Vai al contenuto

processo

Trattativa Stato-Mafia: azzerato il pool

E’ una notizia che leggeremo poco, ne sono sicuro, domani sui giornali eppure pone qualche interrogativo:

“In conformità a quanto previsto dall’art. 102 terzo comma i procedimenti riguardanti i reati indicati nell’art. 51, comma 3-bis, c.p.p. debbono essere assegnati a magistrati della Direzione distrettuale antimafia, salvo casi eccezionali”. Il virgolettato parla chiaro. I primi di marzo il Plenum del Csm ha modificato l’art. 8 della circolare sulle Direzioni distrettuali antimafia nelle procure. Di fatto sono stati individuati criteri molto più rigidi per individuare i “casi eccezionali” che consentono la designazione di magistrati non appartenenti alla Dda per procedimenti da assegnare a quel gruppo di lavoro. Al di là dei codici e dei commi la circolare del 5 marzo del Csm potrebbe essere chiamata “anti pool trattativa”. Con un tratto di penna viene tecnicamente impedito ai pm del pool: Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene di poter fare nuove indagini sulla trattativa Stato-mafia in quanto fuori dalla Dda. Di Matteo non vi fa più parte da quattro anni ed è formalmente assegnato al gruppo che si occupa di abusi edilizi, mentre Tartaglia non ne fa ancora parte. Di fatto fino ad ora i due pm erano stati solamente “applicati” al pool del processo Trattativa. Per quanto riguarda Francesco Del Bene, dal primo giugno, scadranno i 10 anni di appartenenza alla Dda. Unico a rimanere: il procuratore aggiunto Vittorio Teresi, già coordinatore del gruppo, che si ritroverà a dover assegnare ad altri magistrati i nuovi e delicatissimi filoni di indagine sulla Trattativa.

Qui c’è il pensiero di Salvatore Borsellino.

Altro che “corna”

Altro che omicidio per “corna”, vendette meschine, altro che rivalsa di un pugno di spacciatori o ancora per coprire le magagne contabili della comunità. Ammazzato dalla mafia seguendo prima, durante e dopo, le metodologie mafiose: gli avvertimenti, i segnali di fastidio, le modalità del delitto, il mascariamento della vittima seguito successivamente, per quasi 26 anni. La “firma” della mafia sta tutta in queste poche righe. Solo chi non ha voluto vedere non ha visto. Anche tra i giornalisti, che fino a pochi giorni addietro hanno ancora scritto facendo intendere che la pista mafiosa è la panacea per tutti i mali di questa terra. “Dimostrerò – ha commentato il pm Paci – che avere individuato la mafia quale mandante ed esecutrice del delitto non è stata la pista più comoda e facile da battere. Non è stata comodità ma si sono messe in fila una serie di prove, e lo abbiamo fatto processando in questo processo anche chi ha condotto le indagini, inquirenti e investigatori”.

Rino Giacalone che segue con dovizia e intelligenza il processo per l’omicidio di Mauro Rostagno riporta le parole del pm Gaetano Paci.

Caso Uva: sempre peggio

Ora si scopre che gli atti raccolti dai magistrati sono “illogici“. Le ombre quelle no: paventano una logica chirurgica e aberrante.

Il caso Uva squassa ancora la magistratura. L’11 marzo era già sembrato un colpo di scena che il giudice Giuseppe Battarino, nel respingere la richiesta di archiviazione di due carabinieri e sei agenti di polizia proposta dai pm Agostino Abate e Sara Arduini, li avesse obbligati invece a chiedere il processo ai rappresentanti delle forze dell’ordine per la morte nel giugno 2008 del 43enne Giuseppe Uva in ospedale dopo una parte della notte trascorsa nella caserma dei carabinieri. E il 20 marzo i pm, come in questi casi impone la legge, avevano ovviamente ottemperato all’obbligo, formalizzando l’incriminazione di carabinieri e poliziotti richiesta dal gip Battarino per le ipotesi di reato di omicidio preterintenzionale, arresto illegale, abuso d’autorità e abbandono di minore. Solo che – si scopre adesso – ad avviso del loro procuratore capo facente funzioni Felice Isnardi (inviato 20 giorni fa dalla Procura generale di Milano a reggere la scoperta Procura di Varese), i due pm l’avrebbero sì fatto, ma in un modo tale da costruire imputazioni deboli per illogicità e contraddittorietà, con il risultato di rischiare di minare in partenza un processo nel quale non credono e al quale solo il gip li ha obbligati.

Mancava la falange armata

Non so se sia credibile o se sia la boutade di chi vuole fare fumo su un processo delicato come quello della trattativa tra mafia e Stato, però la notizia è inquietante:

Per quattro anni ha rivendicato ogni singola operazione criminale andata in scena tra Milano e laSicilia. Telefonate di minaccia, ma anche comunicati di soddisfazione quando alcuni membri del governo vengono rimossi in piena Trattativa Stato – mafia. Adesso dopo vent’anni di silenzio laFalange Armata, oscura sigla legata alle stragi più oscure di questo Paese, è tornata. E con una breve lettera ha messo in allarme gli inquirenti. Perché il destinatario dell’ultima missiva della Falange è Totò Riina, che per otto mesi ha condiviso l’ora di socialità con Alberto Lorussolasciandosi sfuggire minacce e retroscena inediti sulle stragi mafiose, mentre le telecamere piazzate nel carcere di Opera dalla Dia di Palermo registravano tutto.

Solo che oltre agli inquirenti, una terza entità era al corrente delle lunghe chiacchierate tra il capo dei capi e il boss pugliese. “Chiudi quella maledetta bocca – è scritto nella lettera indirizzata a Riina e mai pervenuta al boss – ricorda che i tuoi familiari sono liberi. Per il resto ci pensiamo noi”. Firmato: Falange Armata. Una lettera inquietante, che nella sua forma estesa è scritta con un lessico militare, come pure militare è lo stile delle missive anonime arrivate negli scorsi mesi alla procura di Palermo, per segnalare la preparazione di attentati contro il pm Nino Di Matteo. La missiva arrivata a Riina però suscita almeno due interrogativi: chi c’è dietro quella sigla? E come faceva a sapere l’anonimo estensore delle esternazioni di Riina, detenuto in regime di 41 bis? Se lo chiedono Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia, Francesco Del Bene e Vittorio Teresi, i pm della procura di Palermo che indagando sulla Trattativa si sono già imbattuti nella Falange. “Non è verificata” dice il procuratore della Dna, Franco Roberti, la fondatezza delle minacce a Riina.

La danza pericolosa tra delegittimazione e rischio

“Possono essere un’ingerenza e una delegittimazione dei pm, col rischio anche per la loro sicurezza”. Si dice “sorpreso” il procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo, davanti alle “pubbliche critiche” della Dna, oltre a quelle dei professori Salvatore Lupo Giovanni Fiandaca. “Lo Stato ha solo la scelta di combattere il crimine, non di trattare”, ribatte Messineo.

Io questa frase l’appenderei sulle finestre di tutti i contabili, gli intellettuali, i padrini, i presunti cultori dell’antimafia, gli spiritosi tra amici e soprattutto colore che per merito o cognome hanno un ruolo pubblico.

In un Paese normale

Ci sarebbero tutte le orecchie appoggiate alla porta dell’Aula dove si svolgono le udienze del processo sulla “trattativa” Stato-mafia almeno per produrre un rumore tale da non costringere gli interessati politici (diretti e indiretti) a prendere una posizione o che ne so, abbozzare una smentita.

Le parole di Brusca, ad esempio:

“All’inizio degli anni ’90 –  spiega il pentito – è venuto meno il riferimento di Andreotti, l’intento di Pino Lipari era di dare vita a un movimento politico di imprenditori, un progetto che condividevo completamente. L’obiettivo era acquisire il potere politico, prima in Sicilia e poi a livello nazionale”. Di fatto si trattava di un progetto che avrebbe dovuto alzare il livello politico di Cosa Nostra, anche attraverso l’aggressione violenta nei confronti degli esponenti degli altri partiti. “A questo fine avevamo progettato di indebolire la sinistra e avevamo individuato in Carlo De Benedetti il sostenitore della sinistra. Parlando con Riina, c’era il progetto, mai concretizzato, di eliminare questo ostacolo per indebolire quella parte politica e concretizzare il progetto politico”. “Nel 1991 – specifica Brusca – c’era l’interesse a contattare Dell’Utri e Berlusconi per poter arrivare a Bettino Craxi, che ancora non era stato colpito da Mani Pulite, perché intervenisse sulla Cassazione per la sentenza del maxiprocesso”.

La sinistra sapeva
“La sinistra, a cominciare da Mancino, ma tutto il governo, in quel momento storico, sapeva quello che era avvenuto in Sicilia: gli attentati del ’93, il contatto con Riina. Sapevano tutto. Che la sinistra sapeva lo dissi a Vittorio Mangano quando lo incontrai. Gli dissi anche: ‘i servizi segreti sanno tutto ma non c’entrano niente’. Mangano comprese e con questo bagaglio di conoscenze andò da Dell’Utri”. Non è la prima volta che lo stesso Brusca nomina “la sinistra che sapeva”. Al termine della requisitoria del pm Nino Di Matteo all’udienza preliminare del processo sulla trattativa (tenutasi lo scorso 9 gennaio davanti al gup Piergiorgio Morosini,ndr) l’ex boss aveva reso dichiarazioni spontanee ben precise. “Non sono stato io il primo a dire che la Sinistra sapeva della trattativa – aveva sottolineato Brusca –, l’aveva detto già Riina in un processo e in quella sede aveva incluso nella Sinistra i comunisti”.

Quell’incontro di Natale
Nel suo racconto Brusca ricorda l’incontro di Natale del ‘92 insieme a Totò Riina e ad altri boss di primaria grandezza. In quella occasione Salvatore Biondino aveva preso una cartellina di plastica che conteneva un verbale di interrogatorio del pentito Gaspare Mutolo per poi commentare con sarcasmo le sue dichiarazioni: “Ma guarda un po’, quando un bugiardo dice la verità non gli credono”. Di fatto Mutolo aveva parlato di Nicola Mancino, con particolare riferimento all’incontro di quest’ultimo con Paolo Borsellino, successivamente sempre negato dallo stesso Mancino. In quella stessa riunione di Natale Totò Riina aveva definito Mancino il “terminale” del papello.

Fondazione Maugeri: gli innocenti che patteggiano

Un milione di euro a titolo di sanzione pecuniaria e la confisca di immobili per un valore di 16 milioni di euro. È il patteggiamento della Fondazione Maugeri, ratificato oggi dal gip di Milano Andrea Ghinetti. La fondazione pavese era indagata in base alla legge sulla responsabilità amministrativa nell’inchiesta milanese a carico, tra gli altri, dell’ex Governatore lombardo Roberto Formigoni, ora senatore del Pdl.

L’accordo di patteggiamento era stato raggiunto nei mesi scorsi tra i pm Laura Pedio, Antonio Pastore e Gaetano Ruta e la difesa e stamattina è stato ratificato dal giudice al termine dell’udienza. I 16 milioni di euro sono parte del profitto del reato, in relazione all’associazione per delinquere e alla corruzione di cui rispondono gli ex vertici e i consulenti del polo di riabilitazione con sede a Pavia, tra i quali l’ex direttore amministrativo Costantino Passerino e l’ex presidente Umberto Maugeri. Anche loro, così come altri indagati (cinque in tutto), hanno concordato patteggiamenti che dovranno essere ratificati nelle prossime settimane.

