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Letteratitudine recensisce ‘Mio padre in una scatola da scarpe’

(La recensione sul romanzo ‘Mio padre in una scatola da scarpe‘. Il libro lo potete acquistare qui. L’articolo originale è qui.)

di Eliana Camaioni

539526612È una storia di famiglie, “Mio padre in una scatola da scarpe” (Giulio Cavalli, Rizzoli ed.): quella di Michele e del Nonno, composta da ‘brave persone, che lavorano e tacciono’, e quella dei Torre, simile ad ‘una marchiatura a fuoco sull’orecchio o una targhetta pinzata in mezzo alle palle come un toro’, capace di ‘allargare le regole finché non ti entrano perfettamente’. Sono le regole non scritte del paesino di Mondragone, dell’entroterra napoletano: appartenenze suggellate da battesimi di sangue e persiane chiuse, omertose e vigliacche; baci in piazza che timbrano come bestiame, e gonne da processione paesana –gonne debutto, per donne da marito, e gonne gabella, assenzi taciti di sottomissione ai boss.
‘Non guardare e non sentire è il modo più maturo e responsabile per difendere la tua famiglia e i figli che vorrai’, questa la ricetta per sopravvivere a Mondragone, paese di poche anime e tanti segreti, dal lessico silenzioso dell’abito buono esibito alla messa domenicale, di una scollatura che ti rende donna e di morti sparati, ‘morti interrotti’, guardie e ladri, corriere e corrieri.
Un affresco collettivo, nitido e tridimensionale per l’uso intenso che Giulio Cavalli fa di similitudini e metafore; ci sono caffè all’alba e turni di notte, cervelli che schizzano e mogli che aspettano, odore di salsa ed esalazioni di vino, amici che muoiono e carabinieri che archiviano.
E poi ci sono gli occhi, di chi tutto guarda e nulla vede, occhi che piangono e occhi che seccano, occhi che urlano parole non pronunciate, e picchiano più delle bastonate; occhi di bue da regista, che Giulio Cavalli stringe su ciascun capitolo, con una focalizzazione disincarnata e variabile, raccontando quarant’anni e quattro generazioni di una terra ‘così omertosa e schiava’ di cui il Nonno, agli occhi del nipote Michele, sembra essere il ‘certificato’. Michele e la famiglia coraggiosa che farà con Rosalba, secondo i dettami delle ‘brave persone’: perché ‘c’è tanta bellezza e tanto coraggio a crescere una famiglia con dignità’, lo stesso coraggio necessario ‘a rinunciare, anche ai principi se serve’. Un mos maiorum che si tramanda di Nonno in nipote, una rabbia sorda impossibile da accettare per Michele se non quando sarà nonno a sua volta, perché a Mondragone ‘la vita è molto più semplice di come la pensi: basta non fare la rivoluzione tutte le mattine’, basta sposare una donna onesta ed accontentarsi di un onesto lavoro, dribblando le ingiustizie, stando fuori dagli affari dei potenti.
Il tempo della storia vola via veloce, fra chi da Mondragone parte e chi a Mondragone resta, fra chi espatria per cercare salvezza e chi partendo fa la fortuna di chi comanda, come una sberla per chi al paese lavora e tace, ‘facendo quello che è possibile fare’; cene fra amici segnano il passo, e come un impietoso consuntivo di fine anno tirano la riga sotto le vite dei protagonisti, mentre queste si intrecciano, si intersecano, divergono, si interrompono.
Di tutti i luoghi, la spiaggia e la piazza sono elette a testimoni silenziose: di amori onesti e amori rubati, del punto di equilibrio in cui risiede la felicità perfetta, di macabri ritrovamenti, di quella desertitudine – meraviglioso neologismo – che a Mondragone ‘prende il posto dei sorrisi’.
Il termine mafia è un gas mortale che ammorba l’intera narrazione, ma compare solo a metà del romanzo, nell’epoca in cui di mafia finalmente si osa parlare: e sarà un boato, l’esplosione di quel gas, per bocca di un figlio che si rivolge al padre: ‘Quelli che fanno finta di niente con il tuo amico morto ammazzato sono mafiosi!’ perché è mafioso ‘anche chi non ammazza, spende soldi guadagnati ammazzando la gente’.
Uno scatolo da scarpe, una morte tanto ingiusta quanto ingiustificata, indica la fine di una storia iniziata con una fine che era un inizio: perché ‘per uno cauto di natura la fine è un punto di domanda’ si legge nell’incipit, ‘per uno più arrogante è un vinto lasciato per terra’.

