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rassegna stampa politica

Quando la politica cede al potere

Il 17 febbraio sono stato a Borgarello per un incontro su mafie, politica e corruzione insieme al Circolo SEL Nord Pavia e al sindaco Nicola Lamberti. E’ stata una bella serata perché Borgarello è la dimostrazione di come i piccoli centri sono spesso esposti ai reati peggiori senza la copertura della stampa nazionale e dell’opinione pubblica. Ammetto che a Borgarello temevo di trovare il risultato dell’isolamento (geografico e politico) che mi è capitato di incrociare in giro per l’Italia. E mi sbagliavo. Perché la serata è stata il manifesto di un modo di intendere la cosa pubblica che ha il respiro lungo della svolta che si vuole imprimere. Gli amici del sito Vivi Borgarello (che sulle ultime vicende avvenute sta rischiando querele e minacce di chiusura, per questo vi invito a sfogliarlo per rendersi conto di cos’è successo lì in questi ultimi anni) hanno realizzato un mio sogno: una cronaca (con la perfezione della “sbobinatura”) della serata. Per questo li ringrazio e la incollo qui. Introduzione cromatica sulla giacca verde inclusa. 

di Alberta Samuele, 23 febbraio 2012
Aspetto in apparenza imberbe e fanciullesco, casacca verde-giullare che si intona eccentricamente col vermiglio dominante in sala, il tutto imperlato da ironia dissacrante ed eloquenza di rara elevazione, che rimandano alla professione di autore irriducibile e narratore di testi impegnati per teatro di inchiesta. Con grande naturalezza, nonostante la presenza guardinga della scorta d’ordinanza, si è presentato venerdì sera ad una platea calorosa e accogliente presso il C.T.E Auser di Borgarello il consigliere regionale Giulio Cavalli, dal 2010 sui banchi del Pirellone in rappresentanza del movimento di Sinistra Ecologia e Libertà (SEL), dopo una breve ma significativa esperienza di orientamento nelle file indipendenti dell’Italia dei Valori.

La mafia non è una “categoria dello spirito” o, come molti erroneamente reputano, un fenomeno astratto associato al folclore del meridione – introduce il coordinatore locale del movimento, Mauro Cavicchioli – ma una realtà di comportamenti subdoli e insidiosi, di connivenze che intaccano a vari livelli il tessuto politico ed economico della società civile, proliferando ad ogni latitudine con maggiore incidenza ove ci siano giri di affari vorticosi e cospicue risorse finanziarie. Il movimento SEL tenta fin dalla sua recente fondazione di informare ed educare le coscienze civili, in particolare delle nuove generazioni, promuovendo cicli di incontri e dibattiti presso enti pubblici, scuole, università che abbiano come filo conduttore la “battaglia sul territorio”, che al di là dei richiami epici insiti nell’espressione, deve intendersi come pratica quotidiana e incessante contro l’illegalità, che fiorisce e attecchisce dove l’esercizio della legalità è invece indebolito dall’indifferenza, dalla compiacenza, dall’ignoranza dei capisaldi costituzionali e dall’erronea interpretazione del concetto di libertà individuale.

Come tristemente rappresentato nello spettacolo teatrale A Cento Passi dal Duomo ideato e scritto dallo stesso Cavalli con il giornalista Gianni Barbacetto, direttore di O.m.i.c.r.o.n. (Osservatorio Milanese sulla Criminalità Organizzata al Nord), dichiarare da parte di chi ricopre incarichi politici o di sorveglianza istituzionale che in regioni come la Lombardia, da sempre ritenute immuni alle infiltrazioni mafiose, il fenomeno criminale sia oggi in improvvisa emersione e che nessun intervento è da proporsi se non l’attesa che le cause giudiziarie facciano il loro corso, è un atto di grave responsabilità morale, di indifferenza e di disonestà intellettuale che vanificano 50 anni di storia costituzionale: non rievocare la memoria storica del nostro Paese, gli attentati, i traffici, le inchieste ancora irrisolte per insabbiamenti ignominiosi infatti, è già di per sé segno di collusione, come pure non riconoscere che la mafia attecchisce da sempre come sotterranea metastasi sociale e morale ovunque ci siano disponibilità economiche, attrattive finanziarie, imprenditori, fornitori di servizi, clienti, funzionari di polizia, prefetti e tecnici comunali compiacenti, nel ricco Nord più che altrove; mostrarsi miopi o non avere il coraggio di denunciare anche nel piccolo della propria professione significa essere clienti poco vigili e indulgenti alla corruzione; vuol dire contribuire a drogare il sistema, favorendo quel federalismo culturale cui alcuni partiti politici particolarmente fiorenti nel facoltoso settentrione inneggiano, impedendo di guardare al di là dei propri confini territoriali e ravvisare per tempo i segnali purtroppo evidenti di infiltrazione. Il fenomeno criminale ha dunque radici sociali e politiche nella predisposizione alla reticenza e nell’omertà di ognuno di noi; la pars destruens della società non è controbilanciata da una sana e prevalente pars costruens.

