RadioMafiopoli 6a Puntata: “Quali sono i giornalisti impiegati e i giornalisti servi?”
Chi sono i giornalisti giornalisti, i giornalisti impiegati, i giornalisti servi e i cani e i padroni. Con un’intervista a Pino Maniaci di Telejato.
Chi sono i giornalisti giornalisti, i giornalisti impiegati, i giornalisti servi e i cani e i padroni. Con un’intervista a Pino Maniaci di Telejato.
Oggi parliamo di caffè e mafie con gli ultimi arresti di uomini della cosca Acri-Morfò, scambiamo due parole con il bravo giornalista Stefano Santachiara (IL Fatto Quotidiano) e la rubrica “Caccia al latitante” di G. Rossi.
Eccoci. La terza puntata.
Eccoci tornati. Come al solito critiche, suggerimenti e discussione qui, nei commenti.
Domani nella seconda puntata di RadioMafiopoli:
– l’incontro-intervista con il collaboratore di giustizia ex boss di ‘ndrangheta reggente della famiglia di Crotone Luigi Bonaventura.
– Biagio Simonetta ci parla di economie illegali
– Giampaolo Rossi con la sua rubrica “Caccia al latitante”
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Riprende RadioMafiopoli, la trasmissione che parla di mafia e di mafiosità. Ovvero di quelle cose di cui spesso l’Italia si dimentica. Ovvero che la mafia esiste al nord tanto quanto al sud. Una trasmissione ideata e condotta da Giulio Cavalli.
Ora non c’è nemmeno da farla troppo lunga: l’avevamo già detto che RadioMafiopoli riparte e stiamo allestendo redazione e scaletta per la prima puntata. Se qualcuno ha voglia di dare una mano, partecipare, proporre o boicottare: giulio@giuliocavalli.net
Quando abbiamo cominciato a fare Radiomafiopoli eravamo tutti siciliani dentro, in fondo. Anche se di siciliani veri di Sicilia ce n’erano pochi che si contavano sulle dita di una mano: c’era Carmelo che mi ha insegnato la visione disincantata e l’arguzia feroce che sta dentro i palermitani che decidono di prendersi tutto il vento in faccia, c’era Francesca con il piglio di chi ordinatamente colloca le cose e le persone e c’era Pino Maniaci che la satira con l’informazione la serve tutti i giorni come piatto quotidiano.
Poi c’eravamo noi, i non indigeni, che eravamo travolti da questa Sicilia che profumava di fresco profumo di libertà e con una voglia matta (matta, eh, sì) di affilare la parola, la risata, l’amicizia tutti insieme. In fondo l’appuntamento settimanale di Radiomafiopoli, quel mettersi davanti al microfono con la rassegna stampa della settimana e ridere fino alle lacrime durante il montaggio, era un confronto e un conforto con la nostra paura e con il nostro stare così lontani e comunque così insieme. Dentro le mail e le telefonate c’era un ponte. Un ponte.
Ora sono passati anni e alla fine di antimafia e di mafie dentro le carte e nelle parole è scandita la mia giornata. Ebbene sì: un professionista dell’antimafia. Ed è un piacere. Anche se poi alla fine per motivi diversi magari ti accorgi che in fondo il sorriso si è sbiadito, quell’energia così bambina è diventata desueta e malinconica come sono malinconici solo i ricordi e le fotografie di quelli che sorridono in foto ma non ti rispondono più al telefono.
Abbiamo deciso di mettere la nostra malinconia al passo dei tempi per scrollarcela di dosso e per non perdere il nostro scopo originario: non prendersi mai troppo sul serio. Sì, coltivarci il sorriso, il sorriso per serenità, per indignazione, di denuncia, per dovere di informazione e per diritto di non avere paura. Ma comunque il sorriso.
Partiamo. Radiomafiopoli si rimette i vestiti della domenica che aveva lasciato nei cassetti in fondo all’armadio e si esce in piazza. Ogni settimana (tra poco) per “disonorare gli uomini d’onore”. Chi vuole darci consigli, una mano, una notizia o una voce siamo qui. Ora.
Sono andato a riprendere il perché che ci eravamo dati anni fa. Funziona ancora:
«M’hanno chiesto – perché sfottere la mafia? Ho risposto – perché no? Siamo nell’epoca del culto per la credibilità e per l’onore, della comunicazione masticata e poi sputata, della dignità da discount; in tutto questo magma di garantismo avanzano nel borsellino, come la moneta, quelli che a ragion veduta dovrebbero essere il braccio armato della “cosa nostra di chi?” al soldo di qualche incravattato nelle stanze del potere. Perché sfottere la mafia? Perché siamo stanchi di questi falsi miti da fiction che qualcuno vuole convincerci possano tenere sotto scacco una nazione. Perché disonorare la mafia è una questione di onore. Perché è il nostro modo da giullari per urlare il nostro no. Perché fanno ridere mentre si mettono in posa per fare paura. Perché come diceva Peppino la mafia è una montagna di merda. Perché smontare la loro credibilità è il nostro modo per opporsi ad un racket culturale e in più ci divertiamo un mondo».
Ascolta la 24a puntata: Giuochiamo alla Mafia (ma per finta!)
Ricca la settimana Incom giù a Mafiopoli: settimana di resti, arresti e giocatori.
Gli arresti: a Trabia, Sciara e Termini Imerese bussano di notte i carabinieri di Monreale. E di notte, con il neurone tipico mafiuso che svegliato di soprassalto sbadiglia cannolicchio, in quindici vanno ad aprire con le ciabatte da boss e lo sbadiglio seduto sulla spalla. Un antico proverbio mafiopolitano dice “se di notte bussa il carabiniere sono calci nel sedere” e, infatti, sono guai per i clan di Trabia, Sciara e Termini Imerese. Pisellati di soprassalto in un mattino senza oro in bocca sono volati a fare compagnia nelle patrie galere con i loro capetti Giuseppe Bisesi, Vincenzo Salpietro e Giuseppe Libreri. Aperta una raccolta fondi per l’iniziativa “Regala anche tu una sveglia con il busso carabiniero al boss del tuo quartiere!”. Appena saputo dell’accaduto quella vecchia volpe di Domenico Raccuglia (della stirpe dei Caccuglia) si dice che nel cuore della notte lieve e latitante sia sceso dal letto per strappare il cognome sul campanello.
A Caserta, provincia di Mafiopoli, alla mattina insieme al latte e al giornale sullo zerbino ci hanno trovato anche le guardie. 28 ingabbiati del clan di Antonio Farina, che nonostante il nome, non vuota il sacco. “ma è una vergogna!” – ha urlato il Farino (per gli amici 00) “a quest’ora del mattino mi si fanno le borse sotto agli occhi!”. A Marcianise e Casal di Principe ai Casalesi ora tocca trovare altri cassieri con cui spartirsi al 50 il mercato ricco delle estorsioni. Appena saputo il topo Semola per gli amici Setola (sanguinario rosicchia formaggio della zona) si è alzato dal letto ma si è ricordato di essere in gabbia. Aperta una raccolta fondi per denunciare i topi in cattività.
A Cologno, provincia di Mafiopoli, cittadina colognese famosa per gli studi televisivi di Beghe4 e Banale5, la ‘ndrangheta in trasferta ci lascia 22 castrati sul campo. Medagliato sul campo il capetto Marcello Paparo in trasferta da Crotone. Il Paparo e la sua figliola Luana si erano specializzati nella movimentazione terra ed erano così bravi e così veloci che a suon di minacce si sono presi anche il cantiere dell’Alta Velocità nella tratta Pioltello-Pozzuolo Martesana. Tra gli arrestati anche il maresciallo finanziere Giuseppe Russo campione italiano della disciplina olimpica mafiopolitana di “chiudere un occhio”. E con l’occhiolino strizzato ci ha guadagnato una quota del ristorante “Taverna d’Isola” di Villasanta (famoso per il menù fisso con l’occhiolino e senza scontrino) e un soggiorno vacanziero omaggio a Capo Rizzuto (località nota per il nome afrodisiaco). Per questa mania tutta ‘ndrina di rizzarsi tra una manetta e l’altra gli inquirenti hanno trovato una lanciarazzi in dotazione alla Nato. “E’ una vergogna!” – ha gridato Giancarlo Paparo fratello onomatopeico del suo fratello Marcello – quell’arma ci serviva per importare democrazia!” il giudice per il soggiorno in gabbia ha ordinato di spegnere la televisione agli arrestati.
Intanto a Lodi (cittadina ridente famosa per le Banche Impopolari) due ragazzini, finito il torneo di calcetto all’oratorio, hanno deciso di dedicarsi a giochi nuovi; erano indecisi tra il “lancio dell’opa secondo San Fiorani” oppure il più laico “suona il citofono e poi scappa”. Ingrigiti nella scelta dall’ombra delle logistiche si sono buttati proprio all’ultimo al “Giuoco della Mafia” acquistando via internet un paio di prostate di ricotta per assomigliare a Zu’ Binnu Bernardo Provenzano. Si sono fatti poi prendere la mano e hanno cominciato ad inviare anche lettere anonime per raggranellare un po’ di racket. Arrestati, condannati, derisi e compianti in una delle lettere chiedevano testualmente «la riscossione di una tangente, cioè di una piccola tassa che pur non segnalata tra le tangenti legali dello Stato dovrete lo stesso oblare.» Prima di essere incarcerati sono stati premiati dal Giampy nazionale per la creatività finanziaria. “Faranno strada!” ha urlato il Popolare di Lodi dalla sua nuova attività di serre floreali (Non Fiorani ma opere di bene) “arrestare dei ragazzini che promettono bene già da piccoli di essere i re della finanza!”. Ma la città condanna. Poco, modestamente, quasi niente, com’è nelle corde dei borghi dove la mafia non esiste. Del resto è solo una ragazzata: come quella dei fratelli Antonio e Marcello Reitano che nel 1992 nel lodigiano chiedevano all’imprenditore Daniele Polenghi, per scherzo, 200 milioni. La Sony è già pronta a lanciare sul mercato il gioco “Mafia anche tu!” disponibile per playstation. Bum bum.
Nel gioco dei segnali che non si devono prendere sul serio gli allegri graffitari a Monreale scrivono sui muri “Sonia Alfano infame” mentre Sonia a cento passi perdeva tempo a parlare di legalità. “Ma è uno scherzo!” ha urlato il Principe Macchiavellico mentre inaugurava la prima pietra del ponte da Messina a Infame “è stato scritto in rosso come la temperatura sugli autogrill! Non può essere sul serio! E poi, infame è maschile e Sonia è a e quindi femminile!” è partita la pubblicità e tutti si sono addormentati.
Non tutti si sono addormentati: qualcuno, sovversivo e pericoloso, ancora continua:
Però se continuo a farlo vuol dire che credo – e lo credo fermamente – che le nuove generazioni, le generazioni che verranno, riusciranno a sentire quel fresco profumo di libertà di cui Paolo parlava e per cui Paolo è morto.
Alla Borsellino.
BIBLIOGRAFIA
http://archiviostorico.corriere.it/1992/maggio/05/racket_tre_manette_co_7_9205051075.shtml