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‘Ndrangheta a Reggio Emilia: 10 milioni sequestrati

La Guardia di finanza di Reggio Emilia ha sequestrato beni per oltre 10 milioni di euro a un imprenditore residente a Montecchio che si ritiene legato alla cosca della ‘ndrangheta dei Grande Aracri. Terreni, fabbricati, aziende, auto e conti corrente che dal cuore dell’Emilia arrivano fino al profondo sud della Calabria, tutti di proprietà di Palmo Vertinelli e della sua famiglia, anche se il 54enne di origine cutrese residente a Montecchio, nel reggiano, dichiarava redditi sulla soglia dell’indigenza. Il provvedimento, emesso ai sensi della normativa antimafia dal Tribunale di Reggio su proposta del procuratore capo Giorgio Grandinetti, riguarda l’imprenditore e i suoi famigliari. Dalle prime ore di mercoledì 21 gennaio i finanzieri del nucleo di polizia tributaria delle Fiamme gialle stanno mettendo sotto sequestro beni riconducibili all’uomo, che sono collocati nel territorio reggiano, parmense, e nella zona di Crotone.

Il sequestro è scattato dopo un’approfondita attività di indagine su Vertinelli da parte degli uomini della Guardia di Finanza, che hanno riscontrato una “conoscenza interessata” di ambienti associativi criminali. Il nome dell’imprenditore era già noto agli inquirenti per la sua vicinanza al clan dei Grande Aracri. Il 54enne era apparso in un’inchiesta antimafia nel 2003, anche se allora venne escluso un suo coinvolgimento con le organizzazioni criminali. A suo carico ci fu anche una denuncia per dichiarazione fraudolenta per un giro di false fatture e infine venne colpito da un’interdittiva della prefettura di Reggio per le sue frequentazioni con la famiglia Grande Aracri, ma anche con altri pericolosi esponenti di Cutro e di Isola di Capo Rizzuto.

Dagli accertamenti della Guardia di finanza è emerso come l’imprenditore dichiarasse redditi molto bassi, quasi sulla soglia dell’indigenza, che gli investigatori hanno definito “neppure sufficienti a coprire la spesa media annua individuata dall’Istat e quindi di far fronte alle normali necessità di sostentamento”, a fronte di un patrimonio personale che è risultato essere molto cospicuo. Da qui la decisione di far scattare il provvedimento. I finanzieri hanno sequestrato quote societarie dell’Impresa Venturelli srl, Edilizia Costruzioni Generali srl, Mille Fiori srl, Bar Tangenziale Nord-Est Sas. Numerosi anche i beni immobili sotto sequestro, tra cui un complesso immobiliare costituito da nove appartamenti e un’autorimessa a Isola di Capo Rizzuto, un terreno a Crotone. A Montecchio (Reggio Emilia) sono stati sequestrati un complesso immobiliare da dieci appartamenti, due autorimesse e un magazzino, due appartamenti e un complesso immobiliare di otto appartamenti e tre autorimesse. Sempre nel reggiano, a Gattatico, è stato posto sotto sequestro un complesso immobiliare costituito tra tre appartamenti e tre autorimesse. Altri sequestri hanno riguardato anche il parmense, dove i sigilli sono stati messi a un complesso immobiliare di tre appartamenti e tre autorimesse e un terreno a Montechiarugolo, a un complesso immobiliare costituito da un appartamento e tre autorimesse a Soragna, e a un appartamento a Busseto.

L’edilizia ‘ndranghetista a Reggio Emilia

La Dia di Firenze e Bologna, insieme ai carabinieri di Reggio Emilia, ha sequestrato mercoledì mattina il patrimonio della famiglia di imprenditori edili Sarcone. Originari di Cutro, in provincia di Crotone, legati – secondo gli investigatori – alla cosca di ‘ndrangheta Grande Aracri, i fratelli Sarcone hanno investito da tempo nella zona di Reggio Emilia, attraverso la holding Sarcone Group, attiva nel campo delle costruzioni.

