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roberto saviano

Due e tre cose su Roberto e Luigi. Sparse. E magari sbagliate.

Voglio bene a sia a Luigi De Magistris che a Roberto Saviano, con entrambi ho condiviso dure esperienze personali e (a differenza di entrambi) ritengo il mio giudizio fallibilissimo. Ma un paio di cose forse varrebbe la pena provare a metterle in fila:

Entrambi parlano di se stessi. In questa polemica di Napoli e di camorra se ne sente appena l’odore. Da una parte il sindaco mette sul tavolo la propria storia personale e dall’altra lo scrittore risponde con la propria esperienza come testimonianza. I dati sulla criminalità, il trend dei delitti, le indagini in corso, le sentenze recenti e le relazioni della Direzione Antimafia (o eventualmente i risultati di inchieste personali) non ci sono. Quindi non è una discussione sulla camorra a Napoli, basta saperlo.

De Magistris ha risposto ricalcando gli stessi temi dei peggiori detrattori di Saviano e questo pesa evidentemente al di là del senso e dell’obiettivo della sua uscita. Anche il modo è politica, del resto. Ma risponde non al Saviano tutto tondo (a cui questo Paese non può non esser grato, al di là delle simpatie o antipatie) ma risponde a un’intervista in cui Roberto dice “Questa città non è cambiata. Illudersi di risolvere problemi strutturali urlando al turismo o alle feste di piazza è da ingenui. Nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore diventa connivenza”. Il connivente, ci vuole poco a capirlo, è De Magistris. Entrambi non sono stati esempio di misura, diciamo.

Gli scrittori scrivono e i politici amministrano. Che piaccia o no. E gli scrittori, come Roberto, hanno il diritto di scegliere i propri temi. I loro giudici sono i lettori e il pubblico. Questo significa che chi ha milioni di lettori o spettatori sia inattaccabile e abbia sempre ragione? No, per niente. Significa semplicemente che Roberto e Luigi operano su due campi diversi in cui (spesso e non solo a loro) ci si “infastidisce” (o si diventa servili) nonostante le diverse funzioni. Ci sta: è il ruolo pubblico, appunto. E se qualche personaggio pubblico sceglie (io personalmente lo amo moltissimo) di ruzzolare nella realtà e nella politica accetta gli schizzi, eccome. Che piaccia o no.

Non c’è niente di più deleterio e scemo di parteggiare in questa ultima polemica nell’ottica dei propri interessi personali: l’Unità aveva definito Saviano “mafiosetto” e ora diventa savianista per cercare di demolire De Magistris così come gli antisavianisti diventano improvvisamente “vicini” al sindaco di Napoli. Il nemico del mio nemico è mio amico: come stiamo messi. E anche le difese apologetiche come quella di Montanari mi lasciano perplesso.

La realtà è complessa (ne scrivevo giusto qui) e il mondo non si divide tra chi ha ragione o chi ha torto ma si perde nei rivoli di mille sfaccettature. Una città non ci sta mai in una narrazione univoca. Mai. E nemmeno le persone. Nel nostro Paese ognuno combatte un propria battaglia personale, ognuno ha a che fare con le proprie miserie e prova a rimanere in piedi nonostante le sue paure. Basta con la guerra con chi ha l’antimafia più lunga, la morale più appuntita o l’eroismo più peloso. In Italia ci sono imbecilli sotto scorta e magistrati (e ex magistrati) incapaci. Per dire.

Secondo me De Magistris ha sbagliato a argomentare le proprie accuse cavalcando la delegittimazione popolare che contro Saviano è in atto da sempre. E, come scrive Bolzoni, ha superato un confine. Ma si ama troppo per accorgersene.

Secondo me Saviano ha banalizzato il proprio giudizio su Napoli risultando fastidiosamente assoluto nella visione. Ma si ama troppo per accorgersene.

Di sicuro non prendere posizioni scomode è il modo migliore per stare tranquilli e piacere a tutti. E Roberto ha il coraggio di essere libero.

Di sicuro, ancora una volta, la camorra un po’ gode e ride sotto i baffi.

Cannabis. E la politica che fa cultura.

Ho un sogno. Da sempre. Immaginare di vivere in un Paese in cui la politica fa cultura nel senso più pieno informando, raccogliendo dati, proponendo soluzioni e, soprattutto, raccontando storie possibili. Penso a una politica che non assoldi intellettuali e artisti ma piuttosto coinvolga le menti migliori del Paese per proporre oltre ai soliti programmi elettorali anche delle visioni sociali e culturali. Sembra un’idea folle di questi tempi, lo so, ma l’alfabetizzazione dovrebbe essere un dovere della classe dirigente e mi piace pensare che sia un prospettiva attuabile. Da parte di tutti, ancora meglio: destra, sinistra e i centrodestri e i centrosinistri e quelli che “né destra né sinistra”.

