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riccardo orioles

Mafia: rinviato a giudizio a Catania il “cavaliere” Mario Ciancio. Finalmente.

E il commento migliore non poteva non essere di Riccardo Orioles, ovviamente:

Il signor Mario Ciancio, proprietario di quattrocentomila catanesi nonché di un numero indefinito di centri commerciali, sindaci, giornali, politici, tv, massoni, imprese edili e rare monete antiche è stato rinviato a giudizio, poco fa, per concorso esterno in associazione mafiosa. Il processo comincerà il 20 marzo 2018: dieci mesi dunque, ciascuno di 30 giorni, per un totale di circa 300 giorni durante i quali, dedicando alla lettura diciamo tre ore al giorno, potrà riuscire a rileggersi tutto ciò che I Siciliani, negli ultimi trentacinque anni, hanno scritto di lui. Non è una lettura noiosa, e con l’ausilio di essa riuscirà certamente ad arrivare in gran forma al giorno del processo. Buon lavoro.

Un giornalista da non mandare mai in pensione (ma dargliela, la pensione): Riccardo Orioles

Chi si occupa di mafia in Italia prima o poi ha letto Riccardo Orioles e anche se non ne ha mai notato la firma in fondo a un pezzo l’ha letto comunque perché Riccardo ha istruito, formato e consigliato generazioni di giornalisti: già redattore nella redazione de I Siciliani di Pippo Fava, Riccardo è un giornalista militante, merce rara in questo Paese di genuflessi, che crede in un giornalismo etico che indaghi, racconti e denunci.

Da oggi è online una petizione per Orioles:

“Per questo Vi chiedo di far accedere Riccardo Orioles alla “Legge Bacchelli”, norma che ha istituito un fondo a favore di cittadini illustri che versino in stato di particolare necessità. Sarebbe l’unico modo per far usufruire di un contributo vitalizio utile al suo sostentamento. Il giornalista milazzese gode di tutti i requisiti per accedere all’aiuto: la cittadinanza italiana, l’assenza di condanne penali irrevocabili, la chiara fama e meriti acquisiti nel campo delle scienze, delle lettere, delle arti, dell’economia, del lavoro, dello sport e nel disimpegno di pubblici uffici o di attività svolte. Come lo scrittore Riccardo Bacchelli, per il quale è stata approvata la legge n.440 dell’8 agosto 1985.

Mi piacerebbe che le Istituzioni riconoscessero in vita il valore di un intellettuale come Orioles, e non lo faccia ipocritamente solo dopo la sua morte”.

Si può firmare qui. E ne vale la pena.

 

Non vanno d’accordo antimafia e imprese

Un gran pezzo di Riccardo Orioles:

220px-Riccardo_Orioles“Fior di viola, splendente,
vivi nei canti, Atene,
tu che hai difeso l’Ellade, tu ardita,
tu città degli dei…”

Ma insomma, come faccio a distin­guere l’antimafia fasulla da quella di cui fidarsi? Facilissimo: quella povera è quella vera. L’antimafia, difatti, è gra­tis. Perciò non puoi farci soldi o carrie­ra. Puoi rischiare la pelle, questo sì, puoi farti emarginare dap­pertutto, puoi – ovviamente – restare senza lavo­ro, puoi anche fare la fame se occorre. Tutte queste belle cose puoi fare, e altre ancora. Ma soldi e carriera no.

Ci spiace, ma non l’abbiamo messa noi questa regola. A noi piacerebbe di più ricevere – in un paese civile – soldi, onori, car­riere felici e tranquille, e magari qualche buona parola.

Ci piace­rebbe anche di più poter pro­mettere tutte queste belle cose ai ra­gazzi che, un anno dopo l’altro, arrivano freschi e decisi: “Vo­glio dare una mano all’anti­mafia”. Ma, in un paese civile.

In questo, la prima cosa che insegnamo è: “Ragazzi, l’antimafia si paga”. Eppure, non restia­mo mai soli.

