Sarebbe da non crederci se non fosse tutto registrato senza filtri o mediazioni. Una cava dismessa potrebbe (è un eufemismo, certo) avere contaminato le falde acquifere nei pressi di Brescia. Come si legge sul sito AmbienteBrescia “La provincia di Brescia può definirsi l’immondezzaio d’Italia: qui si producono grandi quantitativi di rifiuti urbani (50% in più della media nazionale); qui opera in piena città il più grande inceneritore d’Europa (800 mila tonnellate/anno); qui vengono importati enormi quantità di rifiuti speciali (circa 10 milioni ditonnellate/anno) per il loro trattamento in siderurgia e in metallurgia (rottami), nell’inceneritore (urbani e speciali importati), nelle diverse piattaforme specializzate (rifiuti speciali pericolosi e non) e, quindi, per la collocazione in discarica (rifiuti speciali pericolosi e non). Si può affermare che oggi la vera specializzazione produttiva dell’industria bresciana, insieme a quella delle armi, sia il trattamento dei rifiuti, come candidamente ha auspicato il responsabile energia di An on. Stefano Saglia (RifiutiSaglia.pdf). Questo imponente afflusso di rifiuti ha provocato e continua a provocare unadevastazione ambientale che ancora attende di essere pienamente valutata nella sua reale dimensione: emissioni in atmosfera degli impianti di trattamento, inquinamento delle falde, compromissione dei terreni con la disseminazione di centinaia di tumuli di materiali contaminati nelle varie discariche, oggi “controllate”, fino a poco più di vent’anni fa del tutto selvagge. Non si contano le “scoperte” fortuite di questi sgradevoli depositi del passato. Ciononostante si continua imperterriti ad aggiungere rifiuti a rifiuti, discariche a discariche, per poi far finta di stupirsi quando qualche magistrato, magari di Napoli, come avvenuto ai primi di ottobre 2007, denuncia un traffico illecito di rottami/rifiuti pericolosi verso la siderurgia bresciana, “mascherati” da non pericolosi (RottamiPericolosiBrescia.pdf). “Il re è nudo”, verrebbe da commentare, perché era da tempo a tutti noto quali rischi ambientali comportasse la filiera del recupero del rottame (RottamiPericolosiComunicato.pdf) e della collocazione in discarica della parte non ferrosa, il cosiddetto fluff (Fluff.pdf). A Brescia ogni limite di compatibilità in questo settore è stato ampiamente superato, sia nel campo dei rifiuti urbani, sia in quello dei rifiuti speciali. Si deve invertire la rotta ed il nuovo Piano Rifiuti che la Provincia, approntato in bozza, a cavallo tra il 2007 e il 2008, varebbe dovuto definire una chiara prospettiva di fuoriuscita da questa “specializzazione” devastante per il nostro territorio”.
Il quadro che si apre in questi giorni a Brescia è imbarazzante. Per tutti. Basta ascoltare l’audio dell’inchiesta di Radio Popolare per accorgersi che la situazione è paradossale. Stiamo depositando proprio oggi l’interrogazione e la richiesta di audizione. E stiamo valutando un eventuale esposto in Procura. Perché questa Lombardia come un merdaio impunito comincia sinceramente a essere intollerabile.
L’articolo di QuiBrescia per capirne di più:
(g.g.) Una cava dismessa contenente materiale radioattivo potrebbe aver contaminato la falda superficiale della periferia a sud-est di Brescia?
È il timore contenuto nella relazione dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente, che si è recata sul posto lo scorso giugno dopo 12 anni dalla scoperta del sito radioattivo.
Lo riferisce un’inchiesta di Radio Popolare a firma del giornalista Andrea Tornago che, nella trasmissione “Radiosveglia” in onda questo giovedì sull’emittente prende in esame l’ex cava Piccinelli, in via Cerca 45, che si trova tra i quartieri di San Polo e Buffalora.