La questione della legalizzazione della cannabis, ad esempio, si sta svolgendo in Parlamento con una colpevole strumentalizzazione dell’ignoranza: si può essere d’accordo o meno ma è necessario conoscere. Sapere e far sapere. Per questo credo che farne un libro (che per lunghezza e densità non permette di limitarsi alla propaganda pubblicitaria) sia un atto opportuno.

Pippo Civati l’ha scritto per i tipi di Fandango, con la nota introduttiva di Roberto Saviano. Cannabis. Dal proibizionismo alla legalizzazione. Ecco la presentazione:

«Esiste una legge migliore di quella che consentirebbe di riportare nella legalità milioni di italiane e italiani, di separare il mercato dalla cannabis da quello delle droghe pesanti, di ridurre il finanziamento alla criminalità organizzata (oggi pressoché inevitabile per gran parte di coloro che fanno uso di cannabis), di far emergere una quota consistente di economia sommersa e di ricavare una cifra tutt’altro che banale per le casse dello Stato, con particolare riguardo a ciò che si potrebbe spendere per la prevenzione e, più in generale, per la Sanità?

Esiste una legge migliore di quella che permetterebbe di controllare la qualità di ciò che viene immesso nel mercato, di risparmiare costi per lo Stato nelle varie fasi di repressione, indagine, in ambito giudiziario e carcerario?

Sarebbe una buona legge, in particolare per il nostro Paese dove è alto il consumo della cannabis e dove è forte, in alcuni casi molto complicata da contrastare, la presenza diffusa su tutto il territorio nazionale delle mafie.

Una legge basata sui migliori esempi a livello internazionale, su regole chiare e semplici, sulla possibilità dell’autoproduzione, della costituzione di cannabis social club e di un accesso legale alla cannabis per i consumatori occasionali.»

Lo potete comprare (anche) qui.

La “savianofobia” del senatore D’Anna

È una malattia ancora non scientificamente riconosciuta ma se ne trova traccia un po’ dappertutto, con un’incidenza maggiore tra amici degli amici o tra i compagni di partito di qualche politico in odore di camorra, preferibilmente cosentiniano: la savianofobia solitamente mostra i primi sintomi con un’invidia violenta, quasi un’esplosione di bile oppure nei casi in cui l’incubazione è più lunga con qualche cazzata che assume la forma di favoreggiamento culturale alla mafia. In generale, comunque, la “savianofobia” è soprattutto il virus di chi guarda il dito e non la luna perché è tutta la vita che di mestiere è il servitore del dito, anelando alla luna. Appunto.

L’ultimo caso conclamato è il senatore Vincenzo D’Anna. Senatore casertano, D’Anna, ha iniziato a fare politica nella capiente pancia della Democrazia Cristiana campana fino all’innamoramento per Forza Italia e Silvio Berlusconi. Fu assessore a Caserta dal 2005 al 2007 e deputato. Nel 2010 viene candidato (ed eletto) nella Circoscrizione Campania 1  per poi aderire al gruppo Iniziativa Responsabile, che sostenne il governo Berlusconi IV in quota ex Pdl. Nel 2013 viene eletto senatore (sempre nelle file del PDL) e quando Alfano e Berlusconi danno il via alla scissione interna D’Anna con grande piglio decide di non decidere aderendo a Gal (Grandi autonomie e libertà, un gruppo parlamentare onomatopeico, non c’è che dire) di cui diventa vicepresidente. Ma il capolavoro politico è del 2014: D’Anna aderisce a”Forza Campania”, la corrente interna a supporto di Nicola Cosentino.

(continua qui)

Quel (brutto) silenzio su Saviano

Ho pensato che forse sarebbe stato il caso di aspettare almeno un giorno per giudicare, così dopo i deliri del senatore D’Anna (ALA, la misconosciuta schiera di servetti al comando di Verdini e quindi nuova maggioranza di governo) che ha insistito in un’intervista per dirci che Saviano è “un’icona farlocca” e che lui e la Capacchione (giornalista sotto scorta e parlamentare PD) “vivono di rendita”.

Ho aspettato per sentire almeno un cenno minimo di solidarietà, un segnale di disgusto e, perché no, una censura vera contro chi si permette di pensare che la tranquillità della propria vita si un dazio ragionevole da pagare in cambio del successo. Poi ho ascoltato Verdini scusarsi (per quanto possano valere le scuse di un bugiardo naturale come stabilito dalle Procure) e ho scorto la Valente prendere le distanze dalle affermazioni di D’Anna.

