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Cosa dovrebbe dirci Fukushima

Riguarda anche noi quello che sta avvenendo in Giappone – seppure sia sentito come così lontano – ossia lo sversamento in mare di oltre un milione di tonnellate di acqua contaminata che dopo l’incidente di Fukushima, che ha messo fuori uso i sistemi di raffreddamento in circuito chiuso, è stata pompata nei noccioli per raffreddarli e poi raccolta in più di mille serbatoi di stoccaggio situati nel sito dell’impianto.

Ci interessa perché la scelta più sensata potrebbe essere quella di intombare i tre reattori incidentali come è già accaduto per il reattore di Chernobyl, magari, come suggerisce Greenpeace, in attesa di sviluppare una tecnologia con migliori capacità di filtraggio e aspettando che un parte degli isotopi radioattivi decada naturalmente. C’è una preoccupazione ambientale per la presenza del carbonio-14 che può entrare nella catena alimentare e perché nonostante molti scienziati siano d’accordo sul fatto che “l’impatto ambientale sarebbe minuscolo” non sono invece d’accordo quanto sia “minuscolo” il pericolo, sicuramente non pari a zero.

Ma la lezione di Fukushima è questo enorme dispiegamento delle lobby nucleari che spingono per raccontare una contaminazione come se fosse un trattamento e che sanno benissimo che tutta questa faccenda rischia di mettere in bilico la loro già (poca) credibilità.

La lezione di Fukushima dovrebbe anche servire per aprire finalmente un dibattito franco sull’energia nucleare (che è sparita dall’agenda dei media e della politica ma non nei programmi delle lobby) soprattutto alla luce della nomina del ministro per la Transizione ecologica Cingolani che promuove quella fusione nucleare di cui in Italia sentiamo favoleggiare da decenni e che, se realizzabile, arriverebbe molto tardi con una situazione ambientale già compromessa.

Insomma si tratta del Giappone ma ci siamo dentro anche noi, quello che accadrà qui e come potrebbero essere spesi i nostri soldi. Per questo conviene affezionarsi subito alla vicenda di Fukushima, dibatterne, anche al bar.

Buon giovedì.

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Palazzo Chigi val bene una messa: teatri chiusi, chiese aperte

L’immagine più lampante è la chiesa con un cinema accanto, a Fiorano Modenese, dove il parroco don Paolo, evidentemente illuminato nel ruolo di direttore artistico della santità, ha deciso di aprire il Cinema teatro Primavera per trasmettere in streaming la messa pasquale. Gente seduta, luci soffuse da cinema, schermo abbassato e proiezione della messa: a parte i popcorn c’erano tutti gli ingredienti di una normale proiezione di un qualunque film, una serata qualsiasi di quelle che ormai da un anno i vari Dpcm vietano in tutta Italia.

Ma il prete, incalzato dai giornalisti, ci ha spiegato che «il Dpcm vieta le attività teatrali e cinematografiche, ma noi non abbiamo fatto né l’una né l’altra. Quella sala non viene utilizzata come cinema da ormai 13 anni, non abbiamo neanche più la licenza: semplicemente l’abbiamo impiegata come salone perché non sapevamo come altro mettere a riparo i fedeli». Insomma, la messa vale, il cinema no.

Poiché le chiusure sono figlie di una precisa politica sanitaria di prevenzione sfugge prepotentemente il motivo per cui la circolazione del virus cambierebbe in base al contenuto proiettato. In fondo è lo stesso dubbio che attanaglia i lavoratori del teatro che operano nelle medesime condizioni delle liturgie che al contrario non si sono mai fermate: un palco lì dove c’è un altare, una platea di spettatori lì dove invece ci sono i fedeli e un distanziamento che potrebbe essere rispettato in una chiesa come in una qualsiasi sala teatrale.