«Ci sono libri che, una volta terminati, si lasciano dietro un po’ di malinconia e tante domande»: Uno Scaffale di libri su ‘Mio padre in una scatola da scarpe’

Schermata 2016-02-03 alle 12.25.07Buongiorno, amanti della lettura.
Oggi parliamo di un libro importante, di un tema importante, di una storia vera.
Ringrazio Barbara Reverberi e Moira Perrusso, de MoBa comunicazione, per avermi proposto questa lettura per cui ci vuole una pioggia di due anni per lavarla via dai miei pensieri.
Trama:
Michele Landa non è un eroe, e neppure un criminale. Tutto ciò che desidera è coltivare il suo orto e godersi la famiglia; vuole guardarsi allo specchio e vederci dentro una persona pulita. Ma a Mondragone serve coraggio anche per vivere tranquilli: chi non cerca guai è costretto a confrontarsi ogni giorno con gli spari e le minacce dei Torre e con l’omertà dei compaesani. Michele conosce la posta in gioco, ha perso il lavoro e molti amici, ma è convinto, nonostante tutto, che in quel deserto si possa costruire qualcosa di bello e provare a essere felici. Al suo fianco c’è Rosalba, “la silenziosa”: dopo quarant’anni si amano come il primo giorno, sono diventati genitori e nonni, sognano una casa grande e un albero di mele. Ma si può immaginare una vita diversa, in una terra paralizzata dalla paura? Con una scrittura avvolgente e il piglio di un autentico cantastorie, Giulio Cavalli racconta un’Italia dimenticata e indifesa, ricordandoci che non serve fare rumore per diventare eroi delle piccole cose.
Recensione:
Ci sono libri che, una volta terminati, si lasciano dietro un po’ di malinconia e tante domande. Sono quelli dove non accettiamo come sono andate le cose, come si sono risolte, come non si sono risolte e, alla fine, semplicemente ci arrendiamo di fronte a una realtà che soffoca ogni tentativo di ribellione. Quei libri, come quello di Cavalli, per cui si desidera un finale diverso degno delle persone che lo hanno accompagnato, ma che senza quel finale in sé non sarebbero mai stati quei libri.
Questo paese funziona come una ferrovia: se esci dai binari rischi di fare il botto. E allora tutti in fila indiana: un paese con il coraggio di una gita delle scuole elementari.
Cavalli è uno scrittore coraggioso, come lo erano tutti una volta, e ci parla di mafia. Ma per essere coraggiosi bisogna esserlo per intero, non a metà, e così ci racconta una storia vera. Quella di Michele Landa, la sua famiglia, e la malavita. Malavita perché rende la cosa più genuina e legittima, la vita, in qualcosa che di genuino non ha nulla, il male.
 
