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Raggi

Raggi ha fallito ma i 5S negano la realtà: il mistero del Pd che si immola…

Ieri un amico giornalista che lavora per una testata straniera mi chiedeva come mai il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle, che sono stati ferrei alleati nel secondo governo Conte e che ripetono in continuazione di volersi presentare come alleati alle prossime elezioni locali e nazionali, abbiano deciso di candidare due aspiranti sindaci l’uno contro l’altro proprio nella capitale d’Italia, in quella Roma che nell’immaginario collettivo è la sede della politica nazionale.

Non sono riuscito a dargli nessuna risposta convincente, l’ho buttata sulla “complessità della politica italiana” (ma lui non mi ha creduto nemmeno un po’) ma in compenso sono riuscito a trattenermi dal dirgli che in più c’è anche il fatto che entrambi i partiti hanno deliberatamente scelto di puntare su candidati probabilmente non vincenti. Perché quello che sta accadendo su Roma comunque lo si racconti è una delle scelte del Partito Democratico di cui si fatica a trovare un senso, che non si capisce da cosa derivi e soprattutto a cosa punti e c’è da augurarsi almeno che il segretario dei democratici Letta non abbia intenzione di lasciare passare tutto in cavalleria ma abbia piuttosto una spiegazione per i suoi elettori e che sia una spiegazione chiara.

Ricapitoliamo. Il Movimento 5 Stelle in caduta libera si aggrappa a Virginia Raggi disperatamente negando ciò che è sotto gli occhi di tutti: questi 5 anni di amministrazione romana sono stati un disastro dal punto di vista comunicativo, la decadenza di Roma è stata sottolineata da tutti i partiti di opposizione (tra cui ovviamente il Partito Democratico), il gradimento dei cittadini è al minimo storico e una stessa parte del Movimento 5 Stelle ha preso le distanze da Virginia Raggi. La tattica dei grillini evidentemente è insistere nella negazione della realtà, accade spesso in politica, ci sta. Il Partito Democratico avrebbe potuto, su Roma, esprimere la candidatura convincente (e potenzialmente vincente) di Nicola Zingaretti, aprendo di fatto una stagione nuova per la capitale ma è rimasto impigliato dal veto incrociato dei pentastellati in Regione che sono indispensabili per tenere in piedi la maggioranza.

In sostanza il candidato migliore di un partito in salute e che cerca di rilanciarsi viene stoppato dal partito più in difficoltà (e con una debolissima ricandidata). A gestire tutto, vale la pena sottolinearlo, c’è quel Giuseppe Conte che al momento ufficialmente non è ancora stato legittimato a essere capo politico del Movimento a causa degli strascichi legali di Casaleggio contro il Movimento. Qui arriva la domanda delle domande: in nome di cosa il Pd decide di immolarsi? Posto che è ormai passata l’era Conte (che già ora appare difficile far digerire come prossimo “punto di riferimento dei progressisti”) perché il Pd deve subire l’egemonia politica di un alleato in piena confusione? Posto che non c’è più l’esigenza di tenere in piedi il governo nazionale quali sono i punti di contatto nella visione di futuro dei due partiti? Questo continua a rimanere un mistero.

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La sinistra si scalda per i processi a Salvini e ignora i migranti: 500 morti in 4 mesi (+200%)

Il Mediterraneo continua ad essere un cimitero liquido e il campo di battaglia di emergenze che spuntano solo quando tornano comode alla sfida politica. L’ipocrisia dei partiti sta tutta in quei numeri che diventano roncole quando servono per attaccare l’avversario e poi scompaiono se richiedono senso di responsabilità. Fra qualche mese, sicuro, comincerà di nuovo la fanfara degli sbarchi incontrollati come accade ciclicamente tutte le estati (con il miglioramento delle condizioni atmosferiche e quest’anno anche con l’allentamento del virus) e intanto sembra impossibile riuscire a costruire una chiave di lettura collettiva su cui dibattere e da cui partire per proporre soluzioni.

Però nel Mediterraneo un’emergenza c’è già, innegabile, e sta tutta nello spaventoso numero di morti in questi primi mesi dell’anno: mentre nel 2020 furono 150 le vittime accertate nel Mediterraneo quest’anno ne contiamo già 500, con un aumento quasi del 200%. A lanciare l’allarme è stata Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr, che ha partecipato al briefing con la stampa del Palais des Nations di Ginevra dal porto di Trapani in Sicilia, dove circa 450 persone stavano sbarcando in seguito al salvataggio da parte della nave della ONG Sea Watch: «Dalle prime ore di sabato 1 maggio – ha spiegato Sami – sono sbarcate in Italia circa 1.500 persone soccorse dalla Guardia Costiera italiana e dalla Guardia di Finanza o da Ong internazionali nel Mediterraneo centrale. La maggior parte delle persone arrivate è partita dalla Libia a bordo di imbarcazioni fragili e non sicure e ha lanciato ripetute richieste di soccorso».

Sami ha anche tracciato un primo quadro degli sbarchi nel 2021: «Mentre gli arrivi totali in Europa sono in calo dal 2015, – ha spiegato Sami – gli ultimi sbarchi portano il numero di arrivi via mare in Italia nel 2021 a oltre 10.400, un aumento di oltre il 170 per cento rispetto allo stesso periodo del 2020. Ma siamo anche profondamente preoccupati per il bilancio delle vittime: finora nel 2021 almeno 500 persone hanno perso la vita cercando di compiere la pericolosa traversata in mare lungo la rotta del Mediterraneo centrale, rispetto alle 150 dello stesso periodo del 2020, un aumento di oltre il 200 per cento. Questa tragica perdita di vite umane sottolinea ancora una volta la necessità di ristabilire un sistema di operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale coordinato dagli Stati».

L’agenzia Onu «sta lavorando con i suoi partner e con il governo italiano nei porti di sbarco per aiutare ad identificare le vulnerabilità tra coloro che sono arrivati e per sostenere il sistema di accoglienza dei richiedenti asilo» ma Sami sottolinea come continuino a mancare «percorsi legali come i corridoi umanitari, le evacuazioni, il reinsediamento e il ricongiungimento familiare devono essere ampliati» mentre «per le persone che non hanno bisogno di protezione internazionale, devono essere trovate soluzioni nel rispetto della loro dignità e dei diritti umani». L’incidente più grave finora è quello del 22 aprile, quando un naufragio ha causato la morte di 130 persone sollevando i prevedibili lamenti che ogni volta vengono spolverati per l’occasione. Solo una questione di qualche ora, come sempre, poi niente. La zona continua a essere completamente delegata alla cosiddetta Guardia costiera libica: «Nell’ultimo naufragio si parla di almeno 50 morti, noi abbiamo la certezza solo di 11 persone.  Quello che sappiamo è che erano in zona una nave mercantile e un’altra barca e che non sono intervenute, nonostante sia stato lanciato l’sos. E questo è molto grave: se c’è un natante in distress si deve intervenire, perché l’imbarcazione può affondare in qualsiasi momento. Ma ormai questa sembra essere una prassi consolidata: nessuno interviene in attesa che arrivi la Guardia costiera libica e riporti le persone indietro. Questo ci preoccupa molto», ha spiegato Carlotta Sami.

Secondo le stime dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) siamo al 60% di persone che tentano la traversata in mare e che vengono sistematicamente riportate indietro: «Almeno una su due è matematicamente riportata in Libia – spiega Flavio Di Giacomo, portavoce Oim, a Redattore Sociale -. Dopo l’ultimo naufragio abbiamo lanciato un appello all’Ue perché si rafforzi il sistema di pattugliamento in mare e si evitino altre tragedie, ma è caduto nel vuoto. C’è un silenzio politico assordante su questo tema. Si parla solo genericamente di un aumento degli arrivi: ma attenzione a evitare narrazioni propagandistiche perché nonostante la crescita i numeri restano bassi. Non esiste un’emergenza in termini numerici ma solo un’emergenza umanitaria, di morti e dispersi in mare».

Sempre a proposito di proporzioni poi ci sarebbe da capire perché le eventuali (gravi) responsabilità penali di Salvini quando fu ministro e lasciò alla deriva le navi delle Ong debbano infiammare più di questo spaventoso numero di morti che sembra non avere responsabili. Forse anche il centrosinistra, se vuole davvero occuparsi di diritti umani e non solo di dialettica politica, dovrebbe avere il coraggio di ripartire da qui.