Al servizio dei grandi imprenditori

La mafia, in Sicilia, nasce storica­mente al servizio dei grandi imprendi­tori del comparto agricolo e successiva­mente in­dustriale. Già nel 1920, a Paler­mo, giu­stiziò per loro conto il sindacalista Fiom Giovan­ni Or­cel; negli anni ’40-’60, per conto dei lati­fondisti, venne assassina­to un centi­naio di dirigenti contadini.

“Impren­ditore”, in Sicilia, non è una gran bella pa­rola, e co­munque con l’anti­mafia ha sem­pre avuto poco a che fare. Così, de­sta poca sorpresa la “scoperta” che le pro­clamazioni di questo o quell’ esponente dell’imprenditoria “anti­mafia” andavano in realtà prese cum gra­no salis.

In realtà, la vera sorpresa è data dalla facilità con cui tutta una serie di perso­naggi del genere ha potuto essere presa sul serio dall’antimafia“perbene”, quella almeno di provenienza non popolare.

I motivi son tanti. Primo, l’approssima­zione politica di gran parte della nuo­va anti­mafia, dove la ripetizione di buoni princi­pi sostituisce spesso la lucidità delle analisi e la radicalità delle azioni. Secon­do, è molto più facile pren­dere a interlo­cutori (finché non sma­scherati) i vari Montante e Haeg che non gli Umber­to Santino, i Pino Maniaci o i Siciliani. I primi han­no denari da mettere nei vari “rinnovamen­ti”, e i se­condi no; i primi non minacciano in alcun modo l’assetto sociale “perbene”, e i se­condi sì. Ma così va il mondo; e noi per­doniamo volentieri agli amici perbene quella che non è certo ma­lafede ma solo disattenzio­ne e pigrizia.

Noi, all’antimafia dei simboli, preferia­mo quella palpabile e concreta. Che fare dei beni confiscati? Affidarli ai Montante o magari (come gl’immigrati) ai Castiglione? Questo, or­mai è pacifico, non si può fare più. Metterli all’asta, come dice il capo della com­missione “anti­mafia” siciliana, Musume­ci? Allora tanto varrebbe ridarli diretta­mente ai mafiosi.

Invece bisogna farne beni sociali, distri­buirli con equità, farne economia sana. Que­sto è ciò che so­stiene Libera da metà anni ’90, e noi da dieci anni prima. E fra il buon ele­fante e le formichine, sarà ben difficile per le be­stie feroci – gattopardi e iene – ri­mettere le zampe sulla preda.

Que­sta è la nostra antimafia. Antimafia utile a tutti, anti­mafia vera. Certo: alla tv e sui giornali non la troverete, trove­rete quella urla­ta. I vari Buttafuoco e Mer­lo (sempre amici dei Berlusconi e dei Cian­cio, e ora improvvisamente grandi antima­fiosi) hanno molta più udienza, las­sù, dei no­stri poveri Giacalone, Ester Ca­stano e Ca­pezzuto. Ma ha davvero impor­tanza? I punti si contano alla fine, diceva­no i mae­stri di tres­sette, e a Sedriano e a Trapani la borghe­sia mafiosa, grazie ai nostri croni­sti, i suoi bravi colpi li ha pur presi.

La vera antimafia è “politica”

Quest’antimafia è politica: in un sistema dove i poteri mafiosi sono tanto inseriti nell’economia, è ovvio che la vera lotta alla mafia sia condizione primissima per cambiare qualcosa. Avete già sentito ‘sta tiritera, se siete vecchi lettori dei Siciliani.

Non si può dire che abbia avuto molto successo: la destra, ovviamente, ha avuto ben altro da fare. Il centrosinistra, col suo partito-nazione, in queste settimane sta re­clutando generali e soldati di tutto il vec­chio Sistema non esattamente antimafio­so. E la sinistra “pura”, gli alternativi? Non sembra che il potere mafioso (e in Si­cilia abbiamo avuto due presidenti di fila o condannati o inquisiti) sia esattamente in cima ai suoi pensieri. Con belle e lode­voli eccezioni, certamente: ma certo non proprio al centro della strategia.

