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rassegna stampa politica

Da IteNovas: A Macomer magistrale lezione di legalità con Giulio Cavalli

IMG_4284Giulio Cavalli ospite a Macomer per la XII edizione della Mostra del Libro, ha raccontato le mafie che logorano il nostro paese.

E’ stato un susseguirsi di nomi e cognomi, alcuni molto noti altri meno, altri ancora sconosciuti quelli attraverso i quali Giulio Cavalli, ospite ieri sera aMacomer per la XII edizione della Mostra del Libro, ha raccontato le mafie che logorano il nostro paese e si sono impadronite del Nord Italia.

E’ stato poi un susseguirsi di silenzi tragici e risate fragorose a fare da corollario al monologo di oltre un’ora che ha raccontato di “uomini di onore” e nuovi mafiosi in giacca e cravatta, di prefetti corrotti e politici indagati, ma anche e soprattutto dell’impegno costante di chi alle mafie non si arrende e le combatte quotidianamente. Uno fra tanti il magistrato Bruno Caccia, ucciso a Torino dalla ‘ndrangheta per le sue indagini ‘troppo concentrate’ sulle attività illegali sviluppatesi in Piemonte.

Come il giullare del ‘500, che incarna la verità del folle, che parla e diffonde verità occulte col rischio di finire impiccato, Giulio Cavalli percorre i teatri di tutt’Italia, scortato e minacciato di morte perché racconta verità scomode per tanti, con l’unica arma a sua disposizione: la forza della parola e del sorriso.

Dopo il lungo monologo, la serata dedicata alla “civiltà letteraria” si conclude con un breve dialogo tra Cavalli e lo scrittore Gianni Biondillo, dove l’attore con ironia racconta della sua esperienza di consigliere regionale di opposizione sotto la giunta Formigoni. A fine spettacolo un pubblico ammutolito, frastornato dalle risate amare ha lasciato la sala del padiglione Filigosa con molti spunti su cui riflettere.

Giulio Cavalli vive a Roma, nel 2009 è stato ricevuto dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitanoche gli ha espresso solidarietà per la vita sottoscorta a causa delle minacce ricevute da cosche mafiose, che si sono ripetute anche di recente. Attore, regista, scrittore, le sue denunce da autore e da consigliere regionale (eletto come indipendente con Idv e poi passato a Sel) gli sono valse una minaccia costante alla sua vita e a quella dei suoi familiari, con gravi avvertimenti subiti anche di recente, da lui sempre puntualmente e coraggiosamente raccontati in pubblico.

Tra i suoi libri, Linate 2001: la strage, Nomi Cognomi e Infami e, nel 2012, “L’innocenza di Giulio”, sui rapporti tra Giulio Andreotti e la mafia.

(da IteNovas.com)

Bindi all’Antimafia/ Cavalli ad Affari: una conoscenza del tema sarebbe stata preferibile

da AFFARITALIANI

“Credo che la classe dirigente dovrebbe essere l’espressione migliore di una certa professionalità sul tema, in questo caso della lotta alla mafia. E non voglio per forza dire una preparazione specifica, ma almeno una certa sensibilità”. Giulio Cavalli, attore e politico impegnato da anni nella lotta alla mafia, commenta con Affaritaliani.itla nomina di Rosy Bindi alla presidenza della Commissione antimafia.

E sulle fratture tra Pd e Pdl è pessimista: “Non mi sembra che questa nomina nasca sotto i migliori auspici. Il fatto che nasca in queste condizioni, con questa frantumazione politica e così tardi non è un buon segnale. Se le larghe intese sull’economia non si trasferiscono nella lotta al crimine organizzato sono una barzelletta”.

Il dubbio sulla professionalità resta: “La Bindi so che ha servito molto bene le salamelle all’ultima festa dell’Unità. E’ il sogno americano: parti vendendo panini e arrivi a presiedere la Commissione antimafia”. E sul probabile avvallo di Matteo Renzi alla nomina aggiunge: “Ho la sensazione che in termini congressuali stiano salendo molti sul carro di Renzi e che trovino le porte sempre belle aperte”.
Di Tommaso Cinquemani
twitter@Tommaso5mani

Giulio Cavalli: “L’antimafia si fa con la buona amministrazione, non con gli attori teatrali o gli scrittori”

In occasione della chiusura del programma “In viaggio con la Mehari”, tenutosi al Pan di Napoli, intervenuto l’attore Giulio Cavalli, sotto scorta per il suo impegno antimafia e di recente minacciato per l’ennesima volta, con il ritrovamento di una pistola carica nel giardino antistante la sua casa di Roma.

