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provano

Insozzare la Liberazione

Ci sono molti modi di insozzare il 25 aprile, ognuno con il proprio stile ma tutti tesi (come un braccio teso) per svilire e in fondo per provare a non scontentare i fascisti. Siamo ancora al punto in cui almeno si vergognano di leccare spudoratamente i fascisti e quindi provano ad accarezzarli di sponda. Almeno questo.

Giorgia Meloni se la gioca (come era immaginabile) trasfigurando la libertà di andare al ristorante e mette in mezzo partigiani (senza citarli, sia mai) e lavoratori provando a innescare la solita guerra tra disperazioni: “La libertà, mentre la celebriamo, non è più scontata – scrive – a oltre 70 anni dall’inizio della nostra Repubblica democratica, e ad oltre un anno dall’inizio della pandemia, il governo ancora pensa di potersi arrogare il diritto di decidere se e quando gli italiani possano uscire di casa. Appello a tutti coloro che credono nel valore della libertà: aiutateci ad abolire il coprifuoco“. Insomma: il coprifuoco è il nuovo fascismo, dice Giorgia Meloni. Complimenti.

A ruota arriva Salvini, che ormai è una Meloni in versione analcolica. Pubblica un video sui suoi social e urla: “Noi, donne e uomini liberi d’Italia, chiediamo la cancellazione dell’insensato COPRIFUOCO e la riapertura di TUTTE le attività nelle zone (gialle o bianche) in cui il virus sia sotto controllo’. Al momento le adesioni sono 7.750. Nel video pubblicato sul web, Salvini aggiunge: “Se saremo 10mila è un conto, se saremo 100mila o un milione… Oggi è la giornata della Liberazione. Io e la Lega daremo l’anima dentro al governo, perché le le battaglie si combattono stando dentro e non uscendo o scappando, cercando di limitare la prepotenza di chi vede solo rosso, divieti, chiusure e coprifuoco”. Insomma, una Giorgia Meloni al maschile con la differenza che lui sta al governo con quelli che vorrebbe pugnacemente combattere. Un eroe.

Pietro Ichino prova a allargare il campo riuscendoci male: “La Festa della Liberazione non può ridursi a un’acritica celebrazione dell’epopea partigiana: deve essere anche occasione per riflettere sulle responsabilità delle forze antifasciste nell’avvento della dittatura”. Benissimo: poi scriviamo un saggio sulla colpa degli ebrei che la Shoah se la sono andata a cercare.

Il sindaco di Codogno Francesco Passerini dimostra di essere più pandemico della pandemia rifiutando di togliere la cittadinanza onoraria a Mussolini con motivazioni che fanno spavento: “Codogno diede l’onoreficenza a Mussolini nel 1924, fu una iniziativa nazionale dell’Anci del tempo. E’ un atto storico, come quando Napoleone ha dormito a Codogno e poi andò a Lodi a far guerra. Non è che poi è venuto giù il palazzo dove dormì. Abbiamo anche alcune strutture che ricordano il periodo fascista, come Villa Biancardi che è ancora lì. E per fortuna. Non si può pensare di cancellare e demolire tutto perché costruito da una parte della storia ‘particolare’”. Insomma erano particolari, mica fascisti.

Fenomenale anche il sindaco di Salò: “Dopo la caduta del Fascismo – dice all’opposizione che chiedeva simbolicamente di togliere la cittadinanza onoraria a Mussolini – sui banchi dove state ora accomodati, si sono seduti uomini che di antifascismo e lotta partigiana potevano sicuramente fregiarsi di sapere tanto, tanto più di Voi, e di Noi, avendo fatto parte personalmente di quella lotta, avendoci messo la faccia e, avendo spesso, rischiato la vita per gli ideali in cui credevano. Eppure queste persone non si posero, allora, il problema della Cittadinanza onoraria”. Insomma: se non l’hanno fatto gli altri io mi sento assolto.

Sceglie la linea del banalissimo e goffo provocatore anche il professore universitario Riccardo Puglisi, star presso se stesso su Twitter, che ci butta un po’ di liberismo d’accatto: “Mi sembra di capire che parecchi partigiani comunisti volessero passare direttamente dalla liberazione alla dittatura del proletariato”. Che spessore, ma dai.

Infine lui, Renzi: “Oggi è festa di libertà. Memoria di chi ha combattuto per salvarci, impegno per il futuro. Rileggere oggi le lettere dei condannati a morte della resistenza commuove e spalanca l’anima”. Non è festa di libertà ma festa della Liberazione dal nazifascismo, ma figurati se riesce a dirlo. E scrive “resistenza” in minuscolo, genio. Però la festa della libertà, se gli può interessare, si festeggia proprio domani in Sudafrica. Sempre che non abbia impegni dal principe saudita.

