Vai al contenuto

reggio calabria

La Calabria ha bisogno di qualcuno senza scopi di lucro: proprio come Gino Strada

La Calabria ha bisogno di qualcuno senza scopi di lucro: come Gino Strada

Non va proprio giù ai leghisti della Calabria l’ipotesi (che per ora rimane solo un’ipotesi) di Gino Strada commissario straordinario della sanità regionale. Ci mette il carico il presidente ad interim Nino Spirlì, uno che in poche settimane è riuscito nella mirabile impresa di mostrarsi in tutta la sua inadeguatezza, dopo la morte della presidente Jole Santelli, che sul fondatore di Emergency dice: “Gino Strada? Ma cosa c’entra, dobbiamo scavare pozzi? Non abbiamo bisogno di medici missionari africani”. Peccato che Gino Strada non si occupi di pozzi, ma sia un medico chirurgo che è stimato in tutto il mondo, uno che, per dire, ha lavorato nelle università di Stanford e di Pittsburgh e che ha lavorato nel più importante ospedale del Regno Unito (l’Harefield Hospital).

Semplicemente Gino Strada si è innamorato delle vittime della guerra quando ha visto con i suoi occhi quegli orrori e si è dedicato tutta la vita alla cura delle persone senza nessuno scopo di lucro. Che sarebbe, a pensarci bene, proprio quello di cui la Calabria avrebbe bisogno, se ci pensate. Ma su Gino Strada si è espresso anche Domenico Furgiuele che ieri a Montecitorio ha dichiarato: “Nominare un ulteriore commissario rispetto a quello che è stato nominato nel primo governo Conte, con la paventata nomina di Gino Strada, suggerito anche dal movimento delle Sardine, porta soltanto a problemi di ordine pubblico”. Ha parlato proprio di ordine pubblico. Anzi, ha aggiunto: “Volete che scoppino i moti? Accomodatevi, ci saranno i moti della Calabria 2020”.

Domenico Furgiuele è lo stesso deputato di Lamezia Terme indagato dalla Dda di Reggio Calabria per concorso in turbativa d’asta. Domenico Furgiuele e altri imprenditori, infatti, nel maggio 2015, secondo l’accusa, “con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso” e “con mezzi fraudolenti e collusioni, turbavano la gara d’appalto” indetta dal Comune di Polistena per la realizzazione di un eliporto a supporto dell’ospedale”. In particolare il deputato del Carroccio, legale rappresentante della Terina Costruzioni, avrebbe messo “a disposizione” la sua società “per la presentazione di un’offerta concordata con le altre imprese partecipanti al cartello, al fine di condizionare il risultato della gara in loro favore”. L’inchiesta “Waterfront” in cui risulta indagato Furgiuele ha portato all’arresto di 63 persone tra cui 11 funzionari pubblici e al sequestro di beni per 103 milioni di euro.

Ce ne sarebbero mille di motivi per i moti della Calabria 2020. E forse ci tornerebbe utile, un Gino Strada.

Leggi anche: 1. “Se scoppia la Calabria è la fine. Qui il piano Covid mai attivato: realizzate solo 6 terapie intensive”: il racconto di un medico del 118 / 2. Calabria, il Governo non usi Gino Strada per nascondere i suoi vergognosi errori / 3. Esclusivo: Cotticelli a TPI: “Davo fastidio alla massoneria. Volevano eliminarmi, non potendo uccidermi mi hanno screditato” / 4. Calabria, il commissario della Sanità Cotticelli si dimette: “Il piano Covid dovevo farlo io? Non lo sapevo” | VIDEO; / 5. Per gestire la Sanità della Calabria ora si fa il nome di Gino Strada / 6. Calabria, il nuovo commissario alla Sanità Zuccatelli: “Le mascherine non servono a un ca**o”

L’articolo proviene da TPI.it qui

Berlusconi ha già cominciato la campagna acquisti. Il prossimo centrodestra è già putrido

“Non si dice mai di no a chi dice ‘Sottoscrivo il vostro programma’. Noi saremmo molto convenienti per loro perché potrebbero incassare interamente l’indennità parlamentare”: la frase è stata pronunciata da Silvio Berlusconi durante un’intervista al Corriere della Sera e i “loro” di cui parla sono i transfughi del Movimento 5 Stelle che, nonostante siano stati “espulsi” dal Movimento, saranno eletti (per merito di una pessima legge elettorale, giova ricordarlo) e andranno a rimpinguare un Gruppo misto che si preannuncia già folto fin dall’inizio della legislatura.