Siamo nati male, Michele, siamo nati qua che alla fine nemmeno i sogni sanno correre, sudati come siamo.
Vivere è semplice, dicono alcuni, e il come è una scelta. Una scelta che si basa sul dove si vive, forse. Lo sa bene Michele che, sin da quando è diventato orfano, vive con il nonno a Mondragone che gli ha insegnato la cautela. La cautela è lavorare tutto il giorno, sgobbare, come si dice, tornare a casa con le mani in tasca, la testa chinata, la paura di essere felici, la paura di sognare. Glielo dice Rosalba, la silenziosa, quel giorno al lago: non aver paura di essere felice, lasciati andare. Ma ci vuole cautela anche per quello, rimanere sul chi va là, prevenire un dolore di una perdita se non la si conosce quella felicità.
Michele, tu sei un ragazzo intelligente e bravo, e ci hai preso tutto il cuore si tua madre e la scorza di tua nonna, ma questa nostra terra non è un allevamento di animi nobili o di cavalieri. Questa è la terra dei ladri che non vedi mai rubare, degli assassini che ci mangi allo stesso tavolo in osteria e dei diavoli che ognuno ha in corpo. E qui, da noi, qui il tavolo si sente più libero di passeggiare. Questa è una terra che va abitata in punta di piedi, Michele, va abitata in silenzio, qui le brave persone per difendersi diventano invisibili, Michele, in-vi-si-bi-li.
Una cautela che chi non abita lì può prendere come codardia, e chi abita lì e si rifiuta può andare via, scappare. Ma per quelli come Michele il massimo del coraggio è rimanere lì, non diventare orfano anche del paese natale. Lui ma anche quel ragazzone ripetente del suo amico Massimiliano, il fratello mai avuto, e la “silenziosa”. Rosalba gli ruba il cuore in tutto quel marcio – ha ragione Massimiliano, ci vuole una pioggia di due anni per lavar via tutto per bene, lì a Mondragone -, e lui la sposa, quel giorno al lago si promettono di farsi stare bene per il resto della vita. Lei di poche parole ma saggia e amorevole, anche con i loro quattro figli. Lui con la sua prudenza che in mezzo a tutto quella illegalità insegna ad Angela, Antonio, Andrea e Giovanni, l’onestà, una vita da eroi senza mantello, eroi di vita.
Il loro amore è un amore antico, se lo ripetono tutti i giorni, perché è tra persone che sono cresciute imparando ad aggiustare le cose senza buttarle.
 
Perché Cavalli ci racconta anche questo: la crescita. Quando tutto cambia senza cambiare mai. Quando il tempo passa ma la cautela è ancora la miglior cosa. Quando si ha lavorato un’intera vita e non si desidera altro che la pensione.
Il nostro riposo è la pensione. Il nostro porto è la pensione.
E infatti quello era l’ultimo giorno di lavoro per Michele, la guardia giurata, mancavano poche ore e finalmente avrebbe passato il resto della vita a coltivare i campi con la nipote, Michelina, a bere il caffè al mattino con Rosalba, la “silenziosa”. La stessa che quell’ultimo giorno squarcia il mattino urlando il suo dolore, la sua mancanza, per poi tornare di nuovo silenziosa.
L’attesa la invecchia, il tempo si trascina pesantemente, Michele non tornerà  più. Michele è stato ucciso e il suo corpo è stato bruciato.
C’è un momento nella vita di ognuno, uomo o donna, in cui si perde l’innocenza. E’ questione di un attimo, e magari non lo prendi nemmeno sul serio: capisci il tariffario dei valori e quanto sia normale toglierli dal cassetto in cui li tenevi chiusi a chiave. Capita a tutti. Capisci che costano, i valori: anche tenerseli costa. Qui in paese in questi anni è costato a tutti.
Ma perché?, mi sono chiesta io. Cos’ha visto, che ha detto, mi chiedevo subito dopo. Sono domande legittime che chiunque avesse letto il libro di Cavalli si sarebbe fatto. Cavalli che ci racconta una storia vera, anche se romanzata, a tratti poetica, e tra le righe ci fa leggere la crudeltà della mafia. Sempre tra le righe si legge la paura di ogni uomo o donna che sono costretti alla cautela nella vita, ma tra una fessura e l’altra, tra una lettera e l’altra, si legge anche di speranza. La speranza di una vita migliore, la felicità nel proprio piccolo, quella senza timore.
Giulio Cavalli ha scritto un libro importante, uno di quelli che gli adulti devono leggere per poter spiegare ai figli le cose, in attesa che loro vogliano farlo da sé.
– Sì papà, il discorso mio era un altro: vedi che alla fine i buoni perdono e i furbi vincono? –
– Non è detto. Bisogna tirare le somme alla fine… –
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I frammenti che hanno punto

frammenti

Adamantia è una lettrice. Una di quelle che scompare nelle statistiche di questo Paese in crisi di lettori ma poi ti rinfranca con il mondo perché la incontri alla presentazione di un tuo libro o alla prima di un tuo spettacolo. Ci incrociamo poco. Ci si scrive ogni tanto. Quando la incontro, ogni volta, mi regala un libro. Insomma, Adamantia mi segue e conosce da anni e per questo le sue osservazioni sono fitte, precise. Adamantia ha letto ‘Mio padre in una scatola da scarpe‘ e mi ha inviati i frammenti che secondo lei pungono nel libro. In elenco. Così. E mi sembra una cosa talmente bella che li appoggio qui:

Un sospiro a forma di banalità
Ha le scarpe che chiedono scusa
E’ una casa dove si è consumato un urlo che non è mai passato
Può succedere che tu non te ne accorga ma sei già sporco di bianco o sporco di 
nero
Spalmata sul pavimento come un cadavere sgocciolato dal soffitto
Ilpomeriggioelasera tutti attaccati
Il riso dei servi è bava
La chiesa si beve tutta la piazza
Il babbo è un tuono afono, la mamma un fiore che cerca un fosso
Massimiliano ha in testa una visione talmente molle che sembra uscirgli dal 
naso
Il parroco che conosce i peccati e li rivende al mercato del compromesso
Chissà come fa Massimiliano ad aprire un sorriso così largo e non volare via
Spettinato nella sostanza
Non si può spostare l’asticella dei valori in nome della stanchezza
Giovanna è una donna punita. Troppo compita, troppo edicata, troppo recintata 
per essere solo una questione di equilibrio piuttosto che di dolore.
Ora è matematicamente imbarazzato.
Esce con un abbraccio che è partito con il suono della campanella.
Il loro amore è un amore antico … tra persone che sono cresciute imparando ad 
aggiustare le cose senza buttarle
Ecco il sonno che cammina
Il clic del telefono di un figlio lontano è un ferro da uncinetto
Quante cose succedono nelle persone mentre sembra che fuori continui a non 
accadere niente
Un equilibrio troppo precario per rischiare un rumore
La burocrazia carabiniera non ha la pancia per accogliere una frase così 
diretta
Dolori rallentati
Rinchiusa dentro il suo scheletro
Ci si abitua a tutto, tranne che alle attese
Dieci chili di rughe che le si sono appiccicati addosso
(La lucciola) è un lampione piantato su un pianeta largo come una mela.
La sua visione ha salvato tutti
Decidi di fare pace col tuo dolore. Come se fosse parte del tuo corpo … 
attaccato come un dito in più.

«Una piccola luce nel buio»: zillyfree su ‘Mio padre in una scatola da scarpe’

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(l’articolo originale è qui)

(di zillyfree)

Tra i tanti libri di mafia che ci sono, che ho letto, questo, si, parla di mafia, ma parla delle vittime che la mafia fa, racconta di una storia dimenticata, che forse si vuole dimenticare, che per tanti anni è stata quasi cancellata, coperta ma ora no grazie a Giulio Cavalli che attraverso la figlia del protagonista del libro romanza la vita di Michele Landa, un uomo che per tutta la sua esistenza ha voluto condurre una vita onesta, nonostante fosse circondato da una malavita come la camorra presente in ogni angolo delle strade di Mondragone.

Michele Landa, 61 anni, guardia giurata, metronotte a Pescopagano, a controllare una antenna, una semplice antenna, una zona di droga, prostitute e qualcosa di più grande come affari di camorra. Gli mancava poco alla pensione, poche notti e avrebbe dedicato i suoi anni ai nipotini e ai suoi orti, invece viene trovato ucciso e bruciato nella sua macchina. Il paese Mondragone rimane nel suo silenzio di fronte a questo atto barbarico, un articoletto tra le cronache del giornale di paese e poi tanto e pesante silenzio intorno a questa vicenda che ancora oggi non si riescono trovare motivazioni di questa morte, i colpevoli di questa morte, solo tanta rassegnazione. Questo libro sembra una piccola luce nel buio più totale perchè ha ridato visibilità ad una vicenda piena di lati oscuri.