L’appuntamento a cui hai partecipato serve a ricordare Giancarlo Siani, giornalista ucciso dalla camorra nel 1985. Quanto è importante ricordare figure come la sua e quelle delle altre vittime di mafia?
“L’importante è che sia un ricordo vivo, quindi che sia un’azione. Secondo me il paradigma di Giancarlo Siani è tutto nel voler analizzare, e non solo indignarsi, di fronte al fenomeno camorra, e quindi studiarlo, e soprattutto semplificarlo per renderlo fruibile a tutti. Oggi servirebbero cento Giancarlo Siani per far sì che la mafia e l’antimafia non rischino di diventare degli argomenti troppo endogamici, troppo intellettuali e poco fruibili”.

Quanto è importante, secondo te, il riutilizzo dei beni confiscati?
“Bisognerebbe aprire il dibattito e riconoscere che l’agenzia nazionale dei beni confiscati non funziona. Riconoscere che finché non risolviamo i problemi dei rapporti con gli istituti bancari, e le colpe degli istituti bancari, su eventuali mutui sui beni confiscati. E ci vorrebbe un po’ meno buonismo e più sana amministrazione. L’antimafia si fa con una buona amministrazione. Non si fa con gli attori teatrali o con gli scrittori. L’importante è non vendere i beni confiscati e io spero che ancheRoberto Saviano si ravveda quanto prima su questo“.

Lo scorso 5 ottobre saresti dovuto essere a Napoli, al Nuovo Teatro Sanità, per il tuo spettacolo “L’innocenza di Giulio. Andreotti non è stato assolto”. Appuntamento saltato per l’ennesima minaccia ricevuta. Quanto è importante, in questo Paese, il teatro civile?
“È importante per la mia piccolissima e umilissima parte. Un Paese non si salva con gli scrittori civili. Non si salva con gli attori civili. Questo è un Paese che si salva con i contadini civili, la mamme, i fratelli maggiori. Non credo che ci sia un’arma più potente delle altre. Credo che ci debba essere una rete. Forse quello che lascia perplessi è che la criminalità è molto organizzata, mentre l’antimafia molto meno”.

La criminalità è molto organizzata anche perché molto spesso va a braccetto con la politica?
“Un altro passo importante sarebbe quello di smetterla di dividere i buoni e i cattivi in un mondo in cui le zone di grigio sono tantissime. Le semplificazioni le trovo sempre pericolose. La magistratura e le istituzioni buone. I mafiosi cattivi. Tutto quel mondo che c’è in mezzo è quello che a me spaventa molto di più. A me fa molto più paura un prefetto inconsapevole che uno ‘ndranghetista armato”.

Tu dicevi che spesso l’antimafia e poco organizzata. A volte, è più un’antimafia di facciata. Cosa ne pensi?
“Due cose mi preoccupano. Una è l’antimafia che non fa nomi, ed è un’antimafia con troppa buona educazione, che non mi appartiene e non fa per me. La seconda è che noi siamo abituati a degli ambienti antimafiosi che sono solidali solo con i propri sodali, e antropologicamente questa è proprio la solidarietà tipica del clan. Serve un’antimafia un po’ più aperta, senza padroni, più libera, nel senso vero della parola”.

Passando al teatro. Dove ci sono i giovani con maggiori prospettive in questa professione?
“Io penso che la vitalità di questo Paese dal punto di vista teatrale sia tutta nel sud. Lo raccontano anche i successi di questi ultimi anni. Penso alla vitalità della Puglia, alla vitalità stessa della Campania. Ci sono solo due categorie che ascoltano solo quando si parla di loro: gli attori e gli antimafiosi. Quindi puoi immaginare un attore antimafioso come sia pericoloso al cubo”.

