In questo gran parlare di mafie, antimafia, Lombardia, nord e ‘ndrangheta esce un articolo coraggioso (sì, coraggioso) di Nando Dalla Chiesa sui giudici e l’antimafia al nord. Alzare il grado di discussione prendendosi la responsabilità di sollevare osservazioni sulle interpretazioni del 416 bis e le sue diverse emersioni in questo quadro evoluto (o forse, involuto) lombardo: Nando dice quello che in molti hanno pensato ma non hanno voluto dire. Alcuni sviluppi giudiziari “su” in Lombardia indicano un “federalismo del 416 bis” che chiede attenzione e discussione.
Ci sono procure e direzioni distrettuali antimafia che funzionano bene, e alle quali dobbiamo essere grati per avere tutelato la convivenza civile rimediando agli oceani di ignavia della politica e delle classi dirigenti.
Ma poi, quando si cerca di seguire lo svolgimento dei processi, quando si mette bene la lente di ingrandimento sul lavoro di piemme e giudici di vario ordine e grado, si compie la sgradevole scoperta. Anche il potere giudiziario dà la sua robusta mano a diffondere l’idea che in fondo al nord la mafia non ci sia.
Sono ormai molte le occasioni in cui si è costretti a constatare che per applicare il 416 bis (ossia per imputare il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso) la magistratura del nord richiede un tasso di mafiosità superiore, a volte molto superiore, a quello sufficiente per applicarlo al sud.
Sembra quasi che per essere considerati mafiosi in pianura padana o in Liguria si debba risultare affiliati a tutti gli effetti a un clan con tanto di rito di iniziazione, si debba appartenere a famiglie considerate mafiose da generazioni e si debba già essere stati condannati per mafia in altri processi, possibilmente in Calabria o in Sicilia.
Da qui le assoluzioni incredibili, la rinuncia aprioristica a contestare l’associazione mafiosa (sono “solo” trafficanti o usurai), la costruzione di una giurisprudenza arbitraria e assolutamente contra legem.
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