Stiamo parlando (per ora) di sei persone coinvolte nel cosiddetto caso “rimborsopoli”: Maurizio Buccarella, in lista al secondo posto per il Senato nel collegio Puglia 2; Carlo Martelli, al primo posto per il Senato nel collegio Piemonte 2; Elisa Bulgarelli, al terzo posto nel collegio Emilia Romagna 1 per il Senato; Andrea Cecconi, al primo posto per il collegio Marche 2 per la Camera; Silvia Benedetti, al primo posto in un collegio veneto per la Camera; Emanuele Cozzolino, al terzo posto in un altro collegio veneto sempre per Montecitorio; dei quattro candidati “massoni” (Piero Landi, candidato a Lucca; Catello Vitiello a Castellammare di Stabia, David Zanforlin a Ravenna e Bruno Azzerboni a Reggio Calabria), di Emanuele Dessì (amico del clan Spada e in affitto in una casa popolare a 7 euro al mese e candidato al Senato nel collegio Lazio 3, al secondo posto).

Ma non è questione solo di candidature sbagliate: qui si tratta di un recidivo (Berlusconi) che sfrontatamente dichiara di avere aperto la campagna acquisti per ambire a un gruppo parlamentare già dopato indipendentemente dal risultato elettorale. È il solito Berlusconi, quello pessimo a cui la storia ci ha abituato, quello che la Lorenzin e la Bonino da sinistra dichiarano come prossimo alleato naturale in nome della responsabilità. È lo stesso disco. Rotto. Vecchio. E quasi nessuno si indigna.

Buon mercoledì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/02/21/berlusconi-ha-gia-cominciato-la-campagna-acquisti-il-prossimo-centrodestra-e-gia-putrido/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui.

Intanto l’ex assessore di Scopelliti si prende 9 anni per mafia

(Lucio Musolino per Il Fatto Quotidiano)

img_0016

Nove anni di carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso e 2.100 euro di multa. L’ex consigliere e assessore comunale all’Ambiente Pino Plutino è stato condannato anche dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria al termine del processo “Alta tensione 2“. Adesso manca solo il sigillo della Cassazione per confermare quanto sostiene la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria e cioè che l’uomo di fiducia dell’ex sindaco e governatore Giuseppe Scopelliti è un componente della famiglia mafiosa Caridi federata con la potente cosca Libri.

La sentenza è arrivata intorno alle 19 dopo una lunga camera di consiglio. In sostanza, i giudici della Corte d’Appello hanno confermato l’impianto accusatorio del pm Stefano Musolino che, in primo grado, aveva ottenuto la condanna di Plutino a 12 anni di carcere.

Arrestato nel 2012, l’ex assessore comunale sarebbe stato il referente politico dei Caridi al Comune di Reggio. Su di lui, il clan avrebbe fatto confluire i voti non solo degli affiliati, alterando la libera competizione elettorale per le comunali del 2011. Plutino, infatti, è il cugino di Domenico Condemi, considerato il boss del quartiere San Giorgio Extra e condannato a 20 anni di carcere.

Secondo gli inquirenti, l’ex assessore condannato era “il referente della cosca Caridi-Borghetto-Zindato e cresciuto politicamente attraverso queste dinamiche”. Secondo la Procura, da questa inchiesta, è venuta fuori quella che definiscono la ‘ndrangheta “fluida” capace di infiltrarsi nelle istituzioni e che chiede di essere riconosciuta come “sistema di potere“.