(dall’huffington post)

Da Brescia le parole senza democristiana educazione

Sarà che ogni tanto credo si debba essere rissosi e maleducati, nel senso molto terso della buona educazione tutta democristiana che vorrebbero imporci. Sarà che ho sempre voluto bene ai ragazzi della Rete Antimafia della Provincia di Brescia perché come tante altre associazioni antimafia è stata osteggiata sul nascere (anche da “altissimi” antimafiosi) per la loro bella abitudine di fare nomi e cognomi e di sfanculare mafiosi di centrodestra e di centrosinistra, ma questo loro post me lo stampo, lo piego e lo tengo in tasca con affetto, nonostante le troppe parolacce:

Io sono nato e cresciuto a Brescia, e a Brescia c’é la mafia. E se la mafia in Lombardia non si é impossessata della regione,  se comunque abbiamo un barlume di civiltà e di speranza è grazie ad un gruppo di persone che si é opposto.
Lo sapete perché queste persone mi mettono in crisi? Perché non sono dei Santi, sono fatti di carne e di ossa esattamente come me. Hanno dei pregi e sicuramente dei difetti, esattamente come me. Io spesso incontro gente che è sotto scorta perché è nel mirino della mafia, e può capitare che queste persone siano egocentriche, paranoiche, orgogliose, vanitose, fissate con il sesso, testarde, ritardatarie, egoiste, presuntuose, ingrate, stronze. Insomma può capitare che abbiano tutti o qualcuno dei difetti che posso avere io. Ed è questo quello che mi mette in crisi: che sono esattamente come me, che quello che hanno fatto loro potrei farlo anche io. Quanto farebbe bene alla mia coscienza se fossero dei Santi del Paradiso, ma nonostante siano come me, loro sono quelli che fanno il lavoro sporco al posto mio.
Pensare che una persona in prima fila nel combattere la mafia debba necessariamente anche avere il carattere di San Francesco forse è da ingenui. Se un giornalista scrive di mafia io non mi chiedo perchè scriva di mafia, non mi chiedo se così abbia avuto più successo con le ragazze, non mi chiedo se così si sia arricchito, io mi chiedo se quello che scrive sia vero, mi chiedo se quello che scrive dia fastidio alla mafia, mi chiedo se leggendolo la mia conoscenza e la mia coscienza siano migliorate.
Io mi sono rotto i coglioni di aspettare che una persona venga ammazzata prima di rivalutarla. Sarò ingenuo, ma ho visto troppa gente a casa mia disprezzata in vita ed apprezzata in morte, e così,  ingenuamente, sosterró tutti coloro che sostengono che la mafia, la camorra, la ndrangheta, la sacra corona unita e la stidda debbano essere non tollerate, ma sconfitte, e per fare questo mettono in gioco la loro vita. E le ascolterò anche se eventualmente saranno egocentriche, paranoiche, orgogliose, vanitose, fissate con il sesso, testarde, ritardatarie, egoiste, presuntuose, ingrate o stronze.

E’ tutto qui.

Mafia? Il sonno di Roma

Da Repubblica

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La video-intervista dell’attore e regista lombardo Giulio Cavalli che racconta la sua vicenda e spiega come la criminalità organizzata abbia messo radici anche nella capitale. Dalla scorsa estate l’attore ha scelto di vivere a Roma e da poco è rimasto vittima di una nuova intimidazione: una pistola, con un colpo in canna e la matricola abrasa, è stata ritrovata nei pressi del giardino della sua abitazione. Questa mattina, un nuovo agguato in città: un imprenditore di 74 anni, proprietario di terreni, golf club e gestore di una discarica, è stato ucciso in strada a Casal Palocco.

 

Cavalli: «Mafia, i lodigiani si sveglino»

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Cavalli: «Mafia, i lodigiani si sveglino»
(29 settembre 2013 da ILCITTADINO)

