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Due, tre cose sul macabro balletto calabrese

Ma il governo si rende conto di non essere in grado di nominare un commissario della sanità per la Calabria senza incorrere in figuracce?

Tre commissari nel giro di dieci giorni. Roba da fantascienza di quart’ordine, sembra un filmato horror di quelli con il pomodoro visibilissimo al posto del sangue, solo che qui ci si gioca la salute di una regione intera come la Calabria e ci si gioca la credibilità di un governo, anche se lassù fanno finta di niente.

Siamo partiti con il prode Cotticelli, l’ex generale dei Carabinieri che è riuscito nella mirabile impresa di umiliarsi in televisione intervistato da un giornalista, quasi come un ladro beccato con le mani nel sacco. Ha cominciato a balbettare discorsi sconclusionati e poi si è accorto seduta stante di dover essere lui a occuparsi del piano Covid. Un servizio in cui la sua segretaria e l’usciere del palazzo sono apparsi come degli scienziati nei confronti di quel commissario (così lautamente pagato) che sembrava essere invece passato lì per caso. Cotticelli è riuscito a fare ancora di più: si è immolato poi ospite da Giletti dicendo che era «in uno stato confusionale», forse era stato drogato e di non riconoscersi più. Uno schifo.

Poi arriva Zuccatelli. Una nomina lampo, non c’è che dire: giusto il tempo di essere nominato (ovviamente come “grande professionista” con la solita liturgia che accompagna ogni nomina politica, anche quando si tratta di amici di partito). Parte forte Zuccatelli, perfino Nicola Fratoianni di Leu ne contesta la nomina. Basta qualche minuto e ecco Zuccatelli in un bel video in cui ci dice che le mascherine «non servono a un cazzo» e che per ammalarci dobbiamo baciarci per almeno 15 minuti. Caos, figuraccia. Arriva il ministro Speranza che dice che Zuccatelli non si può giudicare da un video e che la sua esperienza è fuori discussione. Quindi uno pensa che rimarrà al suo posto. E invece si dimette e ci dice che gliel’ha chiesto Speranza. Quindi? C’è qualcosa di più di quel video che non sappiamo? Boh, niente di niente.

Infine in pompa magna viene nominato Eugenio Gaudio, che intanto ha a che fare con un’indagine della Procura di Catania probabilmente presto archiviata, e qualcuno dal governo parla di tandem con Gino Strada. Gino Strada li sbugiarda dicendo che non esiste alcun tandem. Ieri Gaudio ci dice che non può accettare perché, dice proprio così, sua moglie non vuole trasferirsi a Catanzaro. Ieri pomeriggio a Tagadà il ministro Boccia dice addirittura che non vero che il governo l’aveva nominato, che ci stava pensando, poi ci ripensa, balbetta che il ruolo del commissario straordinario per la sanità non sia un ruolo “importante”, poi ci ripensa, poi esce una nota stampa in cui si scopre che Gaudio si è dimesso senza nemmeno confrontarsi con il ministro Speranza. Niente di niente. Finisce così. Che poi Gaudio abbia accettato un ruolo così delicato senza avvisare a casa è una roba che farebbe ridere, se non facesse piangere.

A questo punto la domanda è una secca: ma il governo si rende conto di non essere in grado di nominare un commissario per la Calabria senza incorrere in figuracce? E poi: il governo si rende conto della delicatezza del ruolo soprattutto in questo momento? E poi: ma c’è qualcosa che non sappiamo?

Sullo sfondo, agitato come una reliquia, quel grande uomo che è Gino Strada e Emergency.

Che pena.

Buon mercoledì.

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San Raffaele, visite Covid a pagamento? Peggio di come sembra

Ha fatto molto discutere ieri la notizia che il San Raffaele di Milano ha un vero e proprio servizio, a pagamento, per i pazienti positivi al Covid-19 in isolamento a casa. Il costo di una visita specialistica a domicilio è di 450 euro, mentre per un più semplice e immediato consulto video o telefonico da parte del medico il costo è di 90 euro. 90 euro per un consulto telefonico, avete letto bene.

