Vai al contenuto

primarie

Se scoprono Pippo

Insomma questa mattina leggendo i giornali tutti scoprono Pippo Civati. Anzi, pensa, si stupiscono del buonsenso che da anni tutti hanno provato a fare apparire banale, inconsueto e poco funzionale. Civati dice le stesse cose da tempo, le stesse, declinate magri prima a livello regionale e poi nazionale ma comunque sempre dalla “stessa parte”. Ha anche presumibili difetti dagli stessi anni ma la meraviglia di questa mattina dimostra che poi alla fine bisogna sgomitare per riuscire a farsi ascoltare (soprattutto se non si cede alla politica per “spot”. E quindi, pensavo proprio questa mattina, le regole di un congresso sono fondamentali e il loro rispetto è la prima prova di maturità e democrazia per un partito. E, volendoci pensare, per un giornalismo intellettualmente onesto.

Internet, la democrazia al chilo e le quirinarie

Non sopporto l’informazione al chilo, la cultura al chilo e negli ultimi giorni comincio a diventare intollerante di fronte a internet e democrazia vendute al chilo. Ne scrivevo giusto ieri qui di come sia semplicistico pensare ad una democrazia diretta direttamente dipendente alla rete in sostituzione di tutto il resto. Per carità, l’idea della rete come madre della democrazia è affascinante in un Paese come il nostro dove internet è ancora in piena fase pionieristica (dietro a Barbados e Panama, al 50° posto per economia digitale) ma l’alfabetizzazione all’analisi è ancora una chimera. Ieri sentivo qualcuno lamentarsi delle 55 cartelle di Fabrizio Barca nel suo documento per un buon Governo: non riusciamo ad avventurarci più in là del singolo click.

Per fare un altro esempio, il post di questo piccolo blog più letto di ieri (e scommetto che lo sarà anche di oggi) è questo e sono in molti ad avere commentato in facebook o su twitter semplicemente il titolo senza nemmeno avere aperto il link: la compulsione da click, appunto.

E anche sul presunto attacco hacker al blog di Beppe Grillo varrebbe la pena andare un po’ più a fondo. Federico Mello prova a ricostruire la vicenda con un po’ di logica e analisi, appunto:

Ma è proprio così? Qualcuno è volutamente entrato nel sistema della Casaleggio per boicottare questa prova di democrazia? Se fosse, sarebbe molto grave. Chi l’avrebbe fatto, per conto di chi? E non dovrebbero essere preoccupati, Grillo e i suoi, per questo boicottaggio? È come se il Pd avesse annullato le sue primarie dopo il furto di un gran numero di schede.

Ma la verità in questo caso è un’altra: non c’è stata alcuna intrusione esterna. Lo spiega bene il comunicato della Dnv, l’azienda specializzata che ha “certificato” le operazioni di voto. Dice infatti: «A seguito di uno dei controlli pianificati, relativo all’integrita del sistema, è stata rilevata un’anomalia, i cui effetti sono stati verbalizzati. L’anomalia ha compromesso in modo significativo la corrispondenza tra i voti registrati e l’espressione di voto del votante». Significa che sono stati registrati più votanti degli aventi diritto. Sempre la Bnv specifica inoltre: «Trattandosi di un controllo periodico non è stato possibile determinare con certezza il momento iniziale della compromissione».

Di hacker, non si fa alcun cenno. E non potrebbe essere altrimenti: la Bnv è una azienda di certificazione, non di sicurezza informatica. Nel suo “chi siamo”, spiega: «DNV Business Assurance Italia svolge, da parecchi anni, un’intensa e competente attività nel settore delle verifiche, ispezioni e certificazioni di sistemi di gestione, prodotti in campo industriale e nei settori dei servizi». Insomma, rispetto a procedure concordate, l’azienda verifica che vengano svolte in modo corretto. E non è un caso che abbia fatto dei “controlli periodici”: non ha le competenze informatiche per “difendere” un server, e non ha sistemi di monitoraggio, nè di tracking, di tracciamento, per risalire a possibili incursioni.