Perciò per noialtri monotoni all’improv­viso, è stata una bella sorpresa vedere che qualcun altro cominciava a percepire que­ste cose. Che lo scontro, in Italia, non è più tanto politico quanto sociale. Che è la società civile, non i partiti e partitini, a dovere portar­lo avanti.

Parliamo, come avrete capito, di Libera, di Emergency, della Fiom, della “coalizio­ne sociale” a cui, con gran diffidenza, vor­remmo affidare una speranzella, dar fidu­cia in qualcosa.

La diffidenza nasce (oltre che dalle ca­tastrofiche esperienze con altri sindacali­sti: vedi Cofferati) dal fatto che per “so­cietà civile” s’intendono ancora solo le grosse e un po’ verticistiche organizzazio­ni. La speranza, dal fatto che tutta ‘sta ba­racca nasce fra gli operai. La (moderata) fiducia dalla modestia e dai limiti fissati dai promotori. “Fare altri partiti? – dicono – Dio ce ne scansi. Vogliamo una rete so­ciale, mettere in comunicazione. Noi sia­mo la società, quella vera. Non c’interessa il Palazzo. Noi siamo semplicemente il Quarto Stato”.

E’ un bel progresso rispetto alle inge­gnerie precedenti (arcobaleni, azione civi­li, fors’anche altreurope) che si presenta­vano con bellissimi progetti chiavi-in-mano, cer­cando disperatamente di farli gestire in­sieme da tutte le vecchie sette precedenti (carbonari, giacobini, seguaci degli statuti di Spagna e narodniki) le quali, per loro natura, difficilmente pote­vano invece accordarsi su qualcosa. “Invece ri­partiamo dalle origini, dai soggetti so­ciali”. Questo, secondo noi, comincia a essere buonsenso.

Il governo reale? Marchionne

Anche dall’altra parte ragionano nudo e crudo, senza tante illusioni. Hanno fatto governi (tre, uno dopo l’altro, tecnici, più tecnici ancora e infine “riformatori”) che – a parte la fuffa mediatica – non hanno go­vernato granché. Hanno coperto, in so­stanza, l’emergere del governo reale, quel­lo direttamente “sociale” – ma della parte alta della società, dei Marchionne. E sono stati attentissimi, agendo sul corpo socia­le, a smantellare via via proprio i ceti so­ciali che potevano fargli opposizione.

Prima è toccato agli operai, privati di sindacati e statuti, sospinti (tatcheriana­mente) nelle curve sud e abilmente divisi, con opportune campagne mediatiche e le­ghiste, dai loro omologhi neri, che dopo anni d’Italia non sono che operai come tutti gli altri. Adesso stanno attaccando l’altra colonna della vecchia Repubblica, la scuola. Il preside-comandante, i prof soldati semplici ai suoi comandi, non sono solo un rigurgito degli Anni Trenta. Sono un progetto abilissimo e preciso, di­struggere ogni luogo sociale e lasciarci ciascuno solo davanti alla sua tv o al suo monitor. Se i Landini e i don Ciotti lo capiranno, potranno contare su molte forze ora sparse e divise.

Il laboratorio-Sicilia

In Sicilia, nel paese-laboratorio in pro­vincia di Messina, la sindaca “antimafio­sa” di due anni fa, la Maria Teresa Colli­ca, è stata buttata giù dalle forze congiun­te dei vecchi padroni di destra e nel “nuo­vo” Pd (escluso, a suo onore, un diri­gente che s’è ribellato). A Messina, lo stesso gioco si va preparando per Accorinti.