Ha voluto togliersi qualche sassolino dalla scarpa Giulio Cavalli, l’attore, regista, scrittore e politico impegnato contro la criminalità organizzata, in occasione dell’incontro al Circolo Arci 1°Maggio di Lodi Vecchio, venerdì sera per la presentazione del libro «L’innocenza di Giulio» (edito da Chiarelettere) in cui Cavalli tira le fila del processo Andreotti. Sulla scia del blitz contro la mafia che ha portato ad arresti e denunce anche nel Lodigiano, lo scrittore ha fatto tra l’altro nomi e cognomi di indagati del territorio, ha raccontato numerosi episodi che sono indiscutibilmente sintomo di come il Lodigiano sia un territorio inquinato dalla criminalità organizzata (basti pensare alle vicende legate a “Italia 90”). «Qualcuno mi dovrà delle scuse, dicevano che a Lodi non esisteva la mafia, che io ero un visionario. Oggi sono qui mentre due collaboratori di giustizia, di cui uno è Luigi Bonaventura (ospitato il 5 maggio scorso all’Arci di Lodi Vecchio per raccontare le sua storia, n.d.r.) stanno raccontando al magistrato il piano che avrebbe dovuto uccidermi. Il problema è di avere intorno una città che si accorge di quello che succede e prova a chiedere spiegazioni, occorre fare un patto sociale: chi non vede la mafia non è in grado di gestire il nostro territorio, oppure è un colluso». Cavalli cita molti esempi: «Ricordo con molto fastidio Lodi che accoglie un imprenditore che si compra numerosi bar del centro, e non si capisce come abbia costruito una ricchezza così velocemente. Arricchirsi non è reato, ma un po’ di attenzione e sensibilità degli atteggiamenti istituzionali nei confronti di figure che non appaiono limpide è obbligatorio». Cavalli ha poi lanciato un appello a istituzioni e cittadini: «L’impegno è prendere una posizione chiara contro le infiltrazioni mafiose. Occorre non essere indifferenti, sapendo che decidere di scendere in battaglia non significa riconoscere di essere un territorio inquinato, ma dichiarare da che parte stare». Cavalli ha anche chiesto che gli amministratori pubblici rispettino il confine «tra mediazione e compromesso».

Sonia Battaglia

Cavalli: «Avevo segnalato 3 anni fa le situazioni oggi venute a galla»

Intervista rilasciata a ILCITTADINO

«Chi si ostina a rivendicare che la mafia nella propria città o nel proprio paese non esiste, o è un ebete o è un colluso». Non usa mezzi termini Giulio Cavalli, attore e autore antimafia lodigiano, anche direttore artistico del Teatro Nebiolo di Tavazzano, dove ha ricevuto le prime minacce dalla criminalità organizzata e dove ieri è stato effettuato uno degli arresti “lodigiani” della maxi operazione antimafia della Direzione distrettuale antimafia di Milano. «Avevo parlato già nel 2009 in un incontro pubblico della cooperativa di facchinaggio di Cinzia Mangano e qualcuno se l’era anche presa – ha sottolineato ieri a “il Cittadino” l’autore lodigiano, che vive sotto scorta – : quella di ieri è un’operazione importante per diversi motivi. In primis perché dalla carte emerge che a Cinzia Mangano bastava pronunciare il suo cognome per intimidire e questa è una fantastica novità dal punto di vista della mafia e dell’antimafia. Porgere il cognome per “oliare” meccanismi industriali ed economici, dimostra che anche la regione Lombardia ha già un perfetto substrato paramafioso». Cavalli poi si concentra sulle condizioni di lavoro delle cooperative, «che vengono definite animalesche: questo dimostra che in alcuni settori c’è una latitanza non solo delle forze dell’ordine, ma anche dei sindacati lombardi che dovrebbe aprire una riflessione». Poi c’è il tema della diffusione del sistema delle connivenze nella realtà economica locale. «Il fatto che gli arresti siano stati effettuati in luoghi diversi ha un peso – chiude l’attore ed autore lodigiano – : significa che chiunque si ostini a rivendicare che la mafia nella propria città, o nel proprio paese, non esiste, o è un ebete o è un colluso. In entrambi i casi, inadatto al ruolo che riveste come amministratore. Ora la domanda è: siccome continuiamo a premere sulla politica perché ci sia consapevolezza delle infiltrazioni della malavita, il nostro territorio – dal punto di vista di forze dell’ordine e istituzioni – è pronto ad avere coscienza del problema e ad affinare la sensibilità? Oltre ad un minacciato ed un mafioso arrestato, in un comune deve cadere una bomba atomica per mettere in allarme?».

(Rossella Mungiello)

Da LINKIESTA: Giulio Cavalli e gli «amici politici» delle cosche

L’articolo di Luca Rinaldi per LINKIESTA:

Le parole dei collaboratori di giustizia, per quanto dichiarati affidabili dalla magistratura, sono sempre da prendere con le molle. Il passo da fare è quello di verificarle e di chiedere conto a coloro che sono tirati in ballo dalla dichiarazioni dei cosiddetti “pentiti”. Ecco, appurato che verificare i riscontri alle parole dei collaboratori è in primis un compito che spetta a magistratura e investigatori, chissà cosa avrà da dire la politica lombarda sulle ultime dichiarazioni del collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura.

Bonaventura non si è mai fatto mancare l’aspetto mediatico sulla sua vita da pentito “usato, abbandonato e sotto tiro” e l’attendibilità delle sue dichiarazioni è stata più volte riscontrata. Nelle ultime settimane il collaboratore di giustizia affiliato alla cosca Vrenna di Crotone ha rilasciato più di una intervista al sito Fanpage in cui la ‘ndrangheta avrebbe progettato di far tacere in qualche modo l’attore, regista e autore teatrale, nonchè ex consigliere regionale della Lombardia Giulio Cavalli. Uno che di mafia in Lombardia parlava nei suoi spettacoli quando il tema era ancora tabù e che per questo motivo finì sotto scorta nel 2009.

Insomma, Giulio Cavalli, come ripete anche Bonaventura era uno “scassaminchia” e come tale minacce e intimidazioni erano per lui diventate compagne terribili. Nel 2010 si candida alla Regione Lombardia e viene eletto come consigliere regionale, negli stessi periodi in cui i cittadini lombardi (ri)scoprono di avere la mafia in casa e anche in politica. Una politica che non disdegna di elemosinare voti agli appartenenti alle organizzazioni criminali, che di certo non ce l’hanno scritti in fronte, ma che, per citare Ilda Boccassini, basterebbe fare una ricerca su Internet per avere notizie sul loro conto.

Nelle intervista rilasciate a Fanpage Bonaventura parla prima di un progetto per mettere Cavalli a tacere da parte del clan dei De Stefano, tra i clan che comandano in Calabria e anche in Lombardia, e in ultimo lo stesso collaboratore di giustizia aggiunge che «la politica lombarda sosteneva la ‘Ndrangheta». Frase un po’ ad effetto, che non condita da nomi e cognomi dice tutto e niente. «Questa qui è anche la volontà di amici nostri politici», riferisce Bonaventura usando le parole dei De Stefano.

Circostanze dunque tutte da verificare, ma che non stupirebbero nemmeno poi più di tanto: il pentito glissa su nomi e area politica «su questa domanda preferisco non rispondere perché la mia posizione non è molto sicura. Preferisco riferire ai magistrati». Ancora nessuno però si è fatto vivo alla porta di Bonaventura da quando ha rilasciato queste dichiarazioni su Giulio Cavalli. Lo stesso si dice scioccato: «dal fatto che nessuno sia venuto a raccogliere queste informazioni che sto rivelando nessuno mi ha sentito su questa vicenda, dovrebbe essere il minimo ascoltarmi, mettere sotto protezione me e le informazioni. Sembra che mi stiano lasciando qua, aspettando cosa? Che io muoia e con me le informazioni? Oppure che venga spinto a ritrattare?».

L’augurio è quello che qualcuno tra i magistrati e gli investigatori si premuri di verificare le dichiarazioni di Bonaventura, e allo stesso modo, che se qualcuno al Pirellone, o tra gli ex del Pirellone ne sa qualcosa parli. Perché se «gli amici politici» dei De Stefano avevano intenzione di mettere a tacere Giulio Cavalli con l’aiuto della ‘ndrangheta sarebbe bene saperlo. Hanno qualcosa da dire in proposito? Qualcuno che è saltato sulla sedia credo ci sarà, altrimenti non avrei potuto raccogliere inchieste e reportage sulla mafia in Lombardia in questo eBook. Inutile dire intanto della vicinanza che va a Giulio Cavalli, anche e soprattutto, per non aver mai accettato quel comodo ruolo della vittima con i riflettori puntati addosso.