Forse esiste una variante santa del virus di cui non ci hanno dato spiegazione o forse semplicemente la laicità che dovrebbe essere garantita dalla Costituzione si frantuma ancora una volta contro gli interessi lobbistici di una Chiesa che rivendica (purtroppo con successo) una superiorità morale rispetto a qualsiasi altra attività umana che si svolge su suolo italiano. Tornando per un secondo a Fiorano Modenese sarebbe da rivedere la faccia del sindaco Francesco Tosi che si è affrettato a dichiarare in difesa del prete che «tutte le norme sono state rispettate», riuscendo perfino a contravvenire le più elementari regole di logica oltre alle condizioni dei Dpcm.

Sui social circola ormai da un anno una battuta, mestamente rilanciata dai…

L’articolo prosegue su Left del 16-22 aprile 2021

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SOMMARIO

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Possibili effetti indesiderati

Gli effetti indesiderati dell’Aspirina, la compressa con vitamina C:

Effetti sul sangue

  • prolungamento del tempo di sanguinamento,
  • anemia da sanguinamento gastrointestinale,
  • riduzione delle piastrine (trombocitopenia) in casi estremamente rari.

A seguito di emorragia può manifestarsi anemia acuta e cronica post-emorragica/sideropenica (da carenza di ferro) (dovuta, per esempio, a microemorragie occulte) con le relative alterazioni dei parametri di laboratorio ed i relativi segni e sintomi clinici come astenia (stanchezza), pallore e ipoperfusione (ridotta irrorazione sanguigna dei tessuti).

Effetti sul sistema nervoso

  • mal di testa,
  • capogiro.

Raramente può manifestarsi:

  • sindrome di Reye (*), una malattia acuta a carico del cervello e del fegato, potenzialmente fatale, che colpisce quasi esclusivamente i bambini.

Da raramente a molto raramente può manifestarsi:

  • emorragia cerebrale, specialmente in pazienti con ipertensione (pressione del sangue alta) non controllata e/o in terapia con anticoagulanti (medicinali usati per rallentare o inibire il processo di coagulazione del sangue), che, in casi isolati, può essere potenzialmente letale.

Effetti sull’orecchio

  • tinnito (ronzio/fruscio/tintinnio/fischio nell’orecchio).

Effetti sull’apparato respiratorio

  • sindrome asmatica,
  • rinite (naso che cola)
  • congestione nasale (naso chiuso) (associate a reazioni allergiche);
  • epistassi (perdita di sangue dal naso).

Effetti sul cuore

  • distress cardiorespiratorio (grave e acuta insufficienza respiratoria) (associato a reazioni allergiche).

Effetti sull’occhio

  • congiuntivite (associata a reazioni allergiche).

Effetti sull’apparato gastrointestinale

  • sanguinamento gastrointestinale (occulto),
  • disturbi gastrici,
  • pirosi (bruciore di stomaco),
  • dolore gastrointestinale,
  • gengivorragia (gengive sanguinanti),
  • vomito,
  • diarrea,
  • nausea,
  • dolore addominale crampiforme (associati a reazioni allergiche).

Raramente possono manifestarsi:

  • infiammazione gastrointestinale,
  • erosione gastrointestinale,
  • ulcerazione gastrointestinale,
  • ematemesi (vomito di sangue o di materiale “a fondo di caffè”),
  • melena (emissione di feci nere, picee),
  • esofagite (infiammazione dell’esofago)

Molto raramente può manifestarsi:

  • – ulcera gastrointestinale emorragica e/o perforazione gastrointestinale con i relativi segni e sintomi clinici ed alterazioni dei parametri di laboratorio.

Effetti sul fegato

  • raramente: epatotossicità (lesione epatocellulare generalmente lieve e asintomatica) che si manifesta con un aumento delle transaminasi.

Effetti sulla pelle

  • eruzione cutanea,
  • edema (gonfiore),
  • orticaria,
  • prurito,
  • eritema (arrossamento),
  • angioedema (associati a reazioni allergiche).