E poi il silenzio. Buio. Netto. Perché? Perché Saviano (e la Capacchione e tutti quelli che sono stati cannibalizzati per una minaccia di una mafia a caso) sono allo stesso tempo i simboli della delega vigliacca di chi pensa che non sia affar suo e allo stesso tempo la dimostrazione dell’inerzia di tutti gli altri. Può un libro smuovere le coscienze? In un Paese di membri del governo corrotti e classe dirigente svenduta alla mafia certo che sì, eccome. Può Saviano avere sbagliato qualcosa? Certo, sicuro, probabilmente moltissimo ma ogni suo errore riconosciuto rischia di essere una tacca di vigliaccheria in più a tutti quelli che stanno zitti.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

Gli scrittori italiani? Non esistono.

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“Gli scrittori italiani? Non esistono. E, tranne rarissime eccezioni, sono un gruppo di ininfluenti che si accaniscono gli uni contro gli altri per sottrarsi misere copie, che si invidiano per premi che nessuno ricorda più, che si vendono per comparsate tv. Che odiano per il successo altrui e invidiano persino per un processo che può distruggere e compromettere, ma dà visibilità e quindi… Invidierebbero anche un funerale, se pieno di persone e vicinanza. Gli scrittori italiani? Che cercano la candidatura politica (e poi la nascondono) per uno stipendio sicuro. Non è sempre stato così e non vale per tutti. Parlo però per la parte maggiore. Da questi non puoi aspettarti nulla. E anche il pubblico se ne accorge e li legge sempre meno”.

(Roberto Saviano intervistato qui)

Vorrei essere qui. Al rione Sanità.

Mario Gelardi è coraggioso. Mica come i paladini da copertina, figurarsi, piuttosto è coraggioso come lo sono tutti quelli che restano, che vogliono restare, che quando qualcosa puzza decidono di abitarci dentro con l’armamentario per imbiancare le pareti nei loro prossimi cent’anni.

Mario Gelardi è direttore del nuovo teatro Sanità che sta proprio nel cuore del rione napoletano al centro delle cronache in questi giorni. Ci fa teatro, Mario con i suoi, come se fosse a Parigi, nel centro di Milano oppure in un’oasi nel deserto: al nuovo teatro Sanità si crede che tutto ciò che è bello svolge la sua funzione. Senza compromessi: bello per il bello, lavoro come lavoro, apertura come apertura.

Eppure il nuovo teatro Sanità non sta nell’elenco dei teatri che contano, secondo alcuni, perché ha disimparato la mediazione al ribasso. E c’è da capirli. Roberto Saviano ne ha scritto qui:

Il Nuovo Teatro Sanità è una realtà teatrale necessaria che ha sede in una bellissima chiesa sconsacrata, in uno dei quartieri più difficili di Napoli e si mantiene grazie al sostegno di chi crede che al Sud ciò che manca sia soprattutto ascolto, equilibrio e opportunità. Questo sostegno non arriva dallo Stato che ha deciso, tramite il giudizio insindacabile di una commissione di esperti, che la proposta del Teatro non meriti gli “aiuti” statali destinati alle compagnie under 35.

La nuova stagione teatrale (con il contributo importante e non pubblicizzato di qualcuno accusato spesso di lucrare sulla Campania) ha un titolo che è un manifesto sociale: Vorrei essere qui.

E io ho l’onore di aprirla, questa stagione dove la resistenza alla bruttezza è un esercizio quotidiano. Ed è uno dei regali più belli che potessi ricevere. Fateci un salto, credetemi. Alla faccia della messa in scena di chi crede che basti qualche divisa in più per controllare un quartiere.

(ah, questa settimana Mario ha regalato un suo monologo meraviglioso per il nostro numero di Left)

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In Campania Gomorra è in lista con il PD (lo dice Saviano)

Roberto Saviano risponde netto sulle liste dei democratici in Campania:

Ti rispondo senza giri di parole: assolutamente sì. Nel Pd e nelle liste c’è tutto il sistema di Gomorra, indipendentemente se ci sono o meno le volontà dei boss. Il Pd nel Sud Italia non ha avuto alcuna intenzione di interrompere una tradizione consolidata. E cioè alla politica ci si rivolge per ottenere diritti: il lavoro, un posto in ospedale… Il diritto non esiste. Il diritto si ottiene mediando: io ti do il voto, in cambio ricevo un diritto. Il politico non dà visioni, prospettive, percorsi, ma dà opportunità in cambio di consenso. E De Luca, in questo, è uno che ci sa fare. La politica dovrebbe essere tutt’altro. Dovrebbe ottenere consenso in cambio di trasformazioni complesse e complessive della società. Invece dando il proprio voto l’elettore rinuncia a chiedere progetto e trasformazione in cambio di una e una sola cosa.