Dove è venuta fuori allora la storia degli hacker? Dalle parole di Grillo. E, indirettamente, da quelle di Messora. Perché? Bhè, la risposta non la sapremo mai. Ma l’ipotesi più probabile è che alcuni utenti abilitati al voto abbiamo potuto votare più volte per una difetto nel sistema costruito dalla Casaleggio. E, invece di ammettere l’errore, (un pessimo viatico per chi che nel suo statuto intende dare “al popolo della rete” la titolarità del governo), quando le cose non hanno funzionato, ecco subito gridare allo scandalo, all’attacco informatico.

Se vogliamo un approccio serio all’applicazione politica della rete non possiamo rinunciare ad una scolarizzazione seria e collettiva (democratica, appunto) sui suoi meccanismi e il Movimento 5 Stelle dovrebbe (o potrebbe) essere l’avamposto culturale. In fretta. Come dice Leonardo nel suo post di oggi:

Io credo che i militanti del M5S che chiedono insistentemente, da mesi, una piattaforma realmente democratica a Grillo e Casaleggio dovrebbero riflettere seriamente su quello che sta succedendo. Se la tanto promessa piattaforma non è mai pronta, forse non si tratta soltanto di un problema di tempo, come a volte avete letto su beppegrillo.it. Casaleggio avrà anche tanti impegni, ma quello che vi ha promesso, tecnicamente, non ve lo può dare. Il fatto che succeda di nuovo un incidente del genere, dopo i disguidi durante le parlamentarie, la dice lunga. Noi non sappiamo esattamente quanti siano gli iscritti al MoVimento al 31 dicembre 2012 (quelli che avevano diritto di votare), ma Casaleggio sì, lui lo sapeva. Ha tutti i dati necessari a capire quanta gente avrebbe votato ieri e a prevedere i possibili picchi di traffico. Ma non ci riesce. O non ne ha i mezzi o, probabilmente, non ne è capace. Ma non ha la minima importanza, così come non ne ha avuta per le parlamentarie. Non si tratta di eleggere veri rappresentanti: si tratta di vendere l’idea del movimento che decide in rete, con tutto il bello e tutto il brutto della rete, compresi i malvagi hacker inquinatori della volontà popolare. Grillo e Casaleggio non hanno la minima idea del futuro che stanno vendendo: è un pacco, intanto lo piazzano, se poi dentro c’è qualcosa che funziona tanto meglio, ma non dipende da loro. Loro fanno il marketing, loro piazzano il pacco.

Viene in mente la teoria di Steve Jobs su come i venditori rovinino le grandi aziende, quando vanno al potere al posto degli ingegneri. Il M5S non è una grande azienda, è un movimento politico, dentro un pacco. Volete che funzioni? Scartate via il pacco, licenziate i professionisti dei fiocchetti. Sono stati molto bravi, ma da qui in poi possono soltanto rovinare tutto.

Perché altrimenti non c’è differenza: stiamo semplicemente al Drive-In e il paraberlusconismo 2.0.

Chi l’ha vista?

colosseo_copy_1

Sono a Roma. Nel pieno della competizione elettorale per il prossimo sindaco. Ignazio Marino ha appena vinto le primarie del centrosinistra (ed è una bella notizia).

A Roma negli ultimi mesi si contano almeno una sessantina di omicidi in odore di mafia. Fosse Palermo l’avrebbero chiamata mattanza, fosse Milano l’avrebbero chiamato “il segnale della mafia al nord”. Qui, invece è criminalità. Per i più audaci: criminalità organizzata.

A cento passi dal Parlamento i bar confiscati ai casalesi si aprono alla mattina con la gente tutta intorno. Sarebbe meglio vederla, la mafia. Provare a chiamarla per nome nei comizi, negli articoli e tutto il resto anche qui a Roma. La questione è capitale. In tutti i sensi.

 

Io non voglio morire d’intenti

Schermata 2013-01-01 alle 16.53.17Non ho mai ben capito se gli intenti vadano scritti la sera dell’ultima sera dell’ultimo giorno dell’anno o la mattina del primo dell’anno successivo. Confesso che non sono mai stato bravo con i bilanci e i consuntivi: mi immalinconiscono come le anziane nel letto d’ospedale che non ricevono mai visite e fingono di farsi compagnia con i parenti degli altri, promettendosi che gli basti così. Peggio ancora con gli esami di coscienza: ho un incalcolabile difficoltà con i sensi di colpa che mi rende clinicamente ossessivo e compulsivo verso le mie mancanze.