La Corte d’Appello ha assolto il fratello del boss, Filippo Condemi, “per non aver commesso il fatto”. Cadono le accuse anche per il poliziotto Bruno Doldo processato per rivelazione del segreto d’ufficio. Al termine del processo, così come era avvenuto in primo grado, i giudici hanno ritenuto che Doldo (all’epoca anche arrestato) fosse innocente e, soprattutto, non fosse quell’”agente della Digos” di cui si parla nelle intercettazioni effettuate durante le indagini.

Credo che sia ora che io torni a Reggio Calabria

E quindi sarò alla rassegna Tabularasa. Perché finisce sempre che i limiti ce li imponiamo da soli. Con la paura.

Qui l’articolo ANSA:

Torna Tabularasa, la rassegna letteraria sulla legalità, giunta alla sesta edizione, di Urba/Strill.it, ideato dai giornalisti Giusva Branca e Raffaele Mortelliti. La manifestazione, presentata oggi, per tutto il mese di luglio “darà spazio a talk, coscienze e musica” con piazza Italia, nel centro storico, scelta come location. Il festival avrà inizio domani, nell’ambito dell’Estate Reggina, con il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri e il suo ultimo libro “Oro Bianco: sulle tracce della droga”.

“L’obbiettivo – ha detto Giusva Branca – anche quest’anno è quello di appassionare la gente a tematiche d’interesse collettivo, al gusto della parola e al gusto del senso critico da sviluppare. Gli argomenti della sesta edizione di Tabularasa saranno alcuni di natura locale altri di respiro più ampio”.

Oltre alle consuete serate dedicate ai dibattiti culturali, il festival prevede anche alcuni concerti. “Per il 2015 – ha aggiunto – abbiamo voluto dare maggiore spazio ai gruppi musicali emergenti perché abbiamo riscontrato che la richiesta di spettacoli musicali è piuttosto marcata e in questo senso sono presenti in programma gli abbinamenti nella stessa serata di talk e concerto”.

Previsto l’intervento di ospiti come Corrado Passera e Giulio Cavalli, ma anche il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho ed il pm di Catanzaro Gerardo Dominijanni. Si affronteranno tematiche come la corruzione e il malaffare, ma anche lo sport, lo sviluppo locale e la politica.

“Lavorare con gli eventi culturali in Calabria – ha affermato Mortelliti – allestendo eventi gratuiti e cercando di avere un’offerta variegata per un mese intero non è materia semplice.

È vero che la città vuole questa tipologia di eventi estivi, ma è la stessa che si impegna e che difficilmente delega. Noi ci siamo trovati di fronte all’emergenza ‘Calabria’ a vario titolo, e anche Tabularasa fino alla fine ha rischiato di essere carente rispetto agli standard che ci siamo garantiti nelle passate edizioni. Alla fine abbiamo tirato fuori i muscoli, abbiamo trovato anche chi ha creduto alle nostre idee, anche gli enti locali hanno creduto all’iniziativa, vuol dire che Tabularasa comincia a diventare un principio filosofico. Allestire Tabularasa anche per il 2015 vuol dire ricominciare a proporre un’offerta seria e affidabile. Questa è la città che vogliamo, questa è l’offerta culturale che vogliamo”.

‘Ndrangheta patetica: il boss che pesta la moglie perché chiede gli alimenti

Per fortuna esistono giornalisti come Lucio Musolino che non lasciano correre notizie così:

operazione-siderno-675Usura e ‘ndrangheta. La guardia di finanza di Reggio Calabria e del gruppo Locri e lo Scico di Roma hanno stroncato la cosca Rumbo-Galea-Figliomeni federata con la pericolosa famiglia mafiosa dei Commisso di Siderno. Diciotto le ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip Teresa De Pascale su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria.

