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rifiuti speciali

La criminalità è organizzata, la tracciabilità dei rifiuti no

L’avevano annunciato in pompa magna e avrebbe potuto essere davvero un ostacolo per la criminalità organizzata: il sistema SISTRI per la tracciabilità dei rifiuti era un’innovazione notevole in un campo dove l’illegalità e le mafie continuano a mietere guadagni illeciti. Nel sito ufficiale si legge: “La lotta alla illegalità nel settore dei rifiuti speciali costituisce una priorità del Governo per contrastare il proliferare di azioni e comportamenti non conformi alle regole esistenti e, in particolare, per mettere ordine a un sistema di rilevazione dei dati che sappia facilitare, tra l’altro, i compiti affidati alle autorità di controllo.”

Oggi rimbalza la notizia. Uno scandalo annunciato. Tre persone in carcere, altre 19 agli arresti domiciliari, 4 con l’obbligo di presentarsi agli inquirenti e una miriade di società vuote e di conti all’estero individuati dalla Guardia di Finanza. Così arriva alla svolta l’inchiesta della Procura di Napoli su un grande imbroglio. Ovvero: l’ambizioso progetto di tutela ambientale battezzato Sistri, il sistema di tracciabilità dei rifiuti ideato dalla società Selex service management (gruppo Finmeccanica) con un contratto classificato come “riservato”, da 146,7 milioni di euro in 5 anni, lievitato fino a 400 milioni, e di fatto mai realizzato. Il previsto monitoraggio di ogni carico di scarti industriali o di immondizia urbana sul territorio nazionale (in special modo in Campania), difatti, non era mai partito, nonostante i 30 milioni di euro già bruciati per l’organizzazione e nonostante i notevoli costi imposti a centinaia di utenti, aziende, camion, perfino municipalizzate, costretti a dotarsi di una scatola nera sui camion. Nel corso delle indagini probabilmente saranno ascoltati come testimoni gli ex ministri dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, dei Verdi, e Stefania Prestigiacomo. Nel 2007, sotto il governo di centrosinistra, si cominciò infatti a lavorare al piano che sarà portato a compimento l’anno successivo, quando a Palazzo Chigi c’era Silvio Berlusconi, che nel settembre del 2008 appose il segreto amministrativo “sul progetto, le opere, i servizi, e le forniture per la realizzazione del Sistema”. Il progetto risulta attualmente bloccato almeno fino al 30 giugno prossimo a seguito delle perplessità espresse dalla Digit Pubblica Amministrazione.

Così lo strumento antimafia diventa un fardello inoperoso di burocrazia sugli imprenditori e le mafie continuano ad agire indisturbate. Viene da chiedersi perché la criminalità riesca ad organizzarsi e lo Stato no. Perché?

Terremoto: lo smaltimento (illegale) delle macerie diventa legale per decreto

La sensazione è che in nome dell’urgenza si perdano di vista i particolari. E, in fondo, uno pensa che ci potrebbe anche stare. E’ il rischio di correre per salvare il salvabile. Si dice. Ma quando si perdono i pezzi della legalità pensi subito che ci vorrebbe un po’ di attenzione, almeno. Un’urgenza che abbia delle priorità. Perché in fondo ognuno di noi saprebbe all’istante quali sono le due o tre cose da mettere in valigia prima di correre fuori casa. E poi succede che le dimenticanze così spiacevoli si ripetano in occasioni molto simili. E allora pensi che in fondo questo Paese non vuole costruirsi una memoria perché ha una strategia di sbadataggine che serve per accontentare qualcuno. Che non è un problema di poco pensiero ma un pensiero lungo e che arriva da lontano e che ha tutte le misure per essere un atto politico. Da pesare così com’è. Lasciando perdere la fretta e le urgenze.

L’inchiesta di Site.it (che, credetemi non girerà molto in giro) prova ad infilare il dito nel terremoto:

Terremoto che vai, usanze che trovi. L’Aquila e l’Emilia, una ricetta con gli stessi ingredienti: dichiarazione dello stato di emergenza, potere di ordinanza, di deroga, allentamento dei controlli. Finora, per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti e delle macerie, con il sisma in Emilia queste pratiche si sono già spinte oltre – molto oltre – in un tessuto produttivo di gran lunga più delicato di quello aquilano. Un numero impressionante di capannoni – come ad esempio quelli del polo biomedicale – crollati, abbattuti o demoliti con all’interno prodotti e materie prime di ogni tipo. Tutto da smaltire indistintamente con le macerie ed equiparato “ai rifiuti urbani”.