Potrei anche sognare intanto un anno che mi liberi le spalle da blindature e scorte. Non ci avevo mai pensato in questi ultimi anni, era un desiderio nella cesta dei desideri indesiderabili e invece mi si è acceso giusto giusto ieri notte mentre i botti diventavano un soffio rauco di polvere da sparo incollacciata sul marciapiede. E’ stato un desiderio che mi ha sorpreso: un ardimento spericolato dove ho pensato a me stesso con la cura che non pensavo di riuscire più ad usare. Perché se c’è un alone che mi ha unto in questi ultimi anni è proprio questa sensazione di eterna solitudine sorvegliata a vista che mi fa sentire di troppo in un mare di troppo poco e che non sono mai riuscito a spiegare. Rileggo il pezzo di Marco di due anni fa e mi sembra che ci sia la stessa musica di sottofondo. Non so se mi spiego: anni come un recinto che disegna i cerchi del mio tronco con le cicatrici al posto delle linee della crescita. Una cosa così. Pensavo che la mia vita fosse in una parentesi di controffensiva difensiva e invece è l’imboccatura di una strada di cui non se ne vede l’orizzonte. Niente panico o letteratissimi tormenti, per carità, ma una noia usurante che ha l’abitudine come unica lenizione possibile.

C’è il lavoro: il mio lavoro con la parola e la scena. In un anno di ricerca di nettare e nido tornare in scena con Duomo d’onore è stato un dito che ha toccato corde che temevamo non suonassero più. Ho bisogno di stare sul palcoscenico per parlare con me. Semplicemente. E non dovere rendere conto a nient’altro che i fatti e la bellezza: due compagni che litigano spesso. Ho ritrovato la mia quotidianità nel freddo e il disordine dei camerini, nei “due minuti” dati prima di cominciare bussando piano alla porta, nei vestiti di scena stropicciati come le donne bellissime con le loro rughe, negli amici che ti danno il cenno che è andata bene e nelle cene mangiate troppo tardi con la fame che corre contro il sonno. Se dovessi augurare un lavoro ai miei figli gli augurerei la fortuna di lavorare con la soddisfazione che va a dormire dopo di te, come capita a me. C’è la scrittura: questo 2012 è stato un anno di scrittura a singhiozzo tra la quotidianità delle cose quotidiane che lasciano sabbia nei reni e negli ingranaggi della penna. Mi ero promesso un romanzo per provare a volare e mi hanno lasciato a terra le informative, le sentenze e le scelte: questo mio nuovo anno ha quel romanzo da recuperare tra i bagagli smarriti.

C’è la politica: che è cambiata come un figlio che si fa grande nel tempo del tuo ultimo viaggio e lo ritrovi con la sensazione di avere perso proprio quel minuto in cui ti chiedeva di essere un padre presente. Ho amici sparsi in questa confusa tela di colori diffusi eppure distanti mentre l’occasione ci chiede di essere preparati alla raccolta. Qualcuno mi chiede perché non abbia partecipato alle primarie per il parlamento, qualcuno ancora insiste nel rinfacciarmi un “ritiro” per la presidenza lombarda, qualcuno mi chiede di Luigi De Magistris e gli arancioni (dimenticando Leoluca Orlando e quel pezzo di IDV che ci sta dentro e ci ha sempre voluto fuori), qualcuno mi dice che dovrei seguire Pippo Civati e gli altri (come se fosse un trenino dopo pranzo quando si è tutti un po’ brilli intorno ai tavoli con la cravatta slacciata) e qualcuno dice che Cavalli ha un assessorato promesso da Ambrosoli: continuiamo il nostro lavoro in Lombardia, semplicemente, con la serietà dei progetti iniziati e degli impegni presi con un Formigoni in meno. Non sembra difficile capire che la politica diffusa non è confusione nello spazio ma allargamento di persone e di idee. Fare rete piuttosto che preoccuparsi di stare in un buon posto nella rete.