La mafia tuttavia non ha mai avuto odore di polvere da sparo – i morti ammazzati sono sempre stati incidenti di percorso – e tantomeno si avvale di grandi capacità intellettuali; piuttosto assolda le classi dirigenti e la munifica imprenditoria cementizia, come si serve di predoni finanziari che comprano tutto pur non necessitando di clienti e che si arricchiscono sempre più sul commercio dei beni primari. La mafia non sa intervenire sulle ristrutturazioni, che richiedono particolare ingegno e capacità progettuali, ma sulle costruzioni di megastrutture, come ponti, strade, piste di aeroporti di pressoché scarsa utilità. La ‘Ndrangheta in Lombardia è purtroppo già proiettata verso il futuro: i traffici di droga o di armi, lo sfruttamento della prostituzione un tempo circuiti fiorenti e altamente remunerativi, non costituiscono più oggi canali appetiti dalle associazioni criminali, che invece preferiscono manovrare gli imponenti flussi finanziari e la cessione di appalti per le costruzioni di grandi infrastrutture, comprando la compiacenza di imprenditori e funzionari; esse hanno, infatti, compreso qual è il settore produttivo che esporta maggiori profitti e che consente di occultare in modo semplice e poco dispendioso somme smisurate di denaro illecito; con questa pratica riescono così a convertire moneta in mattone di qualsiasi forma. Basti pensare al pullulare di capannoni destinati ad essere in breve tempo dismessi, al susseguirsi di villette e residenze senza potenziali acquirenti, al fiorire di megacentri commerciali privi di futuri clienti. Speculazioni edilizie per materializzare contanti di provenienza illegale.

La grave responsabilità dei governatori regionali è la parimenti aberrante convinzione che le infrastrutture da incentivare come utili al progresso civile siano proprio quelle cementizie e non i servizi sociali; questa disattenzione, associata spesso all’accondiscendenza al dolo, è risultata terreno fertile per gli interessi criminali. La banalità del male o, meglio, dei mezzi di cui esso si avvale smaschera la scarsa consapevolezza del bene da parte di chi amministra, ma anche di noi cittadini miopi. “La lotta alle mafie è impegno ordinario di tutti, non impegno straordinario di pochi”, affermava Giovanni Falcone.

Il delitto contro l’ordine pubblico perpetrato da due o tre persone che accrescono il proprio privato ai danni della collettività, sancito dall’art. 416 del codice penale come “reato di mafia”, sembra una costruzione teatrale allestita da quegli stessi soggetti politici che non esitano ad affermare che l’apertura alla solidarietà in seno alle proposte di riforma sociale è un punto di disarmante debolezza; sono gli stessi che sostengono la necessità di promulgare una legge regionale che imponga il rispetto delle leggi; come nella grottesca visione circolare della società in cui lo stolto del villaggio staziona accanto al genio, si tratta degli stessi personaggi che sull’onda delle “liberalizzazioni”, attuano una politica di certo non premiante nei confronti di aziende oneste e cedono enti pubblici assegnandoli a privati con gare pilotate; sono gli stessi che non raccontano alle nuove generazioni il motivo per cui la mafia agisce ed è stata lasciata finora operare, che permettono che la proposta di legge contro il consumo del suolo venga affossata dalla solita logica di spartizione del potere e di appartenenza faziosa.

Quelle “vedette” politiche incaricate decenni or sono di vigilare sul tessuto sociale perché non diventasse vulnerabile alla mafia, ma che non si sono accorte, né sono riuscite a scalfire generazioni multiple di clan criminali, sono le stesse che oggi dichiarano con uscite sensazionalistiche che la mafia si è infiltrata in Lombardia.

La mafia in questa regione è prevalentemente attività di riciclaggio e, come tale, asservisce dirigenti ASL, questori, banchieri, prefetti, segretari e tecnici comunali, funzionari di polizia e di istituti di credito, non perché essi non siano potenzialmente in grado di compiere atti eroici, ma perché non hanno svolto il loro dovere. La politica locale oggi è meno funzionale agli uffici tecnici in quanto la struttura democratica in cui sono conformati gli enti amministrativi locali non sa più esercitare quel potere di controllo su questi operatori intermedi, fondamentale pontile di ormeggio per le organizzazioni criminali; la grande politica dal canto suo opera abilmente dall’alto accoppiando i vari sistemi criminali insorti localmente.

Le associazioni mafiose, anziché corrompere chi ha già una poltrona assegnata, hanno nel frattempo imparato a sfruttare con grande profitto l’esercizio delle preferenze elettorali e riescono a piazzare nelle posizioni politiche di prestigio, con uno strumento elettorale tanto semplice quanto banale, i loro uomini, pur non avendo in partenza i numeri vincenti in termini di impatto elettorale. Questi personaggi così sponsorizzati costituiscono la nuova classe dirigente totalmente al servizio. La mafia non stipula accordi con i perdenti, non compra il favore di chi non governa, ossia dell’opposizione.

Basterebbe, quindi, che i piccoli Comuni in occasione delle elezioni a livello locale applicassero un sistema altrettanto scrupoloso ed efficiente di convoglio delle preferenze su candidati seri e onesti per scardinare a monte i presupposti di questo meccanismo criminoso e degenere. Infatti non è affatto vero che tutti gli amministratori sono collusi: il monito autoironico “siamo tutti ladri” mutuato dal Mistero Buffo di Dario Fo, è, in realtà, pretesto per lavarsi la coscienza e uscirne tutti indistintamente ripuliti e indenni.

Nella difesa di alcuni principi fondamentali della convivenza civile, bisogna essere invece estremisti, distinguersi, eccome: la differenza di condotta sta proprio nella capacità di reazione, nel coraggio di alzare la voce, di osare e di non attendere che la giustizia faccia il suo corso, che il più delle volte richiede anni di dibattimenti e requisitorie inconcludenti, per poi esitare in assoluzione al terzo grado dell’attività giudiziaria.

La politica, come affermavano Pertini e Borsellino, deve essere condotta senza ombre, non può attendere i tempi della magistratura o temporeggiare e favorire attraverso “toni di grigio” le infrastrutture criminali; queste scelte di comodo rendono il welfare statale sempre più inefficiente e lasciano spazio ad una società parallela e aberrante, che garantisce invece tutela, stabilità economica e ricadute sociali a totale danno delle future generazioni.

Le autostrade oggi vengono spesso costruite, come già ribadito, per riciclare il denaro sporco delle mafie e, poiché in alcuni casi sono di totale inutilità, allora vengono corredate di faraonici centri commerciali, cattedrali nel deserto per giustificare la realizzazione delle prime.