E’ una storia d’amore bellissima (amore, amicizia vera, rapporti tra padre e figlio, tra fratelli) ma è anche una storia d’omertà dove fin dalle prime pagine possiamo intuire chi può essere l’assassino anche se sono solo intuizioni non ci sono prove certe com’è  del resto ora. Michele Landa è un orfano, una vita difficile, ma ha un nonno che gli insegna a vivere onestamente stando lontano da chi è losco, di non ribellarsi se vuoi bene ai suoi cari, insegnamenti che poco riesce a digerire ma che seguirà ma nonostante questo si troverà alla fine in una scatola di scarpe in mano ai suoi famigliari…

“Vorrei stare ai campi e spiegare ai miei nipoti che Massimiliano, l’amico del nonno, è morto anche perchè diceva cose che tutti vedevano ma tenevano nascoste, e allora l’hanno preso per matto. Se vuoi uccidere qualcuno lo fai passare per matto e sei già a metà dell’opera…io vorrei che i miei nipoti e voi imparaste che le idee si sostengono anche in pubblico.”

(Lo puoi comprare anche direttamente dalla nostra piccola libreria qui)

Le piantiamo e poi guardiamo non crescere le mele

mela

«Nonno!»
Sorride identica ad Angela, sua madre. Ha anche le mani e la forza di Michele e il sorriso del Nonno: è una bambina con tutta la famiglia dentro. Michele l’aveva im- maginata così, sua nipote, quando provava a rassicurare suo nonno su una famiglia che non si sarebbe fermata con la sua partenza.
«Michela, adesso andiamo con nonno ai campi, vuoi?» «Sì!»
«Com’è andata a scuola?»
«Bene.»
«Cosa hai mangiato?»
«Al ristorante…»
«Ah, già al ristorante.»
Per Michela la mensa scolastica è il ristorante, i campi
una meravigliosa vacanza e qualsiasi amico gentile il suo nuovo fidanzato.
«E cosa hai mangiato al ristorante?»
«La pasta. Col bis.»
Mondragone verso gli orti diventa quasi irlandese: verde, umida più forte dello scirocco.
«Mettiamo le mele, nonno?»
«Non crescono le mele, Michela. Stanno in montagna.
Dove c’è il freddo, la neve.»
«Qui a Mondragone non nevica, no.»
«No, quindi niente mele.»
«E proviamo a mettere le mele?»
«Non crescono.»
«E noi le mettiamo e poi le guardiamo insieme che non
crescono, allora.» «Va bene.»

(Mio padre in una scatola da scarpe, p 154)

Il romanzo civile di Giulio Cavalli e le scelte che sono scelte (di Salvo Ognibene)

12122542_868262876576517_1348074369069251953_nQui ci sono le guardie e i ladri, bianco e nero, abitare in mezzo non è possibile. Può succedere che tu non te ne accorga, ma sei già o sporco di bianco o sporco di nero.” E’ la quarta di copertina di “Mio padre in una scatola di scarpe” di Giulio Cavalli edito da Rizzoli. Un “romanzo civile” che a tratti ricorda “passione di Michele” di Giuseppe Fava. La narrazione, il ritmo delle parole, la scrittura elegante e mai banale sono solo alcuni dei punti di contatto. Poi sì, il nome del protagonista è uguale per entrambi ma la similitudine esiste nel ricordo di chi scrive e che a tratti si manifesta nelle pagine del libro. Michele Landa è il nome del protagonista. Un nome, che potrebbe essere anche un altro, se all’origine della storia narrata con il solito piglio da cantastorie da Giulio Cavalli, non vi fosse la realtà. Quella di tutti i giorni e quella vissuta da una persona perbene che vuole godersi la pensione, la famiglia e l’orto di casa, a Mondragone. Quella vita che ti toglie gli amici, che cambiano o volano via, e che ti regala la dolcezza di una compagna e di una famiglia normale.

Da metà libro in poi le pagine tengono attaccato il lettore senza lasciarsi mollare mai. Cresce l’attenzione, i nomi iniziano ad avere un volto e sale anche il magone su per la pancia. E’ vivo e te lo porti dentro. Una brutta storia che regala bellezza e scelte che sono scelte. Cavalli racconta di un paese indifeso, dove perfino la Stato ha i colori ingrigiti di Mondragone, ricordandoci che le urla e i grandi gesti non fanno la rivoluzione ma che basta poco, pochissimo, interessandoci di quello che avviene anche fuori del giardino di casa per cambiare una piccola città o un grande paese.

Qui per acquistare il libro

https://www.giuliocavalli.net/bottega/?product=mio-padre-in-una-scatola-da-scarpe