Poi c’è la vita: e quest’anno la vita mi ha aperto stanze meravigliose e fresche, mi ha sbattuto in faccia porte che mi hanno fatto male e insegnato l’impegno e l’etica degli affetti. Vorrei imparare ad essere coraggioso senza bisogno di baldanza, vorrei fare pace con i dolori che non ho mai voluto guardare negli occhi, vorrei essere capace di sorridere di avere un fratello trentaquattro anni dopo che lo siamo stati prima di non saperlo fino ad oggi, vorrei togliermi l’alibi della solitudine per nascondere la cura che non mi voglio prendere, vorrei trovare le parole per spiegare ai miei figli che le scelte sono i mattoni necessari per i muri portanti della dignità, vorrei ascoltare chi ho deluso, ascoltarli per ore senza avere la debolezza di interromperli per giustificarmi, vorrei convincere più gente possibile che restare umani paga, e vorrei convincermene anch’io, vorrei avere l’intelligenza di perdonare con durezza e difendermi senza la macchia della vendetta, vorrei riconoscermi e farmi riconoscere in quello che faccio, quello che dico e quello che scrivo senza lasciare spifferi per dietrologie e isterismi.

Vorrei anche avere usato il “voglio” e non il condizionale ma non voglio tornare indietro a correggere le ultime righe. Le tengo così, come un impegno più che non un intento. Per non morire d’intenti. Con intenzioni serie.

Che sia un buon 2013.

 

 

Un buon voto di fine anno

Dunque domani in Lombardia si vota per le primarie dei parlamentari di SEL e PD. Conta sottolinearlo perché su giorni, orari e modalità mi sembra che ci sia un po’ di confusione e allora forse è il caso di ricordarlo.
Qui trovate il sito per le primarie, qui l’elenco dei seggi, qui i candidati SEL nella circoscrizione Lombardia 1.

Io scriverò con convinzione Paolo Oddi e Patrizia Quartieri per la Camera: perché l’agenda del primo poggia su un bilancio umano che si preoccupa più dell’uguaglianza che del pareggio e perché il lavoro di Patrizia in Consiglio comunale a Milano è sotto gli occhi di tutti.
Per il Senato scrivo Roberto Imberti perché credo che faccia bene a SEL giovarsi della sua esperienza.

Il merito comunque credo che vada riconosciuto a tutti i candidati (alcuni che apprezzo, altri che non ho avuto modo d conoscere) che rendono questo 29 dicembre un altro giorno di partecipazione che non può che fare bene alla politica, ai partiti e a noi.

Qualcuno mi chiede di me: noi siamo qui a lavorare per portare avanti il lavoro in questa Lombardia che ci sta tanto a cuore e che sembra potersi slegare dal formigonismo di questi anni. Lo facci perché credo nell’impegno che mi sono preso già due anni fa con i miei elettori e perché credo che un “pezzo” di rivoluzione (o meglio di “prepotente evoluzione”) debba essere coltivato qui. Lo faccio perché sono uno OSTINATAmente Smoderato che non ama i travestimenti centristi che si vogliono arancionare e riciclare anche qui: insomma credo che ci sia da continuare a fare lo “scassaminchia” in Lombardia. Qualche piccolo mistificatore parla di un assessorato che mi è stato garantito. Me l’aspettavo (l’avevo predetto qui): chiederò l’assessorato alle malelingue croniche così ho già in mente una folta schiera di dirigenti.

Poi qualcuno mi chiede di Civati che come saprete (e se non. Lo sapete apprendetelo in fretta e spargete e voce agli amici di Monza e provincia) partecipa alle primarie per la Camera nelle liste del PD in Brianza. Pippo di queste primarie è uno dei “padri” lombardi per l’impegno con cui le ha chieste e ottenute: era normale che questa fosse la strada che ora deve percorrere (tra l’altro mettendosi in gioco senza rivendicare pesi interni o posti garantiti. La sua non è una dipartita, è un allargamento (chilometrico e politico) di collaborazione.

Buon voto.

20121228-135456.jpg

Le secondarie in Lombardia

A-N-jEZCQAEoUfy.jpg-largeSono le elezioni che ci interessa vincere: le secondarie in Lombardia. Ieri hanno votato 150.000 persone (a pochi passi dal Natale, sotto la neve e poco dopo una chiamata ai seggi per le primarie nazionali): il dato è più alto delle aspettative e si assesta circa ad un terzo del dato delle primarie nazionali. Nonostante la milanocentricità che tutti prevedevano queste primarie (che siano state civiche, politiche o qualsiasi altra cosa) consegnano alla Lombardia un candidato costruito su un consenso reale e spesso nelle percentuali. Forse alla fine avevamo ragione a chiedere le primarie come passo indispensabile per una candidatura che fosse realmente riconosciuta.

