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regole

Adesso è il momento di fare ciò che ti piace.

Adesso è il momento di fare ciò che ti piace. Non aspettare lunedì, non aspettare domani. Non fare allungare davanti a te la carovana di sogni calpestati. Non aspettare.
Non frenarti per paura o viltà. Non posporre la vita con altra morte, e non aspettare niente dalla sorte che non sia più della tua tenacia e della tua energia.
Se il tuo sogno è bello, dagli forma come il torrente scava le sponde; come il vento che vive e si trasforma.
E perché tutto risulti come tu vuoi, detta tu stesso le tue regole e converti il tuo autunno in primavera.

(Ivan Malinowski) (clic)

Se scoprono Pippo

Insomma questa mattina leggendo i giornali tutti scoprono Pippo Civati. Anzi, pensa, si stupiscono del buonsenso che da anni tutti hanno provato a fare apparire banale, inconsueto e poco funzionale. Civati dice le stesse cose da tempo, le stesse, declinate magri prima a livello regionale e poi nazionale ma comunque sempre dalla “stessa parte”. Ha anche presumibili difetti dagli stessi anni ma la meraviglia di questa mattina dimostra che poi alla fine bisogna sgomitare per riuscire a farsi ascoltare (soprattutto se non si cede alla politica per “spot”. E quindi, pensavo proprio questa mattina, le regole di un congresso sono fondamentali e il loro rispetto è la prima prova di maturità e democrazia per un partito. E, volendoci pensare, per un giornalismo intellettualmente onesto.

Banche, politica e il senso perso

bankBisogna essere chiari. La politica deve fare dei passi indietro e, intrapresa una direzione ben diversa, deve cominciare a fare dei passi in avanti. Passi indietro nella commistione con la finanza pervasiva e sregolata, quella stessa che in questi anni ha snaturato l’economia reale e annullata quasi del tutto la funzione originaria del sistema bancario.

Perché noi oggi chiamiamo “banca” qualcosa che, in larga parte, non lo è più da tempo, se è vero che il suo scopo primario – raccogliere il risparmio e orientare il credito verso famiglie e imprese – non viene quasi mai praticato. Passi in avanti la politica ne deve invece fare assumendo in proprio il governo di una politica economica e sociale del Paese da cui la stessa finanza l’ha via via espropriata, relegandola al ruolo notarile di chi certifica scelte “tecniche” che, lo stiamo vedendo, ci riportano sempre come nel gioco dell’oca al punto di partenza della crisi. La politica poi, alle banche e alla finanza, deve dare delle regole.

Alcune buone già esistono e vanno applicate, altre vanno fatte in fretta – come separare le banche d’affari e d’investimento dalle banche di risparmio, e per noi questo è uno dei primi punti del nostro programma di governo. Ma essere chiari vuol dire non essere degli ipocriti e chiamare sempre le cose con il loro nome. E dunque, è solo la politica che deve fare dei passi indietro? O non sono da separare una volta per tutte anche altri intrecci, in alcun casi ancor più solidi e duraturi e mai conflittuali?

Sergio Boccadutri sull’argomento di questi giorni.

La scuola fuorilegge

Adesso che i barbari, i nani, le ballerine e, aggiungiamo, gli ignoranti e quelli in malafede,  non ci sono più, ministro Profumo, possiamo pretendere, non dico la luna, ma almeno il rispetto delle leggi? Qualcosa cambierà? Giusto per dar l’esempio ai ragazzi e non farli ridere quando, da dietro una cattedra, o da dietro uno scranno, gli raccontiamo la Costituzione Italiana. Noi siamo seri e dignitosi a scuola. Il pericolo e il ridicolo delle norme assurde lasciamolo a un tempo passato e lungi dai banchi. Giusto per prepararli, sani nel corpo e nella mente, al futuro che li aspetta. Mila scrive al Ministro. A proposito di equità.

Dal diario di MICROMEGA: Io rivendico il diritto di essere allarmista

Io rivendico il diritto di essere un allarmista. Un allarmista e, se serve, anche un professionista dell’antimafia. E perfino giustizialista.

Rivendico il diritto (ma soprattutto il dovere) di essere un portatore allarmato di allarme in un Paese dove oltre a rubare le borse e i motorini si sono messi a rubare le regole. Un gioco senza regole è un gioco truccato. E di fronte ai bari di pancia mi è sempre venuto di rovesciare il tavolo.

Il decreto “interpretativo” del Governo (che, per un gioco curioso di parole, il tribunale amministrativo ha dichiarato poco “interpretabile” e ancora meno applicabile) ha tutto il sapore dell’imbarazzo di un bambino chiuso in bagno che mentre entra la mamma si rialza i pantaloni.

Io rivendico il diritto di essere disgustato e poco contenuto in un paese governato da una pratica onanista che si trastulla sulle regole. Rivendico il diritto di essere incazzato nero. Mica alterato, o nervoso, o sfiduciato, o agguerrito o tutti i buoni sinonimi del vocabolario della buona educazione. Proprio incazzato come una vela arrampicata sull’albero.

Io rivendico il diritto di essere abbarbicato sull’albero maestro in un Paese che guardato dall’alto (ma mica tanto, appena appena in punta di piedi) ha la faccia di un piatto a prezzo fisso in cui ci hanno mangiato con le mani.

Io rivendico il diritto di non farmi disarmare da un decreto d’urgenza come una toppa sul grembiulino che annulla il percorso democratico del diritto di voto. Un diritto che, guardato alle spalle, ha la schiena dritta del dovere: proporsi come rappresentante dei cittadini con le competenze minime per concorrere a rappresentarli. Fogli, firme, carte bollate: minuzie tiratardi che si risolvono in un problema di forma. Come le minuzie per il mutuo della prima casa. Per contestare la cartella esattoriale. Per aprirsi una linea telefonica. Per scegliersi un medico di base. Minuzie di vita quotidiana che, quaggiù, si deve imparare ad usare per guadagnarselo il panino.

Io rivendico il diritto di non essere un moderato. Rivendico il diritto di dichiararmi intollerante ad una “mediazione” che da trent’anni ci viene rifilata come intelligenza politica. Rivendico il diritto di una politica semplice senza essere semplicistica, che sui principi fondamentali se ne frega delle intese e che sia leggibile e partigiana: che coerentemente manifesta da che parte sta.

Io rivendico il diritto di essere un allarmista. Di gridare “al fuoco” anche se non si vede la fiamma per questi ultimi vent’anni di puzza di bruciato.

http://temi.repubblica.it/micromega-online/giulio-cavalli-io-rivendico-il-diritto-di-essere-allarmista/