Effetti sui reni e sulle vie urinarie

  • alterazione della funzione renale (in presenza di condizioni di alterata circolazione del sangue nei reni),
  • sanguinamenti urogenitali (dell’apparato urinario e genitale).

Effetti sull’organismo in toto

  • emorragie peri-operatorie (subito prima, durante e subito dopo l’intervento chirurgico),
  • ematomi (raccolte di sangue al di fuori dei vasi sanguigni).

Effetti sul sistema immunitario

  • raramente: shock anafilattico (grave reazione allergica, potenzialmente letale) con le relative alterazioni dei parametri di laboratorio e manifestazioni cliniche.

(tanto per avere le proporzioni, perché sono importanti le proporzioni per costruire un pensiero ampio)

Buon mercoledì.

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Diritti di Cristello

Mi sembra che si parli molto poco, troppo poco, con quel silenzio cortese che si crea di solito per inzerbinarsi a qualche potente, della storia di Riccardo Cristello, che da 21 anni lavora all’ex Ilva di Taranto, che è stato operaio in magazzino e poi tecnico controllo costi dell’acciaieria, che ha aiutato anche in amministrazione per le fatture e che dopo una vita vissuta all’interno dell’azienda senza mai nemmeno una virgola fuori posto ora si ritrova disoccupato, licenziato per “giusta causa” solo che a guardarla da fuori la causa sembra tutt’altro che giusta.

La colpa di Cristello sarebbe quella di avere condiviso sul suo Facebook (e ci potete scommettere che Riccardo non sia propriamente un influencer capace di raggiungere milioni di persone) una lettera non sua, arrivata da un gruppo watshapp, in cui si invitava a seguire in televisione la fiction Svegliati amore mio (un programma con Sabrina Ferilli, eh, mica un pericoloso documentario di giornalismo di inchiesta) in cui si denunciano i danni che il siderurgico provoca in termini di salute pubblica. Sia chiaro: la serie televisiva non è sull’ex Ilva e non ha riferimenti su niente.

Seduto sul divano Riccardo Cristello e sua moglie devono avere pensato che valesse la pena sprecare una serata per un argomento così vicino alla loro vita e alla vita dei loro concittadini, in quella Taranto dove quasi tutti hanno un amico o un parente ucciso dalla gestione criminale dell’acciaieria, ben prima che arrivasse ArcelorMittal a gestirla.

«Dopo anni di rapporti umani vissuti nella fabbrica, mi hanno chiamato la domenica delle Palme dicendomi che c’era un problema di numero e che dovevo rimanere in cassa integrazione per una settimana. In verità mi stavano sospendendo per poi licenziarmi, senza nessun avvertimento, nessuna telefonata, se non la raccomandata col provvedimento», racconta in un’intervista a Repubblica Cristello. Licenziato così, su due piedi, per un post su Facebook che ha fatto rumore solo dopo il licenziamento. Una scelta di marketing tra l’altro che grida vendetta per stupidità e per cretineria.

Poi, volendo vedere, ci sarebbe anche quella vecchia questione dei diritti da rispettare, della politica che dovrebbe alzare la voce (almeno una parte) e di una violenza che ha distrutto la vita di una persona. «Ho l’impressione di essere il capro espiatorio. Lo spirito sembra sia quello di punirne uno per educarne cento. Non possiamo più parlare, non possiamo più commentare, dobbiamo stare zitti e basta», dice Cristello.

Viene da chiedersi se in questo periodo in cui alcuni vedono “dittatura” dappertutto non sia il caso di alzare la voce per una situazione del genere: c’è dentro il diritto al lavoro, il diritto alle proprie opinioni (che tra l’altro nulla c’entrano con l’azienda) e soprattutto c’è il diritto di dire forte che Taranto è stata devastata e sanguina ancora.

Aspettiamo con ansia.

Buon martedì.

Nella foto frame da una videointervista del Corriere della Sera

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Quante Malika ci sono in giro?