Il risultato di Di Stefano non è una sorpresa, no: i temi dell’ambiente, dell’intollerabile privatizzazione di scuola e sanità, del reddito minimo garantito sono argomenti sentiti e veri anche qui dove il centrodestra (e il centrocentrocentrosinistra) ha finto di non sentirci ed è inevitabile che l’alternativa al formigonismo debba passare da politiche sociali, sanitarie, di infrastrutture e di lavoro che siano realmente diverse. L’augurio che ci possiamo fare per la prossima Lombardia è che i temi dei candidati rimangano tutti in campo (lo scrivevo ieri).

Ora è il caso di uscire dall’autismo di coalizione e ripartire da quei 150,000 voti e dai volontari sui territori: sono il capitale “sociale” su cui costruire la Lombardia.

Buon lavoro, Umberto e buon lavoro a noi.

(mi concedo un post scriptum polemico perché mi piaccio così: ho appoggiato Umberto con convinzione per l’amicizia che ci lega, per la discontinuità che può garantire in Lombardia e per quello che scrivevo qui,  e perché questa è la posizione nazionale del partito che mi onoro di rappresentare in Consiglio Regionale. Avete letto bene: posizione nazionale. Poi in queste ultime settimane ho visto di tutto: chi appoggiava Pizzul perché era vicino ai temi di SEL che è passato dal sostenere Ambrosoli al dichiarare il “liberi tutti” per poi tornare ad essere ambrosoliano e da ieri distefaniano innamorato. Insomma, vale tutto per ritagliarsi un posto al sole: l’accusa che “qualcuno” soffiava nelle orecchie riferendosi a me e Pippo Civati. Ora li vedrete tutti come cavallette nella postura del scendiletto per una manciata di voti in più.

Poi se vogliamo confrontarci sul ruolo che SEL può avere nel quadro che va delineandosi, ben venga. Perché la politica è dibattito pubblico e aperto e le piccole beghe di bottega smazzate tra pochi fanno sorridere. Ma davvero.)

 

Ne resterà solo uno

Primarie-Kustermann-e-Di-Stefano-per-Bersani.-Ambrosoli-per_h_partb“Ne resterà solo uno” mi scrive simpaticamente (ma drammaticamente) Agostino su twitter: si parla di quaranta consiglieri indagati per peculato al Pirellone. Lo scrive La Stampa, Il Fatto Quotidiano e in questi minuti un po’ tutti stanno riprendendo la notizia.

E’ la fine degna di una legislatura indegna nei comportamenti, nelle politiche e nella rappresentanza della classe dirigente. Per predisposizione e per passione mi hanno sempre appassionato più gli inizi piuttosto che l’analisi del disfacimento e per questo aspetto domenica perché le primarie (civiche, mi raccomando) dicano chi può essere il candidato per la Lombardia che guidi una coalizione di centrosinistra (meglio di sinistracentro, possibilmente) per segnare una discontinuità etica oltre che politica.

E devo ammettere che queste primarie hanno almeno toccato i temi che per troppi anni sono sembrati un tabù anche dalle nostre parti come l’eccessiva privatizzazione di scuola e sanità, il consumo di suolo, un diverso pensare alle infrastrutture fino al welfare e alle politiche sociali sgretolati dal montismo e dal formigonismo. L’augurio che possiamo farci è che tutti i temi vincano le primarie e rimangano in agenda, sostenute dalla responsabilità di farsene carico chiunque sia il vincitore.

Ho molto apprezzato lo spirito “evoluzionario” di Di Stefano che conoscevamo per competenza e passione. Ho ascoltato con molta attenzione la competenza di Alessandra Kustermann in campo sanitario e risentito finalmente belle discussioni, collegate e dirette con i diversi movimenti e comitati del territorio.

Conosco Umberto Ambrosoli da anni e con lui ho condiviso impegni e serate dove una diversa interpretazione dell’etica pubblica era davvero possibile. Sono d’accordo (come mi succede ultimamente molto spesso) con Pippo Civati quando scriveCredo però che la figura più competitiva per sconfiggere la destra – soprattutto se questa si presenterà unita – sia quella di Umberto Ambrosoli. E non solo e non tanto perché Ambrosoli sia stato indicato come loro candidato da tutti e tre i principali partiti che comporranno la coalizione o perché goda di un consenso molto largo tra le forze civili della città di Milano, ma perché credo che Ambrosoli possa vincere le elezioni e dare alla Lombardia un governo molto distante da quello che ci ha preceduti. Fin dallo stile, dalle modalità di selezione delle persone che lo accompagneranno, dalle scelte politiche di fondo che la maggioranza della Prossima Lombardia vorrà interpretare.

L’importante è che dalle nostre parti dopo queste primarie non ne rimanga solo uno ma esca una pluralità: a partire dai tre contendenti per allargarsi alla Lombardia tutta in un percorso che mi ostino a vedere fortemente politico senza perifrasi di cortesia.

Per quanto riguarda me sono in molti in questi giorni a chiedermi lumi su queste ultime mie settimane politiche (dalla candidatura ritirata in poi) e mi conforta l’interesse e la stima. Per ora rimango a svolgere il mio ruolo di parte attiva a queste primarie e poi avrò modo di pensare, ripensare a piccoli vizi antichi e indegni incrociati per strada, dire e spiegare. E decidere.

Perché ogni tanto le primarie succede che si facciano con la propria coscienza, anche.

‘Tracce nel villaggio’ intervista Giulio Cavalli

L’intervista originale la trovate qui.

Giulio Cavalli è consigliere regionale della Lombardia. Eletto inizialmente come candidato indipendente nelle liste di IDV ha aderito, successivamente, al gruppo diSINISTRA ECOLOGIA E LIBERTA’.
Oltre che con la politica, Giulio Cavalli, esprime la sua passione civile e lo spirito di appartenenza attiva ad una comunità attraverso la sua multiforme attività di narratore, artista, autore e scrittore.
I suoi libri, “LINATE 2001: la strage” – “Nomi Cognomi ed Infami” – “L’innocenza di Giulio” e gli spettacoli teatrali che scrive e mette in scena sono contaminati da un impegno civile forte ed appassionato.
Le produzioni artistiche ed intellettuali di  Giulio Cavalli sono la declinazione più naturale della sua partecipazione umana ed emotiva  ai grandi temi della vita civile.
Nei suoi spettacoli ha “sbeffeggiato” la mafia ed, a causa delle minacce ricevute dalle cosche,  vive sotto scorta.
Nel dicembre 2009, Giulio Cavalli è stato ricevuto dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che gli ha manifestato la propria solidarietà.

Ho chiesto al consigliere regionale lodigiano di SEL di aiutarci a ragionare sulla situazione politica attuale e sugli scenari futuri dell’Italia che verrà. Lo ringrazio molto per la disponibilità.

La fiducia nella politica e negli uomini che la rappresentano ha raggiunto ormai livelli sconcertanti di impopolarità. Meno del 3% della popolazione è ancora disponibile a riconoscerle un valore positivo. Ci dobbiamo davvero rassegnare alla situazione di rabbia e disaffezione che accomuna indistintamente tutti i politici ?
La rassegnazione non è nel mio vocabolario, sia quello politico che, in modo più largo, in quello professionale e umano. La disaffezione ai partiti è l’effetto di una causa che va affrontata con la voglia di mettersi in discussione sul serio, pensando che la “partecipazione” e la “democrazia interna” non possono essere slogan elettorali ma pratiche reali. Non credo che la disaffezione ai partiti si possa semplicemente risolvere con un “movimentismo” retorico quanto piuttosto con una riforma reale nei bilanci, nei finanziamenti, nella scelta della classe dirigente e nella scuola politica interna. Se il partito viene vissuto come un accrocchio di poche persone che coltivano la propria autopreservazione è normale che i risultati siano quelli che ci si presentano in questo periodo.

A livello nazionale SEL ha aderito formalmente all’alleanza con il PD. Non ritiene che su alcune questioni decisive vi sia una distanza talmente inconciliabile di vedute da disorientare l’elettorato ? Penso ad esempio al giudizio sulle riforme Monti, agli impegni militari internazionali, alla diversa visione sull’utilità delle opere pubbliche (TAV – rigassificatori), ai rapporti con il mondo della finanza e dell’economia.
Il rischio c’è ed è alto. La scelta di SEL è quella di rinunciare a lasciare il campo del centrosinistra scoperto per rivendicare i propri temi in un’ottica di governo. Si può essere d’accordo o meno nella scelta (è la bellezza della politica, del resto) ma resta un segnale chiaro di assunzione di responsabilità in un dibattito con posizioni spesso così diverse. La riuscita del percorso si può leggere nel momento in cui alcuni punti fortemente di SEL sono entrati nel dibattito delle primarie costringendo tutti i candidati a prendere una posizione. La vittoria stessa di Bersani bilancia la coalizione verso l’ala che non vede nessuna possibilità di un Monti bis. I prossimi mesi potranno dirci quanto possiamo riconoscere di avere influito su programmi e alleanze.

Il Movimento 5 Stelle è ormai segnalato come la seconda forza politica del Paese. Non le pare troppo sbrigativo liquidarlo come un fenomeno populista e frutto del sentimento incalzante dell’antipolitica ?
Certamente sì. Spesso sono stato criticato perché considerato troppo vicino al Movimento semplicemente perché ne sottolineo una rappresentatività che è da irresponsabili ricondurre al populismo. Il M5S risponde ad esigenze che non trovano risposte nelle altre forze politiche: questo dovrebbe essere lo spunto da cui partire. Quali dei punti di programma possono essere adottati anche da noi in modo intellettualmente onesto? Ci sono dei meccanismi del M5S che siamo pronti a riconoscere e sviluppare? Se partiamo da queste domande ritorneremo finalmente nel campo della politica.

Il consiglio regionale lombardo è stato falcidiato da una sequenza impressionante di episodi legati all’illegalità, alla corruzione ed alle infiltrazioni mafiose. La domanda è ricorrente: è mai possibile che solo l’intervento della magistratura possa modificare l’andazzo vergognoso della politica ?
E’ la sconfitta del primato della politica che proprio per questo paga pegno nel campo della credibilità. La caduta di Formigoni deve essere la discussione di un nuovo modello politico al di là delle responsabilità di questo o quell’assessore. La magistratura e gli scandali (se visti dall’alto con oggettività e la giusta distanza per giudicare le cose) raccontano un modello amministrativo in balìa dell’etica e della corruttibilità dei diversi interpreti assolutamente incapace di difendersi. Formigoni ha puntato tutto in questi 17 anni sull’accentramento dei poteri alla Giunta svuotando di fatto il Consiglio dei propri diritti e doveri di controllo e indirizzo: solo così infatti ha potuto prolungare un’attività di lobby che in Lombardia ha svenduto diversi settori a questo o quel gruppo di amici da mantenere.

Il suo giudizio sulla Lega 2.0. La convince il nuovo corso targato Maroni ?
Pubblicità allo stato puro e più banale: rimozione del passato per proiettare un futuro di speranza ignorante.

Le grandi opere regionali, la sanità, gli appalti ed EXPO sono materie particolarmente appetitose per la criminalità mafiosa. Dal suo punto di osservazione (da uomo politico, scrittore e conoscitore dei fenomeni mafiosi) qual è il livello di compromissione con la mafia e la corruzione della vita pubblica nella nostra regione ?
Al di là del fattore politico la questione lombarda è una questione morale. Mi rimane il dubbio che i “premiati” di questi ultimi anni siano (e non è un caso) coloro che sono riusciti a misurare con attenzione le proprie spericolatezze. Abbiamo dimenticato di innescare processi etici non solo in politica ma anche nell’imprenditoria, nell’educazione civica e nell’applicazione di una meritocrazia che premi la moralità. Quando ero poco più di un ragazzino coglievo già questo fenomeno tutto lombardo di ammirazione per le carriere “con ombre” come se fossero necessarie per tenere alto il PIL lombardo.

Formigoni non manca di celebrare pubblicamente l’eccellenza di regione Lombardia. Un confronto oggettivo con il resto del Paese ed il raffronto con i più standard avanzati europei depongono a favore della dichiarazione del presidente. Anche i cittadini lombardi riconoscono una elevata qualità complessiva del sistema dei servizi regionali. Qual è la sua opinione ?
Parlare di eccellenza lombarda è offensivo. Formigoni spieghi l’eccellenza della sanità ai parenti delle vittime della clinica Santa Rita o alle famiglie rimaste senza reddito dei lavoratori del San Raffaele. Poi ne riparliamo.

