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rifugiati

La sinistra Capalbio esclusa

Se c’è una cosa che mi atterrisce è l’essere d’accordo con persone che disistimo profondamente. Così vedere gioire Salvini, Meloni per la vicenda di Capalbio mi procura ancora più fastidio per questa “sinistra” sinistrata, scolorita e indegnamente rappresentata. Il federalismo della solidarietà è l’ennesima trovata di una classe dirigente che è aristocratica nei diritti e socialista con i doveri degli altri.

“Sinistra al caviale” ha detto Nencini. Nencini, nuovo Psi, viceministro: oggi sono stato d’accordo anche con lui, per dire.

La vicenda è raccontata qui.

Yusra in gara per la nazionale dei senza nazione

Non è facile lenire i segni della corda. Sempre. Nella vita, quando capita di stringere una corda con la forza del bisogno, i segni infine rimangono per tutti gli anni dopo: sono le rughe dell’allarme, della disperata salvezza.

Yusra si è appesa alla corda del gommone. Mica di un gommone. Del gommone che attraversa l’Egeo per trascinare gli scappati siriani dalla Turchia alla Grecia: i gommoni su quella rotta sono tutti uguali per il retrogusto disgraziato, per l’appuntitissima fragilità del sogno e per quel mare pronto a farti isola in mezzo al mare. Lei, Yusra, con i suoi quasi diciotto anni, si è appesa al suo gommone con il motore spento e l’ha trascinato fino a riva salvando se stessa e il resto di quella ciurma che erano rifugiati, scappati, migranti, forse salvi, come lei.

Yusra Mardini è una storia che si ripete ogni giorno. Migliaia di volte ogni anno. Certo: lei non è annegata, non è finita rinchiusa tra i manganelli e nemmeno impigliata nel filo spinato. Quando il CIO ha deciso di aprire la partecipazione alle olimpiadi a una squadra di rifugiati (che visione coraggiosa istituire la nazionale dei senza nazione, tra l’altro) Yusra deve aver pensato che il destino le offriva l’opportunità di spalmare balsamo sulle sue ferite.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

Nessun Paese è un’isola

Per provare a suggerire nuovi sguardi il nostro Stefano Catone (elemento insostituibile in Possibile su diritti e immigrazione) sta lavorando a (come lo descrive lui stesso) «un lavoro di analisi e decostruzione dei luoghi comuni e della propaganda riguardante i flussi migratori e l’accoglienza». Ecco la presentazione del progetto:

“I famosi 35 euro al giorno regalati agli immigrati, che in realtà sono destinati agli italiani che se ne occupano.

La profugopoli sbattuta in prima pagina, senza considerare che i cattivi esempi – che vanno spazzati via – in realtà nascondano modelli virtuosi e efficaci.

È, come sempre, la logica dell’emergenza quella da superare.

È, come sempre, la storia e la vocazione del nostro Paese: una “quasi isola” in mezzo al Mediterraneo, orientata in senso meridiano, naturale collegamento tra un Nord più ricco di noi e un Sud che sta molto peggio di noi.

L’accoglienza può essere fatta bene. Possono essere valorizzati gli interventi di qualità, possono essere eliminate le distorsioni e spese bene le risorse, a favore dei rifugiati ma anche delle comunità che li ospitano. Vale soprattutto per le zone periferiche del paese, attraversate da passaggi di persone che probabilmente in quelle zone non si fermeranno.

In questo viaggio, curato da Stefano Catone, ci guidano Luca Ciabarri (antropologo) ed Elly Schlein (parlamentare europea) offrendo uno sguardo internazionale e più precisamente europeo al fenomeno, lo stesso Stefano Catone e Marco Omizzolo (sociologo) con due inchieste sulle potenzialità del sistema di accoglienza italiano, Daniela Di Capua(direttrice SPRAR) intervistata da Erika Capasso sulla rete SPRAR e Giulia Capitan(OXFAM) sul sistema hotspot. Ascolteremo le testimonianze del comitato Possibile di Udine sulla rotta balcanica, i volontari del centro Baobab di Roma e di Welcome RefugeesPaolo Naso sui canali umanitari attivati da Mediterranean Hope. Chiudono Fabrizio Gatti e la sua vita da migrante e Riccardo Staglianò sul sistema dei media. A Giuseppe Civati sono lasciate le conclusioni e l’impegno a tradurre in politica tutto questo.

Perché sostenerci. Perché la prossima pagina tocca scriverla a tutti noi che che ci reputiamo costruttori di pace, inclusione e convivenza.

Perché non è il tempo della paura, ma è il tempo di guardarci negli occhi e dire che un mondo migliore è possibile, ma per costruirlo possiamo contare solo sulle nostre forze. Spiegando, raccontando, mettendo in pratica e diffondendo gli esempi virtuosi, costruendo una cultura dell’accoglienza.

Venite con noi, mettiamoci in cammino”.

Il crowdfunding del progetto, se volete contribuire, è qui.

Questo è il naufragio dei nostri scheletri.

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Mentre ripeschiamo il peschereccio che il 18 aprile dell’anno scorso ha inscatolato e disperso i corpi di 700 persone nel canale di Sicilia mi viene da pensare al relitto che è poi i relitti che siamo noi. Relitto è ciò che resta ai bordi della strada, in fondo al mare, sulle pendici di una montagna sorvolata con incuria o arrugginito in una collina di rifiuti. Ci sono, nel relitto, tutti i segni della consumazione, dell’usura affaticata e dell strada percorsa: la potenza del relitto è che ha disegnata addosso la curva della sua fine. Anche per questo quel peschereccio che ha trasportato cadaveri fino al fondo al mare sarebbe da esporre nelle piazze come monumento in memoria di tutto ciò che inosservato ci affonda intorno.

Verrà un giorno, credo, che questo Mediterraneo cimitero liquido di fuggitivi (perché non viaggia chi non sa dove arrivare, chi s’imbarca solo per scappare) muoverà nel ricordo le stesse pinze delle camere a gas, quei becchi di disperazione da cui non riusciamo ad assolverci, le stesse punte di una tragedia che ha pascolato prepotente in mezzo alla quotidianità impermeabile e anafettiva. Quando davvero la storia riuscirà a mostrare le dimensioni della tragedia il barcone ripescato in queste ore sarà il museo della vigliaccheria. Ci saranno scolaresche in gita ad Auschwitz e sul ponte di questa nave. Cammineremo là dove si i corpi sono sdraiati asfissiati sott’acqua e racconteremo quanto l’uomo possa diventare un’isola quando puzza di disperazione e di paura.

Ci chiederanno dov’eravamo noi. Sicuro.

(continua qui)

Mi chiamo Erdogan e sparo ai bambini. Pagato dall’Europa.

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L’Europa piange lacrime di polistirolo per celebrare la Giornata Mondiale del Rifugiato che, visto il quadro generale, sembra uno scherzo mal riuscito. Invece no. Ieri tutti i burocrati hanno finto almeno per un minuto di essere tutti contriti per poi lasciarsi andare all’ammazzacaffè. La Giornata Mondiale del Rifugiato è un po’ come il progetto di un distributore automatico di diritti: buono per farci sopra narrazione da campagna elettorale ma poi alla fin fine semplicemente una perversione da calendario.

Intanto, ventiquattro ore prima, le guardie turche (i militari servetti di una nazione indegna di essere considerata democratica eppur profumatamente pagata dall’Europa per “risolvere” il problema dei rifugiati) hanno pensato di schiacciare il grilletto per disinfettare il confine: sarebbero otto morti di cui quattro bambini. Un presepe di cadaveri. Una cosa così.

Le fonti ufficiali turche (che valgono più o meno come le dicerie da bar) dicono e non dicono, confermano ma non troppo e infine cercano di raccontare la difficoltà di “vigilare i confini”.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

Il reato di umanità

Profughi

Una petizione interessante:

Siamo singoli cittadini, attivisti, associazioni e realtà che sostengono la lotta per l’ accoglienza dignitosa dei richiedenti asilo a Udine, in Friuli Venezia Giulia, a Ventimiglia, a Roma e in tutta Italia.

Nelle nostre città vediamo decine di persone, e tra loro molti minori, vivere per mesi accampate nei parchi, in edifici abbandonati e fatiscenti, nelle stazioni, sulle pericolose rive dei fiumi, in attesa di poter accedere all’accoglienza cui hanno diritto.
A Udine, il nutrito gruppo di volontari che ogni sera assiste gratuitamente i richiedenti asilo fuori accoglienza, rende la città un luogo più umano da quasi due anni. Laddove le istituzioni -seppure sollecitate a più riprese – latitano, tentennano o fingono di non vedere, Ospiti in Arrivo è presente, tamponando la cronica inefficienza di un sistema che pare incapace di pianificare a lungo termine.
Leggiamo con sgomento e preoccupazione la notizia della chiusura delle indagini nei confronti di alcuni volontari dell’associazione, con accuse molto gravi che sembrano mirare a stravolgere il senso ultimo dell’attività dell’associazione: provvedere ad aiutare gratuitamente coloro che le istituzioni hanno lasciato soli.
Riteniamo che in questa operazione di criminalizzazione del volontariato e della società civile vi sia un chiaro disegno politico che a Udine – come in molte altre parti d’Italia – mira ad attaccare le attività di coloro che, con la propria quotidiana, volontaria e gratuita attività, mettono in risalto le inefficienze delle istituzioni.
Le pesantissime accuse nei confronti dei volontari udinesi, cosi come i fogli di via agli attivisti di Ventimiglia, i continui sgomberi ai danni dei migranti fuori accoglienza in tutto il Paese e la militarizzazione dei luoghi di transito, sono il sintomo di una gestione perennemente emergenziale e apertamente ostile da parte delle istituzioni, che riduce il fenomeno migratorio ad una mera questione di ordine pubblico.
L’atteggiamento persecutorio nei confronti di chi, gratuitamente, sopperisce quotidianamente alle mancanze delle istituzioni, è un attacco diretto al cuore pulsante della società civile.

Esprimiamo massima solidarietà e sostegno a tutta l’associazione e ai suoi soci: come persone e organizzazioni coinvolte nell’accoglienza e nella tutela dei diritti fondamentali di quanti approdano nel nostro Paese ci sentiamo colpiti e coinvolti direttamente da questa indagine.

Se donare soccorso, vestiti, scarpe, coperte e cibo a persone abbandonate per strada dalle istituzioni -che sembrano ricordarsi di loro solo quando viene il momento di sgomberarle dai luoghi in cui hanno trovato rifugio- è un reato, allora noi tutti ci dichiariamo pubblicamente colpevoli . Arrestateci tutti!

Se accogliere e accompagnare alla Caritas i richiedenti asilo è un reato, allora siamo tutti complici. Arrestateci tutti!

Se fornire “precise indicazioni sulla procedura di riconoscimento dello status di rifugiato” è favoreggiamento dell’immigrazione clandestina allora tutti noi avvocati, mediatori, giuristi, attivisti, giornalisti, operatori delle varie organizzazioni e associazioni di volontariato siamo colpevoli. Arrestateci tutti!

Se la solidarietà, dovere inderogabile imposto dall’art. 2 della nostra Costituzione, è da considerarsi un crimine, allora arrestateci tutti, noi che a quel precetto costituzionale abbiamo obbedito consapevoli che “la Costituzione dovrà essere fedelmente osservata come legge fondamentale della Repubblica da tutti i cittadini e dagli organi dello Stato”.

Arrestateci, arrestateci tutti!

(la potete firmare qui)

Mamma è rimasta in mare

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Nohamed, 9 mesi e una traversata che s’è bevuta la madre. Europa 2016.

«Mentre a 18 miglia dalle coste libiche si ribaltava un peschereccio con quasi 600 migranti, a Lampedusa arrivava il carico di un altro dramma del Mediterraneo: 150 scampati al naufragio di due gommoni, compresa una bimba di appena 9 mesi che ha perso la mamma, morta per ustione da benzina durante la traversata. Una bimba sola arrivata dal cuore dell’Africa, recuperata tutta bagnata, totalmente disidratata, dall’equipaggio di una motovedetta della Guardia costiera che, ancor prima di attraccare alla banchina, ha allertato il poliambulatorio diretto dal medico tante volte premiato come simbolo di solidarietà, Piero Bartolo, protagonista del film di Gianfranco Rosi «Fuocammare», che adesso vorrebbe prendere la piccola in affidamento.»

Sono scappati dalla guerra. E sono morti.

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Tre bambini siriani sono morti in un campo per rifugiati in Turchia a causa di un incendio. Sono scappati dalla guerra, sono sopravvissuti al mare e sono morti dopo essere stati “accolti”. La notizia è qui. Il giudizio, beh, fate voi.