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Ma quando lavora?

Sempre a proposito di numeri, che me ne sto innamorando follemente e che parlano senza bisogno di troppe opinioni che per natura sono opinabili. Avete notato che il ministro dell’Interno Salvini è sempre in giro? In giro mica per incontri ufficiali, no, no. Allora, giusto per il gusto di scassare la minchia, siamo andati a vedere, in fondo.

Dunque, il ministro dell’Interno Matteo Salvini nel 2019 ha lavorato 39 giorni. Non male se si tiene conto che lo stesso collega di partito Maroni disse in un’intervista che per fare bene il ministro dell’Interno bisogna stare tutto il giorno in ufficio almeno 13 ore. Avrà i super poteri.

Ma non è tutto. Su 39 giorni solo 17 sono “interi” mentre gli altri 22 si è fermato in ufficio solo mezza giornata. E anche sulle giornate “intere” (tolte ovviamente le dirette Facebook ad aprire buste e cullarsi di accuse da cui poi è scappato come un coniglio) c’è qualche dubbio sull’esatta corrispondenza.

Fermi tutti. Vi dirà, al contrario del collega Maroni, che lui preferisce stare sul territorio a svolgere il suo compito. Benissimo il suo compito è stato quello di partecipare a 211 tappe tra comizi elettorali, feste del suo partito, cene elettorali, ecc. Una lunga, morbosa, campagna elettorale a spese dei contribuenti. Se il M5s fosse all’opposizione probabilmente si sarebbero già pugnalati in Parlamento. E invece niente. Ma anche lo stesso Salvini, andatevi a rileggere le sue dichiarazioni, criticava Angelino Alfano per lo stesso motivo. Forse sarà questo il cambiamento di cui vanno cianciando.

E quindi la domanda sorge spontanea? Ma quando lavora Salvini? Semplicemente fa un altro lavoro. Non è ministro, non è vicepremier, è il capo politico del suo partito e insiste nel cercare di raccattare voti utilizzando il Parlamento come votificio e la sua stanza come ripostiglio per i giocattoli.

E vorrebbe essere il miglior ministro della Storia, dice lui.

Sì, ciao.

Buon mercoledì.

 

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2019/05/15/ma-quando-lavora/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Quando la nascita vince sulla leucemia

Ogni tanto, non so se capita anche a voi, ho il terrore di rimanere incagliato in tutto quello che c’è di brutto, vergognoso, indegno e cattivo che ci circonda. Come un terrore che mi si incastri il cervello solo su quello (che certo, va osservato e denunciato) ma non riesce a darmi respiro.

Per questo quando ho letto che a Palermo una donna di 32 anni, affetta da una forma di leucemia che le avrebbe dovuto impedire il parto e forse l’avrebbe dovuta uccidere, invece ha felicemente partorito un bambino che non solo è nato, ma è anche sano e che lei si è curata e pochi mesi fa i medici hanno dichiarato la remissione della malattia, allora mi sono detto: c’è bellezza in giro. Allora andiamo a raccoglierla la bellezza. Facciamone ossigeno in questo tempo di fumo, di brutte azioni, di brutti pensieri, di brutte persone.

La donna è stata sottoposta a una cura innovativa presso il reparto del Policlinico, è riuscita a dare alla luce il piccolo Andrea. Il prodigioso traguardo è stato possibile all’interno del reparto di Ematologia del Policlinico di Palermo, il primo ambulatorio d’Italia per la cura delle leucemie in gravidanza e in età fertile.

«Oggi siamo all’avanguardia, riusciamo a cronicizzare molti tumori e a consentire anche una qualità di vita soddisfacente. Il particolare caso della signora Mocera ci ha fatto capire l’importanza di avere una struttura dedicata alle gravidanze, perché è stata la prima volta in cui si è riusciti a pensare a due pazienti contemporaneamente: finora infatti si era potuto salvare o la mamma o il bambino» ha spiegato il direttore del policlinico.

E la mamma? «A tutte le donne che stanno vivendo la mia esperienza – ha detto Marzia Mocera – dico di non avere paura, di fidarsi dei medici e di avere una forte determinazione a portare a termine la gravidanza».

