Un treno senza rotaie
Mio padre in una scatola da scarpe. Lo potete comprare (firmato) qui.
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«Michele Landa non è un eroe, e neppure un criminale. Tutto ciò che desidera è coltivare il suo orto e godersi la famiglia; vuole guardarsi allo specchio e vederci dentro una persona pulita. Ma a Mondragone serve coraggio anche per vivere tranquilli: chi non cerca guai è costretto a confrontarsi ogni giorno con gli spari e le minacce dei Torre e con l’omertà dei compaesani». Giulio Cavalli queste cose le conosce bene. La promozione della cultura della legalità contro quella mafiosa è il suo pane da attore, autore e da (ex) politico. Tanto da portarlo, dal 2007, a vivere sotto scorta, dopo la scoperta d’un progetto per farlo uccidere organizzato dalla cosca ‘ndranghetista De Stefano-Tegano.
«Ispirato alla vera storia della famiglia Landa – racconta l’autore – il romanzo girerà l’Italia in un reading teatrale. Se mi avessero chiesto un romanzo civile, ecco, io, avrei scritto questo libro qui». Anche perché non si nasconde che con questo libro Cavalli spera di dare un contributo alla riapertura del caso – il cadavere di Michele Landa, guardia giurata, venne trovato in un’auto bruciata nel settembre del 2006 – ancora senza colpevoli.
«Quando Angela mi ha raccontato la storia di suo padre, che è poi anche la sua – ha spiegato l’autore – io che la storia l’avevo già ascoltata da un giornalista e un amico, Sergio Nazzaro, mentre l’ascoltavo in diretta, così, ho avuto la sensazione che colasse. Non c’era niente di più da estrarre o da spulciare, sarebbe bastato un contenitore. Ecco, questo libro è la pinta di quella storia».
Giulio Cavalli racconta un’Italia dimenticata e indifesa, in un Sud con l’acqua alla gola, che forse non assomiglia alla città dell’Expo, ma alla Milano delle intimidazioni agli imprenditori in provincia, al racket degli alloggi popolari, al business “calabrese” del movimento terra, ai piccoli negozi incendiati, alle riunioni di affiliazioni nei ristoranti comprati con i soldi riciclati. (f.c.)
Li chiama così, Marco Boschini, i protagonisti di ‘Mio padre in una scatola da scarpe’. E scrive:
“Il libro di Giulio Cavalli fa piangere, per la storia.
Indignare, per il silenzio ottuso di un’intera comunità.
Sperare, per il coraggio di tanti piccoli eroi quotidiani, che manifestano la loro grandezza nella normalità.
Leggetelo, davvero.”
(fonte)
(Recensione di Paola Bisconti, la fonte è qui)
Il coraggio lo si può misurare in vari modi. Chi è davvero coraggioso non ostenta mai la sua più grande virtù e lo fa con grande buon senso. Niente azioni rivoluzionarie, il titano si arma solo ed esclusivamente di parole. Ma badate bene, ci sono quelle da non pronunciare e altre da urlare. Pochi ne conoscono il giusto equilibrio. Michele Landa e Giulio Cavalli hanno un’assonanza sebbene non si siano mai conosciuti e le loro esistenze sono decisamente differenti.
Giulio Cavalli ha conosciuto Michele Landa attraverso il ricordo e la testimonianza dei figli che hanno perso il loro padre la notte tra il 5 e il 6 settembre 2006. La famiglia viveva a Mondragone, in provincia di Caserta, dove Michele lavorava come guardia giurata presso la Cooperativa Lavoro&Giustizia e quella sera avrebbe dovuto controllare una grande antenna sita in una zona non molto raccomandabile.
Mancavano pochi giorni al traguardo della pensione e al desiderio di dedicarsi esclusivamente ai nipoti e al suo orto, ma quella notte Michele Landa è stato ucciso e il suo corpo poi bruciato. Con lui è morta anche la verità. Nessuna indagine, nessun indizio, tutto è ancora avvolto nel mistero.
Se non fosse stato per l’arguta coerenza letteraria e realistica di Giulio Cavalli non saremmo mai venuti a conoscenza di questa storia. La memoria è una delle più nobili azioni che può compiere l’essere umano e il libro “Mio padre in una scatola di scarpe” edito da Rizzoli è un grande tributo a Michele Landa e alla sua famiglia.
Raccontare una storia d’omertà è una scelta che scardina i sistemi di una società basata sul falso, abituata a camuffare piuttosto che a scoperchiare le malefatte di una parte di popolo che padroneggia su tutto il resto. A Giulio Cavalli, attore teatrale, ex consigliere regionale in Lombardia che vive sotto scorta a causa delle pesanti minacce ricevute in seguito ai suoi spettacoli di denuncia antimafia, dovremmo essergli riconoscenti per aver saputo sfidare ancora una volta quel velo di indifferenza che ci costringe ad essere invisibili.
Michele Landa non ha mai voluto vivere da invisibile sebbene a Mondragone la gente onesta fosse costretta ad esserlo perché schiacciati dall’arrogante prepotenza della famiglia camorristica dei Torre che controllava e gestiva le attività economiche del paese. Glielo diceva sempre suo nonno, a Michele, di stare lontano dai mafiosi e di non osare sfidarli perché ogni reazione avrebbe messo a rischio l’incolumità dei propri cari. Ed è difficile accettare questo consiglio quando l’anima dentro arde di giustizia.
Nell’apparente quiete di Michele c’era un fuoco che bruciava e solo la dolcezza e prudenza di Rosalba era in grado di placare. Il loro era un amore “che cerca conforto e pace”. Dopo un’infanzia e un’adolescenza cresciuto da orfano, Michele ritrova nella realizzazione della sua famiglia, la tanto attesa e meritata felicità. Ma se dentro al nucleo familiare la quotidianità scorre serena, al di fuori di quel cerchio magico c’è l’inferno. E si sopravvive accettando compromessi “in una terra paralizzata dalla paura”.
Nella seconda parte del libro si fa un salto temporale di quarant’anni durante i quali Michele fa pace con il presente e con il passato, con i suoi più grandi dispiaceri, lutti e fragilità. Accetta il decesso del nonno, ormai anziano morto una settimana dopo il giorno del matrimonio con Rosalba, soffre ancora per la morte ingiusta del suo migliore amico Massimiliano che osò sfidare i suoi assassini con “uno sguardo che aveva assunto i toni del mito”.
In tutta questa storia emerge però la bellezza della dignità di una famiglia che ha affidato alle parole di Giulio Cavalli, una storia preziosa e singolare malgrado il tragico epilogo. Una bellezza celata, da cogliere dietro alle brutture di un mondo sempre più insozzato dalla cattiveria, un incanto da scorgere come faceva Michele Landa quando insieme alla sua nipotina si dirigeva a coltivare i suoi terreni agricoli e le diceva: “Mondragone verso gli orti diventa quasi irlandese: verde, umida, più forte dello scirocco”.
Sogniamolo insieme, anche per lui, un vento di tramontana in grado di spazzare via tutto il lerciume che ci sta intorno.
Non avete tempo di passare in libreria. Non avete voglia di passare in libreria. Non volete comprarlo in quella o quell’altra libreria per non arricchire questo o quel gruppo. Non vi fidate di lasciare carta di credito o indirizzo agli sconosciuti. Non trovate parcheggio oppure non vi ricordate più l’indirizzo del sito. Vi rode, semplicemente.
Allora il mio romanzo potete comprarlo qui, nella nostra piccola libreria, direttamente dall’autore al lettore. Un romanzo a chilometro zero.
Sono un autore Rizzoli e credo che il ruolo di chi scrive sia anche quello di osservare, ossessivamente se serve, e sono convinto che il nostro lavoro sia un privilegio che ha delle responsabilità. Mi piacerebbe, mi sarebbe piaciuto pensare che in un Paese in cui gli scrittori per vendere qualche copia in più sono pronti a quasi tutto, un passaggio epocale come quello che sta avvenendo in questi giorni meriterebbe un confronto continuo, un dialogo altisonante e deciso e piuttosto del silenzio anche qualche panzana scritta in maiuscolo.
Ne ho scritto qui.
(l’articolo originale è qui)
(Recensione di Rita Fortunato)
Una storia donata va sempre accolta. Questo è il pensiero che mi ha portata ad accettare la proposta di Barbara Reverberi di leggere Mio padre in una scatola di scarpe. Si tratta di un romanzo civile edito Rizzoli, scritto da Giulio Cavalli e comparso nelle librerie italiane il 17 settembre. Fresco fresco di stampa, insomma e che ho anche avuto la fortuna di incontrare sugli banconi per libri allestiti a #PordenoneLegge.
Barbara mi ha subito detto che è un romanzo bellissimo e che lei, personalmente, l’ha divorato.