Buon lunedì.

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Strage in mare: 130 naufragi in difficoltà da giorni, ma con le Ong lontane gli Stati hanno fatto finta di niente…

Il fatto è che ormai questi morti non pesano più, sono battute, qualche centinaio di battute che finiscono sulle pagine dei giornali, quando va bene in una notizia che è poco di più una semplice “breve”, oppure farciscono un lancio di agenzia. Perfino quelli che (giustamente) ogni giorno provano a sottolineare i quintali di carne morta per Covid non riescono ad avere la stessa attenzione per i morti nel Canale di Sicilia. Lì abbiamo deciso che “devono” morire, che “possono” morire, come se davvero nel 2021 potesse esistere una parte di mondo che preveda ineluttabile l’annegamento, va così, ci si dà di gomito, ci si intristisce di quel lutto passeggero che si dedica alle notizie di cronaca nera e quelli non esistono più, non erano nemmeno vivi prima di essere morti, quelli che attraversano il Mediterraneo esistono perfino di più quando sono cadaveri che galleggiano nel mare.

130 migranti morti, 3 barconi messi in mare dai trafficanti libici e tre navi commerciali (lì dove ci dovrebbero essere le autorità coordinate dall’Europa) a deviare dalle loro rotte per provare ad evitare il disastro che non è stato evitabile. “Gli Stati si sono opposti e si sono rifiutati di agire per salvare la vita di oltre 100 persone. Hanno supplicato e inviato richieste di soccorso per due giorni prima di annegare nel cimitero del Mediterraneo. È questa l’eredità dell’Europa?”, dice la portavoce dell’iim, l’organizzazione dell’Onu per i migranti, Safa Mshli ma anche le parole dell’Onu ormai pesano niente, sono una litania che si ripete regolarmente e che non scalfisce quest’Europa che riesce a passarla sempre liscia. Anche dal punto di vista giudiziario sorge qualche dubbio, pensateci bene: le Procure che rinviano a giudizio Salvini non si accorgono (o non si vogliono accorgere?) Delle responsabilità dell’Europa?

Perché questi non rimangono nemmeno sequestrati, questi muoiono, annegano, galleggiano sul mare e vengono recuperati senza nemmeno uno straccio di qualche fotografia di cronaca. Sopra a quei tre gommoni di gente viva che poi è morta sono perfino transitati perfino velivoli di Frontex eppure non è scappato nemmeno un messaggio di allerta alla cosiddetta Guardia costiera libica che ha pensato bene di non inviare nemmeno una delle motovedette (che le abbiamo regalato noi). Troppa fatica. Quando i morti cominciano a non valere più niente allora ci si può permettere di lasciare morire e forse un giorno ci interrogheremo sulla differenza tra lasciare morire e uccidere, forse un giorno decideremo, avremo il coraggio di riconoscere, che questa strage ha dei precisi mandanti e dei precisi esecutori.

“Quando sarà abbastanza? Povere persone. Quante speranze, quante paure. Destinate a schiantarsi contro tanta indifferenza”, dice Carlotta Sami, portavoce dell’alto commissariato per i rifugiati e il dubbio è che ormai non sarà più abbastanza perché quando si diventa impermeabili ai morti allora quelli aumenteranno, continueranno a morire ancora di più, continueranno a cadere e intorno non se ne accorgerà nessuno. Centotrenta persone annegate. Le autorità dell’Ue e Frontex sapevano della situazione di emergenza, ma hanno negato il soccorso. La Ocean Viking è arrivata sul posto solo per trovare dieci cadaveri: è un’epigrafe che fa spavento ma che non smuove niente.

Sono passate due settimane da quando il presidente del Consiglio Mario Draghi ha ringraziato la guardia costiera per i “salvataggi” e quando qualcuno si è permesso di ricordare che in Libia e in quel tratto di mare mancano completamente tutti i diritti fondamentali i sostenitori del governo si sono perfino risentiti. E la storia di questo annegamento, badate bene, non è nemmeno un incidente: comincia mercoledì alle ore 14.11 con il primo allarme e si è conclusa il giorno successivo alle 17.08 con una mail di Ocean Viking che comunicava di avere trovato “i resti di un naufragio e diversi corsi, senza alcun segno di sopravvissuti”. Nessuna motovedetta libica all’orizzonte. Lì sono annegati loro ma in fondo continuiamo ad annegare anche noi e la cosa mostruosa è che ci siamo abituati.