Ha centrato il punto il consigliere regionale Matteo Piloni che dice: «Sei positivo al Covid e in isolamento? Le Usca non funzionano come dovrebbero? Tranquilli, ci pensa il privato. Se Ats o il vostro medico non vi chiamano o non rispondono, ci pensa il San Raffaele. Con un consulto video o telefonico a 90 euro e, se il medico lo riterrà, con 450 euro per un servizio di diagnostica a domicilio. Il pubblico arranca e il privato ingrassa».

Vale la pena rileggere anche quello che disse Alberto Zangrillo, primario guarda caso proprio al San Raffaele: «È indubbio che la diga del terrorismo ha ceduto e le persone sono disorientate e spaventate. Il malato va seguito a domicilio dall’esordio della prima sintomatologia». La frase, di per sé giusta, risulta un po’ risibile se detta da chi il Covid questa estate lo giudicava “clinicamente morto”, da quello del “sono tutti asintomatici” e dallo stesso che lavora nell’ospedale che lucra proprio sulla paura.

Per inciso l’Ospedale San Raffaele fa parte del Gruppo San Donato, sì sì proprio quello dove lavora Angelino Alfano e dove lavora Roberto Maroni. Incredibile, vero?

Per capire sempre del Gruppo San Donato conviene anche rileggersi una nota del consigliere regionale in Lombardia del M5S Fumagalli che l’8 agosto scrisse: «In data 5 agosto, la Giunta Regionale (con la delibera 3518 dall’anonimo oggetto: (‘Determinazioni in ordine alla gestione del servizio sanitario e sociosanitario per l’esercizio 2020-1°provvedimento’) stabilisce di farsi carico del 50% dei costi del rinnovo contrattuale della sanità privata con interventi relativi alle tariffe e ai budget nei limiti delle risorse disponibili. Questo significa (come già segnalato sul sito di Business Insider Italia) che, ad esempio, un ospedale come il San Donato che nel 2019 ha fatto un fatturato di 170 milioni di euro con un utile netto di quasi 34 milioni di euro, riceverà dei fondi extra per pagare i propri dipendenti. 5 milioni di euro solo per i mesi restanti del 2020. Se Regione Lombardia ha così a cuore i dipendenti degli Ospedali privati, perché non impone a questi imprenditori (il San Donato è guidato da Angelino Alfano) di applicare il Ccnl della sanità pubblica? Perché non impone di assumere i medici anziché tenerli a partita Iva? Il San Donato ha solo un medico assunto. Perché impegnarsi ad aumenti di tariffa e di budget nei confronti di chi fa già enormi utili per pagare i dipendenti? Non possono usare i margini che hanno per pagare i dipendenti e diminuire gli utili? Ma ai lavoratori delle cooperative che stanno nella sanità con uno sfruttamento enorme, i soldi dell’aumento di stipendio lo passa Regione Lombardia? No, perché in queste cooperative, non ci sono Alfano e Maroni a fare i presidenti».

Insomma, è molto peggio di come sembra.

Buon martedì.

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Ve lo buco, ‘sto Natale

Che Paese straordinario che siamo. Ci dicono che non è il tempo di riflettere sugli errori compiuti (e guardate che trattandosi di sanità sono sopratutto delle regioni) perché vorrebbe dire mortificare i morti, ci propinano virologi che dicono cose opposte sui media, virologi assolutamente incauti nella comunicazione (per dirla in modo buono), ci fanno ascoltare le canzoni di quella diventata famosa perché in spiaggia disse che non ce n’è di Coviddi e intanto tutta la discussione si concentra sul Natale.

Badate bene: non si concentra sul Natale per il valore eventualmente religioso, ci si concentra sul fatto che il Natale forse sì o forse no lo possiamo passare con i parenti. E intanto muoiono 600 persone al giorno quasi. E il cenone di Natale occupa tutte le conversazioni. Che poi non hanno nemmeno il coraggio di dirci che il tema non è mica il Natale, no, no, figurati, non hanno mica il coraggio di dirci che devono lasciare una parentesi per i consumi, che vorrebbero trovare la formula algebrica per farci uscire solo giusto il tempo per riempire il carrello che non sia mai che si rimane fuori solo al costo di uno spritz, no, no, ci vogliono fare intendere che la preoccupazione sia tutta sentimentale come in una brutta sit-com sentimentale ce la buttano su parentele. Che poi anche sulle parentele ci sarebbe da discutere, poiché noi siamo un Paese in cui i congiunti sentimentali sono quelli certificati, decine di parenti ma guai a voler vedere qualcuno a cui confessiamo tutti i nostri peccati da anni ma che ha la sfortuna di non essere descritto da un Decreto.

Intanto c’è chi strappa uno stipendio da fame, se ci riesce, c’è chi si ammala e non riesce a farsi curare e c’è chi muore. Mentre si parla di Natale senza avere il coraggio di fare un cenno all’economia. Una lunga, interminabile, paternale. Che strano Paese che siamo, che Paese incredibile: il presidente del consiglio introduce il Natale con una lettera improponibile di un bambino e ieri un giornalista del Corriere della Sera parla addirittura di “dittatura”, scrive proprio così Pierluigi Battista e chi gli risponde su Twitter? Il portavoce di Conte che per certificare l’esistenza del bambino posta un video di Barbara D’Urso.

E lì ho pensato che tutto era compiuto, che il cerchio si era chiuso, che stiamo a posto così. Mentre De Luca in sottofondo chiede un giorno “tutto chiuso” e il giorno dopo “tutto aperto”. In attesa del Natale. Buona fortuna a noi.

Buon lunedì.

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Aveva 6 mesi, avete dormito?

Aveva sei mesi. A sei mesi hai una vita davanti, dopo il mare e a sei mesi sei anche ghiotto per farci un articolo di giornale. Ma il naufragio avvenuto l’altro ieri a circa 30 miglia a nord delle coste libiche di Sabratha ha fatto “poca” notizia. Sono subito diventati numeri. Accade così: se non ci sono corpi da fotografare e cadaveri tra i bagnanti la notizia scuote poco poco, interessa agli addetti del settore, dicono così. A proposito che sanno “gli addetti del settore” di 6 persone morte tra cui un bambino di sei mesi? Chi sono gli “addetti del settore”? Le persone, mica solo quelle di buone volontà, la morte di un bambino annegato è un peso anche per le persone di cattiva volontà, gli auguro di sentirlo, gli auguro di non riuscire a disfarsene appena farà capolino.

Si chiamava Joseph e veniva dalla Guinea. Una volta scriverne il nome almeno faceva un certo effetto. Ora nemmeno quello. Scivolano anche i nomi, scivolano le storie, scivola tutto in fondo al mare. Joseph era con più di 100 persone su un gommone stracarico, talmente stracarico, che ha ceduto il pianale. Un abisso che si apre sotto il pavimento. Visto da un aereo di Frontex sono stati salvati dalla nave di Open Arms, le Ong cattive, quelle che l’altro ieri ne hanno salvati 111 che stavano aggrappati ai galleggianti come ci si aggrappa al ciglio di un burrone, con quella paura che è talmente densa da diventare puzza. Voi le avete mai sentite le persone quando puzzano per la paura? È un odore rancido che non si riesce a staccare di dosso.

Articoli su articoli, editoriali su editoriali sui processi (giusti) a un ex ministro che ha lasciato persone a bordo di una nave militare italiana e chi processa chi per un bambino di 6 mesi rinsecchito dal mare? Chi è il colpevole? Chi sono i colpevoli? Dov’è la giusta indignazione? Perché si continua a morire ma non si continua più a raccontare con la stessa virulenza di prima? È una cosa che non mi fa dormire la notte.

A proposito: voi che avete responsabilità sul Mediterraneo e che lasciate intoccabile l’inferno libico avete dormito in queste ultime due notti? Vi siete riposati tra i guanciali del virus che ammorba anche tutto il resto rendendo soffici le tragedie? Siete soddisfatti che sia passato il cattivismo solo perché è cambiata l’aria? Perché il mare continua a uccidere. Annega e se li mangia. E uccide.

Siate maledetti.

Buon venerdì.

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Sardegna e discoteche dappertutto

Non è un caso da poco quello aperto dalla Procura della Repubblica di Cagliari per epidemia colposa e per altri reati sul Ferragosto vacanziero sardo in cui le discoteche sono rimaste bellamente aperte mentre già arrivavano i primi preoccupanti numeri del virus.