Sta facendo (per fortuna) molto rumore la storia di Malika, la ragazza di Castelfiorentino (Firenze) che nei giorni scorsi ha rilasciato la sua drammatica testimonianza a Fanpage.it in cui racconta di essere stata cacciata di casa, di essere stata umiliata e di essere minacciata di morte dalla sua famiglia dopo avere raccontato di essersi innamorata di una donna.

La storia ha tutti gli ingredienti della famosa “famiglia tradizionale” che si preoccupa molto più dell’orientamento sessuale dei propri figli che dei figli stessi. «Ti auguro un tumore», «Meglio una figlia drogata che lesbica», «Mi parli di altra gente? Son fortunati perché hanno figli normali, e solo noi s’ha uno schifo così», sono solo alcune delle frasi che la madre di Malika le ha rivolto con dei messaggi vocali. Il fratello da mesi – racconta Malika – la minaccia promettendole di tagliarle la gola. Lei è uscita con niente, solo quello che aveva addosso e da gennaio cerca di volta in volta una sistemazione di fortuna. Ha provato anche a ripresentarsi a casa della madre almeno per recuperare i suoi effetti personali ma la madre, di fronte agli agenti che accompagnavano la ragazza, l’ha addirittura disconosciuta.

Dopo l’uscita della notizia la mobilitazione è stata altissima: il sindaco della città si è subito attivato per aiutare la ragazza, molti cittadini si sono fatti avanti e Malika ha ricevuto anche qualche offerta di lavoro. Intanto la procura di Firenze, dopo 3 mesi e solo dopo l’enorme pubblicità che si è creata intorno all’evento, ha deciso di aprire un’inchiesta. La storia di Malika ha anche riacceso i fari sul Ddl Zan.

Insomma potrebbe sembrare una storia a lieto fine se non fosse che rimane addosso quella sensazione che c’è ogni volta che qualcosa si risolve dopo avere fatto rumore: quante Malika ci sono in giro? E la domanda giusta la pone proprio Malika intervistata da Fanpage quando dice: «Purtroppo ho dovuto sperimentare sulla mia pelle la lentezza della burocrazia italiana, che contribuisce a creare un clima di isolamento intorno a chi è vittima di odio omofobico, di bullismo, di stalking o di qualsiasi altro genere di violenza. Ho sporto denuncia contro i miei genitori il 18 gennaio 2021, ma fino a ieri l’altro non è stato fatto praticamente nulla di concreto. Ho dovuto ricorrere alla stampa per farmi sentire, sono felice che alla fine la mia richiesta di ascolto sia arrivata, ma mi chiedo: quante grida di aiuto si perdono nelle maglie della burocrazia italiana? Io ho dovuto urlare per vedere riconosciuto quello che è un mio diritto, se non l’avessi fatto sarei ancora invisibile».

Eccola, è questa la domanda.

Buon lunedì.

Nella foto un frame dell’intervista a Fanpage.it

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L’equilibrista

Ci sono alcune novità dopo la conferenza stampa di ieri di Mario Draghi. Draghi, l’abbiamo capito bene, è uno con la stoffa democristiana, uno che le conferenze stampa le sa gestire provando ad accontentare tutti ma soprattutto stando attento a non scontentare nessuno, rimanendo sempre in bilico su quell’area di grigio che può essere scambiata per meritevole equilibrio oppure per inutile furbizia. Ognuno si costruirà la sua opinione, ognuno gli concederà la sua porzione di stima.

Draghi ha seppellito Salvini. E ha fatto bene, una volta per tutte: dire «ho voluto io Speranza nel governo e ne ho molta stima» significa togliere una volte per tutte dalle mani di Salvini e compagnia cantante la vecchia scusa di essere con Draghi ma contro Speranza, di fare opposizione a un pezzo del governo continuando a restare nel governo. Non sarà facile ora per il leader leghista raccontarlo ai suoi. Ci sarà da ridere e fa piacere che un presidente del Consiglio (ancora una volta) metta Salvini di fronte alla sua patetica doppia faccia.