La falda, secondo quanto riferisce Radio popolare (che si è occupata anche del caso rifiuti illeciti a Brescia) è contaminata in profondità da Cesio 137 con una radioattività che sfiora il milione di becquerel/Kg, e l’ultimo intervento di messa in sicurezza del sito risale al 1999.
“Considerando la risalita della falda di circa 4 metri”, scrivono i tecnici di Arpa Lombardia, “è possibile che la contaminazione radioattiva sia stata, ormai, in parte sommersa dalle acque”. Un’eventualità che crea particolare inquietudine perché a poca distanza, nella direzione di scorrimento della falda, si trova un pozzo che rifornisce l’acquedotto della città.
L’Arpa ha inoltre rilevato altre sostanze cancerogene, tetracloroetilene e cromo esavalente, con livelli superiori ai limiti di legge.
Il sito contaminato dal Cesio, ricorda la radio, è ormai da anni in stato di abbandono: manca la segnaletica di pericolo, e la rottura dei teli impermeabili favorisce la formazione di percolato radioattivo. Il progetto di bonifica, approvato dall’Asl, giace in un cassetto dal luglio 1998.
Nello scorso giugno la radio aveva intervistato Francesco Vassallo, direttore sanitario dell’Asl di Brescia che aveva spiegato la presenza di teli a copertura del sito, per “non fare diffondere la radiocontaminazione in tutto il terreno ma soprattutto di andare a inquinare la falda sottostante” e aveva sostenuto che “la messa in sicurezza d’emergenza del sito radioattivo di via Cerca, nella periferia sud-est di Brescia, avrebbe ancora scongiurato, dopo 12 anni, una contaminazione radioattiva”.
Una settimana dopo, però, ricorda Tornago, “l’Arpa sarebbe entrata nel sito abbandonato da anni, e si sarebbe accorta che la situazione non era assolutamente sotto controllo. I teli impermeabili posizionati nel 1999 dalla ditta Nucleco, che dovevano arginare l’emergenza del Cesio per al massimo due anni, in 12 anni si sono deteriorati e nella discarica abusiva ha cominciato a formarsi percolato radioattivo”.
“Non solo”, ricorda il giornalista che ha curato l’inchiesta, “i teli non hanno retto, ma nemmeno le recinzioni di sicurezza: qualcuno si è introdotto nel sito e ha scaricato abusivamente del materiale, e due dei quattro rilevatori degli inquinanti nell’acqua sono spariti, a quanto pare interrati dalle ruspe. Così l’Arpa non può più dire se il Cesio 137 è finito nella falda acquifera oppure no”.
Succesivamente Mariagrazia Santini, dirigente fisico dei Monitoraggi Ambientali dell’Arpa di Brescia, competente in materia di radioprotezione ammette, ai microfoni della radio che la intervistava, di non prendere in mano il fascicolo da diversi anni. “La relazione allarmata di Arpa del 14 settembre 2011, resa nota soltanto adesso”, prosegue radio popolare, “porta proprio la sua firma”.
“Se il Cesio 137 sia finito nella falda acquifera di Brescia, ormai, non lo riesce a dire con certezza più nessuno”, prosegue l’inchiesat dell’emittente,”ma, dato l’innalzamento della falda di circa 4 metri, secondo i tecnici è addirittura probabile che il Cesio si sia sciolto nelle acque superficiali”.
Radio Popolare ha poi sentito anche l’assessore all’Ambiente del comune di Brescia, Paola Vilardi che afferma: “me non risulta. A me non risulta, a me non risulta che ci sia presenza di radioattività ma, qualora questo elemento venisse rilevato è evidente che…voglio ricordare…”. L’assessore comunale prosegue dicendo che “quella cava è dismessa se non ricordo male, quindi lì adesso ci saranno anche tutti i recuperi…e sono recuperi che vanno fatti. Ci sono anche dei laghetti…naturali…noi vogliamo davvero poter migliorare quelle condizioni naturali…”.
