Orizzonte Universitario intervista Giulio Cavalli
Giulio Cavalli, inizia la sua carriera di attore nel lodigiano. Dopo anni di teatro la svolta arriva nel 2008, quando debutta con lo spettacolo Do ut Des, spettacolo teatrale su riti conviti mafiosi. In seguito a questa messa in scena riceverà della minacce di stampo mafioso, a causa delle quali gli verrà assegnata una scorta. Dal 2009 Giulio Cavalli inizia la sua lotta alle mafie sul palcoscenico con Radiomafiopoli, A cento passi dal duomo, e nel 2010 esce il suo primo libro Nomi, cognomi e infami. Nel 2009 è stato ricevuto dal presidente della repubblica Giorgio Napolitano. Dal 2010 è stato consigliere regionale in Lombardia, come indipendente nella lista dell’Idv; oggi aderisce a SEL, è stato nuovamente candidato come consigliere alle regionali 2013, ma alla luce dell’1,8% ottenuto dal suo partito non è stato rieletto.
Funziona tutto al contrario sig. Cavalli? Lei nel suo teatro ha iniziato a parlare della mafia, e ad accorgersene non è stato il ceto civile del nostro paese (questo si che non sente, non vede e non parla), ma, paradossalmente, la mafia stessa. I primi a venire a teatro sono i figli di quei mafiosi che, come dice lei, non azzeccano un congiuntivo nemmeno per sbaglio. Questi guardano il suo spettacolo e poi la minacciano, e così la minaccia diventa la prima vera pubblicità della sua attività. E le jeux son fait!
Effettivamente sembra che le mafie abbiano una sensibilità che le antimafie scoprono sempre un secondo troppo tardi. Per questo abbiamo ritenuto importante ritirare da subito lo spettacolo “contestato”, per evitare un perverso gioco di vouyerismo. Bisognava subito spazzare il campo da eventuali occasioni di lucro. Ma è importante ricordare sempre che chi ti minaccia sa benissimo che la prima cosa che si accende, nell’opinione pubblica, è il sospetto, che spesso diventa motivo isolamento per l’artista.
Ho sentito Saviano dire che la colpa di “quelli come voi” è di essere ancora vivi, di questo in fondo vi accusa la gente. Altra frase che mi ha colpito è che “quelli come voi”, agendo, mettono in crisi l’intera comunità circostante, che riconoscendovi dei meriti verrebbe a sentirsi in difetto: “sporca” per non aver fatto altrettanto. In realtà la penso diversamente. Secondo me quello che non vi viene perdonato è la popolarità che avete acquisito, con questa “storia delle mafie” siete diventati dei veri e propri vip.
Non credo che la nostra colpa sia quella di essere vivi. Su questo non sono d’accordo con Saviano. Piuttosto la colpa può essere la tentazione di raccontarsi piuttosto che raccontare, e allora certo si cade in un’autocelebrazione che credo interessi poco (se non ai fans, ma le mafie non sono temi da isterie celebrative, sono punti di democrazia e Costituzione). Poi credo che un Paese in cui chiedere legalità e normalità porta ad essere un’eccezione è un Paese che dovrebbe interrogarsi. Non è la media del coraggio o dell’onestà a definire i limiti consentiti. Certo questa storia di minacce e scorte è un vizio tutto italiano di questi ultimi anni, che assomiglia per alcuni meccanismi alla banalità del Grande Fratello dell’antimafia. In Italia ci sono quasi ottocento persone sotto scorta, mica solo quelli che finiscono sotto i riflettori. E tra l’altro siamo la nazione che dimentica spesso i testimoni di giustizia (coloro che hanno semplicemente avuto la sfortuna di essere testimoni di un reato e hanno avuto l’onestà intellettuale di denunciarlo) e per sopravvivere devono sparire piuttosto che finire sotto luci della ribalta.
Sig. Cavalli: teatro, televisione, giornali….ora anche la politica. E la ‘ndrangheta è sempre il tema principale, forse l’unico. Lo stesso vale per Saviano con la camorra (e mi scusi se ripropongo ancora questo parallelismo). Sembra che il contatto, quello vero, diretto, con la malavita segni un punto di non ritorno. La mafia diviene argomento radicale della vostra vita, non c’è più spazio per altro. E’ come se vi fosse stata affidata una missione. E’ come se arrivare a conoscere davvero la mafia sia un pò come arrivae a conoscere davvero Dio.
Diceva Falcone che nella lotta alle mafie ci capiti per caso e per destino. In realtà non credo di occuparmi solo di mafie (basta seguirmi non solo sulle riviste patinate). Lavoriamo per la libertà e per la democrazia. E le mafie sono tra i nemici più pericolosi.