessuna riduzione di fatturato, sarebbe da parlare dei cassintegrati che hanno continuato a lavorare normalmente per qualche imprenditori che si ritene particolarmente furbo, sarebbe da parlare di chi in nome dell’emergenza si è addirittura arricchito usufruendo comunque degli aiuti di Stato. Facendo due conti siamo di fronte a un dissanguamento di denaro pubblico enormemente più grave di quel gruzzolo di 600 euro. Sarebbe bello che l’INPS ci parlasse anche di questo, no?

E infine un punto strettamente politico: quanto comodo fa all’antipolitica (quell’antipolitica che ci ha trascinati in questo gretto populismo) che dei parlamentari vengano sventolati come prova della fallacia di una legge che invece ha favorito una platea ben più vasta? Quanto gioca tutto questo per il prossimo referendum (populista) che ancora una volta punta sulla quantità e non sulla qualità? E soprattutto: ma chi ha scelto quei parlamentari, quelli che dovrebbero formare la classe dirigente di questo Paese, non ha nulla da dirci? Perché quei nomi li sappiamo già: Matteo Salvini, Gianroberto Casaleggio e Matteo Renzi. Loro non hanno nulla da dirci?

L’articolo proviene da TPI.it qui

Vitalizi in Calabria. E si arrabbiano pure

I consiglieri regionali della Calabria fanno marcia indietro sul privilegio per loro stessi introdotto all’unanimità pochi giorni fa. Ma non chiedono scusa, anzi

I consiglieri regionali della Calabria fanno marcia indietro sul privilegio per loro stessi introdotto all’unanimità pochi giorni fa. Ma non chiedono scusa, anzi

In piena crisi pandemia il Consiglio regionale calabrese ha definito una fondamentale priorità: la modifica dell’articolo 7 comma 4 della legge regionale numero 13 del 2019 con cui si abolivano i vitalizi per i consiglieri regionali. Con la modifica, un consigliere regionale che decade per qualsiasi motivo, anche con un solo giorno di legislatura, si guadagnerebbe un trattamento di fine mandato. In sostanza si ottiene un trattamento pensionistico anche senza avere maturato contributi e solo per avere ricoperto una carica. Non lo vogliono chiamare vitalizio ma è un vitalizio, de facto, una vincita al lotto, una garanzia per la vecchiaia.

Interessante anche come sia stata votata la legge: Giuseppe Graziano dell’Udc (sì, da queste parti esiste ed è viva l’Udc) alla richiesta del presidente Domenico Tallini di spiegare la norma prima di metterla ai voti, ha risposto: «Si illustra da sé». Voto all’unanimità. Due minuti in tutto.

Qualcuno fa notare che in quella legge c’è qualcosa che non va. I politici calabresi come prima cosa, accade spesso quando fai notare a un politico di avere fatto una cretinata, negano: sulla Gazzetta del Sud il presidente del Consiglio Domenico Tallini spiega che «i vitalizi in Calabria sono stati aboliti da tempo. Non vedo dov’è lo scandalo: a fronte di 38mila euro di contributi versati in una legislatura, si maturerebbe un’indennità di fine mandato, a 65 anni, da 600 euro netti al mese» dimenticandosi che si sta parlando di quelli che decadranno dal mandato. I consiglieri del Pd parlano di tempesta in un bicchiere d’acqua.

Poi? Poi fanno marcia indietro, ovviamente. Quindi evidentemente avevano ragione quelli che criticavano la scelta, uno si aspetta che chiedano scusa e invece niente. «Solo ai calabresi dobbiamo delle scuse per l’errore commesso» dice Tallini di Forza Italia. Secondo lui quelli che hanno criticato sono «ex candidati a presidente della Regione, paladini dell’antipolitica, nostalgici della prima Repubblica, antimeridionalisti a pagamento» e «giornalisti che si cimentano in fantasiosi racconti e gialli su manine che fanno proposte e poi scompaiono». Gli altri dicono di avere votato una proposta che era diversa da quella che gli era stata illustrata: hanno votato a loro insaputa, insomma. Il consigliere del Pd Nicola Irto è più o meno sulla stessa linea: «Qui resta un fatto, tra populismo e verità io scelgo sempre la verità e la trasparenza. Comprendo la reazione di molti calabresi. Non giustifico gli attacchi e il clima di odio».

Intanto il privilegio viene abrogato. E loro si lamentano pure.

Buon venerdì.

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In Ungheria il populismo non ha più il popolo

Ne parlano poco perché si sa, Viktor Orban dovrebbe essere il modello di autorevolezza a cui qualcuno dalle nostre parti aspira, l’uomo che respinge i migranti senza se e senza ma, colui che secondo alcuni assicura l’ordine nonostante “l’ordine” sia solo il sinonimo marcio della perdita della libertà.

Bene: in Ungheria da giorni protestano lavoratori e sindacati per una legge che alza a 400 ore il tetto di straordinari e che spalmano il pagamento delle ore in più in tre comodi anni per il datore di lavoro. Una legge “del più forte” che è un favore a chi, da imprenditore, può tenere sotto scacco i lavoratori con un ritorno agli anni 60 in tema di diritti. Stupisce? No, per niente.

Tra le riforme contestate tra l’altro c’è anche quella che riguarda la giustizia (ma va?) e che affida al governo il controllo su materie come le gare d’appalto pubbliche e i contenziosi elettorali. Sì, avete letto bene, i contenziosi elettorali.

Sotto l’occhio della protesta sono finiti anche i media pubblici, accusati di essere supini alla volontà di Orban e del suo governo. Anche in questo caso stupisce che ci si stupisca: la libertà di stampa da quelle parti è considerata come libertà di scegliere come assoggettarsi al potere. Nient’altro.

Nei giorni scorsi due deputati del partito d’opposizione LMP, Ákos Hadházy e Bernadett Szél, hanno provato ad entrare nella sede della televisione pubblica per leggere un appello e sono stati buttati fuori dall’edificio con la minaccia di una condanna “a 10 anni”.

Il governo che si vanta di avere chiuso le frontiere ha perso dal 2010 (anno di insediamento di Orban) qualcosa come seicento mila ungheresi espatriati all’estero, in particolare i più istruiti. Le aziende ungheresi intanto (tra cui anche quelle italiane che hanno delocalizzato in nome di un sovranismo che non vale evidentemente dal punto di vista fiscale) hanno seri problemi di manodopera: così il populista Orban ha deciso bene di spremere i lavoratori rimasti. Alla grande, direi.

La vicenda però racconta perfettamente un concetto essenziale: Orban è riuscito a erodere i diritti e le libertà finché i suoi ungheresi potevano avere la tranquillità di un reddito e di un lavoro, tranquilli nella propria quotidianità e addirittura soddisfatta del respingimento dei diritti degli altri, ma alla fine la lenta erosione della libertà arriva inevitabilmente per tutti, sempre. E quando ci si accorge che sta accadendo è quasi sempre già troppo tardi.

Historia magistra vitae, dicevano i latini. Già.

Buon mercoledì.

 

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Populismo, una definizione scientifica.

Diego Ceccobelli, ricercatore in Comunicazione Politica presso la Scuola Normale Superiore, definisce il populismo in un pezzo per Valigia Blu:

A prescindere da questa galassia di definizioni, gli scienziati politici sono abbastanza concordi nel considerare quella proposta dallo scienziato politico olandese Cas Mudde come “la” definizione di populismo. In ambito accademico, pertanto, con il termine populismo si intende:

Una ideologia dal cuore sottile, la quale considera la società essenzialmente divisa in due gruppi omogenei, le persone oneste [pure] contro le elite corrotte e che ritiene che la politica debba essere un’espressione della volonté générale (volontà generale) del popolo.

Questo vuol dire che né la presenza (o meno di) personalizzazione, popolarizzazione (ossia politica pop) o demagogia hanno alcuna relazione sostanziale con il concetto di populismo.

Nel dibattito scientifico, populiste sono unicamente quelle forze politiche che sviluppano un programma e messaggi nei quali il popolo, visto come una unità unica e indivisibile (rifiutando quindi il concetto di pluralismo) e portatore di valori positivi, viene opposto alle élite (politiche, economiche, finanziare, etc.) considerate come corrotte (contrapponendosi quindi al concetto di elitismo, ossia l’opposto di populismo).

(continua qui)

La demogogia al cubo? Raddoppiare gli stipendi parlamentari: parola dell’ex leghista passato con Verdini (e quindi in maggioranza)

“Raddoppiamo gli stipendi dei parlamentari”. Nei giorni in cui alla Camera si discute la proposta di legge di M5s sul taglio degli stipendi di deputati e senatori, c’è chi decide di andare in controtendenza. E di rivendicarlo con orgoglio. Marco Marcolin, rappresentante a Montecitorio di Scelta civica verso i cittadini per l’Italia, spiega così la sua posizione: “Per rispondere alla demagogia di Beppe Grillo e di chi prova a rincorrerlo sul proprio terreno, presenterò una proposta di legge per raddoppiare lo stipendio dei parlamentari. Bisogna smetterla – prosegue Marcolin – di prendere in giro i cittadini sottovalutando il loro grado di preparazione e di informazione”.

Trevigiano di Montebelluna, eletto nelle file della Lega alle ultime elezioni, ex tosiano successivamente transitato in Fare! per poi approdare, di fatto, in maggioranza, nel nuovo gruppo parlamentare nato dalla sinergia tra Ala e Scelta civica e creato dal viceministro Enrico Zanetti con il sostegno di Denis Verdini, Marcolin spiega che gli sperperi del sistema italiano nulla hanno a che fare con gli emolumenti di deputati e senatori. “Il vero problema dei costi della politica non riguarda lo stipendio dei parlamentari – garantisce – ma gli sprechi e l’inefficienza della macchina amministrativa. Rincorrere la guerra populista alla casta portata avanti dal M5s significa abbassare drasticamente la qualità del dibattito e della composizione del Parlamento, dal momento che saranno sempre meno i professionisti disposti a farsi eleggere per guadagnare di meno ed essere insultati e diffamati da chi fino a pochi giorni prima di diventare parlamentare era disoccupato”.

La posizione di Marcolin non è certo l’unica posizione sorprendente tra quelle esposte in queste ore. Tra le più curiose, c’è stata senz’altro quella di Renato Brunetta, che lunedì, nel corso del suo intervento, ha proposto che l’indennità dei parlamentari venga calcolata sulla base del reddito pregresso, ovvero pagare di più chi è già ricco e meno chi è povero. Per chi è disoccupato al momento dell’elezione, il capogruppo di Forza Italia ha pronta la soluzione: “In quel caso si farà ricorso al reddito di cittadinanza“, che tuttavia in Italia ancora non esiste. Sulla scia di Brunetta, proprio il viceministro dell’Economia Zanetti, che ha suggerito di riconoscere a deputati e senatori uno stipendio pari a quello che il parlamentare ha dichiarato in media negli ultimi 3 anni prima di essere eletto.

(fonte)

Libertà è intimidazione

Ah, i forconi:

Una mail segnalata da Alfredo Ferrante (via Gilioli):

11/12/13 La giustizia del popolo si apre la strada
https://webmail.lavoro.gov.it/owa/?ae=Item&t=IPM.Note&id=
RgAAAAAXBqht86SrRY7xykZ4kAQUBwDDdrRv3G9RQ4BnZq8lFelUAAAAFh5GAACP7An%… 1/1
LA GIUSTIZIA DEL POPOLO SI APRE LA STRADA
La Giusta Forca [lagiustaforca@hotmail.com]
Inviato:martedì 10 dicembre 2013 22.28
POLITICI
Siete il letame del genere umano, e vi attende la forca.

GIORNALISTI
Tra verità e menzogna, voi siete prostituzione.

SERVITORI DELLO STATO
Siete chiamati a scegliere, finché siete in tempo.

Oppure un bel video: