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Uomini che ammazzano donne

Nei primi dieci mesi del 2020 sono 91 le vittime di femminicidio. Una ogni tre giorni. E le misure restrittive imposte dall’emergenza pandemica hanno aggravato il fenomeno

I numeri emergono dal VII Rapporto Eures sul femminicidio in Italia. Nei primi dieci mesi del 2020 sono 91 le vittime di femminicidio. Qualcuno oggi strumentalmente vi dirà che sono meno delle 99 donne dello scorso anno ma in realtà sono diminuite le vittime femminili della criminalità comune (da 14 a 3 nel periodo gennaio-ottobre 2020) mentre risulta sostanzialmente stabile il numero dei femminici di familiari (da 85 a 81) e, all’interno di questi, il numero dei femminici di di coppia (56 in entrambi i periodi); in aumento (da 0 a 4) anche le donne uccise nel contesto di vicinato. Per dirla facile facile: nel 2020 l’incidenza del contesto familiare è dell’89%, superando l’85,8% dell’anno scorso.

La coppia continua a rappresentare il contesto relazionale più a rischio per le donne, con 1.628 vittime tra le coniugi, partner, amanti o ex partner negli ultimi 20 anni (pari al 66,2% dei femminici di familiari e al 48,7% del totale delle donne uccise) e 56 negli ultimi dieci mesi (pari al 69,1% dei femminici di familiari e a ben il 61,5% del totale delle donne uccise). Gli autori sono “per definizione” nella quasi totalità dei casi uomini (94%), con valori che nel corso dei singoli anni oscillano tra il 90% e il 95%. Le misure restrittive imposte dall’emergenza pandemica hanno fortemente modificato i profili di rischio del fenomeno: osservando i dati relativi ai femminicidi familiari consumati nei primi dieci mesi di quest’anno si rileva come il rapporto di convivenza, già prevalente nel 2019 (presente per il 57,6% delle vittime), raggiunga il 67,5% attestandosi addirittura all’80,8% nel trimestre del dpcm Chiudi Italia. Quando, tra marzo e giugno, ben 21 delle 26 vittime di femminicidio in famiglia convivevano con il proprio assassino.

L’omicidio però è spesso solo l’atto finale di una violenza che si consuma. Il femminicidio all’interno della coppia è spesso soltanto il culmine di una serie di violenze pregresse: violenze psicologiche (20%), violenze fisiche (17,7%), stalking (13,3%) e violenze note a terzi (11,1%). Violenze però denunciate solo nel 4,4% dei casi.

Poi c’è la violenza delle parole, sì anche quella. Nel suo rapporto Barometro dell’odio Amnesty International ha analizzato i commenti sui social. Le donne continuano a essere vittime di una società profondamente maschilista e sessista, nei luoghi pubblici, all’interno delle mura domestiche e anche sul web. Guardando al dibattito in modo ampio, su oltre 42.000 post e tweet analizzati, più di 1 su 10 (il 14%) è offensivo, discriminatorio o hate speech. Di questi il 18% rappresenta un attacco personale a un influencer, uomo o donna, tra quelli osservati; nel caso delle influencer, tale incidenza sale al 22%. Un terzo di questi ultimi commenti è sessista e si concretizza in attacchi contro i diritti di genere, la sessualità, il diritto d’espressione. Comuni gli insulti di carattere “morale” che bollano la donna come immorale o “prostituta”, che la classificano per il modo di vestire o per la sua vita sentimentale. A partire dalla presa di posizione di queste donne contro la discriminazione di genere, a favore del diritto all’aborto, o alla parità tra i sessi o alla libera espressione delle proprie scelte sessuali.

Scrive Amnesty: «In sostanza, si aggredisce la donna che si presenta come autonoma e libera nelle proprie scelte, o perché la stessa si esprime a favore della altre categorie fatte oggetto d’odio, come accade con migranti e musulmani. Una vera e propria catena di montaggio dell’odio, che mette insieme idee, comportamenti, identità, scelte che rappresentano i diritti e le libertà delle persone, per farle oggetto di pubblico ludibrio e di discriminazione violenta».

Buona giornata contro la violenza sulle donne. Con i numeri in mano.

Buon mercoledì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Sul caso Genovese auguri al carnefice e attenuanti alla vittima: il mondo rovesciato di Vittorio Feltri

È dura essere Vittorio Feltri. Ogni mattina si sveglia e deve riuscire a intercettare gli umori peggiori dei più bassi discorsi da bar e metterli su pagina per manganellare qualcuno. Oggi il “giornalista” se la prende con la vittima di Alberto Genovese e lo fa con un editoriale che si racconta già dal titolo: “Ingenua la ragazza stuprata da Genovese”.

Si comincia instillando un dubbio: “Certo, gli piacevano le donne e non credo che faticasse a procurarsene in quantità – scrive Feltri. Che necessità aveva di rincorrere allo stupro per impossessarsi di una ragazza bella e giovane dopo averla intontita con sostanze eccitanti? Ciò è incomprensibile sul piano logico”.

E così il dubbio è subito bello e servito. Ma Feltri dà il peggio di sé nella descrizione dello stupro: “Dicono che Genovese sia andato avanti tutta la notte a violentare Michela, una ragazzina di 18 anni la quale pare fosse la terza volta che si recava nell’abitazione del nostro “eroe” del menga […] Come si fa a darci dentro per tante ore. Io, anche quando ero un ragazzo, dopo il primo coito fumavo una sigaretta…”.

Finito qui lo schifo? No, no. Feltri ci dice “personalmente ho constatato che si fa fatica a farsi una che te la dà volentieri, figuratevi una che non ci sta”. Capito? Per Feltri, come per tanti sostenitori del giornalismo fallocratico, non c’è differenza tra violenza, stupro e un normale rapporto amoroso: è tutto solo un atto sessuale, è tutto solo quella cosa lì, tutto uguale, sempre uguale.

Il finale poi è un manifesto di indegnità giornalistica. Feltri si domanda se la vittima “entrando nella camera da letto dell’abbiente ospite” pensava “di andare a recitare il rosario”, senza sospettare “che a un certo punto avrebbe dovuto togliersi le mutandine senza sapere quando avrebbe potuto rimettersele” e scrive che “sarebbe stato meglio rimanere alla larga da costui”. Insomma, se l’è cercata.

Il vomitevole editoriale si chiude con “lui” che “adesso la vedrà brutta o non la vedrà per anni (indovinate cosa, nda) con l’augurio di “disintossicarsi in carcere”. E la vittima? Scrive Feltri: “Alla vittima concediamo le attenuanti generiche. Ai suoi genitori tiriamo le orecchie”. Auguri al carnefice e attenuanti alla vittima: il mondo rovesciato di Vittorio Feltri è tutto qui.

Qualcuno dice che non bisognerebbe sottolinearli certi pezzi, qualcuno dice che bisognerebbe fare finta di niente. Ma c’è una responsabilità sulle parole che ritorna proprio in questo periodo ancora più prepotente: la violenza sulle donne inizia quasi sempre con la parola, è lì che si infila la prima fallocrazia. Qualcuno dice che Feltri fa così per provocare, benissimo, allora mettiamoci d’accordo su quale sia il limite delle cosiddette “provocazioni” che poi non sono altro che articoli che vogliono parlare a un pubblico ben preciso: i maschi che per sentirsi maschili sanno solo essere maschilisti. La violenza sulle donne è qualcosa di troppo grave e di troppo serio per essere lasciata in mano a Feltri e per questo c’è da continuare a sottolineare qualsiasi sua schifezza, soprattutto se pubblicata su un giornale di tiratura nazionale.

Del resto ci sono articoli scritti bene, articoli scritti male, articoli giusti, articoli sbagliati e articoli scritti con il cazzo dentro la penna. E in questi ultimi Feltri (e quelli di cui fieramente si fa portavoce) è un maestro. L’Ordine dei giornalisti non ha niente da dire?

Leggi anche: Il triste declino di Vittorio Feltri: da erede di Indro Montanelli a provocatore pro-Salvini (di F. Bagnasco)

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Nonostante le figuracce, Zangrillo dà voti agli altri medici. Ma è lui che andrebbe giudicato

Nonostante le figuracce, Zangrillo dà voti agli altri medici. Ma è lui che andrebbe giudicato

In un Paese normale almeno avrebbe la dignità di rimanere defilato. Alberto Zangrillo, il primario di rianimazione e anestesia del San Raffaele di Milano, continua a imperversare nelle trasmissioni televisive (in cui va per dire che troppi suoi colleghi sono in televisione) e sui giornali: non è bastata la catena di brutte figure che ha inanellato in questi ultimi mesi per consigliargli un po’ di pudore. Non è bastata la sua affermazione mostruosa su un virus “clinicamente morto” e che invece è tornato a imperversare e non è bastata la figuraccia rimediata con Silvio Berlusconi che lui descriveva in “ottima salute” mentre il Cavaliere poco dopo avrebbe raccontato a tutto il Paese le sue “enormi difficoltà”.

Niente, niente di tutto questo. Anzi Zangrillo ora addirittura si supera e esce in prima pagina su Libero (e dove, sennò?) per dare voti agli altri medici. Lui, Zangrillo, che giudica l’operato degli altri. Roba da fantascienza. “Il Sars-Cov2 ha messo in linea di produzione una serie di scienziati privi dei necessari parametri per essere definiti e riconosciuti come tali”, risponde Zangrillo alla domanda di Pietro Senaldi sull’esposizione pubblica di medici in questo ultimo periodo. Zangrillo, che probabilmente pensa di essere un tuttologo, si lancia anche a dare consigli alla stampa, ci dice che “non tornerà l’emergenza di marzo”, ritiene “pericolosi” i tamponi fatti per prevenzione (sarà per questo che il suo ospedale li vende privatamente e dietro un lauto compenso come servizio privato) e ci tiene a precisare che molti dei volti che ascoltiamo non sono virologi: “Guardi che Remuzzi, Gattinoni, Richeldi, Bassetti, Lorini, Ippolito e il sottoscritto non sono virologi”, dice al giornalista. Ce ne eravamo accorti, Zangrillo, ce ne eravamo accorti.

Poi difende i membri del Comitato Tecnico-Scientifico: “Mantengo un rapporto di stima e amicizia con molti membri del CTS. Conosco il valore del lavoro silenzioso a supporto del legislatore. Certe inopportune grida di allarmismo estremo non provengono da lì”. Insomma, Zangrillo ci dice che ci sono troppi medici poco affidabili sui media e sparge giudizi senza nemmeno un briciolo di autocritica e lo fa al suo solito: schiacciando l’occhio ai minimizzatori e pronunciando proprio le parole che servono e che tornano utili a una certa politica. È il solito Zangrillo, quello che ha sempre la frase giusta per sovraesporsi e per esprimere giudizi che spesso hanno poco a che vedere con la sua professione. E Libero, ovviamente ce lo propone in prima pagina. Avanti così.

Leggi anche: 1. “Il Covid era in Italia già a settembre 2019”: la scoperta dell’istituto tumori di Milano / 2. Sanità Calabria, Gino Strada: “Contatti con il Governo. Disponibile, ma chiedo garanzie” / 3. Esclusivo TPI – Calabria, la denuncia dell’ex primario: “Abbiamo un laboratorio per processare i tamponi, ma nessuno ci risponde”

4. Come sarà distribuito il vaccino anti-Covid in Italia? La bozza del piano del Ministero / 5. Sapevate che chi gioca a golf può muoversi liberamente in Italia nonostante il lockdown? / 6. Sassoli: “L’Europa deve cancellare i debiti contratti per il Covid. Il Mes? Così non lo prenderà nessuno”

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La Calabria ha bisogno di qualcuno senza scopi di lucro: proprio come Gino Strada

La Calabria ha bisogno di qualcuno senza scopi di lucro: come Gino Strada

Non va proprio giù ai leghisti della Calabria l’ipotesi (che per ora rimane solo un’ipotesi) di Gino Strada commissario straordinario della sanità regionale. Ci mette il carico il presidente ad interim Nino Spirlì, uno che in poche settimane è riuscito nella mirabile impresa di mostrarsi in tutta la sua inadeguatezza, dopo la morte della presidente Jole Santelli, che sul fondatore di Emergency dice: “Gino Strada? Ma cosa c’entra, dobbiamo scavare pozzi? Non abbiamo bisogno di medici missionari africani”. Peccato che Gino Strada non si occupi di pozzi, ma sia un medico chirurgo che è stimato in tutto il mondo, uno che, per dire, ha lavorato nelle università di Stanford e di Pittsburgh e che ha lavorato nel più importante ospedale del Regno Unito (l’Harefield Hospital).

Semplicemente Gino Strada si è innamorato delle vittime della guerra quando ha visto con i suoi occhi quegli orrori e si è dedicato tutta la vita alla cura delle persone senza nessuno scopo di lucro. Che sarebbe, a pensarci bene, proprio quello di cui la Calabria avrebbe bisogno, se ci pensate. Ma su Gino Strada si è espresso anche Domenico Furgiuele che ieri a Montecitorio ha dichiarato: “Nominare un ulteriore commissario rispetto a quello che è stato nominato nel primo governo Conte, con la paventata nomina di Gino Strada, suggerito anche dal movimento delle Sardine, porta soltanto a problemi di ordine pubblico”. Ha parlato proprio di ordine pubblico. Anzi, ha aggiunto: “Volete che scoppino i moti? Accomodatevi, ci saranno i moti della Calabria 2020”.

Domenico Furgiuele è lo stesso deputato di Lamezia Terme indagato dalla Dda di Reggio Calabria per concorso in turbativa d’asta. Domenico Furgiuele e altri imprenditori, infatti, nel maggio 2015, secondo l’accusa, “con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso” e “con mezzi fraudolenti e collusioni, turbavano la gara d’appalto” indetta dal Comune di Polistena per la realizzazione di un eliporto a supporto dell’ospedale”. In particolare il deputato del Carroccio, legale rappresentante della Terina Costruzioni, avrebbe messo “a disposizione” la sua società “per la presentazione di un’offerta concordata con le altre imprese partecipanti al cartello, al fine di condizionare il risultato della gara in loro favore”. L’inchiesta “Waterfront” in cui risulta indagato Furgiuele ha portato all’arresto di 63 persone tra cui 11 funzionari pubblici e al sequestro di beni per 103 milioni di euro.

Ce ne sarebbero mille di motivi per i moti della Calabria 2020. E forse ci tornerebbe utile, un Gino Strada.

Leggi anche: 1. “Se scoppia la Calabria è la fine. Qui il piano Covid mai attivato: realizzate solo 6 terapie intensive”: il racconto di un medico del 118 / 2. Calabria, il Governo non usi Gino Strada per nascondere i suoi vergognosi errori / 3. Esclusivo: Cotticelli a TPI: “Davo fastidio alla massoneria. Volevano eliminarmi, non potendo uccidermi mi hanno screditato” / 4. Calabria, il commissario della Sanità Cotticelli si dimette: “Il piano Covid dovevo farlo io? Non lo sapevo” | VIDEO; / 5. Per gestire la Sanità della Calabria ora si fa il nome di Gino Strada / 6. Calabria, il nuovo commissario alla Sanità Zuccatelli: “Le mascherine non servono a un ca**o”

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Kamala Harris e la Palestina

Ci sono, tra le dichiarazioni della vicepresidente degli Usa, frasi che fanno accapponare la pelle a chi come noi ha a cuore i diritti dei palestinesi

Sì, certo, ci sono anche le ombre. Due giorni fa nel mio #Buongiorno mi permettevo di sottolineare come fosse un vento buono quello che ha portato alla vicepresidenza degli Usa una donna che ha una visione dei diritti completamente lontana da quella dei diritti negati secondo Donald Trump. E il dibattito si è infiammato: qualcuno giustamente fa notare a noi di Left che Kamala Harris è troppo poco progressista poiché molto vicina, anzi vicinissima a Hillary Clinton (come se una vittoria, ai tempi, di Hillary Clinton su Donald Trump non sarebbe stata comunque una buona notizia rispetto a quello che abbiamo vissuto), qualcuno sottolinea i diversi errori (e qualche omissione) di Kamala Harris nel suo ruolo di procuratrice (i 1.500 arrestati per reati legati al fumo di marjuana, ad esempio, oppure la proposta di mettere in prigione i genitori di bambini che registravano un elevato tasso di assenze scolastiche). Ed è tutto vero, verissimo. Vero anche che Kamala Harris sia parte integrante dell’establishment democratico. Mi permetto di credere però che se esponenti molto progressiste femministe vedono nella sua elezione un ulteriore passo in avanti verso la caduta del tetto di cristallo ci saranno delle buone ragioni.

È estremamente preoccupante anche la posizione di Kamala Harris sulla questione palestinese, con la Palestina che ancora una volta non vede una gran luce dalle elezioni americane (Israele è corso subito alla corte di Biden). Ci sono, tra le dichiarazioni di Kamala Harris, frasi che fanno accapponare la pelle a chi come noi ha a cuore i diritti dei palestinesi.

«L’ultima raffica di attacchi missilistici da Gaza contro israeliani innocenti non può essere tollerata: Israele ha il diritto di difendersi da questi orribili attacchi. Mi unisco agli altri nell’esortare contro un’ulteriore escalation», ha detto a JewishInsider il 15 novembre 2019. Sul fatto che Israele soddisfi o meno gli standard dei diritti umani: «Nel complesso, sì» ha detto al New York Times, 19 giugno 2019. E poi: «Per questo motivo sostengo fortemente l’assistenza alla sicurezza dell’America a Israele e mi impegno a rafforzare il rapporto americano di sicurezza e difesa israeliana… Credo che quando una qualsiasi organizzazione delegittima Israele, dobbiamo alzarci in piedi e parlare apertamente contro di essa. Israele deve essere trattato allo stesso modo, ed è per questo che la prima risoluzione che ho co-sponsorizzato come senatore degli Stati Uniti è stata quella di combattere i pregiudizi anti-israeliani alle Nazioni Unite e di affermare e riaffermare che gli Stati Uniti cercano una soluzione giusta, sicura e sostenibile per due Stati» (intervento al Comitato ebraico americano, 3 giugno 2019).

Le debolissime politiche di Biden sui diritti dei palestinesi sembrano avere trovato un ottimo appiglio in Kamala Harris. Purtroppo per noi e purtroppo per tutti quelli che tengono alla situazione mediorientale. Sarà un’altra presidenza americana dura dalle parti di Gaza, senza dubbio. E su questo ci sarà da lottare.

Poi, mi sia concesso, il profumo dell’assenza di Trump è una vittoria politica. Una vittoria breve? Può essere. Noi siamo qui proprio per questo, per osservare e informare, osservare e informare, osservare e informare.

Buon mercoledì.

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Fallisce la crociata di Zuccaro contro le Ong (appoggiata da Travaglio e Di Maio): ora il PM andrà a processo?

“Non lasciamo solo Zuccaro” intitolava il Blog Delle Stelle, sì, proprio lui, il magazine politico del Movimento 5 Stelle che si era schierato a testa bassa al fianco del procuratore di Catania Carmelo Zuccaro nella sua ennesima battaglia contro le Ong. Furono i grillini e furono i salviniani a cadere nel solito giochetto infimo della politica quando si appoggia alla magistratura per annaspare e trovare conferma delle proprie tesi. Il pensiero politico breve e debole ha sempre bisogno di un’indagine, di un rinvio a giudizio, di qualche carta processuale per certificare la propria visione del mondo.

Nel 2017 fu Zuccaro a denunciare il tentativo delle Ong di «destabilizzare l’economia italiana» attraverso il massiccio sbarco di migranti sulle nostre coste al fine di «trarne vantaggi». Zuccaro aveva anche aggiunto che, a suo avviso, «alcune Ong potrebbero essere finanziate dai trafficanti» perché, disse, «so di contatti» e inoltre si tratta di un «traffico che oggi sta fruttando quanto quello della droga». Si alzò un gran polverone e le parole del procuratore vennero agitate come una sciabola per affettare la discussione su diritti e immigrazione, le parole di Zuccaro vennero sventolate ai quattro venti, lui ebbe anche l’onore di essere audito dal Parlamento, i Zuccaro boys infestavano i social tutti fieri di avere scoperto che i “buoni erano cattivi” e quindi, per la proprietà inversa, i presunti “razzisti” sarebbero stati quelli che ci avrebbero salvato. Peccato che di quelle pesantissime affermazioni non rimase niente, non ci fu una controprova, non ci fu niente e tutto finì nel dimenticatoio per un anno, anche se ormai il rumore di fondo era stato generosamente sparpagliato e il governo Conte (il primo Conte, quello che non si era ancora travestito da “buono”) quando salì in carica nel 2018 con la sua formazione gialloverde poté ripetere le tesi di Zuccaro come condimento delle proprie decisioni politiche.

Arriviamo quindi al 2018, marzo, quando Carmelo Zuccaro torna a occuparsi dell’emergenza migranti nel Mediterraneo e lo fa a modo suo: mette sotto indagine il comandante della nave Open Arms, Marc Reig Creus, il capo della missione della Ong, Ana Isabel Montes Mier, e il coordinatore Oscar Camps. L’accusa ovviamente è di associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina. La Ong Proactiva Open Arms, secondo il teorema Zuccaro, opera nel disprezzo più totale degli accordi internazionali e del codice di comportamento firmato con il governo italiano, cercando in tutti i modi di far sbarcare migranti sulle nostre coste. Open Arms aveva soccorso 218 migranti al largo delle coste della Libia rifiutandosi di consegnarli alla cosiddetta “Guardia costiera libica” per via delle violenze e dei maltrattamenti che avrebbero potuto subire in quello che tutta la comunità internazionale ritiene un porto “non sicuro”. I migranti vennero poi fatti sbarcare nel porto di Pozzallo, in provincia di Ragusa, dopo l’autorizzazione da parte del governo italiano.

Cosa accadde poi? Il teorema di Zuccaro venne smontato dal Gip di Catania che nel confermare il sequestro aveva fatto cadere l’accusa di associazione a delinquere tenendo in piedi l’accusa di immigrazione clandestina e di violenza privata. Il fascicolo passa al Gip di Ragusa per competenza territoriale e viene disposto il dissequestro immediato della nave perché, scrive il Gip, l’Ong aveva agito «in uno stato di necessità» regolato dall’articolo 54 del codice penale (in cui si scrive di chi è «costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave»).