L’inchiesta “Bacinella 2”, coordinata dal procuratore Federico Cafiero De Raho, dall’aggiunto Nicola Gratteri e dal sostituto Antonio De Bernardo, ha smantellato un’orgazzazione di usurai e ha portato al sequestro di beni mobili e immobili per circa 3 milioni di euro. Associazione a delinquere di stampo mafioso, usura, estrosione e abusiva attività finanziaria. Sono questi i reati contestati nel provvedimento di arresto eseguito stanotte nella Locride dove alcune delle vittime di usura hanno collaborato con gli inquirenti rendendo dichiarazioni che, assieme alle intercettazioni telefoniche e ambientali, hanno incastrato gli usurai della cosca Commisso.
Pubblicità

Le vittime che non hanno collaborato, invece, sono state indagate per favoreggiamento personale.
Un distributore di carburante a Siderno era la base operativa del sodalizio criminale composto dal titolare dell’esercizio commerciale Domenico Infusino (42 anni) e da Santo Rumbo (26), Isidoro Marando (57), Davide Gattuso (40), Giuseppe Antonio Figliomeni (67), Vincenzo Figliomeni (53), Cosimo Vincenzo Albanese (63), Cosimo Figliomeni (50), Rocco Iennaro (43), Leonardo Policheni (66), Francesco Prochilo (48) Riccardo Rumbo (53).

Per tutti il gip ha ritenuto necessario la misura cautelare del carcere. Alcuni di loro non sono stati arrestati poiché attualmente in Canada a conferma della presenza della cosca Commisso anche oltreoceano. Per gli altri sei indagati, invece, sono stati disposti gli arresti domiciliari. Si tratta di Massimiliano Minnella (43 anni), Daria Piscioneri (28), Domenico Audino (58), Francesco Racco (49), Salvatore Ursino (68), e Giuseppe Saverio Zoccoli (59).

La guardia di finanza ha applicato i sigilli anche ai loro beni. Oltre al distributore di benzina, infatti, il gip ha sequestrato 6 ditte individuali (operanti nel settore pubblicitario, della ristorazione e nel commercio all’ingrosso di abbigliamento), 6 immobili, numerosi terreni, 10 autovetture, 4 motocicli, numerosi conti correnti e polizze assicurative e orologi preziosi. In sostanza, nel periodo di crisi e di contrazione dei consumi, la ‘ndrangheta si era sostituta agli istituti di credito convenzionali. In alcuni casi il tasso di interesse applicato dalla cosca Rumbo-Galea-Figliomeni superava il 400%.

Chi non pagava veniva minacciato di morte. Lo stesso trattamento veniva riservato anche agli intermediari come Isidoro Marando che, è emerso dalle intercettazioni, si lamentava con una delle vittime che aveva ricevuto 100mila euro a strozzo. “Totò, – registrano i finanzieri in una telefonata – vedi che a me qua hanno dato un ultimatum. Vedi che qua a me mi uccidono”.

E a dimostrazione che il rispetto delle donne non rientra nella logica della ‘ndrangheta, la Dda riesce a ricostruire l’episodio in cui uno dei principali indagati, Davide Gattuso, ha aggredito Teresa Figliomeni, moglie di Cosimo Figliomeni latitante in Canada. La donna aveva lasciato il marito dopo scoperto una sua relazione extraconiugale. Rientrata in Calabria, però, l’uomo non ha provveduto al mantenimento dei figli e, alle lamentele di Teresa Figliomeni, Davide Gattuso ha risposto aggredendola.

“Si avventato su di me – ha raccontato la donna al pm De Bernardo – e ha cominciato a percuotermi. Dopo avermi scaraventato a terra, mi ha preso a pugni, calci, mi ha preso dai capelli, mi ha stretto le mani al collo. I colpi che ho sentito di più sono stati all’addome e alle gambe. Mentre mi colpiva minacciava di ammazzarmi, mi intimava di stare zitta perché urlavo. Gattuso non si è fermato neanche quando ha udito le urla di mio figlio di sette anni”.

Nelle oltre mille pagine di ordinanza di arresto, inoltre, la Dda ha ricostruito il giro di usura mascherata dietro il paravento dell’agenzia di mediazione creditizia “Quinto rapido”.