L’intervista completa è qui.

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Perché tutti vogliono vedere cadere tutti. Per sentirsi migliori.

«In un paese come l’Italia niente sembra possibile. Si spera che tutti siano arrestati, che tutti cadano in scandali, dal flop dell’industriale al sindaco passando per l’attore, per potersi dire: non sono io incapace, è che chiunque ha un posto di valore è una schifezza, io non sono una schifezza quindi non lavorerò mai. Io sono nato in una terra dove agire, cercare di emergere, è visto con diffidenza. Dove fare è sospetto mentre non fare è sinonimo di onestà. La fama ti mette addosso un mirino. Perché tutti vogliono vedere cadere tutti. Per sentirsi migliori».

(Roberto Saviano, intervistato da Francesco Costa)

Le paranoie di Pietro

Io proverei a buttare un occhio alle paranoie di Pietro Orsatti. Molto spesso le paranoie si rivelano infondate ma prese con il giusto dosaggio sono un buon esercizio di guardiania:

La risposta di Renzi arriva nel giorno in cui si tiene a Roma la conferenza nazionale sui beni confiscati di Libera. Roma, che sappiamo essere in un mare di guai sul piano finanziario e come molti fanno finta di dimenticarsi aggredita da decenni dal sistema politico-finanziario-mafioso e con tatto di guerra (con tanto di morti ammazzati) in corso da qualche anno per il riassetto degli equilibri criminali in città. Roma, guidata da un sindaco che ha alzato la voce contro il segretario del Pd e premier sul decreto “salva Roma” e che ha dovuto subire, per riuscire a trovare una via per non precipitare nel default, una ricetta amara, anzi amarissima, di dismissioni e di “commissariamenti di fatto” che toglieranno alla città e ai cittadini il pur minimo controllo sulle scelte del loro patrimonio e in particolare della liquidazione dei beni confiscati alle mafie (un terzo proprio nella capitale).

Partendo dal fatto che io non credo alle coincidenze, questo elenco di fatti mi lascia come minimo perplesso. Come le richieste del Pd (e non del governo) a Marino che sembrano un dictat di fonadamentalisti delle liberalizzazioni (senza privatizzazioni) dei beni comuni. Lo potete leggere qui .
Sono io che sto diventando paranoico o questa sembra una ben orchestrata operazione di marketing (politica e economica) e la liquidazione della parte relativa nella legge La Torre al riuso sociale dei beni sottratti alle organizzazioni mafiose? Sono io che sono paranoico o il punto relativo a “i manager” della letterina del premier prevede la liquidazione del controllo pubblico sulle scelte amministrative della città? Sono io paranoico o, per come è formulato, il tanto sbandierato provvedimento sull’autoriclaggio è completa, totale fuffa? E ancora, sono io paranoico o la linea del Pd che vuole imporre a Marino la cessione di quote del trasporto pubblico a FS (che hanno di fatto liquidato il sistema di trasporto pubblico su ferro nel nostro paese puntando solo all’alta velocità) e alla francese Ratp è la svendita di una società già provata da parentopoli e sprechi e affari loschi negli ultimi anni? Sono io paranoico quando mi torna in mente che uno dei patrimoni immobiliari (aree dismesse) nella capitale sono proprio in mano all’Atac?

La fragilità eroica di Roberto

Ci vuole coraggio nel non mostrarsi coraggiosi a tutti i costi. Soprattutto se sei cosciente che ogni parola verrà usata contro di te per l’eterno gioco delle fazioni e del mascariamento che prende piede nell’antimafia alla stessa velocità e con le stesse modalità che nella mafia. Ora immagino già le battute sulle pillole o sull’esibizionismo a tutti i costi e sento già chi ci dirà che è l’ultima trovata per vendere il suo libro che “non è andato benissimo”.

Io stesso ho criticato l’eroismo artificiale che Mondadori aveva voluto costruire intorno a Roberto e che finiva per schiacciare la letteratura, i fatti e soprattutto un mondo di sofferenze che di eroico possono avere la facciata ma non la faccia, segnate come sono da uno Stato disattento che spesso non riesce a proteggere la dignità oltre che la sicurezza (penso ai testimoni di giustizia, ad esempio, o gli amministratori che non vengono nemmeno ricevuti in Prefettura).

L’intervista di oggi di Roberto Saviano è una delle pagine sue più coraggiose perché invece apre il cuore senza remore, senza artifizi e senza avere riordinato nemmeno la stanza. Ci vuole coraggio a rendere pubbliche le proprie fragilità senza arrendersi. Tanto. E beati quelli che per anaffettività riescono a tenere il personaggio. Ma che brutte persone, dietro al personaggio.