Il vero luogo del potere in Lombardia al giorno d’oggi è il punto di incontro tra imprenditoria spregiudicata e amministratori compiacenti; ciò nonostante, questa regione è anche in grado di sviluppare e favorire una rete di associazioni potenzialmente sane di persone non corrotte e impegnate a combattere la criminalità organizzata, non con i mezzi della politica di pancia o addirittura con l’antipolitica, ma promuovendo da veri professionisti – nel senso etimologico di professione di un credo –  il valore essenziale del bene comune. Questo tipo di politica va attuata con i numeri e attraverso dibattito aperto in aula, disarticolando le azioni amministrative errate degli altri.

Battaglie perse, come di recente è accaduto con il referendum sull’acqua, sono da ricondursi ad una certa debolezza di intenti e scarsa perseveranza, alla tendenza cioè ad abbassare le difese, a non insistere con una pressione ideologica, sana e continuata, sul plusvalore del bene comune. Se un problema è in reale emergenza, bisogna essere “partigiani”, vale a dire decidere da che parte stare e fissare obiettivi comuni da perseguire. Non restare indifferenti, dunque, ma decidere di interessarsi; il cittadino disinteressato alla politica è inutile, affermava lo statista Pericle secoli fa, anticipando i contenuti dell’articolo 4 della nostra Costituzione per il quale il cittadino ha il dovere con la propria funzione e professione di concorrere alla crescita materiale e spirituale del proprio Paese. Maggiore è la distanza e l’entità del divario tra amministratori e cittadinanza, più la politica rischia di inquinarsi; il miglior controllo sulla funzione pubblica è proprio quello esercitato da ogni singolo cittadino con la sua partecipazione alla vita amministrativa, con l’impegno civile e l’offerta delle proprie competenze al servizio della collettività. Spesso, tuttavia, questa attenzione per la cosa pubblica si manifesta in modo temporaneo e utilitaristico per pura visibilità solo durante i periodi di campagna elettorale, per risolversi in una totale eclissi non appena il mandato è assegnato ad altri.

“La mafia in Lombardia è figlia dell’indifferenza”


Giulio Cavalli ha parlato della criminalità organizzata al nord in una serata organizzata da Anpi, Arci, Legambiente e Libera (da VARESENEWS)

«In Lombardia la mafia veste l’abito del salotto buono. Non lascia i morti ammazzati sui marciapiedi ma si dirama attraverso la corruzione e il riciclaggio. E questi, credetemi, non sono reati minori». Per Giulio Cavalli conoscenza e consapevolezza sono la prima arma contro la criminalità organizzata. Un’arma non da poco, «che le mafie temono perché hanno paura delle persone che studiano, della cultura della conoscenza». L’attore e politico è stato ospite ieri sera del comune di Cantello, per un incontro promosso da Anpi, Arci, Legambiente e Libera. Intervistato dal vicedirettore di VareseNews, Michele Mancino, ha raccontato come è cambiato il volto delle mafie nel nostro paese, come è in realtà poco cinematografico quello dei boss e cosa negli anni ha permesso alla malavita di arrivare a stendere le mani anche sulla nostra regione.

«Se dovessimo descrivere oggi la Lombardia a uno straniero dovremmo parlare anche dei suoi “problemini”: partiamo dagli arresti dei politici regionali. Formigoni ha preso la distanze dai consiglieri Nicoli Cristiani e Ponzoni parlando di “responsabilità personale” ma la verità è che abbiamo assistito all’ennesima tipica vicenda lombarda. Quello che è accaduto è tipico perché sono state candidate persone inopportune nonostante si sapesse che erano in contatto da anni con esponenti della criminalità. In questo comportamento si nota tutta la carenza della politica regionale e di quella nazionale che considerano inopportuno solo chi è dichiarato colpevole al terzo grado di giudizio. Forse qualche domanda avrebbero dovuto farsela prima… Poi abbiamo la vicenda dei rifiuti nascosti sotto il manto della Brebemi, perché ci sono, i nuovi processi contro le cosche insediate nei comuni strategici di provincia o ancora i dati che ci dicono che 9 appalti su 10 non rispondono ai requisiti della normativa antimafia. Insomma il quadro è preoccupante».

Chi ha amministrato la nostra regione fino adesso, sostiene Cavalli, si è “dimenticato” di mettere in guardia i cittadini sui pericoli del cambiamento in corso: «Siamo passati dal dire “Al Nord non esiste la mafia” a “Siamo in una situazione di emergenza”, senza passare dalla fase in cui forse si poteva fare qualcosa. La Lombardia su questo tema è passata da regione indifferente a regione ignorante. Un’ignoranza figlia di quell’indifferenza e di mancanza di sensibilità. Dobbiamo chiederci come persone che non rivestono nemmeno cariche politiche siano in grado di influenzare se non addirittura prendere le decisioni degli assessori. Più la mafia si rafforza ed entra in contatto con la politica più la democrazia ne esce sconfitta». Cosa possono fare allora i cittadini? «Prima di tutto restare aggiornati, leggere, informarsi. E poi chiedere conto. In regione le persone si possono ancora scegliere, chiediamo i risultati a chi abbiamo votato».

9/02/2012
m.c.c.mariacarla.cebrelli@varesenews.it

LA STAMPA: 3 domande a Giulio Cavalli

LA STAMPA intervista Giulio Cavalli sul rapporto di Avviso Pubblico “Amministratori sotto tiro”

«Infiltrazioni anche al Nord ma c’è paura a denunciarle» 3 domande a Giulio Cavalli, attore, scrittore e consigliere regionale lombardo

MARCO BRESOLIN

MILANO

Nemmeno un atto intimidatorio verso gli amministratori lombardi o piemontesi. Eppure le infiltrazioni mafiose al Nord ci sono. Una situazione che l’attore e scrittore milanese Giulio Cavalli conosce molto bene. Consigliere regionale dal 2010, al Pirellone va con la scorta a causa delle numerose minacce subite.