(fonte)

La ‘ndrangheta investe in Austria

villa-lucia-baden-675La ‘ndrangheta investe in Austria e precisamente nel comprensorio di Baden dove Claudio Lucia si è visto sequestrare una villa lussuosa di oltre 300 metri quadrati, con annessa ulteriore dependance di circa 200 metri quadrati più un immenso giardino. Il valore della villa è di due milioni e mezzo di euro tra acquisto e ristrutturazione: tutto pagato rigorosamente in contanti senza il rilascio di alcuna documentazione fiscale. Lucia è il referente economico della cosca Pesce per conto della quale, secondo il procuratore capo di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho e il sostituto della Dda Stefano Musolino, investe a Milano e in Austria. Oggi in carcere per scontare una condanna di 17 anni e 10 mesi, Lucia aveva trascorso proprio in quella villa buona parte della sua latitanza prima di essere arrestato in Spagna nel 2011.

Ammonta a 21 milioni il valore del sequestro e della confisca dei beni strappati alla famiglia mafiosa di Rosarno. Oltre alla villa, il nucleo della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, guidato dal colonnello Domenico Napolitano, ha applicato i sigilli a quattro società, 25mila ettari di terreno coltivati a frutteti, rapporti finanziari e assicurativi, diversi fabbricati e altre due ville di lusso. Le fiamme gialle hanno anche notificato la misura della sorveglianza speciale ai vertici della cosca Pesce. Tra questi anche Lucia, considerato il tesoriere del clan, che aveva intestato il suo impero alla moglie romena Ana Camelia Culda tra cui una serie di conti corrente, la villa di Baden, una Porsche Cayenne Turbo ed un’altra villa, queste ultime intestate ad un altro cittadino romeno, Vasile Ilie.

“A dimostrazione delle enormi possibilità economiche e finanziarie del clan di ‘ndrangheta Pesce, – scrive la guardia di finanza – nonché a conferma del ruolo di ‘tesoriere della filiale lombarda’ di Lucia, è emerso, infatti, come quest’ultimo e la moglie rumena avessero la disponibilità, di carte di credito (tra cui la particolare American Express Centudion, conosciuta anche come ‘Carta nera’ o ‘Black’) solitamente rilasciata dall’American Express a clienti particolarmente facoltosi, considerati avere nella loro disponibilità di credito provviste rientranti nell’ordine di milioni di euro”.

Soldi sporchi di cui, dopo l’inchiesta All Inside contro la cosca Pesce, Claudio Lucia ha cercato di disfarsi assieme ai suoi beni per evitare che gli venisse sequestrata la villa. Oggi è stato possibile confiscarla grazie alla collaborazione tra la Direzione distrettuale di Reggio Calabria e la Procura di Wiener Neustadt. Non essendo riconosciuto nel comprensorio di Baden il reato di associazione mafiosa, l’autorità giudiziaria austriaca ha contestato l’accusa di riciclaggio alla moglie di Lucia e al rumeno che per “soli” 900mila euro a titolo di “compensazione” di un presunto debito era il titolare della villa confiscata.

Ora emerge di nuovo il tentativo della cosca Pesce di Rosarno di reinvestire i proventi del clan in attività lecite, “anche con proiezioni ultra-nazionali, – scrivono gli investigatori – avviando così un piccolo e silente processo di colonizzazione di territori esteri, ove la legislazione interna ancora non riconosce la figura giuridica dell’associazione per delinquere di stampo mafioso”.

(clic)

Preso per un fil di ferro il boss Antonino Zampaglione

Antonino Zampaglione
Antonino Zampaglione

Nel pomeriggio odierno, i Carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia di Reggio Calabria localizzavano e traevano in arresto ZAMPAGLIONE ANTONINO, 66enne, originario di Montebello Jonico, latitante dall’anno 2012 poiché destinatario di un “Ordinanza di esecuzione per la carcerazione” emesso dall’Ufficio Esecuzioni Penali della Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Reggio Calabria, riconosciuto colpevole dei reati di associazione per delinquere di stampo mafioso operante in Melito Porto Salvo e dell’omicidio volontario di Pangallo Antonino commesso in Montebello Jonico in data 06 febbraio 1990.

Nello specifico, nel corso del controllo del territorio, lo Zampaglione veniva sorpreso dai militari all’interno di una controsoffitta di un’abitazione di proprietà della famiglia Calabrese sita in San Roberto (RC).

L’esordio criminale dello ZAMPAGLIONE ha origini molto risalenti, e corrisponde a una denuncia in stato di fermo di P.G. per riciclaggio di n. 11 banconote di £100.000, provenienti dal pagamento del riscatto per il sequestro di persona in danno di SACCO Maria, avvenuto a Milano il 09/11/1978.

Successivamente, corrente l’anno 2011, a esito dell’attività investigativa svolta dal Comando Provinciale Carabinieri di Torino il latitante veniva colpito dall’ampia operazione di polizia convenzionalmente denominata “Minotauro”: allo ZAMPAGLIONE veniva contestata la commissione di ingenti traffici di droga.

Lo stesso, infine, è stato condannato alla pena definitiva di reclusione di anni 28, con residuo da scontare di anni 24 mesi 9 e giorni 15, nell’ambito dell’operazione “Rose Rosse” condotta dal Comando Provinciale Carabinieri di Reggio Calabria relativa alla Cosca “Iamonte” operante in Melito di Porto Salvo. L’omicidio si incardina nelle dinamiche criminali che segnano da decenni l’area del litorale jonico: in questo caso l’onta perpetrata nei confronti di PIO Domenico, suocero dello ZAMPAGLIONE, veniva dal latitante e dai due cognati – tutti pienamente inseriti nel contesto della cosca PANGALLO-ALAMPI-PIO-ZAMPAGLIONE – lavata col sangue. Nello specifico, l’omicidio PANGALLO era stato mandato e autorizzato da Natale IAMONTE, capostipite della cosca, di cui ZAMPAGLIONE era un fiduciario di assoluta affidabilità.

Grazie alla capacità di osservazione dei militari della Compagnia Carabinieri di Reggio Calabria, era possibile seguire un movimento ritenuto d’interesse operativo: per tali ragioni un’autovettura con a bordo tre soggetti veniva seguita da Catona sino a San Roberto, ove, all’esito di una perquisizione domiciliare, venivano identificati e tratti in arresto il latitante e tre soggetti per procurata inosservanza di pena:

1. Calabrese Francesco, reggino 43enne, coniugato, disoccupato;

2. Calabrese Fortunato, 49enne, fratello predetto, coniugato, operaio A.V.R.;

3. Ciolacu Elena, rumena 33enne, convivente predetto Fortunato, casalinga.

Al termine delle formalità di rito, il latitante e i tre fiancheggiatori sono stati associati presso la Casa Circondariale di Reggio Calabria – San Pietro.

(clic)

Caccia al latitante: preso Giuseppe Pantano

Pantano-Giuseppe-cl.19621I Carabinieri hanno arrestato il latitante Giuseppe Pantano, 53 anni. L’uomo, originario di San Ferdinando (Rc), si nascondeva all’interno di un appartamento in un popoloso quartiere di Palmi (Rc). Ricercato in seguito a un provvedimento di fermo emesso dalla locale Procura della Repubblica per il reato di detenzione e porto illegale di arma da fuoco, nell’ottobre del 2014 Pantano, che era già irreperibile, è stato destinatario di un altro provvedimento di fermo della Procura della Repubblica Dda di Reggio Calabria in quanto ritenuto affiliato alla cosca della ‘ndrangheta operante a San Ferdinando (operazione “Eclissi”).

Nel corso dell’operazione è stato arrestato, per favoreggiamento, un giovane, Cristian Scarcella, 28 anni, rintracciato all’interno dell’abitazione assieme al latitante. Le indagini che hanno portato all’arresto sono state coordinate dalla Procura della Repubblica di Palmi e dalla Dda di Reggio Calabria.