So che non è un argomento di cui parla volentieri, ma può chiarire meglio la vicenda della sospensione della sua scorta ? Le è stata reintegrata ? Come ha vissuto quel passaggio delicato della sua vita personale ? La questione è, a mio parere, di rilievo pubblico perché la sua battaglia contro la mafia è la battaglia della gente perbene e corrisponde al nostro desiderio di Stato e legalità.
Ritengo le questioni di scorte e sicurezza non notiziabili. La mia sicurezza rientra in un “patto” tra me e lo Stato che inevitabilmente ogni tanto si inceppa in alcuni atteggiamenti dei diversi interpreti come succede in ogni burocrazia. Sono e mi sento al sicuro.

Conferma la sua decisione di candidarsi alla guida di regione Lombardia ? Quali saranno i punti qualificanti del suo programma ?
La decisione definitiva è stata quella di appoggiare la candidatura di Umberto Ambrosoli che, tra le altre cose, è anche un amico. Credo che il rilancio etico della Lombardia possa trovare in lui un ottimo volano.

Il dopo Monti è una prospettiva ancora sfocata ed oggi impossibile da rappresentare. Quali sono secondo lei le linee guida che dovranno ispirare la nuova stagione politica ?
L’alternativa a Monti. Uscire dall’angolo in cui ci hanno cacciato tutti coloro che insistono nel convincerci che non esiste alternativa all’austerità per uscire dalla crisi, possibilmente con una sinistra che si prenda la responsabilità di essere di sinistra e di governo.

Dobbiamo davvero considerare concluso il periodo storico che passa sotto il nome di “berlusconismo” ? Che eredità lascia quest’esperienza ventennale al Paese ?
Culturalmente ci vorranno anni per un dipanarsi serio e sincero nei diversi strati sociali e nei modi della comunicazione imprenditoriale e politica. Il berlusconismo è l’amor proprio elevato a dovere antisociale per le legittima difesa, è la banalizzazione dello scontro per creare tifo e annullare le analisi, è nello strizzare l’occhiolino ai furbi che si arrovellano in prepotenze comunque legali e nelle regole privatizzate e vendute al migliore offerente. Purtroppo è un modello politico, imprenditoriale e sociale: ci vorrà un convincente controlavoro per rimettere in rete chiavi di lettura collettive di questi ultimi vent’anni.

Il suo giudizio sulle elezioni primarie del centro-sinistra.
Partecipate nella discussioni e nell’ampiezza della discussione, sicuramente, ma le primarie si pesano quando si arriva alla sintesi finale che serve per risultare convincenti alle secondarie. E le secondarie da sempre sono le elezioni che mi interessano di più.

 

Cosa mi ha promesso Ambrosoli?

Risponde Umberto nella sua intervista a Panorama. E dice cose da leggere con attenzione perché se le presunte incertezze sono una dichiarata e voluta cautela forse ne vale la pena. Potete leggere tutto qui.

 

Scuola pubblica come modello educativo

Lui, per ora, si cala nel clima prenatalizio addobbando l’albero con i suoi bambini, «che vanno in scuole pubbliche, per una scelta consapevole mia e di mia moglie Alessandra: perché pur sapendo che questo vuol dire lunghi periodi con un maestro in meno, fare la colletta per la carta igienica o per ridipingere le aule, vogliamo per i nostri figli il modello educativo della scuola pubblica».

«Il mio progetto è fatto di parole serie, certo. Rigenerazione, as-sunzione di responsabilità, riscatto morale e etico attraverso le regole per migliorare il futuro di tutti, giovani e anziani, cittadini e imprese. Il mio sogno è un obiettivo: garantire la libertà ai cittadini sapendo che la società tiene solo se c’è la solidarietà, che non vuol dire essere generosi, non è una scelta opzionale. Sono tutte parole di sinistra, a pieno titolo: non metto in dubbio che possanoessere declinate anche solo in chiave tecnica, ma non è la mia idea. Altrimenti non andrei in giro macinando chilometri per la Lombardia a raccogliere pareri, proposte e speranze delle persone. E così rispondo anche a chi pensa che io sia troppo sicuro di vincere».

Umberto Ambrosoli intervistato da Repubblica oggi. Bene.

20121203-121545.jpg