Per quanto riguarda il verbo “divorare” aveva ragione ma, più che bellissimo, ho trovato l’opera agghiacciante. Ti spiego perché…
Mio padre in una scatola di scarpe è agghiacciante perché vero
Con agghiacciante non intendo dire che Mio padre in una scatola di scarpe non sia un buon libro. Fondamentalmente è un romanzo d’inchiesta tratto da una storia vera, fatta di mafia e omertà. Temi forti, dolorosi, di quelli che non si vorrebbe affrontare perché, quando te li trovi scritti neri su bianco, ti agghiacciano.
L’ho letto in due giorni e avrei voluto che finisse in maniera diversa, che non rimanesse in sospeso. Tuttavia uno scrittore non può accontentare sempre il lettore, soprattutto quando il suo obiettivo è quello di ricordare che ancora esiste una cultura dell’omertà.
Una cultura che sta stretta al personaggio principale e perno attorno al quale ruota tutto il racconto, Michele. Per amore, il nonno cerca di inculcargli questa filosofia in tutti i modi:
“Qui le brave persone, per difendersi, diventano invisibili”.
È una persona normale, Michele. Vorrebbe solo vivere a casa sua, metter su famiglia e garantire un futuro a figli e nipoti. Assieme a lui, poche brave persone appaiono nella trama del romanzo. Massimiliano, considerato lo scemo del paese ma con un cuore d’oro, il nonno e le sue cene domenicali con il nipote e la dolcissima e coraggiosa Rosalba, detta la silenziosa.
Volente o nolente, il lettore non può fare a meno di affezionarsi a queste persone, ad augurar loro tutto il bene possibile. Ad essi va l’ammirazione dell’amico milanese Giulio:
“Quelli che cambiano il mondo sono quelli che non si fanno avvelenare dal mondo”.
Ma niente è ciò che appare. Mio padre in una scatola di scarpe parla di un’indifferenza che non è solo espressione di codardia o servilismo da parte delle persone semplici, ma anche l’unico comportamento da adottare per sopravvivere in una terra violenta comandata da violenti. Gradualmente (ed è qui che la cosa si fa particolarmente agghiacciante) ci si addentra in un contesto e in una storia dove la desensibilizzazione al dolore la fa da padrone perché, in fondo, ci si abitua a tutto, anche ai soprusi. Non c’è scelta.
Vi è un’educazione alla paura e alla sopravvivenza scambiata per coraggio in una vita quotidiana che impedisce agli abitanti di Mondragone, località dove si svolgono i fatti, di compiere il loro dovere civico e permettere che la giustizia faccia il suo corso.
“Michele, nella vita ci vuole coraggio a rinunciare. Anche a rinunciare ai principi, se serve”.
Nessuno sembra voler spezzare la catena che anno dopo anno stringe il paese in una morsa soffocante di incomprensioni, malelingue e indifferenza. Tutto ciò che accade, anche i gesti di umanità sono visti con sospetto e manipolati per mettere in cattiva luce le brave persone, distruggere la loro reputazione e creatività. La coscienza, in questo romanzo, sembra proprio non esistere. Al massimo vi è rabbia repressa e dolore raccolto e nascosto
Mio padre in una scatola di scarpe è un romanzo logorante e, sinceramente, andrebbe donato ai giornalisti che ricamano notizie prestando orecchio alle voci e non verificando le fonti, ai carabinieri che preferiscono screditare il cittadino medio pur di non perdere i ricavi e gli interessi che li legano a chi dovrebbero incarcerare, alle persone che sparlano e si fanno belli sulle miserie e i dolori altrui, convinti che andare a messa la domenica sia sufficiente per sciacquare la coscienza dalle loro ipocrisie e meschinità.
Non saprei bene cosa aggiungere sull’opera con la quale Giulio Cavalli esordisce in veste di scrittore se non che il libro andava scritto e che merita di essere letto. In mezzo a tanti testi fondamentalmente inutili, privi di messaggio, un romanzo civile come questo spicca dalla massa, per la sua agghiacciante veridicità.
Autore: Giulio Cavalli
Titolo: Mio padre in una scatola di scarpe
Casa Editrice: Rizzoli
Pagine: 288
Anno di pubblicazione: 17 settembre 2015
Prezzo di copertina: € 18
“Quando ancora le chiedono come sta, cosa fa, al mercato o alla piazza di Mondragone, lei risponde: “La madre”. E risponde con dentro una traversata oceanica, un giro del mondo in mongolfiera e una vittoria olimpica. La madre. Senza perifrasi, incertezze: la madre”.