È possibile che al Nord nessun politico locale sia mai stato minacciato?

«Se un fatto non viene denunciato non è detto che non si sia mai verificato. E in Lombardia c’è molta paura a denunciare. Ci si sente soli».

Oppure i criminali non hanno bisogno di arrivare ad atti intimidatori per «convincere» i loro interlocutori politici …

«Chiaro, la minaccia è l’ultima di una serie di pressioni politiche o di ritorsioni economiche. A volte, magari, basta una stretta di mano …»

Da questo punto di vista. qual è la differenza tra gli amministratori del Nord e quelli del Sud?

«Al Sud è più netta la distinzione tra chi sta di qua e chi sta di là. Al Nord c’è meno voglia di prendere una posizione. C’è una zona grigia in cui è molto facile infiltrarsi. Anche perché quelle che dovrebbero essere le sentinelle ci hanno sempre tranquillizzato con un negazionismo bugiardo».

LA STAMPA Data 12-12-2011 Pagina 10 

IL FATTO sulle nostre domande a Formigoni

da IL FATTO QUOTIDIANO

Lombardia, tutti gli scandali della Regione nelle dieci domande a Roberto Formigoni

Dopo l’arresto di Nicoli Cristiani, i consiglieri di Sel Giulio Cavalli e Chiara Cremonesi chiedono che il governatore risponda e si dimetta. Perché ormai sono tanti i suoi uomini (e donne) coinvolti in inchieste per corruzione, ‘ndrangheta, dossieraggio e “festini a luci rosse”

Le dieci domande per Roberto Formigoni, con richiesta di dimissioni, all’indomani dell’ennesimo scandalo che coinvolge la Regione Lombardia,con l’arresto per corruzione del vicepresidente del consiglio Franco Nicoli Cristiani, nella cui abitazione bresciana i carabinieri hanno trovato due buste con centomila euro in banconote da 500. Come fece a suo tempo Repubblica con Silvio Berlusconi, a reclamare risposte è Giulio Cavalli, consigllere regionale di Sel e attore teatrale impegnato sul fronte dell’antimafia e della legalità, insieme alla collega di partito Chiara Cremonesi. La più densa è l’ultima, che elenca impietosamente il gran numero di personaggi legati alla maggioranza formigoniana che sono finiti in inchieste di vario genere, dalla ‘ndrangheta alla corruzione al dossieraggio (qui le dieci domande integrali).

Eccola: “ChiriacoPezzanoPilello, figure di nomina regionale (coinvolti nell’indagine Infinito sulla ‘ndrangheta in Lombardia, ndr). CioccaGiammarioMinettiPuricelliRinaldin, consiglieri regionali. Ponzoni, segretario dell’Ufficio di Presidenza. BelottiRizzi, assessori regionali.Daccò, oltre che suo amico, suocero dell’assessore Buscemi“. Sono i nomi di tutti gli indagati o in qualche modo coinvolti “nei molteplici filoni di inchiesta in corso, che spaziano dai rapporti con la ‘ndrangheta alla corruzione e alla malasanità, dai festini a luci rosse al dossieraggio. Senza aprire i capitoli delle passate legislature, da Bombarda a Prosperini, da Pagnoncelli alla moglie diAbelli“. Fatta salva la presunzione d’innocenza di chi non ha ancora una sentenza definitiva, resta il problema politico, affermano Cavalli e Cremonesi: “Non crede, a questo punto, che sarebbe meglio restituire la parola agli elettori e dedicarsi con tutta calma alle primarie del suo partito?”.

Formigoni, al vertice della Regione da sedici anni, ha annunciato che lunedì sarà in aula per relazionare sulla vicenda di Nicoli Cristiani, che peraltro è relativa a materie di competenza regionale, come la gestione della cave e lo smaltimento dei rifiuti pericolosi, e ha portato all’arresto di un dirigente dell’Agenzia regionale per l’ambiente. “Ma per evitare che il presidente legga la sua relazione poi sfugga al confronto, noi le domande gliele vogliamo far arrivare in anticipo”, spiega Cavalli, che invita “Regione Lombardia e Arpa a costituirsi parte civile nel processo”.

Formigoni si è dichiarato “estraneo”, insieme alla sua giunta, alla vicenda Nicoli Cristiani: “Oltre all’arresto di un dirigente di un’agenzia del sistema regionale, oltre all’arresto del vicepresidente Pdl del Consiglio che è stato due volte assessore in sue giunte e che si dichiara tuttora in stretto contatto con lei”, chiedono Cavalli e Cremonesi, “oltre a un iter procedurale come la Valutazione di impatto ambientale che è di stretta competenza della giunta, può spiegarci che cosa serve ancora affinché vi sentiate chiamati in causa?”. E se l’iter della valutazione d’impatto ambientale alla discarica per amianto di Cappella Cantone, al centro dell’indagine, è stato “impeccabile”, come afferma il presidente, “dobbiamo credere che l’eventuale tangente sulla quale ruota l’impianto accusatorio sia stata pagata per un’autorizzazione che sarebbe arrivata con gli stessi tempi anche gratis?”

Il “questionario” entra anche nell’affare Expo2015. Formigoni ha affermato di “aver detto sì” a Nicoli Cristiani per l’incontro tra il sottosegretario Paolo Alli e un imprenditore che voleva partecipare a Expo. “Indipendentemente dal fatto che tale imprenditore sia identificabile nell’arrestato Pierluca Locatelli, dobbiamo dedurre che per la partecipazione a Expo esista una via differente dall’appalto pubblico, che passa da incontri tra le imprese e la giunta al fine di ottenere un placet politico?”.