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Siete nudi e applaudite?

La Rai lottizzata dalla politica fa schifo. La repressione del diritto di espressione di un artista fa schifo, soprattutto quando non ci si prende nemmeno la responsabilità di farlo alla luce del sole ma si usano parole oblique come “contesto”, come “sistema” e come “opportunità” senza nemmeno avere il coraggio di dire “noi preferiremmo non esporci”. Almeno sarebbe stato coraggioso da parte della Rai, almeno quello, almeno riconoscere che in Rai il primo grande talento E mica solo in Rai, anche in certi ambienti, in certe aziende, in certe fabbriche perfino nel mondo editoriale e teatrale, posso confermarvi.

Però questo centrosinistra che applaude Fedez senza accorgersi che è stato smutandato anche lui un po’ mi lascia perplesso. Posso scriverlo o si offende qualcuno? Perché sulla legge Zan sono molti che per non disturbare il proprio elettorato moderato (nel centrosinistra ci sono vagonate di politici convinti di avere vagonate di voti moderati) hanno preso la strada della tiepidezza senza mai dirci esattamente come la pensino. E accade per tutti le leggi che questi reputano “divisive” (e nel corso degli anni è diventato perfino divisiva la Liberazione, tanto per dire quanto sia pericoloso questo giochetto) che quelli che dovrebbero combattere i bigotti, gli omofobi, i razzisti in realtà non riescono a essere più che tiepidi.

È la politica che dovrebbe assumersi la responsabilità di un servizio televisivo pubblico che sia libero, è la politica che dovrebbe avere la responsabilità di condannare la marcia e intollerabile campagna omofoba che circola contro gli oppositori della legge Zan, è la politica che dovrebbe fare diventare “pop” gli argomenti di Fedez. Se Fedez non è un semplice testimonial ma diventa addirittura un apripista significa che qualcuno quella strada non l’ha segnata e avrebbe dovuto farlo, no?

Applaudire senza accorgersi di essere tra gli scoperchiati è piuttosto comodo e facile. Siete nudi e applaudite? Dai, su, rivestitevi e fate il vostro dovere. In Parlamento e fuori.

Buona domenica.

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Draghi, Lega, ddl Zan: il male non è fare politica al Primo Maggio ma i partiti che controllano la Rai

Le domande giuste e le domande sbagliate, a prima vista, sembrano sempre più o meno la stessa cosa. La differenza è che le domande sbagliate di solito vengono poste per non ottenere risposte, ma per aumentare la polvere e la schiuma e inevitabilmente per ottenere più coinvolgimento. Più dibattito confuso, più viralità, più clic, più introiti pubblicitari e più popolarità.

Le domande sbagliate sono quelle che oggi si attorciglieranno su Fedez, come in una guerra tra galli in cui si chiede di parteggiare per il cantante o per Salvini, con Fedez o con la Rai, e infatti già scivolano le battute sulla Lamborghini, sui soldi, perfino sulla pubblicità visibile del marchio del suo cappellino.


Le domande giuste, invece, sarebbero da porre alla politica tutta, a destra e a sinistra, su un sistema che ottunde, ammortizza, diluisce tutto quello che deve passare in televisione, sulla televisione pubblica italiana, non tanto per censura ma più per una sorta di autocensura che tiene in piedi il carrozzone dell’informazione italiana in cui il primo obiettivo è quello di non incrinare relazioni che valgono molto più delle competenze per la propria carriera in Rai.

Qualcuno fa notare che non c’è stata censura poiché Fedez ha potuto comunque parlare [qui il testo integrale del suo discorso] ma si dimentica di osservare la cappa che sta sulla testa di quelli che, senza i mezzi e senza la potenza di fuoco, invece, non arrivano nemmeno allo scontro e si allineano.

Uscendo dalla diatriba tra Fedez e gli altri, allora, rimangono due punti fondamentali. Primo: che la televisione pubblica e la politica si siano adagiati su questa abitudine vigliacca di credere che i diritti vadano celebrati senza essere esercitati è la fotografia perfetta di un Paese senza coraggio.


Il Primo Maggio è la festa dei diritti ed è doveroso, ognuno secondo le proprie idee, esercitare e reclamare diritti. Altrimenti chiamatelo concerto e non ammantatelo di altri significati.