L’articolo Strage in mare: 130 naufragi in difficoltà da giorni, ma con le Ong lontane gli Stati hanno fatto finta di niente… proviene da Il Riformista.

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Una metafora calcistica

Immaginate un mondo dove inevitabilmente ci si sfida. Ci si sfida perché è parte del gioco, in fondo si gioca soprattutto e vincere o perdere dipende dalla forma, da ciò che si ha a disposizione, dalla fortuna e inevitabilmente dal talento ma soprattutto dai soldi. Però ci sono regole chiare e le regole stabiliscono che chi ha bravura ma anche chi ha fantasia possa raggiungere traguardi che non erano preventivati, nemmeno immaginati e alla fine accade che anche gli sfavoriti vincano. A volte vincono una partita, a volte vincono addirittura il campionato.

Quelli invece che dovrebbero vincere per censo si arrabbiano tantissimo, strillano, se la prendono con i giudici e parlano di ingiustizia. Loro, quelli che di solito sono proprio i detentori delle redini della giustizia sociale. Però in fondo ci si affeziona mica solo per le vittorie e così si rimane fedeli alla propria idea, ci si mette dentro a una roba semplice perfino un po’ di valori. E in fondo tutte le volte che si sente un po’ di profumo di poesia è proprio quando Davide batte Golia.

Immaginate poi che in un mondo così, improvvisamente i ricchi vogliano diventare ancora più ricchi, non ci stiano a dividere con quegli altri nemmeno gli spiccioli e allora provano a pensare a un nuovo mondo in cui si entri per il merito di essere ricchi e di essere buoni amici nei circoli dei ricchi che contano, ciò che conta è essere nella cerchia giusta, nel giro giusto. Immaginate anche che la propria credibilità non venga valutata dal proprio spessore ma dalla propria popolarità. La popolarità come fine, addirittura prima della vittoria. E quella popolarità non è qualcosa che ha a che fare con il cuore, ovviamente, ma viene misurata con i soldi. Il nuovo mondo di quelli che non vogliono spartire niente con gli altri tra l’altro è un mondo magico in cui l’autopreservazione è garantita per censo, mica per risultati.

Di solito quando i ricchi vogliono stringere i cordoni della borsa per ingrassare il proprio circolino la chiamano “inevitabile modernità”, dicono che è il progresso e si inventano che il mondo è cambiato, che non ci sono più i palloni cuciti a mano o che non ci sono più i telefoni a gettoni. Quindi se l’idea non ti piace è colpa tua che sei incapace di stare al passo con i tempi o perfino invidioso.

Sei squadre di calcio inglesi (Manchester United, Manchester City, Arsenal, Chelsea, Liverpool, Tottenham), tre spagnole (Real Madrid, Barcellona, Atletico Madrid) e tre italiane (Juventus, Inter e Milan) hanno annunciato l’intenzione di farsi il loro campionato. Tutti ne discutono.

Eppure è una metafora così potente che andrebbe letta con attenzione, mica solo per il calcio. Alcuni lo chiamavano capitalismo ma poi il pensiero comune ha detto che è una parola così stantia, capitalismo.

Buon martedì.

 

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L’Egitto, Regeni e le bugie di Guerini

«In seguito all’omicidio di Regeni la Difesa, in completa sintonia e raccordo con le altre amministrazioni dello Stato, in primis con il ministero per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale, ha prontamente diradato il complesso delle relazioni bilaterali con l’omologo comparto egiziano»: sono le parole del ministro alla Difesa Lorenzo Guerini alla commissione d’inchiesta parlamentare sulla morte di Giulio Regeni, pronunciate lo scorso 28 luglio. In fondo, se ci pensate bene, è la posizione di tutti i governi che provano a fare passare l’idea di un raffreddamento dei rapporti con al-Sisi (che sarebbe il minimo, visto quello che è accaduto).

Peccato che sia falso. Il bravissimo giornalista Antonio Mazzeo mette in fila tutto ciò che è accaduto tra Italia e Egitto dopo la morte di Regeni ed è un elenco che fa spavento e che grida vendetta. Una vergogna.

Nel 2016, l’anno della morte di Regeni, la Polizia italiana ha addestrato in diversi centri i poliziotti di al-Sisi oltre a spedire in Egitto un migliaio di computer e di apparecchi.