Infine, la stoccata al cuore del sistema formigoniano, la sanità: “L’arresto di Nicoli Cristiani arriva a pochissimi giorni da un’altra inquietante vicenda che ha lambito Regione Lombardia con il fermo di Pierangelo Daccò, intermediario tra l’ospedale San Raffaele e il Pirellone. Nonché suo personale amico di lunga data. Come pensa di arginare il millantato credito presso di lei di personaggi di dubbia moralità che le sono vicini?”.

da STAMPO ANTIMAFIOSO: La mafia a Milano esiste

Un partecipatissimo incontro dal titolo “La Mafia a Milano esiste” ha alternato momenti di riflessione a numerosi spunti sul tema del contrasto alla criminalità organizzata a Milano. Il tutto in una (paradossalmente) insolita cornice: Palazzo Marino, sede del Comune di Milano.

di Federico Beltrami

“La mafia a Milano esiste” e a Palazzo Marino lo si dice.

Questo il messaggio lanciato dall’incontro organizzato dal giovane Mattia Calise – attivissimo consigliere comunale del Movimento 5 Stelle – e dal blog “Qualcosa di Sinistra” nella sede del Comune meneghino, che ha ospitato alcuni dei volti più tenaci dell’antimafia lombarda.

Fa effetto sentire il giornalista calabrese Biagio Simonetta snocciolare nomi, dati e numeri sulla presenza – «il termine infiltrazione è ormai riduttivo» – della ‘ndrangheta nel milanese sotto gli imponenti busti di Marte e Minerva della splendida Sala Alessi. La stessa che, per anni, ha ospitato il Pillitteri della mafia che “a Milano è solo una favola” e la Moratti del “milanese onesto e per bene” che non può cedere alla prepotenza dei clan.
Fa effetto anche pensare che questo sia avvenuto solo oggi, nonostante – come ricorda il Pm Francesco Greco – “Milano sia la città in cui tutte le mafie hanno prosperato dagli anni ’50 in poi. La città di Calvi e Sindona, la città che, negli anni ’80, aveva il più alto numero di omicidi di mafia e il più alto numero di detenuti per mafia”.

Oggi, però, sulla scorta delle indagini della magistratura e dell’impegno della nuova amministrazione, si respira un’aria nuova in città, ricca di quel “pathos e di quella consapevolezza civile che innesca la voglia di reagire dei cittadini”, come sottolinea il Professor Nando dalla Chiesa, presidente del nascente Comitato di esperti che affiancherà il sindaco Pisapia e la Commissione consiliare antimafia del Comuna di Milano nel contrasto alla criminalità organizzata.

L’entusiasmo, sia chiaro, non deve lasciare spazio alle facili illusioni: i clan calabresi “sono partiti 20 anni fa alla conquista della Lombardia, colonizzando interi comuni della periferia milanese. Per questo, adesso, dobbiamo correre più di loro: dobbiamo essere noi a far sì che quei Comuni vengano colonizzati dagli antimafiosi, dobbiamo prenderci un supplemento di responsabilità tale da coprire le mancanze di questi ultimi anni da parte di governo e istituzioni”.

Insomma, non ci si può più permettere di ignorare il fenomeno: “oggi chi non sa è colluso”, ricorda Giulio Cavalli, il consigliere regionale minacciato dai clan, citando Ilda Boccassini. “Lo dice anche l’articolo 4 della Costituzione che l’indifferenza è incostituzionale, e noi siamo pieni di politici che incontrano ma non sanno”. “Le leggi – continua Cavalli – vanno usate e osate: non è un caso che tutte le più importanti leggi antimafia, apparentemente impensabili, siano state accolte come rivoluzionarie”.

In realtà, come osserva l’esperto di normative sugli appalti Ivan Cicconi, “la semplice applicazione e il rispetto delle leggi in vigore rappresenterebbero già uno strumento fondamentale nel contrasto alla criminalità organizzata e al fenomeno del progressivo slittamento dell’economia legale verso l’economia illegale avvenuto negli ultimi 15 anni”. “Tra queste la norma che, obbligando l’appaltatore a indicare, per ciascun subcontratto, il nome del subcontraente, l’oggetto e l’importo del subcontratto, permetterebbe di capire se ci si trovi effettivamente di fronte a un subcontratto o se a un subappalto, per il quale sarebbe necessario presentare il certificato antimafia. Oppure la norma che impone il divieto di appaltare lavori pubblici a società con capitale coperto da segreto fiduciario o il cui reale proprietario è sconosciuto. O ancora – conclude Cicconi – la norma che impone l’obbligo di esporre nei cantieri di lavori pubblici il nome dei subcontraenti, dei subappaltatori e dei fornitori che lavorano nel cantiere”.

Ebbene «oggi, al nord, queste semplici norme vengono totalmente disapplicate o ignorate, nel segno di quella logica del “meno so, meglio è” dimostrata dai funzionari pubblici preposti al controllo di legalità». Sul tasto dolente dell’economia e dell’imprenditoria batte anche il Pm Francesco Greco, del Tribunale di Milano. “Sono convinto che la criminalità organizzata sia la componente fondamentale della criminalità economica, che in Italia è ormai una vera e propria emergenza nazionale che ci costa 200 miliardi all’anno. Soldi sottratti al bene comune e di cui oggi avremmo estremo bisogno, ma che non vengono aggrediti in nome di un patto – lo scudo fiscale – fatto con dei criminali. Patto che, come dice la Costituzione, potremmo disattendere, ritassando i capitali scudati”.