Draghi durissimo su Erdogan: «Con questi dittatori, di cui però si ha bisogno per collaborare, bisogna essere franchi per affermare la propria posizione ma anche pronti a cooperare per gli interessi del proprio Paese, bisogna trovare l’equilibrio giusto». Chiamare un dittatore “dittatore” è sempre una bella notizia, cooperare con un dittatore rientra in quella realpolitik che può piacere o meno.

Ma se qualcuno è felice per la stoccata al sultano turco, allora dovrebbe ascoltare però le giustificazioni piuttosto flebili sulla Libia. Perché Draghi ha parlato di corridoi umanitari che non esistono, al di là di qualche sparuta persona e perché ha parlato di “superamento dei centri di detenzione libici” che sono proprio quel “salvataggio” per cui aveva ringraziato la Libia. No, proprio no. Non ci siamo.

Quindi un colpo di qua e un colpo di là. Non accontentare nessuno e non scontentare tutti. Come gli equilibristi, quelli che ti stupiscono per i primi metri sulla corda e poi annoiano tantissimo, e riescono a essere pericolosi per sé e per gli altri.

Buon venerdì.

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Lo stolto guarda il dito

Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha incontrato il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel e la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen decidendo di fare apparecchiare una sedia accanto alla sua per il presidente del Consiglio Europeo e lasciando di lato la presidente della Commissione. Di lato, con tutto il significato simbolico che ha quell’immagine in cui i due maschi se la cantano e se la suonano in posizione padronale mentre Von der Leyen appare lì solo di passaggio. Erdoğan, come molti dei sovranisti di questa epoca triste, sa benissimo che un’immagine può essere utilissima per solleticare gli sfinteri dei suoi elettori senza nemmeno prendersi la briga di dovere aggiungere altro. Del resto chi è povero di contenuti ha sempre bisogno di simboli per non apparire vuoto.

Von der Leyen ha capito al volo e non ha gradito se è vero che il suo portavoce Eric Mamer in conferenza stampa ha raccontato come sia rimasta “sorpresa” e dopo la «sorpresa, Von der Leyen ha deciso di andare avanti, dando priorità alla sostanza dell’incontro più che al protocollo». Anche sul fatto che la scelta del premier turco sia stata presa contro le donne non sembra lasciare molti dubbi (e lo scriviamo prima che qualche fallocrate venga a spiegarci che si tratta delle solite fisime da femministe) se è vero che Mamer ha dichiarato apertamente che «indipendentemente dal fatto che von der Leyen sia una donna, la presidente doveva essere accomodata come le altre istituzioni europee».

C’è da dire che anche l’atteggiamento del presidente del Consiglio Europeo Charles Michel è riuscito a brillare per mediocrità: se è vero che da Erdoğan non ci sia molto di diverso da aspettarsi il collega di Von der Leyen avrebbe potuto fare un gesto, almeno un cenno, anche perché dalle informazioni a disposizione sembra che sia stato proprio il suo staff a eseguire il sopralluogo prima dell’incontro. Ma vuoi mettere la soddisfazione di fare il maschio tra maschi con una donna di lato? Deve essere stato irresistibile.

Poi, volendo, ci sarebbe il punto politico: Erdoğan già si è distinto per pessimi commenti discriminatori e offensivi nei confronti delle donne, nel 2016 disse che erano da considerarsi «prima di tutto delle madri». Poi il suo governo ha annunciato il ritiro dalla Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. In Turchia tra l’altro si viaggia alla media di due femminicidi al giorno e la pandemia ha escluso ulteriormente le donne dalla partecipazione al mondo del lavoro e alla politica.