Nel gennaio 2018 l’Italia spediva in Egitto 4 elicotteri AugustaWestland già in uso alla Polizia di Stato e il ministero dell’Interno cofinanziava al Cairo un progetto di “formazione nel settore del controllo delle frontiere e della gestione dei flussi migratori”.

Dal 13 al 16 novembre 2017, una delegazione del Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto ha fatto visita ufficiale per incontrare la Guardia costiera egiziana.

Il Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto si è recato nuovamente in visita ad Alessandria d’Egitto dal 25 al 27 giugno 2018. Alcuni giorni dopo la conclusione della visita ufficiale in Egitto, l’allora ministra della Difesa, Elisabetta Trenta (M5s), s’incontrava a Roma con l’Ambasciatore della Repubblica araba d’Egitto, Hisham Mohamed Moustafa Badr. «L’Italia reputa l’Egitto un partner ineludibile nel Mediterraneo, affinché quest’area raggiunga un assetto stabile, pacifico e libero dalla presenza terroristica», dichiarava la ministra.

Il 13 agosto 2018 era la nuova fregata multimissione (Fremm) “Carlo Margottini” della Marina militare a recarsi ad Alessandria d’Egitto per svolgere con la Marina egiziana “un breve ma intenso addestramento, che ha permesso al personale delle due fregate di misurarsi in un contesto multinazionale”.

La prima delle due fregata multimissione ordinate dall’Egitto è stata consegnata a fine dicembre 2020 dopo due mesi di intense attività addestrative dei militari egiziani a La Spezia, condotte dal personale della Marina italiana e Fincantieri.

Il 22 novembre 2018 una delegazione della Forza aerea egiziana, accompagnata da rappresentanti del gruppo militare-industriale Leonardo S.p.a., si recava in visita al 61° Stormo e alla Scuola internazionale di volo con sede nell’aeroporto di Galatina (Lecce).

«Italia ed Egitto hanno completato nel 2019 un programma congiunto per l’individuazione degli effetti dell’esposizione alle radiazioni in caso di un’emergenza nucleare e delle contro-misure e dei trattamenti che possono essere predisposti», rivela un recentissimo dossier dello Science for peace and security programme della Nato.

A Roma dal 25 al 27 maggio 2016 si è tenuto un meeting in ambito nucleare-chimico-batteriologico tra Italia e Egitto tenuto segreto e rivelato da un dossier della Nato.

Questi sono gli incontri ufficiali, poi ci sono i soldi di cui abbiamo scritto. E poi volendo c’è anche il giochetto squallido sull’ambasciatore italiano: si minaccia di ritirarlo, poi sì, poi no.

Ora, vedendo tutti questi episodi (e sono quelli conosciuti) messi uno dopo l’altro davvero vi pare che siano rapporti “freddi”? Davvero nessuno ha un dito da alzare sulle parole di Guerini?

Buon venerdì.

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Minacciare non è una trattativa

Dopo un incontro di oltre due ore, Italia viva sigla una tregua con Conte. Ma quanto ineleganti e irresponsabili sono stati i chili di minacce e di urlacci che i renziani hanno sparato in questi giorni

Dunque il presidente Conte ha incontrato la delegazione di Italia viva e le minacce urlacciate in questi ultimi giorni (con enormi esercizi di narcisismo del solito Renzi) alla fine si sono sciolte come neve al sole. Hanno fatto un cosa semplice: hanno discusso, si sono confrontati e hanno trovato un compromesso.

I dirigenti di Italia viva dopo due ore e mezza di incontro si sono detti soddisfatti perché, ha spiegato Teresa Bellanova, «è scomparsa tutta la questione sulla governance che si voleva portare con un emendamento in legge di Bilancio, e finalmente si comincia a discutere nel merito».

In sostanza il presidente del Consiglio ha rassicurato che tutti i passaggi e tutte le proposte passeranno dal Consiglio dei ministri e dal Parlamento. Quelli di Italia viva dicono che non ci sarà più “nessuna task force” e in realtà è una mezza verità: il ministro degli Affari europei Vincenzo Amendola ha chiarito che «la struttura la chiede l’Europa, ma non sostituirà i ministeri, e il Parlamento verrà coinvolto in tutti i passaggi».

Sono anche uscite le prime bozze del Recovery plan che contengono i capitoli di spesa e gli indirizzi per i prossimi mesi. Ora verranno condivise anche con le altre forze politiche di maggioranza e poi si fisserà entro la fine dell’anno un Consiglio dei ministri per trovare il punto d’incontro per tutti.