Nè lui né la Collica, in questi due anni, sono stati all’altezza del ruolo: simbo­lismi moltissimi, tutti belli e civili e degni di gran lode. Ma politique d’abord, mobilita­zione dei bisogni della gente, fiacca e poca. Nè i “compagni” li hanno granché educati, né sostenuti: ap­plausi ma non cri­tiche all’ini­zio, maledi­zioni ma non mano tesa alla fine – cioè adesso.

* * *

Il Sud, il Mediterraneo, il mondo pove­ro intanto vanno avanti. La Grecia (altro che calimeri) affronta la trattativa coi ge­nerali tedeschi, i Brest-Livotsk, e la sta af­frontando bene. Fra gl’islamici splende, per la prima volta nei secoli, la libertà del­le donne, delle ragazze-partigia­ne di Ko­bane, in prima linea col fucile. Fermano i nazifascisti di Isis, abbandonate dall’Occi­dente ipocrita, ma vittoriose.

 

REATO DI MIMOSA

Le “Mamme No Muos” l’otto marzo l’han­no festeggiato con un corteo a Niscemi, alla base Us Navy del Muos, recentemen­te dichiarata il­legale dal­le compe­tenti au­torità italiane. Alla fine del corteo hanno deposto delle mi­mose sul cancello d’ingresso della base. Ora sono indagate per reati vari, con l’accusa di aver tagliato un pezzetto della rete di recinzione della (illega­le) base stra­niera.

 

Promemoria

Dieci obiettivi dell’antimafia sociale

● Abolire il segreto bancario;

● Confiscare tutti i beni mafiosi o frut­to di corruzione o grande evasione fi­scale;

● Assegnarli a cooperative di giovani lavoratori; aiuti per chi le sostiene;

● Anagrafe effettiva dei beni confiscati;

● San­zionare le delocalizzazioni, l’abuso di pre­cariato e il mancato ri­spetto dello Statu­to dei Lavoratori o di accordi di lavoro.

● Separazione di capitale finanziario e in­dustriale; tetto alle partecipazioni nell’edito­ria; To­bin tax;

● Gestione pubblica dei servizi pubbli­ci es­senziali (scuola, università, difesa, ac­qua, energia, strutture tecnologiche, credi­to in­ternazionale);

● Progetto nazionale di messa in sicurez­za del territorio, come volano eco­nomico so­prattutto al Sud; divieto di altre cementifi­cazioni; divieto di industrie inquinanti; ri­strutturazione di quel­le esistenti e bonifica del territorio a spese di chi ha inquinato;

● Controllo del territorio nelle zone ad alta in­tensità mafiosa.

● Applicazione dell’articolo 41 della Costi­tuzione.

Costituzione della Repubblica Italiana

Art. 41 – “L’iniziativa economica privata è li­bera. Non può svolgersi in contrasto con l’utili­tà socia­le o in modo da recar­e dan­no alla si­curezza, alla li­bertà, alla di­gnità uma­na. La legge determi­na i pro­grammi e i con­trolli opportuni perché l’atti­vità econo­mica pubblica e priva­ta possa essere indi­rizzata e coordinata a fini so­ciali”.

(fonte)

L’antimafia ha i suoi costi

Fare giornalismo antimafia e fare lotta, oggi come ieri, è possibile solo a costo di rinunciare a una vita “normale”. Non tanto per i rischi fisici – che liberamente si accettano – ma per l’estromissione dai principali circuiti politici e professionali. Non è un prezzo troppo alto, considerando gli obiettivi. Ma il prezzo è ancora tale, ed è bene che non ci siano equivoci su di esso.

(Riccardo Orioles, qui)

Anticorpi contro la mafia al Nord (editoriale per I SICILIANI GIOVANI)

(Questo articolo è stato scritto per il numero di marzo/aprile de I Siciliani Giovani che potete scaricare qui o dal sito www.isiciliani.it)

Schermata 2013-04-04 alle 10.07.13C’è una frase di Pino Maniaci che mi colpisce profondamente. Pino è così: vola con leggerezza dai giudizi più sprezzanti fino alle considerazioni più intime che meritano di essere al più presto collettive. Diceva, durante un suo incontro con i ragazzi su Milano, “dovete stare attenti, perché in Sicilia abbiamo il virus ma anche gli anticorpi, qui il virus è arrivato, ma non avete ancora gli anticorpi”.

