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Omicidio Regeni, l’Egitto prende a schiaffi i pm italiani: il Governo faccia qualcosa

Ma che altro deve succedere perché l’Italia e la storia di Giulio Regeni non vengano usate come zerbino dall’Egitto? Ma che altro deve succedere perché il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, abbia un sussulto di dignità – lui e il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte – perché venga difesa non solo la memoria di un ragazzo che muore quasi ogni giorno sotto i colpi dell’impunità del governo di Al-Sisi, ma almeno la credibilità della Giustizia italiana, che viene addirittura definita “illogica” e basata su “fatti e prove errati, che costituivano uno squilibrio nella percezione dei fatti”?

È notizia recente la consegna di una fregata militare da parte dell’Italia all’Egitto che ecco subito dopo che la procura egiziana si diverte ad attaccare la procura di Roma, il procuratore capo Michele Prestipino e il sostituto Sergio Colaiocco.

In sostanza l’Egitto, quello stesso Egitto che nel corso di tutti questi mesi ha inscenato le più improbabili storture per nascondere l’omicidio di Stato del giovane ricercatore friulano, ora vorrebbe farci credere che qualcuno lo scorso 25 gennaio del 2016 avrebbe ucciso Giulio Regeni per poi addossare la colpa al governo egiziano.

Ma avete capito fino a quanto si possa spingere l’ipocrisia omicida di un governo? Dicono in pratica che Regeni sia morto per creare danno a loro. Loro, che continuano a stringere mani insanguinate con pezzi di governo italiano per scambiarsi armi, loro che insistono nel prendersi gioco bellamente dei nostri rappresentanti di governo che non riescono a produrre nulla di più di qualche pelosa dichiarazione d’indignazione da consegnare alla stampa e da dare in pasto all’opinione pubblica.

Ma oggi, mentre la procura egiziana smentisce la ricostruzione dell’Italia, senza nemmeno prendersi la fatica di offrire almeno un’altra versione dei fatti, senza nemmeno curarsi di indicare dei presunti colpevoli, lo sentite l’odore della vergogna che si spande tutto intorno?

Davvero si vuole ottenere verità su Giulio Regeni limitandosi a intitolargli qualche stanza o qualche convegno? Ma qual è la strategia del governo? Aspettare che ce ne dimentichiamo? Augurarsi che smettiamo di scriverne?

La storia di Giulio Regeni sanguina un vocabolario che ci stringe ogni giorno a scendere negli inferi dell’incredulità di fronte a atteggiamenti così irresponsabili: irresponsabile il silenzio italiano, irresponsabile l’odore del sangue slavato male che arriva dall’Egitto. Ma ne scriveremo tutti i giorni, tutto il giorno, senza tregua.

Leggi anche: 1. Alla vigilia di Natale, nel silenzio generale, l’Italia ha consegnato una nave militare all’Egitto. Con buona pace di Regeni / 2. La verità su Giulio Regeni è un diritto: l’Italia smetta subito di vendere armi all’Egitto (di Alessandro Di Battista)

L’articolo proviene da TPI.it qui

La chiacchierona Rosy Bindi ha perso la voce su Lo Voi

Il presidente della commissione antimafia Rosi Bindi cerca di silenziare le polemiche; il suo vice, Claudio Fava, al contrario, lancia un provocatorio invito pubblico al nuovo procuratore di Palermo. La nomina di Franco Lo Voi alla guida dell’ufficio inquirente palermitano spacca per l’ennesima volta i vertici di Palazzo San Macuto. Da una parte Fava, che nel day after della nomina di Lo Voi, mette sul tavolo l’inchiesta sulla Trattativa Stato-mafia. “Al netto dei curricula – dice il parlamentare siciliano – vorrei essere certo che il nuovo procuratore capo appoggi e dia sostegno all’inchiesta sulla Trattativa”. Passano 24 ore, e la Bindi rilascia una dichiarazione che sembra indirizzata proprio al suo vice: “Forse sarebbe bene, ogni tanto, partire senza polemiche. Magari questo aiuterebbe…”. E se Fava aveva puntato il dito sulle modalità di elezione di Lo Voi, il primo procuratore nominato dal Csm con una maggioranza di voti laici, la Bindi la pensa in modo diametralmente opposto.“So che il nuovo Procuratore di Palermo è stato scelto, dall’organo che doveva sceglierlo, con procedure corrette. Penso che fosse un confronto da tre grandi persone, tre grandi magistrati”.

La posizioni di Bindi e Fava, insomma sono assolutamente in antitesi sulla nomina del nuovo procuratore. Più o meno come era accaduto pochi mesi fa, quando la commissione antimafia si era occupata del Protocollo Farfalla, l’accordo segreto siglato dal Sisde di Mario Mori e dal Dap di Gianni Tinebra. “Questo protocollo non esisteva,  magari esistevano dei comportamenti che giustamente ad un certo punto si è sentito la necessità di regolare” diceva la Bindi il 30 luglio scorso, mentre negli stessi giorni Fava si chiedeva: “Dobbiamo capire il perché sia stato creato un documento del genere, perché interessavano particolarmente i detenuti al 41 bis, con quale scopo si sarebbero dovuti incontrare certi personaggi, con quale obiettivo, e se si volesse in quel modo ottenere o proporre qualcosa”. Alla fine il Protocollo Farfalla esisteva davvero e oggi è depositato agli atti dell’inchiesta sulla Trattativa. La stessa inchiesta che per Fava, dovrebbe essere sostenuta pubblicamente dal nuovo procuratore capo di Palermo. Ma che la Bindi, invece, neanche nomina, limitandosi a fare gli auguri di rito a Lo Voi.

(fonte)