Insomma ieri semplicemente si è fatta politica, quella che andrebbe fatta con il senso di responsabilità di chi sa di essere al governo di un Paese, soprattutto in un’epoca di pandemia. Verrebbe da pensare a quanto siano ineleganti e irresponsabili i chili di minacce e di urlacci che i renziani hanno sparato in questi giorni ritagliandosi spazio nei media. Lo so già, qualcuno obbietterà che se non avessero fatto così non avrebbero ottenuto nulla. Peggio ancora. Significa che sono una manica di dilettanti, ma tutti, tutti.

E se volete capire quanto sia più forte di loro continuare con il ricatto allora potete leggere le parole di Bellanova appena uscita dall’incontro: «Il governo deve stare sereno se fa le cose. Se no è inutile». Non riescono proprio a stare sereni e a dismettere i panni dei bulli (con un partito da 2%). E vedrete che tra poco ricominciano di nuovo, con lo stesso atteggiamento, sul Mes. Perché quando gli incapaci sono troppo irrilevanti per aprire un dibattito (irrilevanti non solo nei numeri ma anche nei modi) allora provano a convincerci che la minaccia sia una trattativa. Fanno sempre così.

Buon mercoledì.

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Il Natale di Salvini

Nella bieca rincorsa a ritagliarsi un posto al sole per ottenere un po’ di visibilità e per andare “contro” al governo Matteo Salvini si è inventato un’altra delle sue invitando tutti a disubbidire alla zona rossa natalizia: “tutti fuori a fare volontariato”, dice Salvini, nel tentativo di incastrare con i buoni sentimenti la sua fregola di essere irresponsabile.

Peccato che la frase, nonostante possa fare breccia tra i suoi fan, non significhi assolutamente nulla, che sia assolutamente priva di senso e sia in netto contrasto con il suo modo di agire, di pensare e di parlare. “Fare volontariato” è una cosa terribilmente seria che non ha nulla a che vedere con il farsi foto insieme a qualche senza tetto. Fare volontariato significa impiegare il proprio tempo e il proprio ruolo in attività organizzate che garantiscano la dignità, se non il benessere, delle persone in difficoltà. Fare volontariato ad esempio significa anche riconoscere la povertà, vederla, conoscerla, abitarla: l’esatto opposto di quello che fece il vicesindaco di Trieste Paolo Polidori quando dichiarò di avere buttato via le coperte dei senzatetto “con soddisfazione” (disse proprio così), l’esatto opposto di quello che fece l’assessora leghista di Como che tolse la coperta a un senza tetto pubblicando tutta fiera il video su Facebook (lì a Como dove nel 2017 venne vietato proprio dalla Lega di dare un latte caldo proprio ai clochard).

Se invece vogliamo rimanere su Salvini allora sarebbe da capire come intenda il volontariato se proprio i suoi senatori hanno acceso una gazzarra in Parlamento mentre si archiviavano quegli orrendi decreti sicurezza dell’ex ministro.

Se Salvini vuole fare volontariato allora potrebbe benissimo ascoltare volontariamente i racconti dei pescatori da poco liberati in Libia che raccontano come quella detenzione fosse al di fuori di qualsiasi diritto umano. Proprio quella Libia che Salvini ritiene “un porto sicuro” in cui ammassare tutti i senza tetto del mondo che provano a trovarlo, un tetto.

Oppure potrebbe ammettere che anche la bontà in fondo per lui è solo un feticcio da sventolare alla bisogna. E potrebbe riconoscere che con questa sua uscita da finto filantropo fa sanguinare le orecchie per la contraddizione che contiene. Perché i buonisti sono naturalmente molto aperti ma non sopportano le minchiate.

Buon lunedì.

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Dal Conte 1 al 2 la criminalizzazione della solidarietà delle Ong continua a gonfie vele…

Ci sono molti modi per boicottare i salvataggi in mare. Si può fare smargiassando e usandolo come tema di propaganda politica, come fece a suo tempo il ministro dell’interno Salvini che ancora continua sulla stessa lunghezza d’onda ma si può fare anche sotto traccia, in un modo perfino più subdolo, agitando la clava della burocrazia al posto della clava della paura ma ottenendo il medesimo effetto. Nel secondo caso si deve avere anche un bel pezzo del mondo dell’informazione che accetti di farti passare per il buono, perfino per l’avversario politico delle politiche di Salvini e bisogna contare su una buona dosa di indifferenza cosicché i fatti vengano taciuti, tenuti sotto traccia, sminuiti.