Fortunatamente ci sono anche imprenditori come Pino Masciari, cinquantaduenne calabrese sottoposto da quasi 15 anni al programma speciale di protezione riservato ai testimoni di giustizia. La sua colpa? Aver denunciato i suoi estorsori mafiosi – o meglio ‘ndranghetisti – e politici. Una vicenda che Masciari descrive nei suoi lati più drammatici, scagliandosi con genuina rabbia contro i politici e le istituzioni che “con i mafiosi hanno sempre fatto affari” al sud come al nord. L’urlo dell’imprenditore si trasforma in un sorriso amaro: “dopo 20 anni, dopo gli incendi, le intimidazioni e i colpi di lupara ritrovo, qui a Milano, gli stessi nomi dei clan calabresi che denunciai vent’anni fa”.

“Non sono un professionista dell’antimafia – continua Masciari lasciando la sala con il fiato sospeso – non ho scelto tutto questo, mi ci hanno obbligato. Ma – conclude tra le lacrime mentre i presenti gli riservano un tributo commovente– ho fatto la mia parte”.

La serata – moderata dalla bravissima Antonella Mascali, giornalista del “Fatto Quotidiano” – avrebbe dovuto concludersi con una sorpresa: il conferimento della cittadinanza onoraria milanese allo stesso Masciari, che, invece, avverrà solo nei prossimi giorni. In certi casi, la burocrazia, si dimostra davvero inflessibile.

(foto di Marco Carandente)

IL FATTO QUOTIDIANO su Lega e macellazione islamica

Lombardia, la Lega contro la macellazione islamica. Ma al voto è lei a uscirne a pezzi

da IL FATTO QUOTIDIANO

La Lega a caccia di consensi resta sola in aula, fa un tonfo clamoroso e manda su tutte le furie il delfino Renzo Bossi che insulta i colleghi. Non è passata la mozione presentata ieri dai consiglieri del Carroccio in Regione Lombardia per bloccare la macellazione rituale degli animali in Lombardia. Al momento del voto, infatti, i leghisti sono stati gli unici favorevoli mentre gli alleati del Pdl hanno votato contro o si sono astenuti provocando l’ennesima frattura nella maggioranza che governa la Regione. La vicenda però assume contorni surreali perché la mozione che voleva stabilire un principio di attenzione alla cura degli animali malcelava l’ennesimo tentativo di marcare un punto contro la comunità islamica.

Tanto che nelle prime quattro righe della mozione (scarica il documento) si fa riferimento al fatto che “la pratica della macellazione rituale appare purtroppo molto diffusa anche in Lombardia a seguito dell’aumento della popolazione straniera di religione diversa da quella cristiana, in particolare di religione islamica”. Il blitz però finisce male perché nel pasticcio la Lega non solo perde gli alleati per strada ma finisce per attirarsi le ire sia della comunità islamica che di quella ebraica. Entrambe infatti, alla vigilia del voto, hanno contestato la mozione parlando apertamente di una battaglia ideologica discriminante. Inutili le telefonate del vicepresidente della Comunità ebraica di Milano Daniele Nahum al capogruppo della Lega in consiglio regionale Stefano Galli.

Inascoltate le critiche del Coordinamento delle moschee di Milano (Caim) espresse da Davide Piccardo. La Lega tira dritto e va in aula con la sua mozione a caccia di polemiche. Durante la discussione prova a metterci le pezze il consigliere-veterinario del Pdl Sante Zuffada: prova a disinnescare la crociata dell’alleato con un emendamento che ridimensiona il testo della mozione, riportandola nei limiti delle competenze regionali e auspicando una risoluzione per mettere all’ordine del giorno problemi etici relativi allo stordimento degli animali. Niente da fare. I leghisti si accorgono di essere rimasti soli e si lanciano in disperati appelli, facendo balenare perfino il rischio che sui banchi delle macellerie dei comuni supermercati possano finire partite di carne provenienti dalla macellazione rituale.

Neanche paventare questo pericolo ricuce le fila della maggioranza che va al voto completamente spaccata. Nelle file del Pdl c’è stato addirittura chi ha votato “no” insieme con l’opposizione, come il capogruppo Paolo Valentini. Che ha poi dichiarato: “Se c’è un problema di ordine pubblico la sede in cui discuterne non è il consiglio regionale. Sono contrario a provvedimenti che limitano la libertà religiosa”. Anche perché all’inizio della seduta, fa notare lo stesso Valentini alilfattoquotidiano.it, i consiglieri hanno commemorato il missionario italiano ucciso nelle Filippine. “Non è che due ore dopo possiamo prestarci a una crociata contro le religioni diverse da quella cristiana perché se siamo per la libertà di culto lo siamo in ogni caso e non siamo disponibili ad assecondare battaglie ideologiche che riducono problemi complessi di integrazione etnica e religiosa a pratiche che appartengono alla politica spicciola”.

Del resto la messa fuori legge della macellazione rituale avrebbe portato al prossimo Ramadan allo scontro diretto. “Se questo era l’obiettivo, il Pdl ha voluto prestare il fianco”, dice Valentini. L’opposizione allarga le braccia e lascia che la Lega faccia un tondo clamoroso per poi sparargli contro tutti i colpi, rilevando una per una le contraddizioni che l’operazione antimacellazione si porta dietro. Il Carroccio, infatti, è da sempre sostenitore della caccia in deroga. Da qui, la conseguente ironia: “Ai leghisti – ha detto Chiara Cremonesi di Sel – risulta impossibile non utilizzare l’Islam per fare un po’ di becera propaganda. Loro, i fautori a oltranza della caccia in deroga, abituati a sparare senza l’ombra di un rimorso a peppole e fringuelli, si sono addirittura improvvisamente riscoperti animalisti. Ma hanno fatto male i conti”.