La storia della cava Piccinelli, contaminata dal Cesio, viene poi spiegata dal direttore dell’Asl, Vassallo, che, sottolinea il giornalista di Radio Popolare, “nel frattempo si è preparato”.
“Questa cava Piccinelli”, spiega Vassallo, “ risale al 1976, data in cui il Piccinelli diede in affitto la cava a una ditta che poi si trasferì in Romania, e scomparve. Una piccola fonderia di ottone ed alluminio”. La ditta in questione è la Rivadossi-Doronzo.
“Nell’88”, prosegue il direttore dell’Asl, “questa cava fu abbandonata e quindi divenne tipo una discarica a cielo aperto, cioè la gente metteva lì dei rifiuti inerti, e quindi il Comune intervenne con una ordinanza di bonifica notificata ai proprietari della cava. Nel frattempo all’inizio degli anni ’90 i proprietari riaffittarono questa cava ad una società: Cagimetal. Nel ’94 delle analisi fatte dall’Asl consentirono di evidenziare che i rifiuti presenti sul posto presentavano una radiocontaminazione da Cesio 137”.
Già nel 1994 quindi il cesio era presente. “Nel ’94. C’era il Cesio 137”, conferma Vassallo. “Peraltro questo fu confermato poi indirettamente successivamente da una vicenda che interessò l’Alfa Acciai. Nel ’98 un camion entra e porta del materiale all’interno dell’Alfa Acciai. Nell’Alfa Acciai c’è un portale attraverso il quale il materiale viene verificato per la presenza o meno di radiocontaminazione. E lì si verificò presenza di radiocontaminazione. Sembrava in un primo momento che la radiocontaminazione interessasse il contenuto del camion, e invece si scoprì che era il camion ad essere radiocontaminato, in particolar modo le ruote. E il fango deposto sulle ruote. Questo fango, da un’indagine retrospettiva si appurò che proveniva poi dall’ex cava Piccinelli”.
“Dal ’94 al ’98 che cosa è stato fatto?”, incalza il giornalista. “Interviene l’autorità giudiziaria”, precisa Vassallo, “addirittura, che condanna una serie di persone legate allo smaltimento di rifiuti provenienti dal recupero metalli, quindi verosimilmente la Cagimetal,e vi è inizio alle azioni di approntamento della bonifica”.
“Scoperto nel 1994”, prosegue l’inchiesta dell’emittente, “il Cesio all’ex cava Piccinelli di Brescia è fermo contaminando il terreno e l’ambiente da quasi vent’anni. Ci sono voluti quattro anni perché, dopo le prime rilevazioni l’Asl si decidesse a mettere in sicurezza il sito. Ora ci sono voluti altri dodici anni di oblio per scoprire che l’isotopo radioattivo ha probabilmente contaminato anche le acque”.
“Nei comuni di Lumezzane e di Sarezzo”, continua la radio, “per proteggersi dal Cesio 137 in poco tempo hanno creato un bunker in grado di ospitare le scorie, che devono riposare piombate per almeno due o trecento anni. Perché a Brescia invece in dodici anni non si è fatto niente?”
Alla domanda risponde nuovamente Vassallo che spiega che “in attesa di varare un piano (che è stato varato) di bonifica totale della zona e l’asportazione di 2mila metri cubi di terreno e la collocazione di tutto il materiale radiocontaminato in 250 contenitori di acciaio. È un progetto che ancora è in fase di finanziamento”.
“Ventiquattro milioni di euro per il nuovo parcheggio sotto al Castello, 80 milioni per la Metropolitana leggera sbloccati pochi giorni fa dal ministro Corrado Passera. Ma quando si tratta di evitare la contaminazione radioattiva o i veleni dell’industria Caffaro, Brescia è sempre una povera città”, conclude Andrea Tornago di Radio Popolare.