(clic)

Paviglianiti: una ’ndrina in continua ascesa.

Una ’ndrina in continua ascesa. La caratura criminale della famiglia “Paviglianiti”, i potenti delle cittadine della fascia jonica di Reggio, San Lorenzo e Bagaladi, è stata confermata dalla recente inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria “Ultima spiaggia”. Un clan che è riuscito a mantenere «incontrastata» la leadership sul territorio anche dopo l’arresto dell’indiscusso capoclan, Domenico Paviglianiti, il principe del narcotraffico internazionale tra gli eletti boss in grado di stringere accordi da tonnellate di cocaina solo spendendo il proprio nome di battesimo. Per la Dda di Reggio sarebbe proprio lui a mantenere stabili gli equilibri con i padrini della fascia jonica di Reggio e del mandamento “Centro” e soprattutto a stringere nuove alleanze con i siciliani di “Cosa nostra”. Sempre nel segno degli affari legati alla gestione di una fetta del narcotraffico con il Sud America. Gli inquirenti delineano uno scenario preciso nelle carte di “Ultima spiaggia”: «Le indagini esperite, focalizzando l’attenzione verso i sodalizi operanti lungo la fascia ionica reggina, dimostreranno come anche le inimicizie ed i rancori personali tra i vertici delle cosche cedono il passo davanti alla prospettiva di lauti guadagni: prova documentale di questo assunto è data dall’esame della corrispondenza che Paviglianiti Domenico, vertice dell’omonima cosca, in atto recluso presso la casa circondariale di Ascoli Piceno, invia e riceve da esponenti di primo piano del panorama criminale nazionale». Seppure in carcere, Domenico Paviglianiti è boss di rango assoluto. Ovunque si trovi, secondo le conclusioni degli inquirenti: «Benché recluso, non ha perso il carisma che gli ha permesso di occupare i vertici della cosca». Tra gli interlocutori di “Mimmo” Paviglianiti anche la famiglia Guttadauro, i mafiosi di Palermo: «In una delle sue lettere inviate a Guttadauro Giuseppe, esponente di spicco di cosa nostra, scrive che i suoi familiari, ed in particolare suo cognato, domandano se siano in contatto tra loro (“I miei mi chiedono sempre, mio cognato mi chiede sempre ma, con il “dottore” ti scrivi? È convinto che siete stato il mio pigmalione: forse è l’unica che ha ha azzeccato)». Un intero capitolo delle indagini “Ultima spiaggia” i carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria l’hanno dedicato proprio «al rapporto di mutua collaborazione con la mafia siciliana». Sul tema gli inquirenti sono precisi: «In nome dei principi di unita e cooperazione tra i sodalizi criminali, anche la cosca Paviglianiti stringe legami con esponenti di primo piano del panorama criminale nazionale: tale assunto e di fondamentale importanza in quanto pone in risalto la considerazione ed il rispetto di cui godono gli esponenti della cosca in argomento». Da San Lorenzo ad Africo, altra cosca crocevia del business della droga, fino a Palermo: «I Morabito hanno mantenuto costanti e frequenti contatti con il referente della cosca Paviglianiti. Le modalità operative del sodalizio di stanza in Africo e dal quale gli esponenti della cosca Paviglianiti sono risultati approvvigionarsi, sono divenute oggetto di un capitolo della presente richiesta che ha fatto piena luce su un’organizzazione criminale dedita al traffico di sostanze stupefacenti e che vanta collegamenti con esponenti della criminalità siciliana». Traffici illeciti che «trovano riscontro nei rapporti allacciati con esponenti della realtà criminale siciliana, allo stato non ancora identificati». Più volte i segugi dell’Arma hanno seguito gli emissari reggini in trasferta a Piedimonte Etneo (Catania) «verosimilmente per trattare una fornitura di sostanza stupefacente: gli accorgimenti ed il timore per eventuali controlli di polizia alimenta il sospetto che la trasferta in terra siciliana sia riconducibile alla gestione dei traffici illeciti».

(link)