Quella intrapresa in Emilia è una china pericolosa. Il 6 giugno scorso è stato varato il Decreto-legge n.74 (GU n. 131 del 7-6-2012), da convertire in legge entro 60 giorni: gli emiliani farebbero bene ad alzare le antenne e prestare da subito molta attenzione a ciò che sta accadendo nel dopoterremoto. Il decreto 74 prevede, all’art. 17, la “trasfigurazione” delle macerie da rifiuti speciali in rifiuti urbani. Ma cosa ancora peggiore è che il comma 7 prevede che il trasporto venga effettuato direttamente dalle aziende che gestiscono il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, o anche indirettamente a mezzo di imprese di trasporto anche “non iscritte all’albo” e senza la “tracciabilità dei rifiuti“. Ad essere eliminati, in sostanza, sono anche il FIR e il Registro di carico dei rifiuti.
Proviamo a chiarire meglio di cosa si tratta e quali effetti devastanti può produrre sul territorio. Intanto, è da notare che il decreto 74 punta a cancellare la tracciabilità non tanto delle macerie giacenti sulle vie e gli spazi pubblici, ma soprattutto di quelle giacenti nei luoghi privati e dei rifiuti derivanti da demolizioni. Le macerie giacenti sulle pubbliche vie, infatti, anche senza l’emanazione di questo decreto erano già equiparate ai rifiuti urbani. Infatti l’art. 184, comma 2, lett. d, del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. (il Testo Unico Ambientale) definisce come rifiuti urbani “i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua”.
Diverso è invece il discorso per le macerie che si trovano all’interno di aree private, tipo i capannoni crollati. Ancor più se parliamo di rifiuti da demolizione di edifici privati, o di capannoni privati. Infatti, tutti i rifiuti dall’attività di demolizione sono sempre considerati “rifiuti speciali“, come specificato nel Testo unico ambientale. E’ evidente, quindi, che l’estensore del comma 1, nel prevedere la trasfigurazione delle macerie in “rifiuti urbani“, è proprio a quelli su aree private che rivolge la maggiore attenzione. Infatti, sempre l’art. 17, al comma 1 fa riferimento, oltre ai “materiali derivanti dal crollo parziale o totale degli edifici pubblici e privati causati dagli eventi sismici del 20 maggio 2012 e dei giorni seguenti“, cita pure “quelli derivanti dalle attività di demolizione e abbattimento degli edifici pericolanti“.
Occorre prestare molta attenzione alla sintassi usata dal legislatore, quando scrive: “…quelli derivanti dalle attività di demolizione e abbattimento degli edifici pericolanti, disposti dai Comuni interessati dagli eventi sismici…“. Se il “disposti dai Comuni interessati …” lo si intende riferito sia alle attività di demolizione che alle attività di abbattimento, allora vorrà dire che, comunque, il particolare regime disposto per questi rifiuti (che da speciali vengono trasfigurati in urbani) è subordinato ad un provvedimento amministrativo (che dispone la demolizione o l’abbattimento) senza il quale la detta trasfigurazione non sarà possibile. Se, invece lo si intenda riferito alle sole attività di abbattimento – il che sarebbe più logico, perché la demolizione, di solito, è un’attività edilizia che avviene su input del privato, mentre l’abbattimento, è la stessa identica attività, ma disposta da un’autorità pubblica – allora ne consegue che tutte le attività di demolizione disposte dai privati non sarebbero soggette ad un filtro amministrativo di autorizzazione/disposizione, per cui, la deregulation sarebbe totale.
Come già si è avuto modo di vedere nel precedente sisma di L’Aquila, la trasfigurazione da “rifiuti speciali” a “rifiuti urbani” sottende la volontà di eliminare limiti, vincoli e soprattutto la tracciabilità e i controlli sui flussi dei rifiuti. Nel caso del sisma in Emilia, questa volontà si è spinta anche oltre. Infatti, leggendo il comma 7 dell’art. 17, ci si accorge che, come a L’Aquila, viene espressamente abolita la tracciabilità, poiché è prevista la deroga alla norma che impone i FIR (art. 193 del D.Lgs. 152/2006) e al registro di carico e scarico (art. 190 del D.Lgs. 152/2006). Ma viene introdotta una ulteriore innovazione peggiorativa: viene addirittura prevista la deroga all’obbligo di iscrizione all’albo gestori ambientali (art. 212 D.Lgs. 152/2006). In particolare è previsto che il trasporto delle macerie (giacenti in pubbliche vie ed in aree private) – e dei rifiuti da demolizione e abbattimento di edifici (pubblici e privati) – possa avvenire ad opera di soggetti che svolgono (già) il servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani. E possono farlo direttamente, ma anche indirettamente. Cioè “attraverso imprese di trasporto da essi incaricati previa comunicazione della targa del trasportatore ai gestori degli impianti individuati al punto 4 e pubblicazione all’albo pretorio dell’elenco delle targhe dei trasportatori individuati”.
Per finire, il penultimo periodo del comma 7, contiene una norma che espressamente prevede che “Le predette attività di trasporto, sono effettuate senza lo svolgimento di analisi preventive”. Quindi i rifiuti da demolizione – soprattutto se provenienti dalla demolizione o abbattimento di un capannone industriale (a meno che non contengano amianto) – non sono soggetti ad analisi chimiche. Significa che tali rifiuti, anche se dovessero contenere sostanze particolarmente inquinanti e/o pericolose, vengono caricati e trasportati come se fossero innocue pietre triturate.