La vicenda intanto. Tutto nasce da un’inchiesta della trasmissione televisiva Report che intervista due consiglieri regionali della maggioranza (nomi di peso: Angelo Cocciu è capogruppo di Forza Italia, Giovanni Satta vicecapogruppo del Partito Sardo d’Azione) mentre confessano «pressioni da parte degli imprenditori del settore». L’ordinanza del presidente della Sardegna Solinas risale all’11 agosto sulla base del parere del Comitato tecnico scientifico regionale. Almeno così dice Solinas. Il parere del Comitato però sembra impossibile da vedere, da leggere e da controllare. «Se c’è – ha intimato Emiliano Deiana, presidente regionale dell’Anci – lo tirino fuori subito. Se non c’è, vuol dire che i soldi di pochi hanno contato più della salute di tutti i sardi». Fonti investigative fanno intendere che forse quel parere sia stato semplicemente “verbale”. Tipo un consiglio al telefono, siamo a questi livelli qui.

Una cosa è certa: quell’ordinanza permise alle discoteche più in voga (come Billionaire, Phi Beach, Just Cavalli, Country Club e Sottovento) di ammassare un bel tot di gente tutti festanti e senza mascherina procurando uno dei più grossi cluster di quei mesi. Tanto per avere un’idea dei numeri: solo nel Lazio sono stati intercettati più di 1200 positivi di rientro dalla Sardegna. 1200.

Solo che la Sardegna e le discoteche sono dappertutto, in tutta Italia, in aperture che sono rimaste aperte (e che sono ancora aperte) e che poiché non hanno nomi e volti noti magari non vengono raccontati e investigati. Non so se avete notato che dalla narrazione generale sembra ad esempio che siano spariti magicamente tutti gli infettati in fabbrica, sui posti di lavoro, negli ospedali (solo negli ospedali di Milano San Carlo e San Paolo nelle prime 3 settimane di ottobre, badate bene, c’erano 80 lavoratori contagiati). Tutto sparito. Si fanno pulci alle scuole (giustamente) ma l’attività produttiva, quella che non si potè toccare nella bergamasca nella prima ondata, continua imperterrita a non esistere. E chissà quante centinaia di inchieste andrebbero aperte. Magari anche senza bisogno del giornalismo investigativo.

Il crinale su salute e lavoro è quello su cui camminiamo in questo tempo buio.

Buon giovedì.

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Kamala Harris e la Palestina

Ci sono, tra le dichiarazioni della vicepresidente degli Usa, frasi che fanno accapponare la pelle a chi come noi ha a cuore i diritti dei palestinesi

Sì, certo, ci sono anche le ombre. Due giorni fa nel mio #Buongiorno mi permettevo di sottolineare come fosse un vento buono quello che ha portato alla vicepresidenza degli Usa una donna che ha una visione dei diritti completamente lontana da quella dei diritti negati secondo Donald Trump. E il dibattito si è infiammato: qualcuno giustamente fa notare a noi di Left che Kamala Harris è troppo poco progressista poiché molto vicina, anzi vicinissima a Hillary Clinton (come se una vittoria, ai tempi, di Hillary Clinton su Donald Trump non sarebbe stata comunque una buona notizia rispetto a quello che abbiamo vissuto), qualcuno sottolinea i diversi errori (e qualche omissione) di Kamala Harris nel suo ruolo di procuratrice (i 1.500 arrestati per reati legati al fumo di marjuana, ad esempio, oppure la proposta di mettere in prigione i genitori di bambini che registravano un elevato tasso di assenze scolastiche). Ed è tutto vero, verissimo. Vero anche che Kamala Harris sia parte integrante dell’establishment democratico. Mi permetto di credere però che se esponenti molto progressiste femministe vedono nella sua elezione un ulteriore passo in avanti verso la caduta del tetto di cristallo ci saranno delle buone ragioni.

È estremamente preoccupante anche la posizione di Kamala Harris sulla questione palestinese, con la Palestina che ancora una volta non vede una gran luce dalle elezioni americane (Israele è corso subito alla corte di Biden). Ci sono, tra le dichiarazioni di Kamala Harris, frasi che fanno accapponare la pelle a chi come noi ha a cuore i diritti dei palestinesi.

«L’ultima raffica di attacchi missilistici da Gaza contro israeliani innocenti non può essere tollerata: Israele ha il diritto di difendersi da questi orribili attacchi. Mi unisco agli altri nell’esortare contro un’ulteriore escalation», ha detto a JewishInsider il 15 novembre 2019. Sul fatto che Israele soddisfi o meno gli standard dei diritti umani: «Nel complesso, sì» ha detto al New York Times, 19 giugno 2019. E poi: «Per questo motivo sostengo fortemente l’assistenza alla sicurezza dell’America a Israele e mi impegno a rafforzare il rapporto americano di sicurezza e difesa israeliana… Credo che quando una qualsiasi organizzazione delegittima Israele, dobbiamo alzarci in piedi e parlare apertamente contro di essa. Israele deve essere trattato allo stesso modo, ed è per questo che la prima risoluzione che ho co-sponsorizzato come senatore degli Stati Uniti è stata quella di combattere i pregiudizi anti-israeliani alle Nazioni Unite e di affermare e riaffermare che gli Stati Uniti cercano una soluzione giusta, sicura e sostenibile per due Stati» (intervento al Comitato ebraico americano, 3 giugno 2019).

Le debolissime politiche di Biden sui diritti dei palestinesi sembrano avere trovato un ottimo appiglio in Kamala Harris. Purtroppo per noi e purtroppo per tutti quelli che tengono alla situazione mediorientale. Sarà un’altra presidenza americana dura dalle parti di Gaza, senza dubbio. E su questo ci sarà da lottare.

Poi, mi sia concesso, il profumo dell’assenza di Trump è una vittoria politica. Una vittoria breve? Può essere. Noi siamo qui proprio per questo, per osservare e informare, osservare e informare, osservare e informare.

Buon mercoledì.

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Tamponi privati, tamponi pubblici

Dalla Lombardia arriva una testimonianza sulla gestione della sanità e sulla difficoltà a fare i tamponi. Nel servizio pubblico, ovviamente

Mi scrive Mattia:

«Ti voglio raccontare due storie che sono strettamente connesse e che hanno a che fare con l’epidemia da coronavirus. Sono due storie che parlano di me e della mia famiglia e della gestione a dir poco folle e criminale di Regione Lombardia. La prima parte della storia riguarda la questione tamponi: mi sono contagiato, in famiglia, andando a prendere una pizza da una zia asintomatica, e ho contagiato mia mamma. Si sono contagiati, con me anche mio fratello e il mio compagno, fortunatamente tutti con sintomi lievi. E qui mi fermo, perché questa malattia ci ha spinto e ci spinge a pensare che le priorità del dolore non siano mai abbastanza: mi sento fortunato e lo sono stato, penso a chi invece non ce l’ha fatta ed è morto con i polmoni di pietra e ringrazio il destino. Ma questo non toglie la paura. E tuttavia, facendo i conti con i sensi di colpa, ho dovuto anche fare i conti con una “sanità” che non accetta più tamponi a chi non ha la febbre. Il mio medico ha dovuto mentire dicendo che fossimo ancora febbricitanti per ottenere un tampone. Inoltre, come se non bastasse, i tempi per ottenere un risultato si stanno aggirando ad oggi sui dieci giorni di attesa. E tu mi dirai “Sono tempi tecnici”, e io ti rispondo che hai ragione. Ma il problema è che i giorni di isolamento partono da quando si sa l’esito del tampone e al lavoro non ci si può tornare e si sta in attesa anche se nel frattempo si sta già facendo la quarantena. Inoltre, se il secondo tampone fosse di nuovo positivo, la Regione non ha tempo, modo, risorse di farne un terzo, quindi ti assegna ventuno giorni di quarantena e tanti saluti. Tutto questo ovviamente se si va nel pubblico, perché il privato funziona. Ma almeno si avesse la decenza allora di dire che la nostra “sanità” è all’americana, sarebbe meno ipocrita e più credibile. Dire “Signori, i “ricchi”, come in America li curiamo”, i “poveri” quando abbiamo tempo. Che poi parlarne di cosa vuol dire “ricchi”: so di gente che ha speso i soldi da parte per un tampone a 120 euro senza quasi sintomi ma per una legittima voglia di sapere. E a questa prima storia si aggiunge quella che più mi fa male: mio nonno si chiama Lucio, ha ottantanove anni e da febbraio ATS non gli concede le analisi del sangue. “Qui si fanno i tamponi” e oggi per la seconda volta lo hanno rimandato a casa. Inutile dire che mio nonno di quelle analisi ha bisogno e quindi ovviamente provvederemo a mandarlo in altri centri anche a pagamento, anche dandogli una mano con la pensione da muratore che ha e con la quale paga affitto e medicine. Ecco, ti scrivo perché c’è di sicuro una parte di rabbia, ma c’è anche tanta delusione e sconforto. E volevo condividerlo con te».

È una testimonianza singola ma che la possibilità di fare i tamponi sia diventata in molte zone una condizione che appartiene solo alla sanità privata qualche domanda forse ce la dovrebbe porre. No? Per il resto c’è poco da aggiungere. È tutto nella lettera.

Buon martedì.

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Kamala Harris

Trump ha perso. Insieme a Trump perde anche quel sovranismo populista condito di niente che ha attraversato il mondo, quel modo muscolare di fare politica pescando nel torbido per non affrontare i problemi, quella politica che ancora si innamora dell’uomo forte per potersi concedere di non occuparsi dei deboli che sono da sempre i nemici di certa destra. Diritti e dignità, forse, ce lo auguriamo tutti, trovano almeno uno spazio nel dibattito pubblico dopo essere stati oscurati come inutili lamentosi che avrebbero solo potuto rallentare la produttività del Paese.

Dagli Usa arriva anche la storia della prima vicepresidente donna, finalmente, una donna che non è moglie di qualche ex vicepresidente e che ha una storia da portare con fierezza. Kamala Harris è donna, nera, figlia di una biologa indiana e di un economista giamaicano, sposata con un bianco ebreo. Qualcuno dice che potrebbe “oscurare” Biden. Ma magari.

In lei molti elettori e elettrici democratici hanno intravisto il futuro di un Paese che sta diventando sempre più diversificato dal punto di vista razziale, sognando un’America inclusiva, integrata e progressista. Ex procuratore distrettuale di San Francisco, è stata la prima donna nera a essere procuratorice generale della California. Quando è stata eletta senatrice degli Stati Uniti nel 2016, è diventata la seconda donna nera nella storia della Camera. Una donna di legge che contraria alla pena di morte, favorevole ai diritti gay, sostenitrice della sanità pubblica, impegnata nel movimento Black Lives Matter.«Ogni volta che ho corso ero la prima a vincere. La prima persona di colore. La prima donna. La prima donna di colore. Ogni volta», diceva nel 2019.

Nel suo discorso inaugurale ha detto: «Penso alle donne, alle donne nere, asiatiche, bianche, ispaniche, nativo americane, che nel corso della storia di questo paese hanno aperto la strada per questo momento, si sono sacrificate per l’uguaglianza, la libertà e la giustizia per tutti noi; penso alle donne nere che troppo spesso non sono considerate, ma sono la spina dorsale della nostra democrazia. Penso a tutte le donne che hanno lavorato per garantire il diritto di voto e che ora nel 2020 con una nuova generazione hanno votato e continuano a lottare per farsi ascoltare. Stasera voglio riflettere sulle loro battaglie, la loro determinazione, la loro capacità di vedere cioè che sarà a prescindere da quello che è stato. E questa è una testimonianza della personalità di Joe, che ha avuto il coraggio di buttare giù uno dei muri che continuavano a resistere nel nostro paese scegliendo una donna come vicepresidente. Anche se sono la prima a ricoprire questa carica, non sarò l’ultima. Ogni bambina, ragazza che stasera ci guarda vede che questo è un paese pieno di possibilità. Il nostro paese vi manda un messaggio: sognate con grande ambizione, guidate con cognizione, guardatevi in un modo in cui gli altri potrebbero non vedervi. Noi saremo lì con voi».

È un buon vento, quello di Kamala Harris.

Buon lunedì.

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Fontana bifronte

Prima ribadisce che il lockdown è competenza del governo. Poi si lamenta della zona rossa istituita da Palazzo Chigi. È molto confuso, il presidente della Regione Lombardia

Fontana guida la schiera di presidenti di Regione che se la prendono con il governo per le misure adottate, considerate troppo severe. Bello fare il presidente di Regione in Italia se si è di un colore politico diverso rispetto al governo: si urla per giorni “non decidono! non decidono!” e poi quando decidono ci si lamenta che hanno deciso. Tanto a loro cosa interessa, gli basta fare un po’ di caciara, c’è sempre un potere superiore su cui scaricare le responsabilità.

Fontana dice che va tutto bene.

Fontana dice che va bene anche se ormai il tracciamento è completamente saltato.

Fontana dice che va bene anche se in Lombardia il dato dei positivi sulla base dei tamponi eseguiti è pari al 26,6%. In aumento costante.

Fontana dice che va bene anche se ci sono 1.075 letti di Terapia intensiva, il tasso di occupazione è del 40%. La soglia di criticità è identificata al 30%. Il tasso di occupazione dei posti letto per i ricoveri ordinari è al 37%, al limite della soglia critica fissata al 40%.

Fontana diceva che bisognava chiudere, e che la competenza di farlo spetta al governo, e adesso dice che tutto va bene.

Fontana ha scritto una lettera a medici e infermieri in cui scrive: «Mi rivolgo a voi, un nemico invisibile è tornato a condizionare le nostre vite, ad esercitare pressioni sui nostri ospedali. […] Oggi dobbiamo lavorare insieme e rapidamente per piegare la curva epidemiologica e più di ieri siamo nelle vostre mani». «A voi – continua Fontana -, cui noi rimettiamo la difesa della vita, faccio appello per continuare questa lotta».

Fontana ieri ai giornalisti: «Non riusciremo per ora a chiedere alcun allentamento delle misure decise dal Dpcm».

È molto confuso, Fontana. Esattamente Fontana come la pensa?

Buon venerdì.

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La dirittifobia e la Legge Zan

I fratellini di Fratelli d’Italia ieri si sono imbavagliati (a proposito di priorità e di tempismo) in Parlamento quando il presidente della Camera Roberto Fico ha annunciato la votazione finale della cosiddetta Legge Zan, la legge per contrastare l’omotransfobia, la misoginia e le violenze contro le persone disabili.

Dicono i meloniani che questa sarebbe una legge liberticida poiché limiterebbe “il diritto di espressione”. In sostanza vorrebbero essere liberi di gridare “frocio di merda” al primo omosessuale per strada, oppure dare dell’handicappato come offesa poiché lo ritengono un indice di libertà.

Il testo della legge, presentato dal deputato del Partito Democratico Alessandro Zan, prevede di estendere la legge Reale-Mancino dall’ambito del razzismo a quello dell’omotransfobia per punire chi istiga a commettere o commette atti di discriminazione o violenti per motivi «fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità  di genere». E la libertà di idee? C’è anche quella. La cosiddetta “clausola salva idee” chiarisce che la «libera espressione di convincimenti ed opinioni» non rientra nell’istigazione a compiere atti discriminatori o violenti. I primi due articoli introducono poi l’orientamento e il genere sessuale negli articoli del codice penale, il 604 bis e ter, che puniscono la propaganda e l’istigazione a delinquere per motivi di discriminazione.

Non è un’invenzione di questo tempo, una legge del genere: sono 24 anni che si tenta di varare un testo del genere. Anche per questo è una vittoria che conta.

Ma il punto sostanziale è sempre lo stesso: quando si parla di diritti non si riesce a capire che la politica debba occuparsi dei diritti “degli altri” poiché sono sempre le minoranze a ritrovarsi schiacciate e ad avere bisogno di essere tutelate. E questo dalla parte della destra peggiore di sempre evidentemente non passa: la loro è una vera è propria dirittifobia che teme che ogni nuovo diritto non sia un vantaggio ma una discussione del proprio comodo status quo. Tipo quello di prendere in giro un omosessuale semplicemente per il fatto che sia omosessuale.

Buon bavaglio, fratelli.

Buon giovedì.

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