Secondo: che la politica ogni volta, ciclicamente, faccia finti di stupirsi di quel mostro che è la Rai, che la politica stessa ha creato, è un’ipocrisia intollerabile. Quello che accade a Fedez accade ai conduttori, ai giornalisti, ai collaboratori (ancora di più).

Un’azienda che ha dirigenti il cui merito è sempre quello di essere “diligenti” più che capaci è ovvio che vada a finire così e la responsabilità è tutta politica, è tutta della politica. Questa scena dei piromani che si disperano per l’incendio ce la potreste anche risparmiare, almeno per il gusto della verità e della dignità.

L’articolo proviene da TPI.it qui

Il sottosegretario dei migliori

Fanpage in una sua inchiesta che (c’è da scommetterci) difficilmente passerà nei telegiornali nazionali racconta la transizione politica dell’attuale sottosegretario all’Economia Claudio Durigon, uno dei fedelissimi di Salvini (e infatti per niente amato dalla Lega vecchia maniera). Ve lo ricordate Matteo Salvini quando tutto fiero presentava i suoi uomini nel governo Draghi? «Questo è il governo dei migliori?» gli chiese una giornalista e lui rispose «certo questi sono gli uomini migliori della Lega».

Bene, eccolo il migliore: come racconta benissimo Fanpage, Durigon è uno che avrebbe gonfiato i dati degli iscritti del sindacato Ugl di cui era dirigente, riuscendo a dichiarare 1 milione e 900mila iscritti mentre erano (forse) 70mila. Sapete che significa? Che stiamo continuando a parlare di una rappresentatività dopata che non esiste nella realtà (questo anche a proposito del nostro Buongiorno di ieri sulla sparizione del salario minimo dal Pnrr, su cui torneremo). Durigon da sindacalista ha avuto piena gestione sulla cassa da cui potrebbero essere passati i movimenti che la Lega non era libera di fare per quella storia dei suoi 49 milioni di euro. Durigon ha fatto prostituire un sindacato (pompato) alla Lega per ottenere qualche candidatura. Poi ci sono le amicizie che sfiorano certa criminalità organizzata nel Lazio (ma i lettori più attenti lo sapevano da tempo che certi clan hanno fatto campagna elettorale nel Lazio per Lega e Fratelli d’Italia) e infine c’è quella registrazione vergognosa in cui Durigon tutto sornione confida di non avere nessuna preoccupazione sulle indagini sui soldi della Lega perché il generale della Guardia di Finanza che se ne occupa è un uomo che hanno “nominato” loro: «Quello che fa le indagini sulla Lega lo abbiamo messo noi»

Tutto grave, tutto gravissimo. Tra l’altro fa estremamente schifo anche questo atteggiamento di politici con il pelo sullo stomaco che ancora si atteggiano come i peggiori politici socialisti, i peggiori unti democristiani che sventolavano il potere come se fosse un mantello, per piacere e per piacersi. Fa schifo questa esibizione dello scambio di favori. Fa schifo tutto.

Fa schifo anche Salvini che ieri alla Camera ha risposto ai rappresentanti del M5s che sottolineavano l’inopportunità di un tizio del genere come sottosegretario mettendosi a parlare di Grillo. Il solito gioco da cretini di buttare la palla in tribuna. Il solito Salvini. Se posso permettermi è parecchio spiacevole anche il composto silenzio del Pd che vorrebbe rivendere il poco coraggio come diplomazia. Siamo alle solite.

C’è però anche un altro punto sostanziale: della vicinanza tra Durigon e uomini della criminalità organizzata durante la sua campagna elettorale ne avevano scritto un mese fa Giovanni Tizian e Nello Trocchia su Domani, degli intrecci mafiosi su Latina ne scrivono da anni dei bravi giornalisti chiamati con superficialità “locali” e che invece trattano temi di importanza nazionale. Sembra che non se ne sia mai accorto nessuno e questo la dice lunga sulla percezione che in questo Paese si continua ad avere della criminalità organizzata. Anche questo fa piuttosto schifo.

Buon venerdì.

