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Premio

Morto di pacchia. A 15 anni

Abou aveva 15 anni. Portava addosso sulla pelle le cicatrici delle torture subite in Libia. Era denutrito. Era disidratato. L’Open Arms l’aveva salvato nel Canale di Sicilia. È una storia ordinaria delle disperazioni in mezzo al Mediterraneo. Il 18 settembre viene trasbordato insieme ai suoi compagni nella nave “Allegra” per la quarantena. Racconta la sua tutrice assegnata dal tribunale dei minori, Alessandra Puccio, che il ragazzo non parlasse già più, fortemente debilitato: «Solo il 28 un medico se n’è accorto, ma era già troppo tardi. E da quel momento è stato un precipitarsi di eventi, fino alla sua morte, avvenuta oggi all’ospedale Ingrassia», racconta a Repubblica.

Il 28 settembre lo visitano, lo rivisitano anche il giorno successivo e il 30 settembre finalmente viene ricoverato in ospedale. È disidratato, non collabora, non parla. Il giorno dopo entra in coma, viene trasferito dal Cervello di Palermo all’Ingrassia. Il 5 ottobre Abou muore. Ora si muove la Procura per accertare eventuali responsabilità e omissioni di soccorso. C’è da capire come possa un quindicenne torturato rimanere su una nave in quelle condizioni e se gli siano state offerte tutte le cure necessarie.

Qualche giorno fa Matteo Salvini ospite della pessima trasmissione di Mario Giordano parlò dei migranti che vengono parcheggiati nelle navi quarantena usando queste esatte parole: «Giordano, ti stanno guardando da una delle 4 navi da crociera, i tremila immigrati clandestini che sono sbarcati e hanno vinto il biglietto premio di 4 navi da crociera a spese degli italiani è una cosa che mi fa imbestialire». Abou quindi probabilmente è morto “di crociera”, oppure è morto di pacchia.

Abou non aveva i genitori, è uno dei tanti minori non accompagnati che arriva sulle nostre coste. Abou è morto in un luogo in cui si riteneva al sicuro. Abou è morto nel giorno in cui il governo dichiarava di avere superato i decreti sicurezza, stando sempre sulla linea criminogena di chi salva le vite in mare. Sarebbe da raccontare a tutti la storia di Abou, per fare cadere una volta per tutte questa feroce narrazione che continua a trattare le disperazioni come se fossero un gioco.

Buon mercoledì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Che affare, la pandemia

La pandemia no non ci ha reso tutti uguali e secondo il premio Nobel Joseph Stiglitz e l’economista francese Thomas Piketty «ha esacerbato le diseguaglianze». «Le stesse grandi compagnie di Internet, fino a ieri impegnate in pratiche di elusione fiscale, sono state le principali beneficiarie del coronavirus», ha detto Stiglitz durante la conferenza stampa virtuale convocata dalla Commissione indipendente per la riforma della fiscalità internazionale d’impresa (Icrict) e dall’Ong Oxfam.

Facebook, Amazon, Apple, Alphabet, Google nel cuore dell’Europa, in Irlanda, «pagano tasse su una frazione del loro fatturato», dicono i due economisti che propongono anche un soluzione: un regime fiscale minimo. «Sarà molto difficile», ha detto Piketty, ma il fatto che tutta l’Europa stia riflettendo sul debito e stia muovendo somme impensabili potrebbe fare ritrovare il coraggio di parlarne una volta per tutte.

Eppure se ci pensate sono molte le disuguaglianze di cui si è discusso durante l’epidemia, quando davvero si credeva che potesse essere messo in discussione almeno un pezzo di sistema e invece è tornato già tutto nei binari normali. Anche gli eroi si sono già normalizzati, rientrati nei ranghi. Infermieri, insegnanti e perfino i rider, quelli che ringraziavamo ogni giorno su tutte le prime pagine dei giornali, sono finiti ancora nelle retrovie. La scuola è rimasta l’ultima preoccupazione del governo che non ha riaperto le aule e che non sa ancora quando e come si riapriranno mentre ci si assembra sui campi da calcio e nelle manifestazioni politiche. Gli artisti che hanno addolcito la quarantena sono lasciati a inventarsi qualcosa. Lo spettacolo dal vivo è ripartito claudicante.

Tutto bene, tutto normale. Che affare, la pandemia, per i ricchi che sono rimasti ricchi e non sono nemmeno stati messi in discussione. Che affare, la pandemia, per gli eroi che hanno avuto i loro 5 minuti di notorietà e ora devono tornare ai loro posti.

Buon mercoledì.

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E così Carnaio finisce al Premio Strega

All’inizio era un sogno. Poi è arrivata la lettera di presentazione di Concita De Gregorio (e chi mi segue sa quanto io voglia bene e stimi Concita) e siamo rimasti tutti basiti. Eccola qua (dal sito del premio):

«Giulio Cavalli in Carnaio racconta la storia di un piccolo paese affacciato sul mare, DF, dove d’un tratto cominciano a essere sputati dalle onde corpi senza vita di uomini tutti uguali. Come dice Giovanni Ventimiglia, il pescatore che per primo si imbatte in uno di loro: «Se galleggi, sei morto o sei una cosa, nel mare». Nessuno sa da dove vengano, i cadaveri che arrivano a DF (Distretto Federale, potreste pensare se conoscete l’America Latina). Nessuno in realtà ha intenzione di scoprirlo: vorrebbero solo che sparissero, che ritornassero a inabissarsi lasciando intonse le loro strade e le loro vite. Questo fino al giorno in cui un’onda di carne e vestiti non intasa le vie, sorprende le persone a passeggio e le travolge: il problema dei cadaveri richiede ora un intervento. Ci vuole un’idea, una soluzione. Eccola: i corpi da persone diventano cose e le cose possono essere trattate come oggetti. A DF tutto cambia, i cadaveri da problema si trasformano in materia prima, l’economia: della città si converte e si indirizza a trarre profitto da quello che hanno da offrire: la carne e la pelle. In un mondo distopico, immaginario eppure più vero del reale il libro di Giulio Cavalli racconta il nostro paese. Una denuncia letteraria scritta magistralmente, un ritratto inclemente del mondo che stiamo costruendo: il racconto di una comunità che si organizza per far fruttare la sventura, il termometro sociale e politico del tempo che viviamo. Potremmo diventare, siamo già diventati DF: il paese chiuso, appestato, impenetrabile dove gli abitanti si arricchiscono e blindano il segreto inconfessabile della loro ricchezza mentre sono, nel tripudio del cinismo, destinati all’estinzione. «Ai soccorsi, arrivati con poca voglia di soccorrere, DF si presentò come una palla di vetro con neve, quelle dei mercatini dove gli ambulanti portano guanti tagliati sulle dita. Le palle di vetro provocano la felicità più meravigliosa e più breve che si possa provare in natura, il tempo di uno scrollo, i più resistenti ne fanno due, e poi finiscono nel comò per almeno tutta una generazione, vengono ritrovate quando sono morti da un pezzo sia gli acquirenti che gli ambulanti e un bambino la scrolla di nuovo, una volta, massimo due. DF era cosi. Senza scrollo. Con le mosche al posto della neve.»


È l’inizio di un cammino che sarà difficile ma possiamo già dire di essere soddisfatti. Soddisfattti soprattutto perché Carnaio ha avuto un’accoglienza inimiganniabile. Ora, spero, capirete anche perché stavamo aspettando di programmare tutte le presentazioni che ripartono (a proposito: scrivete a sabina.degregori@fandango.it e vi prometto che proverò ad esserci a tutte, tutte).

Qualcuno mi chiede, cosa possiamo fare? Leggerlo ma soprattutto farlo leggere e parlarne, farne parlare. Carnaio orami da mesi è un rumore di sottofondo di cui è mi possibile non accorgersi. Più gente ne parla e più abbiamo la possibilità di andare avanti.

Intanto un grazie. Di cuore. A voi. Tutti. A Fandango. A Lavinai e Tiziana che se ne sono prese cura. A Concita che l’ha preso a cuore. A voi che ogni giorno m i inondate di messaggi.

Vi voglio bene. Davvero.

Dario Fo esprime la sua solidarietà a Giulio Cavalli

Stamane è giunto un messaggio di solidarietà verso Giulio Cavalli da parte del Premio Nobel Dario Fo e della Moglie Franca Rame.

“In un dialogo in catalano antico fra un contadino e un giullare che si lamentava per le angherie e le minacce subite di continuo ad opera di sconosciuti, il villano chiedeva al fabulatore: “Ma di cosa ti minacciano?” . Il giullare rispondeva: “Addirittura di spaccarmi la testa ” e il villano commentava: “Accidenti! Devi avere un gran cervello in quel cranio! E’ quello che fa paura ai mascalzoni e ai tiranni. Vuol dire anche che sai far ridere delle loro angherie: la risata è l’atto più insopportabile per i potenti e i prepotenti. Hai tutta la mia ammirazione. Grazie.” così terminò il villano offrendo al giullare un calice di vino e la sua colazione. A nostra volta, Franca ed io, ti diciamo caro Giulio: Grazie.”

DARIO FO