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La figlia di Riina va in onda in prima serata. Ma non parla al pubblico

Dice Maria Concetta Riina, generosamente resa protagonista in prima serata dalla trasmissione Le Iene che suo padre, da latitante, usciva “senza trucchi, senza maschere. Girava anche per Palermo quando c’era bisogno uscivamo, per andare a fare la spesa, in farmacia”.

Strana latitanza quella di Riina, gestita in tutta tranquillità con la famiglia al seguito come se fosse una semplice gita fuori porta. Quando c’era da scappare la fuga veniva apparecchiata con tutta tranquillità: “on ci diceva: dobbiamo scappare di notte – ha raccontato la figlia di Riina -, oppure dobbiamo allontanarci perché siamo seguiti o siamo braccati. No, lui ci diceva con calma: dobbiamo andarcene. E così facevamo le valigie e ce ne andavamo”. Con calma. Andavano. E ogni estate, ovviamente, le due settimane canoniche al mare. Ci mancherebbe.

Poi ovviamente la solita favoletta sulla morte di Falcone: “Quando ci fu la strage di Capaci l’abbiamo saputo dal tg. Eravamo tutti sul divano. (Falso. Salvuccio, il figlio più giovane dei Riina, disse ospite di Bruno Vespa, di essere stato al bar con gli amici, nda). Mio padre era normale, non era né preoccupato  né felice. E non è vero, come hanno detto, che ha brindato con lo champagne“.

Ma i messaggi veri, quelli che non sono per il pubblico televisivo e che ieri sera sono arrivati a chi dovevano arrivare sono ben altri: “Per me è stato un buon padre. Io ho le mie buone ragioni per pensare che mio padre in certe cose non c’entra. Non ha potuto fare – scandisce la figlia di Riina – tutto quello da solo”.

Ecco qui. Ecco tutto. La saga ora davvero può tranquillamente continuare.

Buon lunedì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2017/12/11/la-figlia-di-riina-va-in-onda-in-prima-serata-ma-non-parla-al-pubblico/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui.

A Corleone il santo in processione si ferma sotto casa Riina

corleone

E ogni volta che si parla di religione e politica vale la pena leggere Salvo Ognibene:

«Mafia e chiesa. Ci risiamo. E questa volta accade in quel paese siciliano tanto conosciuto al mondo a causa dei vari Navarra, Leggio, Provenzano, Riina. Già, Riina. E forse non è un caso che dopo l’”inchino” della Rai e di Vespa al figlio del capo dei capi, ora leggiamo dell’”inchino” della statua di San Giovanni Evangelista davanti casa di Ninetta Bagarella. Maggiori dettagli li trovate qui e qui ma sappiamo che il commissario di polizia e il maresciallo dei carabinieri, che erano presenti, hanno subito lasciato la processione e inviato una relazione alla procura distrettuale antimafia.

La devotissima famiglia Riina ha sempre goduto di particolari privilegi da parte di alcuni uomini di chiesa. Dal matrimonio tra la Bagarella e il latitante “Totò” Riina, celebrato in gran segreto da tre parroci (tra cui Agostino Coppola), alla raccolta firme promossa da Catarinicchia, oggi vescovo emerito di Mazara del Vallo, per protestare contro il presunto accanimento giudiziario nei suoi confronti (la Bagarella era stata proposta per il soggiorno obbligato dopo essere stata licenziata dalla scuola in cui insegnava). A distanza di qualche anno il parroco è intervenuto dicendo: “mai e poi mai ho raccolto o promosso raccolte di firme”.»

Mafia e appalti

E’ uno dei passaggi fondamentali per leggere con lucidità le stragi del 1992 ma soprattutto le dinamiche imprenditoriali della mafia al nord. Che non è una moda passeggera di questi ultimi tempi ma era già nella testa di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Davide Milosa ne fa un sunto che è indispensabile tenere in tasca perché molto parte proprio da qui. E perché quando negli ultimi anni mi è capitato di insistere sulla figura (santificata o dimenticata) di Raul Gardini ho visto anche insospettabili trasecolare.

Ora alla base della richiesta di revisione del procedimento da parte di Panzavolta c’è un punto: all’epoca non era ad di Calcestruzzi ma semplice consigliere delegato. Un dato che viene definito irrilevante, visto che lo stesso Panzavolta, diventato amministratore delegato, “si era limitato a continuare l’investimento già intrapreso”.

L’uomo della Ferruzzi, condannato definitivamente a sei anni e sei mesi, sarà arrestato nel 1997. Il suo nome compare già nei verbali di Tangentopoli. Due anni prima, nel 1991, scattano le manette per Angelo Siino che inizia a collaborare. E’ la prima tranche dell’indagine mafia e appalti. Siino fa il nome di Gardini e della Ferruzzi. Due anni dopo, il 23 luglio 1993, Gardini si suicida nella sua casa milanese. Panzavolta rivelerà una telefonata ricevuta dal patron poche settimane prima. Motivo: il coinvolgimento in Mani Pulite. I giudici nisseni però non ci credono e ipotizzano che quel contatto aveva come scopo capire gli sviluppi dell’inchiesta palermitana. Ecco la lettura che nel 2000 ne diede Siino, intervistato dal Corriere della Sera. “Credo che abbia avuto paura per le pressioni sempre più insistenti del gruppo mafioso sul carro del quale era stato costretto a salire, quello dei fratelli Nino e Salvatore Buscemi, legatissimi a Totò Riina (…) Secondo me Gardini ha capito che non era più in grado di sganciarsi dall’orbita mafiosa in cui era entrato. (…) So di preciso che quando si trattò di assegnare l’appalto per la costruzione della strada San Mauro-Ganci, Nino Buscemi mi disse che il 60 per cento dei lavori doveva essere assegnato alle imprese del Gruppo Ferruzzi. E Lima mi ordinò di eseguire”. 

Ma prima di Gardini, muore Salvo Lima: ucciso a Palermo nel marzo 1992. E’ il segnale: Cosa nostra cambia referenti politici. Saranno i socialisti di Bettino Craxi, ai quali lo stesso Gardini era da sempre legato. Insomma la sentenza della Cassazione su Lorenzo Panzavolta scrive l’ultima puntata del dossier su mafia e appalti. Riportando in primo piano il rapporto tra le stragi del ’92-’93 e i contatti di Cosa nostra con le grandi imprese del nord Italia.

 

Intervento di Giulio Cavalli – Piazza Navona "AGENDA ROSSA" manifestazione del 26.9.2009

agendaroma

http://www.youtube.com/watch?v=GVxTN1EZXCQ

Io sono preoccupato, ma non perché non sono lì, ma in realtà perché probabilmente ho lasciato il cuore in via D’Amelio il giorno che ho visto gli occhi di Salvatore e il giorno che ho avuto l’onore e il privilegio di assaggiare il suo abbraccio. Farò una telefonata breve, perché altrimenti sapete che Brunetta mi mette nell’elite dei fannulloni e quindi non voglio dare adito e cadere nelle grandi fauci del piccolo uomo.

Voglio raccontare e voglio ricordare che ogni volta che si parla di Paolo Borsellino e via D’Amelio, che fondamentalmente è un figlio attaccato ad un citofono, ecco, ogni volta penso che, per noi che dovremmo andare in scena e raccontare quelle storie, che in questo stato assolutamente impermeabile sembra che non riesca nemmeno a raccontarsi, raccontare che soprattutto diventa difficile, diventa una sfida, diventa un’eccezione, voler pretendere di essere normali nella propria nazione per qualcosa che esonda dalla legalità, per qualcosa che esonda dal diritto ma per una dignità di un popolo, di una nazione, che io mi auguro di poter regalare ai miei figli quando saranno adulti. La storia di Paolo è una storia che teatralmente non sta in piedi. Ci hanno regalato una favola, ma ci hanno regalato una favola scassata, come quelle macchinine che apri sotto l’albero di Natale e a cui manca una ruota e allora penso che sia venuto il tempo da parte anche degli uomini di cultura quelli che non dipendono dalle mestruazioni dell’amministratore di turno che decide come gestire i contributi a pioggia, agli uomini di cultura che professano su di un palcoscenico o su un libro o nelle parole che esprimono e poi dicono i propri ideali, allora è venuto il giorno di rendergliela la favola scassata, quel giocattolo che non vogliamo, di raccontare l’assurdità, quanto arlecchino c’è in una via in cui non si capisce bene quelli che sono venuti a mettere i fiori e quelli che mettono le bombe.