“La Lega è riuscita nell’improbabile impresa di mettere d’accordo la comunità islamica con la comunità ebraica, una parte della maggioranza con l’opposizione. Uscendo dall’aula scornata”, commenta Giuseppe Civati per il Pd. Quando poi Giulio Cavalli, altro esponente di Sel, conclude il suo intervento invitando Renzo Bossi a preoccuparsi delle sperimentazioni su animali vivi e unirsi alle battaglie sull’allevamento Green Hill incassa dal giovane delfino solo un rituale “vaffanculo”. L’insospettabile vena animalista del Carroccio finisce in farsa ma lo scontro di civiltà per ora è solo rimandato.

Intanto però qualcuno ironizza sull’accaduto ricordando l’incidente di caccia occorso al sindaco di Verona Flavio Tosi che in provincia di Udine ha impallinato un giovane ferendolo non gravemente. Niente denuncia per lui, ma rischia di perdere la licenza. “La Lega deve smetterla di spararle”, la battuta che da ieri circola in Lombardia.

Buone notizie: commissione antimafia a Pavia

Sono piccoli mattoni che si appoggiano con il cemento dell’impegno coordinato, insistente e consapevole. Dietro alle serate (tante) che mi capita di frequentare in giro per l’Italia c’è la luce dell’entusiasmo di comunità piccole o grandi che decidono di intraprendere un cammino obbligatoriamente collettivo. Sale sistemate con la cura di una serata importante, con l’apprensione paterna davanti alla porta per stringere le mani e aspettarsi spettatori spesso inaspettati. A Siziano è andata così, con la diligenza di chi tiene in mano un germoglio. E il giorno successivo c’è la soddisfazione di vedere la scintilla che ha acceso il dibattito e chiesto strade per disegnare il futuro. Chissà se i tanti cittadini che organizzano resistenza si rendono conto di essere gli avamposti fondamentali di questo tempo. Come gli amici di Siziano e i tanti altri in qualsiasi piccolo posto con i volantini in mano.

«In Provincia si farà una commissione antimafia»

• SIZIANO

Sarà istituita una commissione provinciale antimafia. Lo annuncia il presidente Daniele Bosone che sottolinea la necessità di un osservatorio sulla legalità. “E’ uno dei punti inseriti nel nostro programma elettorale – spiega Bosone – ed è fondamentale in una provincia dove si sono verificati preoccupanti fenomeni criminosi”. E a parlare della commissione era stato anche l’assessore provinciale al bilancio Franco Osculati mercoledì sera, in una sala consiliare gremita di personeo venute ad ascoltare Giulio Cavalli invitato da “La fabbrica di Nichi” a discutere di mafia. L’attore e consigliere regionale che da anni nei suoi spettacoli denuncia le cosche del malaffare, quelle infiltrate al nord, l’altra sera ha voluto essere a Siziano. Un sala zeppa di cittadini di questa terra di confine, ad un passo da Milano, ma troppo vicina a quella Pavia che ha scoperto legami stretti con la criminalità organizzata. E Cavalli ha spiegato. Ha parlato della “necessità della ‘ndrangheta di ammalare la comunità per riuscire ad infiltrarsi e ad agire meglio”. Ha chiesto di “indignarsi, di alzare il livello di intolleranza, di pretendere legalità”. Ha sottolineato il ruolo delle istituzioni “è da loro e non è dai comitati che deve arrivare la lotta alla mafia nei fatti” e ha puntato il dito contro gli amministratori comunali e provinciali che “devono essere le sentinelle del territorio”. Appalti e malaffare. Un connubio che si vede nei tanti capannoni inutilizzati, nelle case costruite e rimaste invendute, nei centri commerciali. E tra il pubblico vi era l’assessore Laura Baronchelli che da dieci armi lotta contro il grande insediamento commerciale. E poi il sindaco di Siziano, Massimiliano Brambilla che ha voluto far sapere che “quel controllo lo stiamo già facendo”. “Abbiamo anche cercato di modificare le regole degli appalti”.

Stefania Prato (da LA PROVINCIA PAVESE)

LA PROVINCIA di Varese intervista Giulio Cavalli

La Provincia di Varese

L’intervista: Giulio Cavalli

attore-politico anti mafia

«Piazza blindata per uno spettacolo Che impressione»

LONATE POZZOLO Un giullare che sbeffeggia i mafiosi nei loro territori, perché «di fronte a una piazza che ride la mafia si sgretola». Giulio Cavalli, attore sotto scorta per i suoi spettacoli antimafia, consigliere regionale da poco passato dall’Idv a SeI, era sabato sera nella tana del lupo, a Lonate. Sul palco ha raccontato la mafiopoli lombarda, dalla Bollate di VlIlcenzino Mandalari alla Lonate di Vincenzo Rispoli, il principe nero della ‘ndrangheta varesotta.

Ecco l’intervista fatta all’attore-politica poco prima dell’inizio del monologo.

Come legge gli arresti degli ultimi due anni? Un successo delle forze dell’ ordine o una mafia che cambia i propri vertici?

Non penso che la mafia stia cambiando pelle. Credo che le procure abbiano iniziato a destinare tempo e risorse a questo tema. Le varie operazioni determinano poi un effetto catena, con l’indagine «il Crimine» che sconfina in «Infinito». Penso anche che l’informazione abbia un ruolo importante, assieme al coinvolgimento e all’impegno della società civile. C’è una maggiore attenzione da parte della società civile.

Qual è il senso di essere in piazza a Lonate?

Questa è una dimostrazione della forza del teatro, che riesce ad andare sui territori. Il mio lavoro, però, ha senso solo se è elemento di un lavoro collettivo. Certo, fa colpo vedere una piazza così militarizzata per uno spettacolo teatrale.

In consiglio regionale ha proposto l’istituzione di una commissione regionale antimafia. Pensa sia un risultato raggiungibile?

Già il fatto di essere riusciti a portare il tema della Mafia in consiglio regionale è stata una grande vittoria. Penso che la legge sull’educazione alla legalità all’interno delle scuole lombarde, approvata lo scorso febbraio, sia una buona legge. La scelta di Giuliano Pisapia di istituire una commissione antimafia a Milano ci darà una grandissima mano. Difficilmente il presidente Formigoni potrà fare a meno di creare la commissione anche a livello regionale.

Cavalli, parla anche del progetto di legge «interventi regionali per la prevenzione e il contrasto della criminalità»?

Sì, si tratta di un provvedimento che fissa punti innovativi per quanto riguarda l’usura, l’assistenza alle vittime ed altri aspetti di fondamentale importanza.

Lo spettacolo inizia. Dopo Gela, Corleone, Plati, Buccinasco, tocca a Lonate Pozzolo.

T.Sco.

Data 14-07 -2011

Pagina 43

Stipendi d’oro, promesse bipartisan

Riporto qui l’articolo di oggi di Repubblica. Tanto per chiarire il modo d’intendere e di essere fedeli alla linea. Buona lettura.

Al Pirellone dicono che stavolta si fa sul serio, con buona pace della serie interminabile di annunci disattesi sul contenimento dei costi della politica. Si comincia a settembre, (ri)promettono maggioranza e opposizione, a discutere in consiglio regionale su come dare una sforbiciata alle generose prebende di cui godono gli ottanta eletti. Il Pd ha già depositato un progetto di legge regionale e chiede che venga subito calendarizzato, a partire da settembre, per la discussione in aula. Il presidente dell’assemblea, il leghista Davide Boni, dice che si può fare, «a patto che tutti i capigruppo siano d’accordo». Da destra e da sinistra è un coro, il momento buono sembra arrivato. E anche il Pdl, con il capogruppo Paolo Valentini, annuncia la presentazione di una propria proposta.

Gli stipendi d’oro del Pirellone I benefit da 50mila euro per chi rinuncia all’auto blu

Nel merito, però, le cose non sembrano così semplici. Perché sulla riduzione delle indennità, che oggi si aggirano tra i dieci e i 12mila euro mensili, si confrontano due scuole di pensiero. Per il Pd i tagli agli stipendi (un ulteriore dieci per cento, dopo la riduzione di circa 500 euro che si applica automaticamente perché così hanno deciso i parlamentari, ai cui stipendi sono agganciati quelli dei consiglieri regionali), si possono fare subito. Pdl e Lega, invece, sostengono che una busta paga più magra potrà arrivare solo dalla prossima legislatura, in virtù di quei «diritti acquisiti» che farebbero scattare una valanga di ricorsi.

La proposta del Pd, primo firmatario Maurizio Martina, prevede un altro taglio, immediato, di circa mille euro sul mensile, con un risparmio annuale calcolato in cinque milioni. E (ma dalla prossima legislatura) l’abolizione del vitalizio, vale a dire della pensione che oggi ciascun consigliere riceve anche dopo solo cinque anni di attività; in cambio — e su questo anche la maggioranza è d’accordo — si passerebbe al sistema contributivo: ognuno riceve in rapporto a quel che ha versato, magari a enti previdenziali privati. Novità anche sul fronte del trattamento di fine mandato: adesso la “liquidazione” è pari a un’annualità per ogni legislatura, che dovrebbe ridursi a una mensilità per ogni anno passato in Consiglio, e per un massimo di dieci mensilità. Ma c’è chi vuole bruciare i tempi. Giulio Cavalli, di Sel, ha scritto all’ufficio di presidenza una lettera in cui annuncia di rinunciare — da subito — al vitalizio: «Cominciamo da qui, ma in ogni caso ho fiducia che da settembre le cose cambieranno, altrimenti con l’aria che tira qualcuno ci rimetterà il posto e la carriera politica».

Sull’abolizione del vitalizio e la riduzione della “pensione”, disco verde dal Pdl, anche se il capogruppo Valentini avverte: «Per ridurre i costi della politica bisogna mettere mano pure al meccanismo della costituzione di gruppi consiliari: ce ne sono alcuni che costano più di altri». È un aspetto su cui insiste anche il leghista Boni: l’obiettivo è innalzare la soglia per costituire un gruppo. Per il presidente del consiglio regionale si potrebbe stabilire un minimo di cinque consiglieri.

Ma le sforbiciate dovranno riguardare anche la giunta. Roberto Formigoni dice che è arrivato il momento di dare un segnale di sobrietà. Ma se la prende con Repubblica, che ha dato conto degli stipendi d’oro e soprattutto dei metodi di “reclutamento” dei dirigenti del Pirellone. «La Lombardia — tuona il governatore — è la Regione italiana che costa meno ai cittadini: il costo di funzionamento, compreso il personale, è inferiore a 29 euro l’anno pro capite, contro una media nazionale di 56». Il tutto «grazie anche all’ottimo lavoro di dirigenti regionali che spesso il privato ci invidia e ci contende».

http://milano.repubblica.it/cronaca/2011/07/08/news/stipendi_d_oro_promesse_bipartisan_pdl_e_lega_ma_si_comincia_nel_2015-18821261/

Chissà cosa ne dicono gli indignados

Della squallida vicenda Ma-Vib che è arrivata addirittura fino a lì. Tradotta. El consejero regional Giulio Cavalli también se refirió a los despidos femeninos y advirtió de que la decisión de Ma-Vib representa “una peligrosa deriva sexista que no puede y no debe tener lugar en el mundo del trabajo”. “Las motivaciones expuestas como base de la interrupción laboral no son un descuido, están elegidas conscientemente, sabiendo que relegan a la mujer al papel de amas de casa que deciden trabajar por hobby”, aseguró Cavalli, quien insistió en que estas palabras “no sólo son un insulto de la época medieval, sino también una señal preocupante de discriminación social”. L’articolo qui.