Gli anticorpi, appunto: ho passato serate a spaccarmici la testa, sugli anticorpi, su queste proteine umanoidi che dovrebbero neutralizzare i corpi estranei alla legge e alla Costituzione riconoscendone ogni determinante antigenico. E’ possibile? mi chiedevo. Come impiantarceli qui dove la malattia è in incubazione continua mentre la devastazione è in corso d’opera?

Forse (è una mia umile considerazione personale) facendo rete (sì, ce lo siamo detti mille volte e tutte le sante mille volte abbiamo applaudito) ma diversamente da come lo stiamo facendo. E’ un’autocritica certo (mica un rimestamento di macerie), ma è un fatto visibile e evidente che l’antimafia sociale, culturale e dell’associazionismo viaggi ad una velocità (colpevolmente) troppo diversa e troppo slegata da quello che accade là dentro dove i cambiamenti cambiano per davvero le cose: centinaia di insegnanti spendono energie e tempo per organizzare incontri di alfabetizzazione sulle mafie ma la scuola intanto resta inerte (quella dell’Aprea, della Gelmini, di Comunione e Liberazione e di Formigoni, per intendersi, quella terribile idea di scuola tutta minuscola come servizio obbligatorio per adempiere stancamente ai doveri della Costituzione), decine di amministratori si incontrano per scambiarsi esperienze e buone pratiche su riciclaggio e gioco d’azzardo ma la Regione (e il Parlamento) si ridestano al massimo un secondo solo per congratularsi in carta bollata, invitiamo testimoni di giustizia a raccontarsi mentre abbiamo un programma di protezione testimoni che viene smantellato quotidianamente, applaudiamo nelle serate gli uomini della Catturandi mentre ci raccontano l’ultimo arresto dell’ultimo latitante e intanto le forze dell’ordine scivolano nel volontariato per terminare le indagini. Queste e molte altre discrepanze (usiamo un eufemismo, va) testimoniano le maglie troppo larghe di una rete che non riesce a contenere.

Stringersi, forse. Servirebbe stringersi per rendere più palesi (e leganti) le responsabilità di tutti i nodi. Avere il coraggio, stretti, di indicare referenti certi con potere legislativo, testimoni attivi nella magistratura, interpreti responsabili nell’imprenditoria, in un’attività di “lobby” nell’accezione positiva: tre o più persone che si occupano dell’interesse pubblico danneggiando (anche, se serve) l’interesse privato. Una sorta di 416 quater che non sia un delitto ma un dovere di anticorpi.

Costa, lo so, non è facile: richiede un’esposizione a tutto campo che superi i confini della testimonianza. Eppure l‘antimafia non può restare sospesa, non è credibile nei mezzi toni di una scala con un estremo buio; richiede luce, vita, scelta e politica.

Da che parte stare: essere partigiani e non tollerare indifferenze.

I siciliani (giovani)

E’ uscito il primo numero de I SICILIANI giovani. Ed è un’ottima notizia perché Riccardo (Orioles) ritorna in pista con un progetto che si impegna nel tentativo di abbracciare tutti i vecchi amici (quelli che già ci sono e quelli che verranno) e perché il giornalismo antimafia non s inventa dopo un paio di conferenze e uno spendibile maestro che si presta ad essere chioccia.