(dal mio libro, Mio padre in una scatola da scarpe)
(Recensione di Irma Loredana Galgano, l’originale è qui)
Il 17 di questo mese è uscito per Rizzoli “Mio padre in una scatola da scarpe” di Giulio Cavalli.
Ci sono dei cantanti che hanno una voce talmente melodiosa che ti cattura appena la senti.
Ci sono dei musicisti talmente dotati che ti fanno piacere la loro musica fin dalle prime note.
E poi ci sono quegli scrittori così bravi che ‘rapiscono’ il lettore fin dalle prime battute.
Giulio Cavalli appartiene senza dubbio alcuno a questa categoria.
“Mio padre in una scatola da scarpe” racconta la storia semplice di Michele, cresciuto dove «non esistono carabinieri o polizia; qui a Mondragone ci sono le guardie e i ladri, bianco e nero e tutto in mezzo gli altri che sono altri per il tempo che serve a decidere se nella vita vuoi essere bianco o nero, guardia o ladro», in una città che può trovarsi dove si trova, in provincia di Caserta, o in qualsiasi altro posto del mondo perché «Mondragone si sveglia rotonda tutte le mattine, per poi sformarsi attraverso i suoi abitanti».
Una vita sospesa, quella degli “altri”, soprattutto quando propendono per il bianco, in quanto «questa è una terra che va abitata in punta di piedi, va abitata in silenzio, qui le brave persone per difendersi diventano invisibili». Cercava di spiegare suo nonno a un giovanissimo Michele, che non capiva… non riusciva a capacitarsi, esattamente come quarantanni più tardi non ci riuscirà Andrea, suo figlio.
Perché una persona che vuole solo coltivare il proprio amore, formare una famiglia, lavorare, pagare le tasse e trascorrere del tempo con i propri figli e nipoti deve vivere terrorizzato da ciò che può accadere a lui, o peggio a propri famigliari, anche solo come conseguenza per aver rifiutato o accettato un caffè?
Perché un cittadino deve essere costretto a subire l’indifferenza delle forze dell’ordine soggiogate al male peggio dei “neri”?
Perché un uomo o una donna non possono formulare queste domande a voce alta senza rischiare gravi conseguenze e ritorsioni?
Alcuni soggetti afferenti alla malavita organizzata si ritengono dei soldati, arruolati in un diverso esercito certo ma comunque ligi a un codice di regolamentazione che una volta arruolati si sceglie di seguire e rispettare. Va bene. Ma chi non compie questa scelta perché è costretto a subirne comunque le conseguenze?
« Se è mafioso solo chi ammazza allora la mafia non c’è davvero, qui. Quelli che hanno fatto finta di niente con il tuo amico morto ammazzato sono mafiosi. Tu ti ostini a pensare che siano solo cattivi o prepotenti o violenti, e invece sono mafiosi.»
Michele e Rosalba trascorrono la vita a cercare di diventare invisibili e soprattutto di far essere tale i propri figli e nipoti, coltivando il loro amore che è «un amore antico, se lo ripetono tutti i giorni, perché è tra persone che sono cresciute imparando ad aggiustare le cose senza buttarle». Ma certe cose o certe situazioni non si possono aggiustare, sono come la miccia di un mortaretto… una volta incendiato non resta che aspettare lo scoppio.
Andrea, Giovanni, Antonio e Angela questo scoppio se lo sentono scorrere nelle vene, anche più di Rosalba e decidono insieme di compiere il gesto più rivoluzionario della loro vita, varcando i limiti della legalità e lo fanno con il coraggio e la consapevolezza di doverlo fare, perché rappresenta per loro non solo una rivincita ma una vera e propria catarsi. E così, a modo loro, riescono a sconfiggerlo il Male che li voleva oppressi, immobili e silenti.
“Mio padre in una scatola da scarpe” di Giulio Cavalli è il racconto semplice di una famiglia normale che cerca di coltivare i propri sogni in un mondo disumano, crudele e spietato nel quale l’amore e i sentimenti per vincere devono combattere quotidianamente contro colossi armati, contro il potere, la violenza e il potere della violenza.
« Nonostante tutto lei non tornerebbe indietro, no, non rinuncerebbe a nessuno dei momenti vissuto fino a qui, dolori inclusi, perché la sua famiglia è un’opera titanica e artistica che la riempie di fierezza e di orgoglio.»