Siamo al governo Conte bis, quello che aveva promesso discontinuità con il governo giallo verde proprio sul tema dei diritti umani dell’immigrazione e siamo ancora qui, più di un anno dopo, a osservare un governo che mantiene le stesse politiche (la mancata abolizione dei decreti sicurezza di Salvini di fatto non ha spostato di una virgola le regole, nonostante le tante belle parole) e negli ultimi giorni stiamo assistendo a un’inquietante ascesa di casi di navi che vengono fermate. Badate bene: non ci sono urlati e minacce, no, no. Qui si tratta di carte bollate. Ma il risultato è lo stesso.

Ieri a rimanere bloccata è stata la Mare Jonio, la nave dell’Ong Mediterranea che ha ricevuto un diniego all’imbarco a bordo di due membri: un paramedico soccorritore e un esperto di ricerca e soccorso in mare del Rescue Team di Mediterranea Saving Humans. Secondo Donato Zito, comandante della Capitaneria, «i loro profili non hanno alcuna attinenza con la tipologia di servizio svolto dalla Mare Jonio». È un furbo escamotage di scartoffie: la Mare Jonio (come praticamente tutte le navi umanitarie) è registrata come mercantile con funzioni di cargo, monitoraggio e sorveglianza e il registro navale italiano le ha riconosciuto una notazione in classe come nave attrezzata per la ricerca e il soccorso. Tutto bene, quindi? No, perché la Guardia Costiera invece non riconosce quello status e ecco che la Capitaneria trova il ganglo per bloccare l’imbarco dei due tecnici. «Inoltre – si legge ancora nel provvedimento – l’imbarco dei soggetti sopra menzionati risulta in netto contrasto anche con le precedenti diffide notificate». Sì, perché dal 9 giugno a oggi sono ben quattro le diffide notificate. La Ong Mediterranea non ha dubbi: «Si tratta, evidentemente, di una mirata persecuzione amministrativa e giudiziaria che nasce da una precisa volontà politica del Governo…».

Qualche giorno fa la Capitaneria di Porto di Palermo ha deciso il fermo amministrativo della nave Sea Watch dopo ben 11 ore di accuratissima ispezione a bordo e uno dei motivi avanzati sarebbe stato «l’eccessivo numero di giubbotti di salvataggio a bordo». Anche allora le parole del responsabile affari umanitari di Medici Senza Frontiere Marco Bertotto fu chiaro: «Le autorità italiane – dichiarò – provano a fermare le organizzazioni umanitarie – che cercano solo di salvare vite in mare come richiesto dal diritto marittimo internazionale – mentre disattendono i loro stessi obblighi di soccorso, con l’assenso se non il pieno appoggio degli stati Europei».

Il fermo della Mare Jonio di ieri è il sesto fermo amministrativo negli ultimi cinque mesi da parte delle autorità italiane. Tutto questo mentre dall’inizio del 2020 quasi 8mila rifugiati e migranti sono stati intercettati in mare e riposatamente nelle prigioni libiche dalla Guardia costiera libica, quella che profumatamente paghiamo per fare il lavoro sporco. Ad agosto sono state dichiarate morte e disperse 111 persone, quasi 400 da inizio anno. In tutto questo la ministra Lamorgese nei giorni scorsi ha dichiarato che le sanzioni alle Ong potrebbero “diventare penali”. Tutto questo mentre l’Europa si arrabatta per costruire una solidarietà tra Stati, dimenticandosi delle persone, con il Migration Pact.

Intanto quei torturatori che si fanno chiamare Guardia costiera libica continuano indisturbati il loro lavoro e i lager libici mietono vittime. E allora viene da chiedersi: ma siamo sicuri che il problema fosse solo Salvini? O semplicemente bisognava semplicemente imparare a fare il lavoro sporco in modo pulito, sottovoce, senza social? Una cosa è certa: la criminalizzazione della solidarietà continua a gonfie vele.

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Si vergognano di essere fascisti

Non capisco quelli che provano a convincerci che il fascismo non esista più, che non ci sia pericolo e poi sono gli stessi che ci dicono che in Italia esiste un clamoroso pericolo che si chiama antifascismo…

Io davvero non vi capisco voi che siete fieramente fascisti durante l’aperitivo o mentre vi date di gomito mentre inneggiate a Lui insieme ai vostri amici e poi vi offendete quando vi danno dei fascisti. O meglio, vi capisco nella vostra vigliaccheria che rivendete come pudicizia ma non capisco perché ci teniate tanto a fare i fascisti buoni.