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Strage in mare: 130 naufragi in difficoltà da giorni, ma con le Ong lontane gli Stati hanno fatto finta di niente…

Il fatto è che ormai questi morti non pesano più, sono battute, qualche centinaio di battute che finiscono sulle pagine dei giornali, quando va bene in una notizia che è poco di più una semplice “breve”, oppure farciscono un lancio di agenzia. Perfino quelli che (giustamente) ogni giorno provano a sottolineare i quintali di carne morta per Covid non riescono ad avere la stessa attenzione per i morti nel Canale di Sicilia. Lì abbiamo deciso che “devono” morire, che “possono” morire, come se davvero nel 2021 potesse esistere una parte di mondo che preveda ineluttabile l’annegamento, va così, ci si dà di gomito, ci si intristisce di quel lutto passeggero che si dedica alle notizie di cronaca nera e quelli non esistono più, non erano nemmeno vivi prima di essere morti, quelli che attraversano il Mediterraneo esistono perfino di più quando sono cadaveri che galleggiano nel mare.

130 migranti morti, 3 barconi messi in mare dai trafficanti libici e tre navi commerciali (lì dove ci dovrebbero essere le autorità coordinate dall’Europa) a deviare dalle loro rotte per provare ad evitare il disastro che non è stato evitabile. “Gli Stati si sono opposti e si sono rifiutati di agire per salvare la vita di oltre 100 persone. Hanno supplicato e inviato richieste di soccorso per due giorni prima di annegare nel cimitero del Mediterraneo. È questa l’eredità dell’Europa?”, dice la portavoce dell’iim, l’organizzazione dell’Onu per i migranti, Safa Mshli ma anche le parole dell’Onu ormai pesano niente, sono una litania che si ripete regolarmente e che non scalfisce quest’Europa che riesce a passarla sempre liscia. Anche dal punto di vista giudiziario sorge qualche dubbio, pensateci bene: le Procure che rinviano a giudizio Salvini non si accorgono (o non si vogliono accorgere?) Delle responsabilità dell’Europa?

Perché questi non rimangono nemmeno sequestrati, questi muoiono, annegano, galleggiano sul mare e vengono recuperati senza nemmeno uno straccio di qualche fotografia di cronaca. Sopra a quei tre gommoni di gente viva che poi è morta sono perfino transitati perfino velivoli di Frontex eppure non è scappato nemmeno un messaggio di allerta alla cosiddetta Guardia costiera libica che ha pensato bene di non inviare nemmeno una delle motovedette (che le abbiamo regalato noi). Troppa fatica. Quando i morti cominciano a non valere più niente allora ci si può permettere di lasciare morire e forse un giorno ci interrogheremo sulla differenza tra lasciare morire e uccidere, forse un giorno decideremo, avremo il coraggio di riconoscere, che questa strage ha dei precisi mandanti e dei precisi esecutori.

“Quando sarà abbastanza? Povere persone. Quante speranze, quante paure. Destinate a schiantarsi contro tanta indifferenza”, dice Carlotta Sami, portavoce dell’alto commissariato per i rifugiati e il dubbio è che ormai non sarà più abbastanza perché quando si diventa impermeabili ai morti allora quelli aumenteranno, continueranno a morire ancora di più, continueranno a cadere e intorno non se ne accorgerà nessuno. Centotrenta persone annegate. Le autorità dell’Ue e Frontex sapevano della situazione di emergenza, ma hanno negato il soccorso. La Ocean Viking è arrivata sul posto solo per trovare dieci cadaveri: è un’epigrafe che fa spavento ma che non smuove niente.

Sono passate due settimane da quando il presidente del Consiglio Mario Draghi ha ringraziato la guardia costiera per i “salvataggi” e quando qualcuno si è permesso di ricordare che in Libia e in quel tratto di mare mancano completamente tutti i diritti fondamentali i sostenitori del governo si sono perfino risentiti. E la storia di questo annegamento, badate bene, non è nemmeno un incidente: comincia mercoledì alle ore 14.11 con il primo allarme e si è conclusa il giorno successivo alle 17.08 con una mail di Ocean Viking che comunicava di avere trovato “i resti di un naufragio e diversi corsi, senza alcun segno di sopravvissuti”. Nessuna motovedetta libica all’orizzonte. Lì sono annegati loro ma in fondo continuiamo ad annegare anche noi e la cosa mostruosa è che ci siamo abituati.

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Papeete 2 la vendetta: Salvini contro il suo stesso Governo. Ma ormai nella Lega nessuno lo capisce più

È il solito Salvini, solo che non funziona più. L’uomo che fingeva contemporaneamente di essere di lotta e di governo, quello che già nel primo governo Conte faceva il ministro agli Interni e intanto picconava l’esecutivo di cui faceva parte ora riprende la stessa solfa con Mario Draghi prendendosi già una mezza porta in faccia e innervosendo non poco i suoi ministri.

Cerca di tenere in bilico le sue troppe facce, telefona a Draghi per ribadirgli fiducia ma poi ordina ai suoi ministri (piuttosto stanchi di stare al guinzaglio, come dicono anche le voci dentro al partito) di non votare le stesse decisioni che erano state prese in cabina di regia.

Solo che Draghi non casca nel trabocchetto e anzi bacchetta il leader della Lega. “Gli accordi si rispettano”, ha detto il Presidente del Consiglio, come se non fosse chiaro proprio dalla biografia di Salvini che la sua carriera politica sia tutta incentrata proprio sulle giravolte. 

Lui continua con la sua solita cantilena riscaldata, parla di “buonsenso” e finge di occuparsi davvero dei temi quando è solo piegato sulla sua visibilità e sul suo bacino di voti.

Ma intanto crolla.

Crolla nei sondaggi: l’ultimo rilevamento segna la perdita di quasi un punto percentuale (0,8% solo nell’ultima settimana) mentre Giorgia Meloni ha gioco facile nell’accogliere in Fratelli d’Italia la fetta di voti di quell’ala “dura” contraria alla strategia della precauzione e delle chiusure.

Salvini crolla nella credibilità all’interno del suo stesso partito: ieri i ministri Giorgetti e Garavaglia non hanno proferito parola durante il Consiglio dei ministri, niente di più del mettere a verbale la propria astensione con molto imbarazzo. I presidenti di regione leghisti faticano a contenere il malcontento e non si sentono appoggiati dal loro segretario. Nella Lega, Salvini non piace all’ala governativa (che lo accusa di scorrettezza istituzionale) e nemmeno all’ala più estrema che lo accusa di non avere il coraggio di uscire dal governo.

Salvini crolla con i suoi elettori che ormai lo accusano apertamente di un doppio gioco che è sotto gli occhi di tutti: l’hanno mollato prima i ristoratori e poi le altre categorie in difficoltà.

Salvini crolla nel centrodestra con Giorgia Meloni in forte ascesa e Forza Italia che non ne sopporta più le bizze.

E se ci pensate bene riesce ancora una volta a inquinare un dibattito (come quello sull’orario di coprifuoco) che meriterebbe invece di essere affrontato con serietà.

È il confusionario Salvini del Papeete, anche se le spiagge sono ancora chiuse.

Leggi anche: Salvini contro i vaccini ai detenuti in Campania e Lazio, ma dimentica che va così anche nelle Regioni leghiste

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I “migliori” dittatori

Abbiamo bisogno dei dittatori. Anzi, «con questi chiamiamoli dittatori bisogna essere franchi nell’espressione della visione della società ma pronti a cooperare per gli interessi del Paese. Bisogna trovare l’equilibrio giusto». Lo ha detto sornione in conferenza stampa il presidente del Consiglio Mario Draghi, con la levità con cui si potrebbe parlare di un bilancio aziendale o dei tassi d’interesse di un prestito che si sta contrattando. Del resto la nuova politica, anche quella dei “migliori” che stanno al governo, ritiene i diritti una delle componenti che concorrono all’economia, sono riusciti a derubricare principi che dovrebbero essere il prerequisito di ogni democrazia – almeno una volta qualcuno aveva il coraggio di dire che doveva essere così – a uno dei capitoli di bilancio che concorrono all’affidabilità economica di uno Stato.

La chiamano realpolitik e la rivendono come illuminazione necessaria per riuscire a stare nello scacchiere internazionale, ma se riuscissimo a svestire questa bieca mentalità da tutte le sovrastrutture ne rimarrebbe semplicemente la vigliaccheria di chi ritiene la libertà e la democrazia due narrazioni da rimpolpare con dichiarazioni e con buone intenzioni. Tutto qui.

E infatti notatelo: rispetto all’avventatezza con cui Salvini o Meloni addirittura professano il proprio appoggio al dittatore di turno indicandolo come alto esempio di sovranismo, Mario Draghi è sempre pronto a condannare, a parole, mettendoci perfino un po’ di sdegno simulato ma senza nessuna concessione ai soldi che non devono essere condizionati, mai.

Non c’è differenza tra il “realismo” di Draghi rispetto al “buon senso” di Matteo Salvini, sono entrambi rifugi dove potere appoggiare una visione di mondo senza sentirsi in dovere di spiegarla.

Forse è anche per questo che per giorni si è discusso dell’…

*

“Zaki”, illustrazione di Clara Imperiale, Officina B5

L’articolo prosegue su Left del 23-29 aprile 2021

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Rifugiati, dove è la crisi? L’Italia ultima nell’accoglienza tra i big d’Europa

Sono piccoli dettagli ma torneranno presto a essere argomenti. Mario Draghi ha parlato poco, pochissimo, quasi niente di immigrazione se non in una sua replica al Senato lo scorso 17 febbraio e di sfuggita in qualche suo discorso con la solita retorica di un sovraccarico di rifugiati che pesa sull’Italia, eppure appena si placherà la discussione sulla pandemia la politica nostrana si incaglierà ancora lì, c’è da scommetterci. Matteo Salvini, parlando del suo rinvio a giudizio a Palermo per il caso della nave Open Arms, ha già messo il tema sul tavolo annunciando la sua intenzione di confrontarsi con la ministra Lamorgese per “cambiare registro”.

Draghi per formazione professionale e per forma mentis dovrebbe essere un uomo che ragiona sulla base dei numeri e allora conviene ripassarle le cifre di una crisi che non esiste: in Italia ci sono 3,4 rifugiati ogni 1000 abitanti, in Svezia sono 25 ogni 1000, 134 in Germania e 6 in Francia. Queste sono le proporzioni, tanto per capire di cosa stiamo parlando. I dati sono contenuti in una ricerca pubblicata da Eurostat che si riferisce alle richieste di asilo nei Paesi europei nel 2020 e il risultato piuttosto sorprendente rispetto alla retorica da cui siamo circondati dice che l’Italia, con 26.535 domande, sia addirittura all’ultimo posto nell’accoglienza di migranti tra gli Stati più grandi, perfino dietro alla Grecia che, nonostante abbia una popolazione pari a un sesto dell’Italia (e un Pil pari a un decimo del nostro) ha ricevuto 40.560 domande nell’anno appena passato.

La Germania, ad esempio, che viene indicata spesso in Europa come la nazione che “scarica” i rifugiati sugli altri Paesi mettendoli in difficoltà, è la meta privilegiata dei migranti in Europa avendo ricevuto il 20% delle richieste totali. Seguono Francia e Spagna, rispettivamente con 93.475 e 88.525 rifugiati, mentre il Regno Unito con 31.410 domande si pone alle spalle della Grecia e precede l’Italia. Se teniamo conto delle dimensioni dei Paesi risultano sorprendenti anche i dati di Belgio, Svezia e Olanda che hanno circa 15.000 domande ciascuno, sono 13.640 per l’Austria e 11.540 per la Svizzera. Cipro, con una popolazione totale che non raggiunge i 900 mila abitanti ha ricevuto 7.000 richieste di asilo.

Ma se rapportiamo il numero di richieste al numero di abitanti la situazione diventa ancora più lampante: per l’Italia siamo allo 0,04% rispetto allo 0,14% di Svizzera e Francia, lo 0,15% di Germania, Belgio, Austria e Svezia, lo 0,19% della Spagna, lo 0,37% della Grecia e addirittura lo 0,79% di Cipro. L’Italia insomma è uno dei Paesi europei che nel 2020 ha accolto meno richiedenti asilo. Sono numeri da tenere portata di mano, appuntarsi su un foglio da tenere in tasca, almeno per evitare le intossicazioni di un tema che non riesce mai ad essere discusso senza diventare bieca propaganda. E di sicuro il presidente del Consiglio, che da sempre usa i numeri per costruire la sua visione di mondo, non cadrà nella tentazione di valutare un’emergenza in base al volume degli strilli. Speriamo.

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