La notizia la riposta La Stampa e mi riporta alla Commissione Sanità della scorsa legislatura, quando abbiamo dovuto sopportare i pidiellini (e i leghisti al seguito) che ci accusavano di essere dei giustizialisti e di volere mettere in discussione l’etica del patron della Fondazione. Ancora una volta la giustizia arriva mentre la politica è secondaria (nel senso che arriva seconda) mentre passano le legislature e gli anni.

Ma il meglio deve arrivare: tra poco tocca l’udienza preliminare per Roberto Formigoni, che qualcuno in questa legislatura è riuscito a far diventare Presidente di Commissione, tra l’altro.

Che sorpresa, i neofascisti temono le intelligenze. Anche in Grecia.

Savvas Michael-Matsas è un intellettuale e dirigente del Partito Comunista greco. Lo so, sembra impossibile che da quelle parti gli intellettuali facciano politica attiva, ma tant’è. Savvas Michael-Matsas è finito sotto processo per una denuncia del partito di estrema destra Alba Dorata.
“Sono ebreo e comunista, peccato che non sia omosessuale (ovviamente non mi creerebbe alcun problema) perché così verrei considerato dai fascisti la vittima ideale”, ha dichiarato poco dopo essere stato citato in giudizio da Alba Dorata.
Cosa è successo? Gli epigoni della dittatura dei colonnelli hanno denunciato Savvas Michaìl, in quanto colpevole – a loro avviso – di aver organizzato una manifestazione antirazzista in cui si chiedeva la chiusura degli uffici di “Chrysì Avghì”, Alba Dorata, appunto.
Siamo arrivati al rovesciamento delle parti in una situazione tragicomica che sarebbe stata incredibile fino a qualche anno fa: galleggiamo tra gli improperi razzisti e le minacce di morte mentre si vorrebbe fare passare l’antifascismo come reato e peccato capitale. Quando non si sa rispondere alle intelligenze si usa l’arma dell’intimidazione fisica e ora anche giudiziaria.
Nel l’aula di tribunale sono sfilati scrittori, registi e professori a difendersi soprattutto dall’ignoranza, come una surreale sfilata educazione civica e alla bellezza per salvarsi dall’analfabetismo culturale.
Tutto questo mentre in Italia qualcuno prova a fare notare che i fascisti uccidono ancora.

20130903-124230.jpg

Il fatto non sussiste: SEL e Vendola sì.

Assolto, non Montiano, in discontinuità, fiero della tutela delle fragilità, umano e politico: Vendola e SEL ci sono, fatevene una ragione.

Vendola è arrivato in tribunale pochi minuti prima delle 9,30. Al suo fianco, il compagno Ed Testa: è una delle prime volte che la coppia appare insieme in un’occasione ufficiale. “Non c’è stato verso” ha sorriso il governatore riferendosi alla presenza del fidanzato, che per carattere normalmente si tiene da sempre lontano dai riflettori. Sulla decisione di ritirarsi dalla vita pubblica ha spiegato: “Quello che avevo deciso era sincero: non avrei potuto esercitare le mie pubbliche funzioni con quel sentimento dell’onore che è prescritto dalla Costituzione. Mi sarei ritirato dalla vita pubblica”. Poi ha aggiunto: “Per me non era e non è mai in gioco soltanto una contestazione specifica rispetto a cui penso di poter documentare l’assoluta trasparenza dei miei comportamenti. Ho vissuto un’intera vita sulle barricate della giustizia e della legalità. Oggi mi è stato restituito questo”.

Trova la differenza

Tra chi crede che l’opportunità sia un dovere nell’amministrare la cosa pubblica e chi rimane in Consiglio Regionale della Lombardia (a destra e a sinistra) e contribuisce all’imbarazzo del momento: