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“Migliorare il reddito di cittadinanza”, la Chiesa chiede interventi per la misura simbolo dei grillini

In Italia ci sono già un milione di poveri assoluti in più rispetto al periodo pre-pandemia, arrivando alla cifra record di 5,6 milioni di persone in stato di povertà assoluto (circa 2 milioni di nuclei familiari). In occasione della Giornata internazionale di lotta alla povertà (17 ottobre) la Caritas ha presentato il Rapporto 2021 su povertà ed esclusione sociale dal titolo “Oltre l’ostacolo” prendendo in esame le statistiche ufficiali sulla povertà, i dati di fonte Caritas, il tema dell’usura e del sovra-indebitamento, la crisi del settore turistico, lo scenario economico-finanziario e le politiche di contrasto alla povertà.

Nel 2020 Caritas (potendo contare su 6.780 servizi a livello diocesano e parrocchiale e oltre 93mila volontari a cui si aggiungono circa 1.300 volontari religiosi e 833 giovani in servizio civile) ha sostenuto più di 1,9 milioni di persone. Di questi il 44% sono “nuovi poveri”, persone che si sono rivolte al circuito Caritas per la prima volta per effetto, diretto o indiretto, della pandemia. Disaggregando i dati per regione si scorgono alcune importanti differenze territoriali che svelano quote di povertà “inedite” molto più elevate; tra le regioni con più alta incidenza di “nuovi poveri” si distingue la Valle d’Aosta (61,1%,) la Campania (57,0), il Lazio (52,9), la Sardegna (51,5%) e il Trentino Alto Adige (50,8%). La pandemia ha acuito anche le povertà pre-esistenti: cresce anche la quota di poveri cronici, in carico al circuito delle Caritas da 5 anni e più (anche in modo intermittente) che dal 2019 al 2020 passa dal 25,6% al 27,5%; oltre la metà delle persone che si sono rivolte alla Caritas (il 57,1%) aveva al massimo la licenza di scuola media inferiore, percentuale che tra gli italiani sale al 65,3% e che nel Mezzogiorno arriva addirittura al 77,6%. Siamo quindi di fronte a delle situazioni in cui appare evidente una forte vulnerabilità culturale e sociale, che impedisce sul nascere la possibilità di fare il salto necessario per superare l’ostacolo.

Il 64,9% degli assistiti dichiara di avere figli; tra loro quasi un terzo vive con figli minori. Rispetto alle condizioni abitative, oltre il sessanta per cento delle persone incontrate (63%) vive in abitazioni in affitto, Il 5,8% dichiara di essere privo di un’abitazione, il 2,7% è ospitato in centri di accoglienza. Percentuali queste ultime che si legano chiaramente alla condizione degli “homeless”, i cui numeri anche per il 2020 risultano tutt’altro che trascurabili. Le persone senza dimora incontrate dalle Caritas sono state 22.527 (pari al 16,3% del totale), per lo più di genere maschile (69,4%), stranieri (64,3%), celibi (42,4%), con un’età media di 44 anni e incontrati soprattutto nelle strutture del Nord. Oltre un terzo delle persone sostenute dal circuito Caritas (il 37,8%) è supportato anche da alcuni servizi pubblici, il 19,9% dichiara di percepire il Reddito di Cittadinanza.

Dal rapporto esce anche un desolante quadro dell’occupazione: l’Italia, che già nel 2019 registrava oltre 2 milioni di giovani Neet (persone non impegnate nello studio, né nel lavoro né nella formazione) tra i 15-29 anni e alti tassi di disoccupazione, con la pandemia registra un forte calo del numero di occupati (-682mila unità). È interessante notare come tra loro il 52,3% è costituito da donne, che incidono solo per il 41% sul totale degli occupati, e il 55% è costituito da giovani tra i 15 e i 34 anni, giovani-adulti che pesano sul totale degli occupati appena per il 21,2%. Anche sul fronte educativo le conseguenze sono state assai gravi, collegate per lo più alla chiusura delle scuole per due anni scolastici consecutivi (2019-20 e 2020-21). In Italia il 78% delle scuole italiane ha garantito le video-lezioni con gli insegnanti, con frequenze più elevate per quelle secondarie di primo grado (pari all’86%) e per gli istituti del Nord, con punte vicine al 90% in Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia ed Emilia-Romagna.

Nel Mezzogiorno si registrano performance più basse della media (76%), con i valori minimi in Molise (69%) e Campania (71%). Complessivamente gli studenti che non hanno partecipato alle video-lezioni risultano quasi 600mila, pari all’8% degli iscritti, con un minimo di esclusi nelle regioni del Centro (5%) e valori più elevati (9%) nel Mezzogiorno (con un massimo del 13% in Sardegna). La crisi occupazionale e economica ha dato una spinta anche all’usura e al sovraindebitamento: nel rapporto si legge che nelle zone che sono state “rosse” più a lungo il reddito “si è ridotto di oltre il 50 per cento per un nucleo ogni 20; è stato decurtato tra i 25 e i 50 punti percentuali per 10 famiglie su 100; si è abbassato tra 1 punto a 25 punti percentuali per il 18,4 per cento della popolazione e solo un piccolo gruppo di privilegiati ha visto aumentare il proprio reddito (2,6%)”.

Grave crisi anche per il settore turistico: «In Italia, nel 2017, il turismo rappresentava il 6% del valore aggiunto nel nostro paese. Assoturismo stima una perdita di quasi 84 milioni di pernottamenti di turisti italiani e 157,1 milioni di turisti stranieri, con un calo degli arrivi di quasi il 62%. Il crollo delle presenze si è tradotto in una drastica contrazione della domanda di beni e servizi in diversi settori: la stima è di oltre 50 miliardi di euro». A Ischia il 70% degli operatori turistici non lavora: nel 2019 la Caritas sfamava 500 famiglie, mentre oggi sono 2.500 in gran parte formate da lavoratori stagionali che non hanno ricevuto nessun tipo di supporto economico. A Venezia, per fare un esempio, nei primi 9 mesi del 2020 si sono registrati 5 milioni in meno di arrivi (- 59,5%) e 18,5 milioni in meno di presenze (- 53,5%). La componente straniera ha registrato un calo del 73,1% degli arrivi.

Dal rapporto della Caritas esce uno scenario italiano molto meno “ottimista” di quello che viene raccontato con gran sicumera in certi ambienti. Per questo l’organismo pastorale della Cei raccomanda un pacchetto complessivo di interventi che prevede tra le altre cose anche il riordino e rafforzamento del Reddito di cittadinanza (ebbene sì, il tanto vituperato Reddito di cittadinanza) prevedendo un miglioramento nell’intercettare meglio la povertà assoluta (più della metà delle famiglie in povertà assoluta non riceve il RdC), ampliare alcuni criteri di accesso (come la diminuzione del numero di anni di residenza richiesti e una scala di equivalenza non discriminatoria verso le famiglie più numerose e che non le sfavorisca rispetto ai nuclei con uno o due componenti) e un miglioramento dei servizi e delle azioni per l’inserimento lavorativo.

E leggendo i dati e le opinioni di chi con la povertà ci ha a che fare tutti i giorni (sfamando gli affamati, proprio come dice quel Vangelo tanto sventolato e poco praticato) è ancora più evidente lo scollamento tra una narrazione che ancora si illude di poterla nascondere (se non addirittura criminalizzare) e un Paese che si ritroverà sempre di già (e sempre più duramente) a doverci fare i conti.

 

L’articolo “Migliorare il reddito di cittadinanza”, la Chiesa chiede interventi per la misura simbolo dei grillini proviene da Il Riformista.

Fonte

La distopia del reddito di cittadinanza

Per Meloni la misura di contrasto alla povertà è come “metadone di Stato”. Roba da brividi se dalle nostre parti ci fosse ancora un minimo di senso della decenza e della misura

Ci risiamo, siamo sempre qui. Anche durante l’annuale Forum Ambrosetti abbiamo assistito agli strali contro il reddito di cittadinanza, ovviamente sempre basandosi su una visione pervertita della realtà e ovviamente fottendosene bellamente dei dati. Sia chiaro: il reddito di cittadinanza è una legge che come tutte le leggi è migliorabile se non addirittura sostituibile con misure più efficaci. Il punto sostanziale però rimane sempre lo stesso: gli imprenditori che sono contro i sussidi ai poveri vedono come unica soluzione quella di deviare i sussidi ai ricchi (e loro, chiaro, si credono i ricchi) quindi sostanzialmente vorrebbero intascarsi i soldi dei poveri con la promessa di ridistribuirli. Sì, ciao. 

Il colpo grosso l’ha lanciato Giorgia Meloni (che sarebbe l’autentico Salvini di cui preoccuparsi, più di Salvini, ma tardiamo a rendercene conto) con il suo paragone tra reddito di cittadinanza e metadone, roba da brividi se dalle nostre parti ci fosse ancora un minimo di senso della decenza e della misura. Ma del resto vince chi urla l’urlo più urlato e Meloni sa bene come conquistarsi qualche titolo che mandi in sollucchero i suoi tifosi. Poi è arrivato il presidente di Brembo che ci ha deliziato dicendo “certo che credo alla gente che preferisce prendere il reddito e stare sul divano piuttosto di lavorare” raccontando di avere incontrato agricoltori (in vacanza, eh) che si lamentano di non trovare chi raccoglie “pomodori e angurie a causa del reddito”. Poi, ovviamente, ci ha detto che “non si trovano lavoratori stagionali”, riprendendo un refrain che ormai funziona tantissimo. Del resto già il 14 maggio il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca (uno che ogni volta che apre la bocca accende l’incresciosa domanda del perché non stia in una parte politica più consona al suo bullismo politico) disse “Alcune attività non apriranno perché non si trovano più camerieri. Non si trova personale stagionale: è uno dei risultati paradossali dell’introduzione del reddito di cittadinanza“.

Peccato che l’affermazione sia completamente falsa come certificano i dati amministrativi dell’Inps che raccontano tutt’altra realtà: a maggio sono stati attivati la bellezza di 142.272 rapporti di lavoro stagionali. Quasi il doppio rispetto al 2017 e 50mila in più sia rispetto al 2018 – prima dell’introduzione del reddito di cittadinanza – sia rispetto al 2019. Una ricerca d’archivio conferma che si tratta di un record da almeno otto anni a questa parte (le serie arrivano fino al 2014). E di solito il boom di stagionali si registra a giugno, all’inizio della stagione estiva, mentre quest’anno è arrivato addirittura in anticipo. Il saldo annualizzato, cioè la variazione tendenziale delle posizioni di lavoro negli ultimi 12 mesi, ha fatto registrare una crescita pari a +560mila, frutto soprattutto di un saldo positivo dei contratti stabili (+184.000), ma anche di quelli a tempo determinato (+169.000), in somministrazione (+110.000), stagionali (+91.000) e intermittenti (+8mila).

Del resto Riccardo Illy, con evidente onestà intellettuale, dice che “i dati sono chiari, l’incidenza del reddito sulla carenza di manodopera è praticamente nulla” e l’imprenditrice Luisa Todini (che opera nel settore alberghiero) riconosce che se sommiamo “la disponibilità del reddito di cittadinanza all’interesse di molti imprenditori di pagare i lavoratori in nero, la miscela diventa esplosiva”. Nessuno invece ha la santa pazienza di chiedere ai nostri imprenditori come sia successo che negli ultimi 10 anni siamo passati da 400 contratti ai 980 di oggi, pseudocontratti che sono stati utili per parcellizzare i diritti, sostanzialmente annacquandoli. 

Come ricorda Pasquale Angius “Nel 123 a.C., nell’antica Roma, il tribuno della plebe Gaio Sempronio Gracco fece approvare una legge che obbligava lo Stato a fornire a un prezzo fisso, molto basso, di sei assi e un terzo, a ogni famiglia grano sufficiente per produrre ogni mese 45,3 chili di pane, all’incirca un chilo e mezzo al giorno”. Solo per dire come le misure di sostegno al reddito esistano da sempre nonostante qualcuno finga di non saperlo. Sarebbe anche utile ricordare che entro il primo anno e mezzo dall’introduzione del reddito di cittadinanza uno su quattro dei beneficiari aveva trovato un lavoro, il 65% a tempo determinato. Lo ripetiamo ancora una volta: che le misure di contrasto alla povertà siano cosa diversa dalle politiche attive per il lavoro lo sanno anche i sassi ma che le une debbano pagare le altre è qualcosa che grida vendetta. Anzi si potrebbe anche notare che poca attenzione viene data al fatto che i limiti per i cittadini non italiani siano fin troppo stringenti (e qui sento già le unghie dei “non sono razzista ma” che graffiano) tenendo conto che un terzo delle famiglie di stranieri residenti in Italia vivono in povertà e, tra l’altro, in molte di quelle famiglie ci sono dei minori e che la soglia dei 10 anni di residenza in Italia per accedere al reddito è stato un gradito regalo a Salvini. 

Sempre come ricorda Pasquale Angius “secondo una recente ricerca il 55,2% delle persone che nel 2019 si sono rivolte alla Caritas per ottenere pasti e prodotti alimentari gratuiti avevano percepito il reddito di cittadinanza. Questo dato ci dice in sostanza che chi percepisce quel beneficio appartiene a categorie sociali vulnerabili, e spesso le poche centinaia di euro del reddito non sono sufficienti, soprattutto per le famiglie più numerose”. 

Questa è la realtà. È benvenuta qualsiasi opinione, anche contraria, al reddito di cittadinanza ma per favore rimaniamo nella realtà, non insceniamo una dolorosa distopia. 

Buon martedì. 

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Perché odiano il reddito di cittadinanza

Nemmeno lo spiffero del presidente Draghi che ha difeso con forza il principio del reddito di cittadinanza (ma i migliori, si sa, sono migliori solo quando dicono concetti che tornano utili) ha fermato la battaglia a testa bassa di Matteo Renzi e compagnia cantante contro la misura.

C’è innanzitutto una riflessione da fare: il reddito di cittadinanza ci permette, giorno dopo giorno, di riconoscere con maggiore facilità da che parte stiano i diversi esponenti politici, se sono appiattiti sul reddito di cittadinanza alle imprese (li chiamano sussidi perché fa più figo) o ai poveri. Meglio così. Chissà che qualcuno prima o poi si svegli e la smetta di ritenersi di centrosinistra.

Italia viva in testa, con la Lega poco dietro (sempre per quella vecchia storia degli amorosi sensi tra i due Mattei) insistono nella visione moraleggiante di una gioventù italiana che preferisce “stare sdraiata sul divano” a prendere sussidi invece di “soffrire, rischiare, provare”.

Ma c’è un punto sostanziale che va ribadito con forza: a Renzi e compagnia cantante (Confindustria in testa) disturba che il reddito di cittadinanza (che per il 30% finisce a chi ha meno di 20 anni) permetta ai giovani di dire no a contratti di miseria che sono ben al di sotto di qualsiasi soglia di sopravvivenza. Una certa imprenditoria italiana impazzisce all’idea di non poter pescare schiavi e non è un caso che tra le proposte di modifica ci sia quella di avere l’obbligo di accettare lavori anche al di sotto dell’assegno del reddito di cittadinanza con un’eventuale integrazione a carico dello Stato. Per farla breve si tratterebbe di uno schiavismo di cittadinanza non solo tollerato ma addirittura in concorso con lo Stato. Un capolavoro, insomma.

L’assegno medio percepito dai beneficiari del Rdc è di 586 euro: credere che quella cifra possa essere minimamente gratificante dal punto di vista professionale, umano e di realizzazione significa non avere nessun contatto con la realtà. Nella sua replica a Italia viva pubblicata da La Stampa la sottosegretaria al Lavoro Maria Cecilia Guerra lo dice chiaramente: «Si può essere poveri anche senza essere pigri». Sempre Guerra nel suo intervento smonta anche una retorica truffaldina sul reinserimento nel mondo del lavoro dei percettori di reddito: «È molto difficile collocare persone che, nel 67% dei casi (Inps), non hanno avuto nessun rapporto col mercato del lavoro nei due anni precedenti l’introduzione del Rdc e che hanno un tasso di scolarità molto basso. Ma lo è ancora di più in un periodo in cui l’occupazione è calata, dal febbraio 2020 al febbraio 2019, di 846 mila unità. In questo contesto, per legge, dall’aprile del 2020 si è deciso di sospendere gli obblighi relativi all’accettazione di offerte di lavoro per i percettori di Rdc».

«I numeri dei nostri istituti pubblici – dice Guerra -, davvero inoppugnabili, ci dicono altro anche sul rapporto Rdc-lavoro: circa metà delle persone che ricevono il Rdc non sono attivabili al lavoro. Anche perché spesso già lavorano: nel 57% dei nuclei beneficiari sono presenti persone occupate»: in sostanza in Italia si è poveri anche lavorando. E questo sarebbe il punto vero di cui bisognerebbe avere il coraggio di parlare. Tutto questo in un Paese dove gioiellieri o titolari di stabilimenti balneari (solo per citare due delle categorie che regolarmente sono in fondo delle classifiche Mef sulle dichiarazioni dei redditi, ben al di sotto dei pensionati) beneficiano di agevolazioni che non spettano invece ad un operaio neo assunto.

Il reddito di cittadinanza può essere migliorato? Eccome. Ma prima di qualsiasi discorso conviene comprendere bene chi è strumentalmente critico perché disinteressato alla povertà. È una questione di onestà intellettuale e onestà politica. Ed è una questione anche di ecologia del dibattito.

Buon mercoledì.

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I numeri e la propaganda sul reddito di cittadinanza

Mentre c’è chi fa propaganda contro il reddito di cittadinanza, i numeri del Rapporto Inps fotografano la realtà di chi lo percepisce. Il ministro Orlando, intanto, sospetta che stia per essere attuata una «pericolosa, sbagliata campagna contro i poveri»

Sempre a proposito della narrazione del divano che continua incessante, che anche ieri si è infilata tra le pieghe di una nazione in festa per la vittoria al campionato europeo di calcio e che si è ripetuta tra promesse di referendum per abrogare il reddito di cittadinanza e lamentele di imprenditori che non trovano lavoratori ieri è stato presentato il XX rapporto dell’Inps e forse conviene guardare i numeri prima di cedere alla propaganda. Perché è sano che ci siano opinioni differenti e si confrontino ma è indispensabile evitare strumentalizzazioni e politica da social. Almeno questo.

A proposito della boutade del referendum vale la pena leggere una riflessione di Giampaolo Coriani: «Al fenomeno di competenza che, sui social, invitava con riflesso condizionato fantozziano la “dottoressa Ferragni” al confronto per spiegarle il funzionamento del Senato, perché la politica non si fa sui social, è sfuggito che non può essere depositata una richiesta di referendum nell’anno antecedente lo scioglimento delle Camere e nei sei mesi successivi. Visto che la legislatura finisce nel 2023, nel 2022 difficilmente si raccoglieranno firme per abrogare il reddito di cittadinanza. Se ne parla nel 2024, ma ci sarà un altro problemino da risolvere per il competente proponente, cioè tornare in Parlamento».

I numeri dicevamo. A proposito del reddito di cittadinanza l’importo medio ricevuto dagli 1,18 milioni di nuclei familiari – corrispondenti a 3,7 milioni di persone – che lo percepiscono è di 583 euro complessivi, compresa dunque la parte destinata a pagare l’affitto o il mutuo. Quando sentite qualcuno che vi dice che quella cifra sarebbe abbastanza per poter dire no a un lavoro qualsiasi (che non sia uno sciacallaggio e uno sfruttamento per quelle cifre) potete anche sorridergli: essere fuori dalla realtà non è un reato ma voler imporre la propria ignorante distorsione della realtà non dovrebbe funzionare.

A 515mila nuclei familiari è stata assicurata l’estensione dei congedi dal lavoro per favorire la conciliazione dell’attività lavorativa con le esigenze familiari e di cura; 850mila nuclei familiari hanno fruito del bonus baby-sitting; a 722mila famiglie con gravi difficoltà economiche è stato erogato il Reddito di emergenza (Rem). Poi 216mila bonus per lavoratori domestici; 1 milione e 800mila nuclei familiari (circa 3,7 milioni di individui) hanno beneficiato del Reddito di cittadinanza o della pensione di cittadinanza. Ora resta da vedere da che lato leggere questi numeri: ci interessano i soldi pubblici spesi o le famiglie salvate? Questo è il punto. Da che parte stare?

Sempre a proposito di numeri c’è un’enorme questione meridionale che sembra sparita dal dibattito pubblico. Come ha spiegato ieri il presidente dell’Inps Tridico i percettori si contano in maggioranza al Sud e nelle isole: 818mila le famiglie coinvolte e circa 2 milioni di persone, contro 281mila nuclei e 557mila persone al Nord. Secondo i quadri dell’Inps, la Campania è la regione con il più alto numero di percettori di reddito o pensione di cittadinanza (oltre 255mila solo quelle che percepiscono RdC). Qui, le famiglie che hanno beneficiato del reddito o della pensione di cittadinanza a maggio 2021 sono state 275mila, un numero che sfiora quello delle regioni del Nord insieme (281.786). Nel complesso le persone raggiunte sono circa 716mila e percepiscono una cifra mensile media di 623 euro. Al secondo posto la Sicilia, dove quasi 223mila famiglie ricevono il reddito di cittadinanza. Siamo sicuri che sia tutta una questione di truffatori dello Stato? Se ne siete convinti basta che abbiate il coraggio di dirlo apertamente, senza poi indossare felpe per la campagna elettorale. «Non si tratta di un dato particolarmente sorprendente dato che queste regioni sono caratterizzate da bassa occupazione e forte incidenza della povertà. La disuguaglianza salariale risulta quasi raddoppiata, con una varianza da 0,24 nel 1985 a 0,44 nel 2018». A colpire maggiormente è «che tale incremento avviene per un terzo all’interno delle aziende indipendentemente da settore o dimensione aziendale», ha spiegato ieri Tridico.

Il ministro Andrea Orlando ieri ha invitato «a leggere il rapporto prima di parlare del reddito di cittadinanza». «Lo dico – ha spiegato – perché credo che la discussione che si sta sviluppando prescinde completamente dai dati che emergono dal rapporto». Per il ministro, l’aria che tira «fa sospettare che si sia in procinto di attuare una pericolosa, sbagliata campagna contro i poveri e di criminalizzazione della povertà. Se così fosse non sarebbe utile al Paese che ha bisogno di pace sociale, di coesione e non ha bisogno di riaprire fratture profonde».

E quindi rimane la domanda sostanziale: se è vero che il reddito di cittadinanza ha tutto il diritto di essere contestato e perfino abrogato cosa si ritiene di poter fare per governare questi numeri che non sono altro che persone in regime di povertà? Questo è il punto. Perché i partiti che sostengono questo governo non potranno continuare a farlo a lungo eludendo la vera questione.

Noi, da parte nostra, insistiamo.

Buon martedì.

(nella foto la presentazione del Rapporto Inps con il ministro Orlando e il presidente Inps Tridico)

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Conte, ddl Zan, reddito di cittadinanza: per contare qualcosa Renzi ha deciso di distruggere gli altri

Matteo Renzi galoppa felice nella sua guerra contro i poveri e annuncia di voler proporre un referendum per abolire il reddito di cittadinanza. In un Paese normale Matteo Renzi che parla di referendum farebbe già accapponare la pelle se la coerenza non fosse un inutile suppellettile.

Ma Matteo Renzi è questo: un uomo di destra ammantato di credibilità che ha scippato in saldo al centrosinistra con un manipolo di guastatori sempre pronti ad avvelenare i pozzi. C’è un primo punto politico che salta all’occhio: dopo i suoi pochi fugaci mesi di popolarità le energie di Renzi sono tutte concentrate nella pars destruens, come nella migliore tradizione dei populisti.

Renzi contro il ddl Zan, Renzi contro Conte, Renzi contro il M5S, Renzi contro il reddito di cittadinanza: incapace di costruire e di progettare l’egoriferito più veloce del West ha scelto di essere il granello di sabbia che incaglia gli ingranaggi degli altri. Del resto le proporzioni elettorali sono più o meno quelle.

Normale quindi che il reddito di cittadinanza sia un nemico giurato: la sua attenzione morbosa al reddito di cittadinanza (misura analoga a quelle in uso in tutta Europa) non è nient’altro che l’identico atteggiamento di quella destra che vede dappertutto disoccupati che fingono di disoccuparsi, poveri che in realtà sono stati solo scialacquatori e fragili che vengono bollati semplicemente come sconfitti e quindi inetti.

Per Renzi e per i suoi scherani i poveri del nostro Paese non si stanno vergognando abbastanza, si permettono addirittura di voler controbattere ai moralisti censori e sono talmente tutelati che si possono permettere perfino il lusso di non diventare schiavi e di non trasformarsi in agnelli sacrificali sull’altare del fatturato di pochi.

Dice Renzi che il reddito di cittadinanza sarebbe diseducativo e su questo ha perfettamente ragione: i poveri non sono quasi mai educati, non riescono a governare la rabbia per la perdita della dignità, sono troppo cenciosi e sporcano la narrazione fasulla di questo Paese (a quando una legge che multi i poveri per il reato di povertà?) e soprattutto i poveri sono lo specchio di una politica inetta, tutta intenta a essere esercizio di potere e cinismo.

E invece le masse servono affamate per essere pronte a cedere un voto in cambio di un contratto di poche settimane e per diventare mandrie per una “ripresa bellissima” che ha l’odore di un’orgia di soldi per i soliti noti. Non riuscendo ad abolire la povertà alla fine hanno deciso di abolire i poveri. Come la destra di cui Renzi è agente infiltrato (malissimo).

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Diceva “prima gli italiani” ma ha preferito “prima la famiglia”: sindaco arrestato per migliaia di mascherine sottratte alle Rsa

“Prima gli italiani” ripete Matteo Salvini e tutti in coro i suoi fedelissimi. “Prima gli italiani” perché bisogna difendersi dagli interessi “altri”, quelli degli stranieri, che a detta dei leghisti depaupererebbero gli onesti. Poi accade che a Opera in provincia di Milano il sindaco leghista Antonino Nucera venga arrestato insieme alla sua compagna (capo dell’ufficio tecnico dello stesso comune di cui è sindaco) insieme a tre imprenditori.

Tra le accuse ci sono le mascherine che sarebbero servite agli anziani nelle Rsa, alla farmacia comunale per la distribuzioni ai suoi concittadini e che invece sono state tenute nascoste per l’ex moglie, gli amici, gli amici degli amici, i famigliari, i dipendenti comunali e gli agenti della polizia locale. Qualcosa come 2.800 dispositivi di protezione che il prode leghista, uno di quelli che dovrebbe difenderci dal pericolo “straniero”, ha deciso di intascarsi, secondo le accuse.

Eppure il sindaco Nucera è il prototipo del perfetto salviniano: sulla sua bacheca Facebook urlacciava contro il governo Conte scrivendo che “mentre loro concordano come spartire le poltrone” lui pensava a “lavorare per le nostre comunità, come abbiamo sempre fatto”. Poi ovviamente ci sono tutte le sue arrabbiature per “i criminali”: alcuni che hanno strappato i sigilli per attraversare un ponte in costruzione, complimenti ai carabinieri che hanno tolto la patente a un ubriaco al volante, indignazione per degli uccelli avvelenati, strali contro il reddito di cittadinanza, l’immancabile post sul presepe e sulla Sacra Famiglia e così via.

La retorica, la solita retorica, di chi usa il populismo per fottere gli elettori. Imperdibile il post in cui chiede ai cittadini di restare a casa: “In qualità di Sindaco e di padre di famiglia vi chiedo vivamente di uscire solo per motivi importanti! Stiamo attraversando un periodo molto particolare… è richiesto un comportamento responsabile ad ognuno di noi..”.

Del resto è proprio il manifesto del leghismo: quel “prima gli italiani” diventa un sovranismo in cui l’unica Patria è l’io e gli interessi personali. Fregarsene degli altri rivendicando l’egoismo come diritto. Se ci pensate bene il sindaco Nucera ha eseguito il suo manifesto politico alla lettera: si è occupato solo di quelli che lui considera “prima” degli altri solo che “gli altri” alla fine diventano anche i cittadini perché a forza di disinteressarsi di più gente possibile è inevitabile che finisca così. E chissà cosa ha da dirci il prode Salvini.

Leggi anche: Salvini cambia linea per placare i malumori della Lega: “Draghi non è Conte, non stacco la spina”

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La pandemia economica non ha bollettini quotidiani, ma in Italia ci sono un milione di poveri in più

La pandemia economica non ha bollettini quotidiani, ma in Italia ci sono un milione di poveri in più

Scusate se insisto ma c’è una pandemia parallela, figlia di quell’altra, che infesta tutto il territorio nazionale ma che non ha bollettini quotidiani a puntellare il dibattito e l’informazione, che non crea allarmi pruriginosi convenienti per vendere la paura e che viene declinata al massimo in qualche singola storia per coprire qualche ospitata.

Qualche giorno fa sono state rese pubbliche le stime preliminari Istat sulla povertà per il 2020 e sono numeri che sanguinano: ci sono 2 milioni di nuclei famigliari in povertà, 5,6 milioni di individui, 1 milione in più di contagiati dall’indigenza rispetto all’anno precedente.

Visto che vanno di moda le percentuali si potrebbe scrivere così: nel 2019 il 7,7 per cento della popolazione era “povero” e ora siamo al 9,4 per cento. Nel Nord Italia ci sono 720 mila nuovi poveri e 184 mila al Sud. A pagare lo scotto sono le famiglie più numerose, quelle con almeno cinque componenti nel nucleo famigliare in cui l’incidenza è aumentata di quattro punti arrivando al 20,7 per cento.

E poiché va di moda parlare, spesso con vanveristiche banalizzazioni, di futuro allora vale la pena ricordare che le più colpite sono persone tra i 35 e i 44 anni, per la metà operai o assimilati, un quinto sono lavoratori in proprio. Sempre a proposito di giovani: i bambini e i minorenni in povertà assoluta sono aumentati in maniera drammatica toccando quota 1,3 milioni, sono 209 mila in più rispetto all’anno precedente.

Questi numeri, anche questo vale la pena ricordarlo, sono limitati dal reddito di cittadinanza e dal Rom (il reddito di emergenza introdotto a maggio), quelle misure che più di qualcuno al governo sta mettendo sotto accusa dimenticandosi però molto spesso di dirci come abbia intenzione di risolvere un problema che sta assumendo proporzioni che avranno bisogno di soluzioni tempestive e urgenti.

Per rimanere sui numeri vale la pena anche sottolineare come la spesa media delle famiglie sia diminuito del 9,1 per cento rispetto al 2019, rimangono stabili solo le spese alimentari e per la casa mentre diluiscono del 19,2 per cento quelle per tutti gli altri beni e servizi. Qui non si tratta solo di riaprire le attività, c’è da mettere in condizione le persone di poter spendere e sopravvivere.

C’è un tema enorme che qualcuno vorrebbe fare passare come priorità della futura ripresa e invece è presente e straziante qui, ora, subito e che ha bisogno della stessa tempestività che si adopera per l’emergenza. La pandemia economica è già qui e miete le sue vittime.

Leggi anche: L’allarme dell’Fmi: “Col Covid bruciati 22mila miliardi di dollari, 90 milioni di persone verso la povertà estrema”

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L’intergruppo “Smutandati da Draghi”

I leghisti che plaudono alla cessione di sovranità all’Europa. I renziani entusiasti di un esecutivo che non parla di Mes. Il voto di fiducia al governo Draghi è stato il teatro di giravolte e capriole della politica

C’è talmente tanta ansia di comunicazione che alla fine tutti si esercitano nel solito esercizio: immaginare un programma di governo dalle parole di un discorso di insediamento vale più o meno come cavare il sangue da una rapa, soprattutto se il discorso al Parlamento è un elenco sartoriale (come l’oratore) di buoni propositi che possono voler dire tutto e il suo contrario.