Complessivamente la Dia ha posto sotto sequestro preventivo, su disposizione del Tribunale di Reggio Emilia, un patrimonio di 5 milioni di euro, tra conti correnti, quote societarie e immobili. Tanti sono gli elementi raccolti negli ultimi anni dai magistrati sulla vicinanza dei fratelli Sarcone con la cosca Grande Aracri. Giuseppe Grande Sarcone è stato segnalato dalla Dda di Bologna fin dal 1996. “Durante le indagini di quegli anni emersero numerosi contatti telefonici intercorsi con Grande Aracri Nìcolìno e altri sodali alla cosca”, ricorda il Tribunale di Reggio Emilia nel provvedimento di sequestro. Una vicinanza con il gruppo di ‘ndrangheta poi confermata con una condanna in primo grado. Anche recentemente l’imprenditore di Reggio Emilia è stato segnalato per “frequentazioni con soggetti gravati da pregiudizi di polizia e condanne”.

Il fratello Nicolino Sarcone è stato a sua volta condannato il 25 gennaio del 2013 a otto anni di reclusione per associazione mafiosa, a conclusione del processo nato dall’operazione “Scacco Matto”. Uscito dal carcere nel 2001, si era occupato di reperire risorse finanziarie per i detenuti legati ai gruppi di ‘ndrangheta, attraverso estorsioni e fatture emesse per operazioni inesistenti. Secondo i magistrati questo compito gli era stato affidato direttamente dalla moglie del capo cosca Grande Aracri.

Il terzo fratello Gianluigi Sarcone ha due precedenti per usura, estorsione, appropriazione indebita e riciclaggio. Per i magistrati negli anni scorsi ha investito nella azienda di famiglia Sarcia srl il ricavato proveniente da diverse truffe commesse ai danni di un’altra azienda di Siracusa.

Il quarto fratello, infine, Carmine Sarcone era già stato coinvolto da indagini dell’antimafia, che avevano documentato il suo rito di affiliazione ai Grande Aracri di Cutro. La Dia ha analizzato i redditi ufficiali dei quattro fratelli Sarcone, rilevano notevoli incongruenze patrimoniali. Durante le indagini gli investigatori hanno intercettato i tentativi di alcuni familiari dei fratelli Sarcone di far sparire una parte del patrimonio, con richieste alle banche di prelievi in contanti per diverse centinaia di migliai di euro e la vendita di alcuni titoli. Il sequestro ha colpito, oltre ai conti correnti, le quote societarie della New essetre srl, della Sarcia srl, della World House srl e della Terre Matildiche srl, tutte ditte operanti nel campo delle costruzioni nella zona di Reggio Emilia. Sono stati sequestrati anche diversi immobili in Emilia Romagna, Umbria e Calabria.

(fonte)

La Camera di Commercio troppo antimafiosa

Ci sforziamo molto ottimisticamente di non credere che la non rielezione di Enrico Bini alla Presidenza della Camera di Commercio di Reggio Emilia non sia veramente dovuta alla sua attività antimafia come dichiara in un’intervista di ieri.

Ci sforziamo di credere che non possa esistere una classe dirigente imprenditoriale che davvero possa pensare che parlare di mafie in Emilia Romagna allontani gli investimenti; perché se davvero fosse così verrebbe voglia di urlare che certe decisioni sembrano figlie di un’affiliazione culturale che non abbiamo più tempo e voglia di accettare come semplice ignoranza o buona fede.

Intanto appuntiamoci le parole di Bini, che suonano chiare:

“È chiaro che il mio impegno e quello della mia giunta sul tema hanno inciso sulla mia mancata rielezione. Il nostro è un territorio che fa fatica a fare i conti con la questione e forse pensava forse di non essere coinvolto”. Forse la battaglia del presidente non faceva comodo a tutti: “L’economia illegale fa molti affari con quella legale. Non tutti sono consapevoli, ma spesso da queste parti si lavora con ditte legate alla malavita”.

E ora non resta che aspettare una nuova Presidenza che continui su questa strada. Noi, curiosi, osserviamo.