Infine c’è la domanda delle domande e c’è anche la risposta: l’Europa si tiene stretto Erdoğan (con i nostri 6 miliardi regalati) per le sue ingerenze militari e per assolvere il lavoro sporco che l’Europa gli ha appaltato. I signori della guerra sono i sicari dell’Europa per fingere di dimenticarsi dei diritti umani. In cambio basta blandirli un po’ (come ha fatto nei giorni scorsi Draghi) oppure ingoiare qualche sgarbo nel cerimoniale. E chissà che i bifolchi non siano solo quelli che vengono colti in fallo, chissà che non si stia guardando il dito.

Buon giovedì.

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Migliori anche a leccare chi viola i diritti umani

Ieri il presidentissimo Mario Draghi si è recato in Libia. Ogni volta che qualche esponente di qualche nostro governo passa dalla Libia non riesce a evitare di tornare con le mani sporche di sangue per un qualsiasi atteggiamento riverente verso i carcerieri sulle porte d’Europa, come se fosse una tappa obbligata per poter frequentare i salotti buoni per l’Europa e anche il “migliore” Draghi è riuscito a non stupirci rivendicando con orgoglio l’amicizia, la stima e la vicinanza ai libici che violano i diritti umani. Ogni volta è stupefacente: negare la realtà di fronte ai microfoni della stampa internazionale deve essere il risultato di un corso speciale che viene inoculato ai nostri rappresentanti. E ogni volta fa schifo.

«Sul piano dell’immigrazione noi esprimiamo soddisfazione per quello che la Libia fa nei salvataggi e nello stesso tempo aiutiamo e assistiamo la Libia», ha detto ieri Draghi, con quella sua solita soffice postura con cui ripete le stesse cose dei suoi predecessori aggiungendoci un filo di zucchero a velo. Sarebbe curioso chiedere a Draghi cosa si intenda esattamente per “salvataggio” poiché i libici (questo è un fatto accertato a livello internazionale) si occupano principalmente di respingimenti, di riportare uomini e donne nei lager dove continuano le torture, gli stupri e lo schiavismo, poiché i libici sono quelli che il 10 ottobre del 2018 hanno sparato a una motovedetta italiana, poiché i libici sono gli stessi che il 26 ottobre 2019 hanno sparato sulla nave Alan Kurdi per impedire il soccorso dei migranti, poiché i libici sono gli stessi che il 28 luglio dell’anno scorso hanno sparato contro i migranti uccidendone 3. Solo per citare qualche esempio, ovviamente, dato che quel pezzo di mondo e di mare continua a rimanere sguarnito, anche questo per precisa volontà politica.

Caro presidente Draghi, siamo contenti che lei si senta barzotto per questo tipo di salvataggi ma le auguro di non essere mai “salvato” così. Del resto legittimare quella combriccola di assassini che vengono educatamente chiamati Guardia costiera libica è un esercizio retorico che dura da anni: anche su questo il governo dei migliori continua spedito. Considerare la Libia un partner affidabile significa accettare la sistematica violazione dei diritti umani: come si chiamano coloro che elogiano in pubblico un’attività del genere facendola passare per doverosa? Ognuno trovi comodamente la risposta.

E mentre Draghi si è occupato di proteggere gli affari dell’italiana Eni in Libia, di farsi venire l’acquolina in bocca per l’autostrada costiera al confine con Bengasi (che riprende il tragitto della strada inaugurata nel 1937 da Benito Mussolini e conosciuta anche come “via Balbia”, evocando le azioni di Italo Balbo), di continuare a foraggiare la Guardia costiera libica per essere il sacchetto dell’umido dell’umanità nel Mediterraneo e di riassestare e ristrutturare la Banca centrale libica, i diritti e i dolori delle persone rimangono sullo sfondo come semplice scenografia dei barili di petrolio per cui i canali sono invece sempre aperti.

Del resto secondo il leader libico Abdul Hamid Dbeibah, Italia e Libia «soffrono e devono affrontare una sfida comune che è l’immigrazione clandestina, un problema che non è solo libico ma internazionale e riguarda tutti, come il terrorismo e il crimine organizzato». Solo che in questo caso sono chiarissimi gli autori di questo “problema”: Libia, Europa, Italia e la nuova spinta di Mario Draghi.

L’eccelso Mario Draghi insomma è il vassoio di cristallo delle solite portate, schifose uguali ma dette con più autorevolezza: avrebbe dovuto essere “il competente” e invece non è riuscito nemmeno a leggere un rapporto dell’Onu prima di andare in gita. E ovviamente non ha nemmeno fatto un giro nei campi di concentramento, non sia mai, si sarebbe sporcato il polsino.

Buon mercoledì.

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Ora non c’entra più l’eredità di Conte: questo weekend è andato in scena il grande flop del piano vaccini

La gestione di una pandemia, la condivisione di limitazioni personali e la sopportazione delle difficoltà economiche e lavorative si regge su un patto sociale tra cittadini e governanti in cui le due parti riconoscono le proprie responsabilità e l’impegno di entrambi di assolverle con il massimo dell’impegno. Se quel patto si rompe (o comunque inizia a cigolare) si rischia la sfiducia, la disillusione, il lassismo e perfino la rabbia.

Per questo ogni volta che si sente dire di un “cambio di passo” nella campagna vaccinale o si ascolta qualcuno del governo promettere numeri e risultati nei prossimi mesi si nota in risposta una certa diffidenza e sempre meno reazioni positive: governare una pandemia non è certo facile ma in questi mesi la mancanza di cautela da parte di qualche esponente politico o amministratore ha alimentato promesse contraddette dalla realtà. Sarebbe il caso di averlo capito, dopo tutto questo tempo, eppure quelli insistono nell’errore senza riconoscere l’inefficacia di qualsiasi annuncio.

Cosa serve per rinsaldare la fiducia? Fare, fare, fare. Lo disse lo stesso Draghi nei giorni del suo insediamento: “niente annunci, solo fatti”. Non è andata proprio così.

Ad esempio la risposta migliore agli “aperturisti” (alcuni addirittura irresponsabili nel voler solleticare gli intestini dei complottisti peggiori) sarebbe quella di accelerare con le vaccinazioni. Missione fallita: 211mila sabato,  92mila domenica e ieri  124mila (dato ancora parziale): il grande flop del piano di vaccinazione di massa del governo Draghi tra Pasqua e Pasquetta 2021.

Sono circa 500mila dosi in tre giorni, esattamente la cifra che il commissario Figliuolo promette ma come cifra giornaliera. Che durante i festivi si assista a un drastico calo di tamponi e di vaccini è una situazione che molti da più parti continuano a sottolineare. Si sperava però nel promesso “cambio di passo” visto come soluzione anche da chi sosteneva che il problema fosse legato esclusivamente al governo Conte. E invece niente.

Le Regioni dicono di non avere più vaccini eppure lo Stato risponde che ci sono ancora tra i 2,3 e i 2,9 milioni di dosi ancora da somministrare nei frigoriferi. “Ho dato per scontato – sbagliandomi di grosso – che tutti sapessero che il virus non osserva le feste comandate”, scriveva ieri il virologo Roberto Burioni.

La campagna di massa cerca di alzare il livello oltre le 240mila dosi somministrate in media al giorno ma non si riesce a toccare le 300mila iniezioni in 24 ore e l’obiettivo delle 500mila entro fine mese ormai è piuttosto incerto. E il patto tra Stato e cittadini traballa.