Lo trovi su: http://www.isiciliani.it
Per sfogliarlo: http://issuu.com/isiciliani/docs/sicilianig-dic11
Per scaricarlo gratis: www.isiciliani.it/pdf
Per dire la tua, partecipare, criticarlo, sostenerlo: redazione@isiciliani.it

I Siciliani, giornalismo contro la mafia

Durante il periodo natalizio del 1982 esce nelle edicole dell’isola il primo numero del mensile I Siciliani diretto da Pippo Fava. L’inchiesta principale, che accende i riflettori sul nuovo giornale, è I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa in cui si attaccano i quattro principali imprenditori catanesi da diecimila posti di lavoro complessivi: Mario Rendo, Carmelo Costanzo, Francesco Finocchiaro e Gaetano Graci.

Il dispiegamento pubblico delle collusioni e commistioni tra gli imprenditori e la mafia accende la curiosità della stampa nazionale, che si trova di fronte a una realtà colpevolmente sconosciuta a soli quattro mesi dall’uccisione del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa a Palermo.

Il giornalismo catanese, infatti, non si era mai occupato di raccontare e svelare gli intrecci tra mafia, imprenditoria e politica fino a quando Giuseppe e i suoi colleghi non si assunsero quest’onere decidendo di fondare un nuovo mensile che avesse come linea editoriale il “concetto etico di giornalismo”, ovvero, come diceva Fava, di “un giornalismo fatto di verità”.

Ed è proprio questo nuovo modo di essere (non di fare il) giornalista che ha infastidito il sistema editoriale catanese, che ancora oggi è monopolizzato da Mario Ciancio Sanfilippo, ex presidente della Fieg, la federazioni degli editori di giornali, indagato per concorso in associazione mafiosa. Tutta l’informazione, scritta, radiofonica e televisiva di Catania è sempre passata dalle mani di Ciancio, a parte il mensile diretto da Fava.

In questo contesto I Siciliani è una rivista scomoda, irriverente e preoccupante per la classe dirigente dell’isola, che invano tenta di comprare il giornale attraverso Mario Rendo, il quale propone al direttore la gestione di una nuova emittente televisiva.

La sera del 5 gennaio 1984, a Catania, dopo undici numeri del periodico, Pippo Fava viene ucciso. Sono ormai passati ventisei anni, ma la situazione a Catania non è cambiata di molto. A parte l’accusa ex art. 416 bis per Ciancio, il monopolio informativo è rimasto lo stesso.

Per questo accolgo con entusiasmo l’annuncio dell’amico Riccardo Orioles sulla rinascita de I Siciliani. Il primo numero dovrebbe debuttare già dal prossimo novembre in formato pdf e da febbraio 2012 dovrebbe uscire nelle edicole siciliane. Ringrazio anche i sostenitori del progetto, le persone che hanno convinto Riccardo a mettersi a disposizione per il risveglio di un mensile che non poteva finire tra i ricordi: i magistrati Giambattista Scidà e Giancarlo Caselli e il prof. Nando Dalla Chiesa.

Sono convinto che il concetto etico di giornalismo, che accompagna ancor’oggi Orioles e gli altri redattori che daranno vita a I Siciliani, sarà la giusta cinghia di trasmissione tra lavecchia esperienza e la nuova e sarà l’ennesima occasione per dimostrare che si può essere giornalisti senza svendersi al miglior offerente. Il “risveglio” de I Siciliani è un filo rosso che qualcuno voleva nascondere sotto la sabbia e invece soffia forte. E noi soffiamo insieme perché Riccardo e I Siciliani corrano veloci.

PUBBLICATO SU IL FATTO QUOTIDIANO

Una meravigliosa notizia

L’inossidabile Riccardo parte con una straordinaria e importante avventura.

Va bene. E ora? Ci lasciamo così, dopo aver chiacchierato? E no, santiddìo, stavolta no. Stavolta giochiamo grosso, puntiamo tutto quello che abbiamo. Il nome, la storia, la forza dei Siciliani. Amici, rimettiamo in campo i Siciliani. Loro hanno i killer, loro hanno i miliardi – ma noi, noi uomini di questa terra abbiamo i Siciliani.