Raccontare uno stato che ha deciso di superare i propri dubbi, scavalcandoli senza farsene carico, e calpestando una dignità che qualsiasi forma culturale, qualsiasi espressione di bellezza, perché alla fine sarà la bellezza che dimostrerà la deriva delle associazioni criminali, della malapolitica, di tutto quel brodo schiumoso che sta li dove politica e mafie compiono i loro adulteri nelle alcove. E allora la dignità diventa, insieme alla bellezza, il boccone di un palco che decide di prendersi la responsabilità di fare il proprio lavoro. Io dico spesso che noi teatranti siamo poveri, facciamo pochi numeri, siamo ascoltati da pochi occhi, ci mettiamo la faccia e la paghiamo, io la sto pagando, ma la sto pagando con rabbia, la rabbia della coscienza di Salvatore come la rabbia di molti che in questo momento sono in piazza. Ebbene noi sul palco abbiamo un grandissimo privilegio, una grandissima fortuna, che a differenza della televisione riusciamo a far sentire assolutamente l’odore di merda che sta dietro al disonore di quattro pavidi che qualcuno ci vuol far credere che abbiano tenuto in scacco una nazione da soli, e saremo capaci, perché questo è un impegno, anche di far sentire il profumo, quel fresco profumo di libertà che è la colonna sonora di tutto il mio lavoro e del lavoro di tutti quelli che hanno deciso di rinnegare la normalità che qualcuno ci vuole vendere come eccezionale o addirittura come una sorta di brigatismo intellettuale.

E vorrei semplicemente chiudere con un pensiero, che è molto semplice, è molto banale, e cioè che quando si tratta di raccontare l’umanità delle persone alla fine è come alzare la coperta e quando si è tutti nudi si vede chi ha il cuore grande che è legato a doppio filo con una mente intellettualmente onesta e si vede invece chi sotto la giacca, la cravatta, i polsini, la ricotta oppure sotto i problemi di prostata del nostro caro Zio Binnu, la bava con quella faccia rossiccia di Riina U’ Curtu (che si permette di parlare il 19 luglio per l’ennesima volta, calpestando una memoria che non dovrebbe avere nemmeno il diritto di poter guardare in faccia) ecco, allora una volta che è stata tolta la coperta basta guardarli dall’alto e sorridere come faceva Arlecchino.

Radio Mafiopoli 18 – Cani boss e boss cani

Tanto va il mafiuso al lardo che ci lascia lo zampino. A Mafiopoli ti giri un secondo e casca il mondo, casca la terra e tutti giù per terra. Settimana di boss che sparano ai cani, di onorevoli pizzi squartariati e soprattutto di boss cani. Ma andiamo con ordine:

A Partinico-Borgetto, provincia di Mafiopoli, zampettava e saltellava felice il Salto Nicolò con Antonio e Alessandro. I Salto a Mafiopoli sono famiglia ballerina, come si evince dal cognome. Nicolò Salto è l’Higlander della provincia, come se fosse il Cristopher Lambert di Cosa Nostra, come se fosse l’uomo tutto buchi, come se fosse Antani: colpito in pieno centro da quattro spari appena uscito dalla villeggiatura carceraria non morì morto sparato come gli umani ma resuscitò senza nemmeno aspettare il terzo giorno.

– Come avrà fatto? (chiedono i benigni) Avrà usato preghiere particolari? Avrà comprato medicinali speciali?
Eh sì, insieme ai Salto saltano i fratelli Bacarella ( dal nome del baco in testa e la strizza nelle mutande), La Puma e Musso, che di nome fa pure Santo, Francesco e Giuseppe D’Amico (degli amici), e poi Nania, Brugnano il boss Giambrone e per finire in bellezza Salvatore Corrao; che almeno, dicono i Mafiopoli, almeno per finirci con la rima a Pietro Rao. Evviva, evviva, bum bum. Mafiopolitani doc che per esercitare la pistola e il neurone giocavano a guardie e ladri con i loro simili e tutti contenti sparavano ai cani. Cani che sparano ai cani, come nei cartoni giapponesi ma alla mafiopolitana. E tutti intorno all’inchino per rispetto e amore per i boss cani che sparano ai cani boss. Con la rima pure qui.
Pizzo felice anche dalle zone di Caltanissetta, dove spadroneggiano i madonnari dei Madonìa felici e contenti come cani non sparati. Qualcuno sussurra che il presidente della Provincia che di nome e di cognome mica per niente fa’ Giuseppe e Federico tanto per mischiare le carte. A fare il tramite Gaetano  che di cognome è Palermo anche se sta dalle parti di Caltanisetta, tanto per mischiare le carte. A Gaetano è apparsa a parlare di politica la Madonìa, precisamente la Madonia Maria Stella e Cometa di soprannome. E così giù a Mafiopoli spopolano le epifanie, al sud e al nord, per i voti di scambio e per gli altri Palermo più lontani che anche lombardi e in trasferta giocano alle apparizioni. Tutto il gioco giocato dal grande capo “Piddu” che il 41 bis gli fa’ un baffo.
E poi la chiusa della settimana con Maria Concetta Riina figlia di Totò che chiude in posa di annunciatrice dell’annunciazione televisiva. Ci dice che Totò e buono, che Totò è generoso, che Totò è alto, che Totò è bello, che Totò è azzurro e che non trova lavoro. E le brillano gli occhi a saperlo rinchiuso.
– Almeno lui da vivo e non dentro il legno. Dicono i maligni…
Ma Concetta non ascolta, Concetta si esibisce, parla fiera di suo padre che non parla.
– Almeno lui da vivo e non dentro il legno. Dicono i maligni…
Ma Concetta non ascolta, Concetta si esibisce, parla fiera di com’è difficile vivere scappando.
E la dignità fa’ un inchino, tira la corda e se ne va. Alla televisiva.

Radio Mafiopoli 13 – Natale con i buoi

NATALE CON I BUOI

Caro Babbo Natale,
mi chiamo Luigino, quest’anno la letterina di Natale il mio babbo mi ha detto di scrivertela a te e non più ad Andreotti come gli anni scorsi perché ormai, dice il babbo,  quello è fuori di testa e rischiamo che ci arrivi ancora sotto l’albero il sottobicchiere con la faccia di Gelli che il mio fratellino c’è rimasto così male che ha frignato fino ai primi d’aprile. Io gli ho detto al babbo – allora scriviamola al presidente del consiglio! – ma lui dice – lascia perdere… che con il cognome che ci chiamiamo capisce subito che siamo terroni e comunisti e ci regala un corso intensivo di conversione alla fede di Emilio Fede. E io non ho capito se la fede è quella di Fede o intendesse la fede quella maiuscola o la maiuscola era per fede, ma il babbo mi ha detto di smetterla che oramai sto natale ci ha anche la fede, in cassa integrazione.  Allora scriviamola alla minoranza che ci può aiutare! – gli ho detto. E lui ha cominciato a diventare tutto rosso e paonazzo e a ridere come un ossesso che si è subito bevuto con la mamma un bel bicchiere di rosso in due… erano anni che non lo vedevo andare a letto così felice e contento. Allora caro Babbo Natale quest’anno la scrivo a te la letterina, che ormai come dice mio papà sei il candidato più accreditato per farci uscire dalla crisi.
Quest’anno giù a Mafiopoli ci hanno detto a scuola che sarà un natale di crisi nera:  che neanche ci hanno avuto i soldi per stamparci i manifesti per prometterci  più acqua per tutti che facevano tanto aria di natale anche se non ci credeva più nessuno, perché a natale alla fine è il pensiero che conta.
Se passi da Palermo mandaci giù dal camino ai miei amici mafiopolitani uno di quei libri dell’autogrill su come gestire ottimizzati l’azienda 2.0 e tutte quelle storie lì. Perchè proprio in questi giorni la polizia ci ha fatto 99 ingabbiati che volevano rimettere in piedi la nuova commissione mafiopolitana come ai bei tempi di Riina ‘u Curtu (che il babbo dice che era una specie di parlamento ma molto più silenzioso e con gli scuri alle finestre molto più scuri). Ecco se passi di lì almeno s’imparano che se si mettono a fare la commissione in 99 succedono quei naturali problemi di convivenza tipici della democrazia. Pensa, Babbo Natale, che a capo della commissione antiantimafia questi gran geni dei boss ci volevano metter Bernardo Capizzi si vede perché ci aveva il cognome di uno che aveva già capito tutto,  ed è un bel giovanotto di 64 anni. Papà dice che deve essere proprio l’anno santo dei rinnovamenti a favore dei giovani in tutti i campi, questo. Ecco se tu ci regali un bel manuale a questi bei boss mafiopolitani magari cominciano a capirci un po’ di più e magari anche a curare un po’ di più l’immagine e ad affittarsi una sala riunioni decente senza riunirsi sempre in queste casupole tutte sgarruppate con l’arbre magique alla ricotta che viene la tristezza nelle ossa solo a guardarle. Se riesci e non è troppo disturbo a Riina U’Curtu il libro  portaglielo solo con le figure, altrimenti si incaglia al primo congiuntivo che dice che i congiuntivi sono il vero problema di Mafiopoli e che li hanno inventati i comunisti. E se vuoi proprio esagerare e fare un figurone, Babbo Natale, a Zu’ Binnu Provenzano portaglielo su una bella carta intestata a forma di bibbia, che sono così sicuro al cento che si commuove perché ci ha il cuore commuovibile, mica solo la prostata. E magari salutami Raccuglia e Messina Denaro, perchè babbo mi dice che sei l’unico che ha il loro numero di telefono. Perché, dice babbo, quella è gente che se ha bisogno di solito ti chiamano loro.
Se passi da Napoli butta giù un altro problema a caso di quelli tuoi che c’hai nel sacco. Così ci dimentichiamo presto anche questi ultimi e li spediamo insieme a tutti gli altri nella discarica della distrazione. E visto che ci sei, se puoi controllare nel tuo mazzo di chiavi delle porte di tutto il mondo guarda se ti avanzano quelle per la discarica, giù a Chiaiano: che siccome è un posto non pericoloso e sotto controllo come continuano a dirci magari, visto che sono così sicuri e ci rassicurano, gli prepariamo il cenone sopra la montagnola. E voglio vederli che faccia fanno mentre si mangiano gli astici che diventano fluorescenti.
Da Gomorra puoi anche non passare, tanto lì ci passa qualcuno di Sandrocàn Schiavone a darci la mesata e a natale pure con la tredicesima. E poi se ti vedono in centro tutto rosso e con le renne ricominciano a frantumarceli che è colpa di Roberto e del suo libro e ricomincia la tiritera. E magari regala un fiore a Rosaria Capacchione, e prova a convincerla anche tu che in una Mafiopoli civile è normale dover vivere in freezer per aver scritto i fatti degli altri. Che sono sicuro che non ci crede ma almeno le strappi un mezzo sorriso.
Se passi da Buccinasco (occhio alle code in tangenziale) lascia nel camino del sindaco Cereda uno di quei pupazzi cinesi che gli tocchi il pancino e ripetono le parolacce quelleche non si devono mai dire: pipì, pupù, scemo e mafia. Così si tranquillizza e agisce con calma: nei beni confiscati ci può mettere gli uffici della commissione sull’assegnazione dei beni confiscati e ha risolto il problema, alla Macchiavelli, e a Saviano ci sarà poi tempo per dedicargli una via. Come nei paesi civili.
A Milano buttaci giù dal camino una commissione per l’immagine antimafia. Così almeno riescono a convincerci che una commissione antimafia legittima la mafia ed è dannosa, e magari riescono a convincerci anche che la mafia non esiste e il pluripregiudicato Marras che stava nel cantiere qui dietro al ConDuomo fiscale aveva preso un senso unico e stava semplicemente facendo manovra. Così come Liggio era in via Ripamonti perchè fanno lì il bitter campari come non lo sa fare nessuno. E magari ci facciamo anche uno scherzo. Ci scrivi in piazza Duomo che il santo expò è anticipato a settimana prossima, così noi ci mettiamo seduti sulle scale a guardarci bene chi arriva di corsa in comune suonare il campanello.
Caro Babbo Natale, per tutti gli altri facci due regali. Due palle, mica quelle di Natale, due palle di quelle non rimovibili e un sacco di schiene dritte, per sopportarci mentre non ce la facciamo a non dire che disonorarli è una questione di onore.
Per me, Luigino, Babbo Natale, non regalarmi niente, magari, se fosse possibile, vieni a riprenderti qualcuno di questi politici che ci hai portato l’anno scorso e che a me e al mio fratellino ci sembrano un po’ scassati, e magari visto che hanno solo un anno, magari sono ancora in garanzia.