Leggi anche: 1. Le Regioni in ritardo sui vaccini sono tutte guidate dalla Lega (di G. Cavalli) / 2. Cassieri, commessi e altri eroi dimenticati: l’insopportabile classismo nella corsa delle categorie ai vaccini (di G. Cavalli) / 3. Prima si lamentavano per la “dittatura sanitaria”. Ma ora che le chiusure le fa Draghi va tutto bene (di. G. Cavalli)

L’articolo proviene da TPI.it qui

Lo Stato di diritto (e di rovescio)

Non sta facendo il clamore che dovrebbe il fatto che in Italia la giornalista Nancy Porsia, esperta di Libia, sia stata illegalmente intercettata nell’inchiesta di Trapani sulle Ong nel 2017. Partiamo da un punto fermo: Nancy Porsia non è mai stata indagata eppure un giudice, su richiesta della polizia giudiziaria, ha deciso che si potesse scavalcare la legge: nel documento di 22 pagine – datato 27 luglio 2017, firmato Sco, squadra mobile e comando generale della Guardia costiera – ci sono fotografie, contatti sui social, rapporti personali e nomi di fonti in un’area considerata tra le più pericolose dell’Africa del nord. La notizia è stata data dal quotidiano Domani che racconta come indirettamente, oltre a Porsia, siano stati ascoltati anche il giornalista dell’Avvenire Nello Scavo, conversazioni della giornalista Francesca Mannocchi con esponenti delle Ong, il cronista di Radio Radicale Sergio Scandurra mentre chiedeva informazioni ad alcuni esponenti di organizzazioni umanitarie impegnate in quei mesi nei salvataggi dei migranti, Fausto Biloslavo de Il Giornale e Claudia Di Pasquale di Report.

Primo punto fondamentale: in uno Stato di diritto che non venga rispettato il diritto per intercettare giornalisti che parlano con le loro fonti (nel caso di Porsia addirittura vengono intercettate anche telefonate con l’avvocata Ballerini, la stessa che si occupa della vicenda Regeni) significa che il potere giudiziario (su mandato politico, poi ci arriviamo) scavalca le regole per controllare coloro che per mestiere controllano i poteri per una sana democrazia. È un fatto enorme. E non funziona la difesa di Guido Crosetto (il destrorso “potabile” che è il braccio destro di Giorgia Meloni) quando dice che anche i politici vengono intercettati: si intercetta qualcuno dopo averlo iscritto nel registro degli indagati e soprattutto in uno Stato di diritto si proteggono le fonti dei giornalisti, con buona pace di Crosetto e compagnia cantante.

C’è un altro aspetto, tutto politico: in quel 2017 gli agenti di sicurezza presenti a bordo della nave Vos Hestia dell’Ong Save the Children portano foto e prove (che poi si sono rivelate più che fallaci visto che tutto si è concluso in una bolla) prima a Matteo Salvini, prima ancora che alle autorità giudiziarie. È scritto nero su bianco che proprio Salvini su quelle informazioni ci ha costruito tutta la sua campagna elettorale. Un giornalista, Antonio Massari, racconta la vicenda su Il Fatto Quotidiano e costringe Salvini ad ammettere di avere avuto contatti, prima delle forze dell’ordine, proprio con i due vigilantes che puntavano a ottenere in cambio qualche collocazione, magari politica. Salvini, conviene ricordarlo diventerà ministro all’Interno.

Rimaniamo sulla politica: l’ordine di indagare sulle Ong parte dal ministero dell’Interno dell’epoca di cui era responsabile Marco Minniti. Ci si continua a volere dimenticare (perché è fin troppo comodo farlo) che proprio da Minniti parte la campagna di colpevolizzazione delle Ong che verrà poi usata così spregiudicatamente da Salvini e compagnia. Ad indagare sull’immigrazione clandestina viene applicato il Servizio centrale operativo (Sco) della polizia di Stato, il servizio di eccellenza degli investigatori solitamente impegnato in indagini che riguardano le mafie. Anche questa è una precisa scelta politica.

Rimane il sospetto insomma che politica e magistratura si siano terribilmente impegnate per legittimare una tesi precostituita. Di solito (giustamente) ci si indigna tutti di fronte a una situazione del genere e invece questa volta poco quasi niente. Anzi, a pensarci bene la narrazione comunque è passata.

È gravissimo e incredibile eppure accade qui, ora.

Buon martedì.

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