E a me sembra un buongiorno bellissimo.

Buon venerdì.

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Perché sarà un buon giorno quando scenderanno in piazza gli uomini

Eppure sarà una buona giornata quando alla prossima manifestazione in difesa delle donne gli uomini la smetteranno di essere vicini o di essere solidali e cambieranno il messaggio: non più il “vi capiamo” ma il “vi difendiamo”, mica solo gli uomini, tutti. Vi difenderemo, appunto.

La morale è sempre doppia quando non c’è

Scusatemi se mi butto nel fango. La lotta tra le ghiande, ruzzolando in mezzo ai maiali, è antipatica e stomachevole però vi giuro che no, non riesco a starne fuori. Andiamo con ordine: nella notte tra il 18 e il 19 ottobre a Roma è stata ammazzata Desirée Mariottini, una ragazzina di sedici anni il cui cadavere è stato ritrovato in uno stabile abbandonato e occupato in via Lucani, quartiere San Lorenzo. Il caso vuole che i fermati come sospettati per l’omicidio siano stranieri. E negri. E ancora una volta apriti cielo. Ronde, ruspe, quel becero avvoltoio del ministro dell’inferno subito pronto a pisciare sul palazzo per marcare il territorio e già delle belle ronde da dare in pasto ai giornali.

Sia chiaro. Da queste parti, di chi scrive, una giovane donna uccisa, per di più dopo una probabile violenza, è un dolore schifoso e inaccettabile. È necrofilia anche lucrare sui morti, paragonarli, ma per sbugiardare i vermi bisogna entrare nel verminaio. Eccoci.

Tra la morte di Pamela (usata ovunque per spargere odio fecale) e la morte di Desirée sono passati dieci mesi. Dieci mesi. Solo nei primi sei mesi di quest’anno sono state uccise altre quarantaquattro donne. Quarantaquattro.  Nel 2017 sono state uccise 113 donne. Centotredici. Due di loro erano al quinto e al sesto mese di gravidanza. Ad uccidere sono stati, nella quasi totalità dei casi, mariti, compagni o ex, incapaci di accettare la fine della relazione o la volontà della partner di volersi ricostruire una vita al di fuori della coppia. Niente negri, niente drogati. Bianchissimi e merdosissimi mariti. Vi ricordate qualche nome delle altre donne oltre a Pamela e Desirée? Uno, anche solo uno. Niente, vero? Vi sembra normale? No, non è normale.

Poi: Desirée era stata denunciata per spaccio. Il padre la picchiava, dicono le sue amiche, ed è stato denunciato per stalking. Dopo la separazione dei genitori era stata affidata ai nonni. Bene, ora pensate a come è stato dipinto Stefano Cucchi e come tutt’oggi i suoi famigliari siano ricoperti di fango: perché Cucchi è un drogato rovinato dalla famiglia e invece Desirée è una povera stella massacrata dallo straniero?

La risposta è semplice: in modo orribile in questo Paese ci sono deplorevoli personaggi (capeggiati dal ministro dell’inferno) che grufolano nella spazzatura per trovare morti che tornino utili alle loro tesi. Un esercito di topi con sembianze umane che invocano la sedia elettrica per i negri e citano invece il raptus amoroso se sono bianchi e italiani. Ed è uno schifo indicibile. Una necrofilia cromatica di stercorari che cercano discariche per spargere odio razzista. Feccia. E sullo sfondo il dolore dei morti che vengono sventolati come souvenir.

Chi non ha una morale finge sempre di averla doppia. Ma è niente. Niente mischiato con niente. Niente al quadrato. Sempre zero.

Buon venerdì.

 

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Pontida, fino a quando il M5S si farà bistrattare da Salvini?

A Pontida il leader della Lega Matteo Salvini ancora una volta ha parlato degli alleati di governo con la sufficienza paternalistica di chi si ritiene “capo assoluto”, delegando il Movimento 5 Stelle a “tappa di passaggio” per una forza che punta addirittura all’Europa. Si continua a ripetere “c’è un contratto di governo” ma il leader leghista è in campagna elettorale permanente. Anche sulle spalle del M5S.
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