Ben due anni dopo quei fatti ora arriva la decisione del Tribunale di Ragusa che ha deciso il non luogo a procedere perché il fatto non sussiste per il reato di violenza privata e perché non punibile per stato di necessità per il reato di favoreggiamento. L’ha deciso il Gup al termine dell’udienza preliminare. Open Arms, in una sua nota, scrive che «ancora una volta è stato dimostrato che il nostro agire è sempre stato dettato dal rispetto delle Convenzioni internazionali e dal Diritto del Mare, quello che ci muove è la difesa dei diritti umani e della vita, principi fondativi delle nostre Costituzioni democratiche».

E quindi? Quindi per l’ennesima volta molto rumore per nulla. Per l’ennesima volta sulla pelle dei migranti (e degli elettori e della dignità della politica) si è consumata una battaglia che non aveva basi giuridiche eppure ha dato l’occasione di sentenziare giudizi che si sono rivelati infondati. Ancora una volta è andata male a chi cercava un appiglio per poter essere feroce con il supporto della legge fingendo di non sapere che il gancio non c’è, fingendo di non sapere (come accade tutt’ora) che la “Guardia costiera libica” è il viatico di sofferenze che non hanno nulla a che vedere con i diritti e fingendo di non sapere di avere appaltato proprio a loro quel pezzo di Mediterraneo. La polvere si è posata e non è rimasto niente, niente di più del vociare sconsiderato di cui nessuno pagherà pegno.

L’articolo Fallisce la crociata di Zuccaro contro le Ong (appoggiata da Travaglio e Di Maio): ora il PM andrà a processo? proviene da Il Riformista.

Fonte

Come si dovrebbe dire

Il discorso della cancelliera Merkel nel primo giorno del lockdown leggero in Germania. Un discorso deciso, illuminato, coerente e coraggioso

Sentite qua.

«Oggi cominciano le restrizioni per novembre e colpiscono ogni cittadino, è un giorno importante. Ci sono dubbi, opposizioni ma dobbiamo sapere che la pandemia è una sfida secolare. I pazienti oggi in terapia intensiva rispecchiano dati di circa due settimane fa ci avviciniamo a saturazione. Non riusciamo a rintracciare origine contagi nel 75% dei casi, dobbiamo tornare a una situazione in cui ciò sia possibile. C’è rapporto stretto tra numero contatti e numero infezioni: possibilmente lavorare a casa, viaggiare solo se indispensabile e abbiamo limitato contatti a due famiglie o nuclei conviventi. Abbiamo riflettuto a lungo su misure meno dure ma non abbiamo visto alternative. Meno contatti vuol dire meno contagi. Un mese di lockdown leggero può essere il frangi flutti, può spezzare la seconda ondata».

E ancora.

«Gli scienziati dicono che dobbiamo ridurre i contatti del 75%. Non speculo su cosa accade dopo 1 dicembre prossima tappa importante è 16 novembre, incontro con i governatori per aggiornarsi. I cittadini sono delusi perché la pandemia dura così a lungo. L’estate è stata relativamente spensierata. L’autunno è arrivato con brutalità. La luce in fondo al tunnel è ancora piuttosto lontana ma siamo in una catastrofe naturale. Credo nella forza della ragione e della responsabilità. I risarcimenti sono molto generosi perché lo sforzo richiesto è molto grande. Siamo in crescita esponenziale dei contagi ma per fortuna siamo ancora in grado di aiutare finanziariamente. La libertà non è qualcosa di illimitato, è libertà di prendersi la responsabilità per il prossimo, lo facciamo anche nella tutela dell’ambiente e in altri ambiti. Quella della libertà individuale, anche per me (che sono cresciuta in un regime) è la più grande sfida del dopoguerra. Chiunque conosca funzione esponenziale sa che rt 1,3 o 1,4 non è accettabile. Siamo il continente dell’illuminismo e la matematica è importante. Abbiamo giurato tutti sulla Costituzione che comincia con “la dignità dell’essere umano è intoccabile”: non si può essere superficiali con questo virus, ci sono 34enni in condizioni gravi in ospedale. Siamo paese libero. Che in Usa ci siano molte opinioni e che il Paese sia tutt’altro che unito lo sappiamo ma anche da noi ci sono scettici, fa parte della democrazia».

È il discorso di ieri della Cancelliera Merkel. Si può essere d’accordo o meno ma è un discorso deciso, illuminato, coerente e coraggioso. Come si dovrebbe dire.

(grazie all’inesauribile lavoro di Tonia Mastrobuoni, questo #buongiorno è tutta farina del suo sacco e del suo preziosissimo lavoro)

Buon martedì.

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La nemesi di Salvini: quello che mangia in diretta tv contestato anche dai ristoratori

 

 

L’errore sta nel ritenerlo un politico, che ragiona da politico, che agisce da politico, mentre Matteo Salvini è solo un influencer, che infila delle serie ragguardevoli di stecche, che annusa il vento e che immagina la sua posizione semplicemente all’opposto rispetto alle decisioni del governo. Come se fare opposizione sia sbattere i piedi, dire no no no e ripetere che il pallone è suo e che alla fine non si gioca, se non si gioca come dice lui.

Così accade che, se lo spazio vuoto diventa quello dei No Mask o dei negazionisti, lui ci si butta subito dentro, analizzando i logaritmi dei social e proponendosi come padre adottivo di temi che infiammano la rete. Non è nemmeno un influencer, a pensarci bene, nemmeno quello: un influencer piazza un prodotto e invece Salvini non ha nemmeno il prodotto. Semplicemente cavalca qualcosa che già c’è sotto traccia e ci si siede sopra per covarlo con l’ambizione di rappresentarlo.

Così si ritrova, confidando nella memoria breve dei suoi elettori, a dire nel giro di qualche ora che non ci sarà nessuna seconda ondata e, quando l’ondata del virus arriva, cambia rotta accusando gli altri di essere irresponsabili, quella stessa irresponsabilità che ha vomitato per mesi. Un marchettaro dalle mille facce che, non avendo idea, deve per forza fotografarsi con i prodotti e con le idee degli altri fingendo che siano sue, come un avvoltoio sempre pronto a fiutare qualche nuovo malcontento per cavalcarlo senza nessun senso di responsabilità.

E le sue figuracce si moltiplicano, a dismisura. Negli ultimi giorni qualcuno sperava che almeno si nascondesse, che chiedesse scusa, che guardasse i numeri della “sua” Lombardia e che ci spiegasse per bene cosa stia avvenendo. E invece eccolo qui, ancora, che prova a dare lezioni mentre sta accadendo per l’ennesima volta l’esatto contrario di quello che aveva previsto.

Ma la parabola di Salvini si potrebbe spiegare con il suo rapporto con il cibo, quello è un manifesto perfetto: ha cominciato fotografando cibo tutti i giorni, si è fatto immortalare mentre sbaffava cibi italiani in nome del  patriottismo culinario e ieri, nel Paese dei cuochi, è riuscito perfino a farsi cacciare dai ristoratori.

Immaginate una Ferragni che viene rincorsa mentre le lanciano dietro le sue scarpe: potrebbe accadere? No, a un influencer no, ma a Salvini sì. E non se ne vergogna nemmeno un po’. Ma, in fondo, i cuochi che cacciano l’aspirante food blogger è l’ennesima fotografia di quello che Salvini vale.

Leggi anche: 1. Salvini contestato in piazza dai ristoratori: “Buffone, vai via!” | VIDEO / 2. Divorare ciliegie mentre si parla di bambini morti: non c’è da ridere, c’è da avere paura (di G. Cavalli) / 3. Mentre a Catania la terra torna a tremare Matteo Salvini pubblica un selfie in cui mangia pane e Nutella

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Scoppia il bubbone del trasporto pubblico. Ma potevamo pensarci prima

Eccolo finalmente il dibattito che si è aperto dopo mesi di muro contro muro. Dopo settimane passate a scorgere dappertutto le testimonianze fotografiche allarmate della situazione nelle fermate dei trasporti pubblici locali e all’interno dei convogli, quegli stessi che trasportano le persone che, sai com’è, devono spostarsi per vivere, lavorare, mangiare, studiare ora scoppia il bubbone del trasporto pubblico.

L’allarme, corroborato dai numeri, lo lancia l’Asstra, associazione delle società di trasporto pubblico, che mette nero su bianco il “rischio di fenomeni di assembramento alle fermate e alle stazioni”. Ma va? Eccoci, quindi: mentre il Comitato Tecnico Scientifico pensa di ridurre al 50% la capienza dei mezzi pubblici rispetto all’80% attualmente consentito (e quasi mai rispettato, perché poi ci sarebbe da discutere anche dei controlli che mancano) Asstra comunica che in quel caso “risulterebbe difficile per gli operatori del Tpl continuare a conciliare il rispetto dei protocolli anti Covid-19 e garantire allo stesso tempo il diritto alla mobilità per diverse centinaia di migliaia di utenti ogni giorno, con il conseguente rischio di fenomeni di assembramento alle fermate e alle stazioni”.

I numeri sono chiari: “si rischierebbe – scrive Asstra – di non poter soddisfare da oltre 91mila (ipotesi capienza massima consentita al 75%) a circa 550mila spostamenti ogni giorno (scenario al 50%), arrecando un notevole disservizio quotidiano all’utenza. Andando nello specifico, ipotizzando una riduzione al 50% della capienza massima, si impedirebbe a circa 275mila persone al giorno di beneficiare del servizio di trasporto sia per motivi di studio che di lavoro”.

275mila persone che resterebbero a piedi. L’opzione rimane sempre la stessa: togliere utenza come soluzione più semplice e economica piuttosto che investire in capienza. E a nessuno è venuto in mente che il rafforzamento del trasporto pubblico fosse una delle priorità da mettere in agenda il prima possibile, ben prima della pluriprevista seconda ondata che tutti sapevano che sarebbe arrivata.

Eppure in questi mesi sono state molte le proposte per ripensare in tempo la mobilità (quella di BikeItalia, solo per fare un esempio) e di tempo a disposizione per governare l’inizio delle attività produttive e scolastiche ce n’è stato abbastanza. Forse sarebbe stato meglio accanirsi un po’ meno contro la ministra Azzolina e chiedere più risposte alla ministra De Micheli, che ora ha convocato finalmente le Regioni per un confronto sul tema. Tardi.

Leggi anche: Scontro sui trasporti, le Regioni chiedono orari scaglionati per le scuole: oggi il tavolo con De Micheli

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L’altra salute (oltre al Covid)?

Quasi un milione di interventi chirurgici rimandati, molte visite oncologiche saltate, la digitalizzazione degli ospedali ancora in alto mare. No, la sanità italiana non è in crisi solo sul fronte della lotta al coronavirus

C’è un’altra sanità, oltre alla questione Covid, su cui forse conviene fare una riflessione. Sono numeri spaventosamente alti che aggravano una situazione endemica che già esisteva: le liste di attesa degli interventi chirurgici si sono inevitabilmente allungate all’infinito e i numeri nel mondo sono spaventosi. Ora finalmente se ne ricomincia a parlare dopo che il viceministro Sileri ha confermato le stime che giravano già da mesi e il dibattito, badate bene, merita tutta la nostra attenzione perché dietro ai numeri ci sono sempre le persone. E allora parliamone.

Un’analisi dell’Università di Birmingham già lo scorso maggio stimava che, nel periodo di 12 settimane del picco epidemico che ha portato all’interruzione di molti servizi ospedalieri, gli interventi chirurgici elettivi annullati o rinviati potrebbero essere stati 28,4 milioni in tutto il mondo, cioè il 72,3% di quelli pianificati.

La situazione italiana era sulla stessa linea: Nomisma aveva contato circa 410mila interventi chirurgici rimandati a causa del dirottamento di anestetisti e infermieri verso i reparti Covid e della necessità di ridurre il rischio di esposizione al virus. Si va dal 56% dei ricoveri per interventi legati a malattie e disturbi dell’apparato cardiocircolatorio alla quasi totalità dei ricoveri per patologie afferenti all’otorinolaringoiatria e al sistema endocrino, nutrizionale e metabolico, oltre l’area ortopedica con 135mila ricoveri rimandati.

E, secondo Sileri, la situazione si sarebbe poi ulteriormente aggravata. «Abbiamo purtroppo un numero importantissimo, vicino al milione, di interventi chirurgici saltati e ovviamente rinviati, e un numero importantissimo di indagini e visite ambulatoriali saltate e rinviate, intorno ai 20 milioni», ha dichiarato il viceministro della Salute a fine settembre, in occasione della presentazione del rapporto annuale sull’innovazione in campo sanitario e farmaceutico dell’Istituto per la Competitività.

Le diagnosi di tumore e le biopsie, inoltre, sempre a maggio erano calate del 52% e nei reparti di oncologia si era registrata una diminuzione del 57% delle visite: gli oncologi dichiaravano che in media prima dell’insorgenza del Covid-19 visitavano circa 80 pazienti alla settimana, ma che nell’ultima settimana presa in esame ne hanno visitati 34. Ancora: il 45% dei malati oncologici aveva rimandato la chemioterapia. E nulla fa pensare che questa emergenza si sia risolta.

Volendo poi c’è il cronico problema della mancata informatizzazione del nostro sistema sanitario: un sistema che non dialoga con gli altri ospedali e che spesso addirittura non riesce a dialogare tra reparti e che nel mondo invece è considerato determinante per migliorare le cure e per diminuire gli sprechi (le ripetizioni di esami già fatti è solo un esempio).

C’è anche altra salute, oltre al Covid.

Buon mercoledì.

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