Non capisco quello di Fratelli d’Italia che vorrebbe fare l’uomo di destra più amato dalla sinistra e si finge illuminato quando si parla di diritti e di doveri per poi vedere antifascisti dappertutto che vorrebbero mettergli un cappio al collo. Avete deciso di usare la violenza verbale come timbro di quest’epoca del centrodestra? Siete o no quelli che pregano tutto il giorno che qualche italiano venga ferito o insultato o disturbato da uno straniero per potere rilanciare la notizia sui social mentre vi dimenticate di fare il contrario? Benissimo, è legittimo, anche se fa un po’ schifo, però poi non date lezioni di pesi e di misure a noi, rimanete nel vostro recinto di odio e di bava e continuate sulla vostra linea.

Non capisco nemmeno Salvini, quello che “lecca” in ogni occasione gli amici di CasaPound e che eccita gli animi dei nostalgici di Mussolini: vuole farlo? Lo faccia. Viene contestato, si becchi le contestazioni. Ma questo suo sogno di diventare il super eroe dei due mondi per cui vorrebbe essere l’idolo dei nipoti di Mussolini e contemporaneamente dei nipoti di Berlinguer è qualcosa che andrebbe studiato e curato con attenzione. Scelga una parte, non se ne vergogni, sia capace di sostenerla.

E non capisco nemmeno quelli che provano a convincerci che il fascismo non esista più, che non ci sia pericolo (che sarebbe meglio così, tutti felici e contenti) e poi sono gli stessi che ci dicono che in Italia esiste un clamoroso pericolo che si chiama antifascismo. Ma davvero? Ma fate sul serio?

Se non esiste nessun pericolo allora anche questo articolo non serve a niente. Oppure più semplicemente questi si vergognano di essere fascisti. Come capita da sempre. Semplicemente.

Buon lunedì.

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Uomini incompiuti (solo dopo, separati)

Un esempio fulgido l’abbiamo avuto con il titolo de Il Mattino. I fatti, intanto: Mario Bressi decide di punire la moglie che ha deciso di lasciarlo uccidendo i loro due figli e togliendosi la vita. Un infanticidio che in fondo è un femminicidio ancora più vigliacco: uccidere i figli per condannare una moglie è un gesto che nasconde tutta la ferocia possibile. Bressi prima di compiere il suo gesto, nella perfetta premeditazione di chi vuole provocare l’inferno, ha anche scritto alla ex moglie.

Torniamo al titolo de Il Mattino: «Il dramma dei papà separati», titolano piuttosto stupidamente. Ovviamente la narrazione è sempre la stessa, quella patriarcale dell’uomo ferito che viene giudicato per il suo dolore come se potesse essere una giustificazione. I figli ammazzati alla fine sono colpa della donna, ovviamente.

Si alza lo sdegno e Il Mattino ci riprova, corregge e scrive «Devastato dalla separazione» dimostrando che la stupidità è banale ma è anche soprattutto ripetitiva. Vengono sommersi ancora una volta dagli insulti, ci riprovano: «Papà separato, ha ucciso i figli nel sonno» dimostrando di non capirci proprio niente.

C’è solo il dramma dell’uomo, del forte, del padrone che ha deciso di togliere i figli per rivendicarne il possesso dopo avere perso il possesso della moglie. Non esistono i drammi dei bambini uccisi nel sonno, non uccide la distruzione di una madre punita in un modo così orribile. Niente. Tutti gli altri dolori che non siano quelli del maschio sono effetti collaterali tristi, certo, ma solo consequenziali.

E in fondo si tratta sempre degli stessi stoltissimi maschi, quelli costruiti in serie secondo le logiche peggiori della fallocrazia, quelli che vengono lasciati e non si chiedono mai cosa hanno sbagliato ma che trovano comodo, vigliacchi come sono, dire che lei “ha rovinato la famiglia”, che lei “si è venduta per un pompino”, che lei la rovineranno, gliela faranno pagare e sono felici solo la vedono sola, povera e pazza.

Sono uomini che non hanno fatto i conti con se stessi, incapaci di vedersi completi al di là della punta del proprio organo riproduttivo (su cui sono solitamente fissati) e che non transigono sul fatto di potere avere di fianco persone che si autodeterminano con le proprie scelte. Uomini che di facciata sembrano puliti e che spesso hanno mostri pelosi (che le loro ex mogli hanno provato a curare).