Certo ieri Draghi ha fissato dei paletti e degli obiettivi dal profilo alto e di natura ambiziosa ma cosa ci possa essere dietro è ancora tutto da vedere. C’è dentro molta Europa (poi ci torniamo) com’era inevitabile che fosse ma bisogna capire se l’idea «di un’Unione europea sempre più integrata che approderà a un bilancio comune» indica una comunità di fatturati o di persone, c’è dentro la scuola ma si insiste sui «giorni di lezione persi» ed è un’affermazione falsa e piuttosto di pancia, c’è dentro finalmente la questione femminile collegata all’occupazione (ha detto Draghi: «aumento dell’occupazione, in primis, femminile, è obiettivo imprescindibile: benessere, autodeterminazione, legalità, sicurezza sono strettamente legati all’aumento dell’occupazione femminile nel Mezzogiorno») ma bisognerà vedere ovviamente come risolverla, c’è dentro molto ambiente (del resto lo chiede l’Europa, davvero), c’è dentro la cura per il patrimonio culturale anche se nella solita perversa visione della sua messa a reddito «per il turismo», c’è dentro la riforma strutturale del fisco che non può essere il mettere o togliere questo o quel balzello ma che ha bisogno di un pensiero totale che ne tocchi tutto l’impianto (ma bisogna vedere a favore di chi), ci sono dentro i giovani (quelli non mancano mai nei discorsi politici), c’è dentro il lavoro con una responsabilità politica enorme (scegliere quali aziende sostenere è una delle scelte più politiche che spetta a un governo, altro che tecnici), c’è dentro la promessa di politiche attive per i lavoratori (ma anche su questo non resta che aspettare i concreti provvedimenti). Volendo vedere ci sono anche parole che speriamo di avere interpretato male sull’immigrazione visto che è stata proposta come questione europea e l’esternalizzazione delle frontiere messa in atto dall’Europa è roba vergognosa che andrebbe rivista: nessuna parola su cittadinanza e integrazione, ad esempio. Parlando di ambiente è riuscito a buttarci dentro anche un ipotetico dialogo con il Signore, eh vabbè. Vedremo, osserveremo, vigileremo.

Però la giornata di ieri è stata anche e soprattutto la giornata dello smutandamento di politici ingarbugliati in capriole che sono stati smascherati da un governo che tra i suoi pregi ha sicuramente quello di svelare la bassa natura di alcuni protagonisti.

Per chi aspettava ad esempio con curiosità le parole dei renziani di Italia viva sul Mes che per Renzi era dirimente per l’eventuale fiducia al governo Conte (il 17 gennaio scorso disse «non voterò mai un governo che si ritiene il migliore del mondo e di fronte a 80mila morti non prende il Mes») c’è la fenomenale dichiarazione di Faraone: «Ci chiedono strumentalmente perché non chiediamo più il Mes. Non lo facciamo perché il nostro Mes è lei, presidente Draghi, e questo governo». Ecco, credo che non servano altri commenti.

Per chi ci diceva che il Recovery plan del precedente governo fosse “uno schifo” arrivano le parole di Draghi che confermano invece la «grande mole di lavoro» del governo precedente e l’intenzione di continuare in quella direzione. Così, per capire quanta ipocrisia ci siamo sorbiti nei giorni scorsi.

Draghi ha parlato di un rafforzamento della sanità territoriale e di fianco aveva Giorgetti, quello che diceva: «Mancheranno 45 mila medici di base, ma tanto nessuno va più da loro. È un mondo finito». Una scena epica.

Ma il campione delle giravolte è ovviamente Matteo Salvini che ieri è diventato turbo europeista lanciandosi a dire: «Vogliamo l’Europa 7 giorni su 7». Draghi ha parlato dell’irreversibilità dell’euro e lui si è inzerbinato, Draghi ha parlato di cessione della sovranità e il sovranista ha fatto sì sì con la testina. Un massacro. Se avete voglia di divertirvi andatevi a leggere i commenti dei suoi elettori sotto i suoi profili social: un’arena contro il capitano. Giorgia Meloni se la ride.

Lo slurp del giorno, manco a dirlo, lo vince Raffaella Paita di Italia viva: «Tra gli aspetti che mi hanno colpito del discorso di #Draghi c’è un dettaglio che probabilmente non tutti hanno notato. Quando veniva interrotto da applausi ricominciava il periodo dall’inizio per rispettare il rigore del ragionamento. #questionedistile #senato», ha scritto ieri. Evviva.

Buon giovedì.

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