Non parliamo del dramma di padri separati (e ce ne sono tanti anche di padri separati che vivono drammi veri, senza bisogno di arrivare all’omicidio) quando ci sono di mezzo assassini. Il dramma vero è quello di certo giornalismo che si appiattisce sulla banalità del male. E come sono ripetitivi e banali tutti questi fallocrati che cercano la giustificazione per giustificare l’ingiustificabile. Mentre il bene, al contrario, si rinnova ogni giorno, si sceglie tutti i giorni e si reinventa se serve per non soffocare.

Buon lunedì.

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È che non ci “provano”, sul tram, con la diva Deneuve

Come sottolinea giustamente Lauren Collins sul New Yorker (ma qui, si sa, l’informazione si consuma al massimo su una cartolina appesa a Facebook) la diva Deneuve ha vergato il suo accorato appello contro il movimento #MeToo e l’ondata di denunce di molestie sessuali in calda compagnia di «donne bianche professioniste o artiste: giornaliste, curatrici, artisti, professoresse, psicologhe, medici, cantanti. Non ci sono governanti o autisti di autobus nella lista, e non v’è nessuna conferma che le cose potrebbero essere più complicate quando una donna non è il leader del suo team di professionisti, come spesso succede».

Non stupisce nemmeno che in Italia gli ululati in difesa del diritto di “provarci sempre e comunque” (come se l’uomo sia maschio solo o soprattutto in maniera direttamente proporzionale ai suoi rigonfiamenti), come scrive Ilda Dominijanni su Internazionale «dallo stesso fronte mediatico, il Foglio in testa, che agitò gli stessi fantasmi liberticidi, sessuofobici e proibizionisti a tutela della “libertà” e della “seduzione” che circolava nelle “cene eleganti” di Berlusconi, già allora paventando e minacciando la fine dell’ars amatoria, la censura della passione, l’inibizione del corteggiamento, e impugnando l’inscindibilità del sesso da una certa dose (quale, esattamente?) di prevaricazione, o l’indecidibilità fra molestia e avance».

Il giochetto sporchissimo di confondere una molestia con un corteggiamento fingendo di non sapere che il consenso sia il discrimine fondamentale è tipico di chi ancora dopo secoli finge di non capire che si sta parlando di abuso di potere e di situazione ricattatorie. Che poi di mezzo ci sia anche il sesso (quello del potente, turgido, che si basta da solo e anzi impazzisce di gioia nello scavalcare un rifiuto) è solo la patetica conseguenza di una sessualità che per i fallocrati è il mezzo preferito nell’esercizio di potere. Sarebbero molestatori anche da eunuchi, per intendersi: solo più in difficoltà nell’inventarsi altre strade verso la soddisfazione.

Ma che la diva Deneuve (come le aspiranti dive borgatare che la applaudono per provare a stare in scia) intenda tutto questo gioco di approcci spinti come il sale della mascolinità forse potrebbe essere dettato da un contesto che le converrebbe (a lei e ai machi nostrani) abbandonare per tornare nella vita reale: scoprirebbe, ad esempio, che “la libertà di importunare, indispensabile alla libertà sessuale” (come lei la definisce) nella vita reale non si consuma tra le ostriche, i festival o i Mastroianni ma è fatta di palpatine strappate nella ressa di un tram, masturbazioni e conati che stanno dietro alla svolta di una marciapiede, battutine svilenti di capi ufficio dalla virilità insicura, assoggettamenti richiesti da un datore di lavoro o da qualcun altro indispensabile per il proprio sostentamento economico, urlacci da mercato delle vacche sputati fuori da un finestrino e (forse i più odiosi) favori richiesti da chi tiene in mano le carte delle opportunità possibili. Non c’è erotismo giocoso, no: si tratta di un forte che chiede al debole di leccare la sua superiorità. Che il primo sia preferibilmente maschio è la normale conseguenza della storia dei tempi.

Ci è arrivato perfino Pierluigi Battista che scrive: «ci sono momenti della storia in cui quello che appariva normale un minuto prima, un minuto dopo appare come una porcheria. Il momento attuale è uno di questi e non credo che ne venga messa a rischio la nostra virilità o la libertà sessuale di tutte e di tutti. Fare i minimizzatori su questo punto è sbagliato».

Che poi la diva Deneuve abbia avuto il lusso di giocare a farsi rincorrere dal fascino del potere è un suo diritto incontestabile. Ma non insegni le molestie qui fuori. Almeno questo. No. Poi finisce per meritarsi anche l’applauso di quell’importuno di Berlusconi.

Buon venerdì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/01/12/e-che-non-ci-provano-sul-tram-con-la-diva-deneuve/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui.