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Un regalo (se vi piace): leggo il secondo capitolo

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Come promesso, ‘Mio padre in una scatola da scarpe’ diventa podcast con la lettura a voce alta. Ha qualcosa di magico, la lettura di un libro, perché mi tiene in bilico tra i miei diversi lavori, tra la scrittura e il palco, e per questo ci tengo moltissimo. Quindi pian piano aggiungeremo tutti i capitoli, un cammino svolto insieme, una compagnia prima di dormire. Eccoci al secondo, “le botte in piazza”, che rientra personalmente tra i miei preferiti.
Il podcast è anche facilmente scaricabile da iTunes qui (oppure abbonarvi via mail qui). Ma tra qualche giorno vi racconto anche come le portiamo sul palco. Restiamo in contatto. Buon ascolto.

Ma i 180 milioni di euro che la Lega ha preso (e speso indebitamente) da Roma ladrona?

(Un pezzo di Francesco Giurato e Antonio Pitoni per Il Fatto Quotidiano)

Dalla Lega Lombarda alla Lega Nord, transitando dalla prima alla seconda repubblica a suon di miliardi (di lire) prima e milioni (di euro) poi generosamente elargiti dallo Stato. Dal 1988 al 2013sono finiti nelle casse del partito fondato da Umberto Bossi e oggi guidato da Matteo Salvini, dopo la parentesi di Roberto Maroni, 179 milioni 961 mila. L’equivalente di 348 miliardi 453 milioni 826 mila lire. Una cuccagna, sotto forma di finanziamento pubblico e rimborsi elettorali, durata oltre un quarto di secolo. Ma nonostante l’ingente flusso di denaro versato nei conti della Lega oggi il piatto piange. Ne sanno qualcosa i 71 dipendenti messi solo qualche mese fa gentilmente alla porta dal Carroccio. Sorte condivisa anche dai giornalisti de “La Padania”, storico organo ufficiale del partito, che ha chiuso i battenti a novembre dell’anno scorso non prima, però, di aver incassato oltre 60 milioni di euro in 17 anni. Insomma, almeno per ora, la crisi la pagano soprattutto i dipendenti. In attesa che la magistratura faccia piena luce anche su altre responsabilità. A cominciare da quelle relative allo scandalo della distrazione dei rimborsi elettorali, che l’ex amministratore della Lega Francesco Belsito avrebbe utilizzato in parte per acquistare diamanti, finanziare investimenti tra Cipro e la Tanzania  e per comprare, secondo l’accusa, perfino una laurea in Albania al figlio prediletto del Senatùr, Renzo Bossi, detto il Trota. Vicenda sulla quale pendono due procedimenti penali, uno a Milano e l’altro a Genova.

MANNA LOMBARDA Fondata nel 1982 da Umberto Bossi, è alle politiche del 1987 che la Lega Lombarda, precursore della Lega Nord, conquista i primi due seggi in Parlamento. E nel 1988, anno per altro di elezioni amministrative, inizia a beneficiare del finanziamento pubblico: 128 milioni di lire (66 mila euro). Un inizio soft prima del balzo oltre la soglia del miliardo già nel 1989, quando riesce a spedire anche due eurodeputati a Strasburgo: 1,03 miliardi del vecchio conio (536 mila euro) di cui 906 milioni proprio come rimborso per le spese elettorali sostenute per le elezioni europee. Somma che sale a 1,8 miliardi lire (962 mila euro) nel 1990, per poi scendere a 162 milioni (83 mila euro) nel 1991 alla vigilia di Mani Pulite. Nel 1992 la Lega Lombarda, diventata proprio in quell’anno Lega Nord, piazza in Parlamento una pattuglia di 55 deputati e 25 senatori. E il finanziamento pubblico lievita a 2,7 miliardi di lire (1,4 milioni di euro) prima di schizzare, l’anno successivo, a 7,1 miliardi (3,7 milioni di euro). Siamo nel 1993: sulla scia degli scandali di tangentopoli, con un referendum plebiscitario (il 90,3% dei consensi) gli italiani abrogano il finanziamento pubblico ai partiti. Che si adoperano immediatamente per aggirare il verdetto popolare, introducendo il nuovo meccanismo del fondo per le spese elettorale (1.600 lire per ogni cittadino italiano) da spartirsi in base ai voti ottenuti. Un sistema che resterà in vigore fino al 1997 e che consentirà alla Lega di incassare 11,8 miliardi di lire (6,1 milioni di euro) nel 1994, anno di elezioni politiche che fruttano al Carroccio, grazie all’alleanza con Forza Italia, una pattuglia parlamentare di 117 deputati e 60 senatori. Nel 1995 entrano in cassa 3,7 miliardi (1,9 milioni di euro) e altri 10 miliardi (5,2 milioni di euro) nel 1996.

RIMBORSI D’ORO L’anno successivo, nuovo maquillage per il sistema di calcolo dei finanziamenti elettorali. Arriva «la contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici», che lascia ai contribuenti la possibilità di destinare il 4 per mille dell’Irpef(Imposta sul reddito delle persone fisiche) al finanziamento di partiti e movimenti politici fino ad un massimo di 110 miliardi di lire (56,8 milioni di euro). Non solo, per il 1997, una norma transitoria ingrossa forfetariamente a 160 miliardi di lire (82,6 milioni di euro) la torta per l’anno in corso. E, proprio per il ’97, per la Lega arrivano 14,8 miliardi di lire (7,6 milioni di euro) che scendono però a 10,6 (5,5 milioni di euro) iscritti a bilancio nel 1998. Un campanello d’allarme che suggerisce ai partiti l’ennesimoblitz normativo che, puntualmente, arriva nel 1999: via il 4 per mille, arrivano i rimborsi elettorali (che entreranno in vigore dal 2001). In pratica, il totale ripristino del vecchio finanziamento pubblico abolito dal referendum del 1993 sotto mentite spoglie: contributo fisso di 4.000 lire per abitante e ben 5 diversi fondi (per le elezioni della Camera, del Senato, del Parlamento Europeo, dei Consigli regionali, e per i referendum) ai quali i partiti potranno attingere. Con un paletto: l’erogazione si interrompe in caso di fine anticipata della legislatura.

ELEZIONI, CHE CUCCAGNA Intanto, sempre nel 1999, per la Lega arriva un assegno da 7,6 miliardi di lire (3,9 milioni di euro), cui se ne aggiungono altri due da 8,7 miliardi (4,5 milioni di euro) nel 2000 e nel 2001. E’ l’ultimo anno della lira che, dal 2002, lascia il posto all’euro. E, come per effetto dell’inflazione, il contributo pubblico si adegua alla nuova valuta: da 4.000 lire a 5 euro, un euro per ogni voto ottenuto per ogni anno di legislatura, da corrispondere in 5 rate annuali. E per la Lega, tornata di nuovo al governo nel 2001, è un’escalation senza sosta: 3,6 milioni di euro nel 2002, 4,2 nel 2003, 6,5 nel 2004 e 8,9 nel 2005. Una corsa che non si arresta nemmeno nel 2006, quando il centrodestra viene battuto alle politiche per la seconda volta dal centrosinistra guidato da Romano Prodi: nonostante la sconfitta, il Carroccio incassa 9,5 milioni e altri 9,6 nel 2007. Niente a confronto della cuccagna che inizierà nel 2008, quando nelle casse delle camicie verdi finiscono la bellezza di 17,1 milioni di euro.

CARROCCIO AL VERDE E’ l’effetto moltiplicatore di un decreto voluto dal governo Berlusconi in base al quale l’erogazione dei rimborsi elettorali è dovuta per tutti i 5 anni di legislatura, anche in caso discioglimento anticipato delle Camere. Proprio a partire dal 2008, quindi, i partiti iniziano a percepire un doppio rimborso, incassando contemporaneamente i ratei annuali della XV e della XVI legislatura. Nel 2009 il partito di Bossi sale così a 18,4 milioni per toccare il record storico con i 22,5 milioni del 2010. Anno in cui, sempre il governo Berlusconi, abrogherà il precedente decreto ponendo fine allo scandalo del doppio rimborso. E anche i conti della Lega ne risentiranno: 17,6 milioni nel 2011. La cuccagna finisce nel 2012 quando il governo Monti taglia il fondo per i rimborsi elettorali del 50%. Poi la spallata finale inferta dall’esecutivo di Enrico Letta che fissa al 2017 l’ultimo anno di erogazione dei rimborsi elettorali prima della definitiva scomparsa. Per il Carroccio c’è ancora tempo per incassare 8,8 milioni nel 2012 e 6,5 nel 2013. Mentre “La Padania” chiude i battenti e i dipendenti finiscono in cassa integrazione.

FINANZIAMENTI E RIMBORSI ELETTORALI ALLA LEGA NORD

(1988-2013)

1988 € 66.249,25 (128.276.429 lire)
1989 € 536.646,25 (1.039.092.041 lire)
1990 € 962.919,55 (1.864.472.246 lire)
1991 € 83.903,87 (162.460.547 lire)
1992 € 1.416.991,83 (2.743.678.776 lire)
1993 € 3.707.939,87 (7.179.572.723 lire)
1994 € 6.125.180,49 (11.860.003.225 lire)
1995 € 1.915.697,39 (3.709.307.393 lire)
1996 € 5.207.659,00 (10.083.433.932 lire)
1997 € 7.648.834,36 (14.810.208.519 lire)
1998 € 5.518.448,11 (10.685.205.533 lire)
1999 € 3.947.619,62 (7.643.657.442 lire)
2000 € 4.539.118,41 (8.788.958.807 lire)
2001 € 4.511.422,19 (8.735.332.610)
2002 € 3.693.849,60
2003 € 4.284.061,62
2004 € 6.515.891,41
2005 € 8.918.628,37
2006 € 9.533.054,95
2007 € 9.605.470,43
2008 € 17.184.833,91
2009 € 18.498.092,86
2010 € 22.506.486.93
2011 € 17.613.520,09
2012 € 8.884.218,85
2013 € 6.534.643,57

TOTALE 179.961.382,78

Una bella osservazione sulla scempiaggine di Franceschini

“Faremo la Biblioteca Nazionale dell’Inedito. Un luogo dove raccogliere e conservare per sempre romanzi e racconti di italiani mai pubblicati”

Quando il Ministro Franceschini ha twittato così ieri ho pensato che fosse un’uscita senza senso, vuoi per i pochi caratteri che il social ci lascia a disposizione o vuoi per una sintesi frettolosa di un progetto veramente più vasto e più spesso. E invece no.

E siccome il web è pieno di opinioni (spesso troppe e troppo sparse) non ne aggiungo ma vi ripropongo lo scritto di Christian Raimo qui.

Comitato di Liberazione delle Parole

Mi auguro che davvero si formi quanto prima un Comitato di Liberazione delle Parole che sia un osservatorio attento di un giornalismo che categorizza in base alle etnie (spesso con notizie che si rivelano false nel giro di qualche ora) e che sta infilandosi nei discorsi in famiglia, per le strade e negli uffici. Io pretendo di essere razzista coi razzisti. Perché questi non sono semplicemente razzisti ma si stanno involvendo in antiantirazzisti.

razz-etni

(PS Siamo in dirittura d’arrivo del nostro crowdfunding per il mio prossimo spettacolo e libro. Se volete darci una mano potete farlo qui. E passatene parola. Se potete e se volete. Grazie.)

Tutto quello che sai sugli zingari è falso

In un dibattito surreale che arrichisce solo i voti dell’odio i Radicali di Roma e l’associazione èpossibile hanno preparato un documento che vale la pena leggere. Lo trovate qui.

Da custodire la conclusione:

Schermata del 2015-05-19 14:49:51(PS Siamo in dirittura d’arrivo del nostro crowdfunding per il mio prossimo spettacolo e libro. Se volete darci una mano potete farlo qui. E passatene parola. Se potete e se volete. Grazie.)

Mafia Capitale: ecco a cosa serve il razzismo contro i rom

romVoi paghereste seicento euro al mese per vivere in uno stanzone affollato e senza finestre? Sicuramente no. Eppure questa è la cifra che il Campidoglio versa all’ente gestore della “Best House Rom” per ciascun rom ospitato nel centro di accoglienza di via Visso.

Ciò significa che per una famiglia di sei persone le casse pubbliche spendono 3600 euro: il costo di un affitto in una casa di lusso nel centro di Roma. Lo scandalo, uno dei tanti consumati sulla pelle dei cosiddetti “zingari”, è stato denunciato dal consigliere comunale radicale Riccardo Magi nelle ore immediatamente precedenti alla retata che ha portato all’arresto di 37 persone per l’inchiesta “Mondo di mezzo”.

Tra gli arrestati figura Emanuela Salvatori, responsabile dell’ufficio rom del Campidoglio e coordinatrice dell’attuazione del “Piano rom e interventi di inclusione sociale”.

Un altro degli arrestati è Salvatore Buzzi, ramo Lega Coop, che nelle intercettazioni dice: “Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico de droga rende meno”

Nel business “immigrati” rientrano anche i settemila rom che vivono nei campi attrezzati di Roma. Si tratta degli stessi rom contro i quali manifestano Casapound e le destre romane per capitalizzare voti. Un doppio sfruttamento altamente redditizio: i rom fruttano soldi alla destra e alla sinistra grazie agli appalti delle cooperative che gestiscono i campi, e fruttano voti – specialmente alla destra – perché ripetere che gli zingari sono “culturalmente” ladri (lo ha sottolineato Ignazio La Russa) è sempre un ottimo argomento per scaricare sugli intoccabili la responsabilità di una mala gestione amministrativa.

È vero, gli uomini di Maurizio Carminati – il capo della banda di fascio-mafiosi, ex appartenente alla banda della Magliana – hanno mangiato abbondantemente sull’emergenza profughi e sull’accoglienza dei migranti a Roma, e non soltanto sui rom. Tuttavia sono i rom a essere prigionieri – letteralmente – del sistema che impedisce loro di uscire dai campi e prigionieri di un razzismo che non trova corrispondenze in nessuna etnia.

Che i rom vogliano vivere nei ghetti, all’interno delle baracche, è per esempio una delle tante favole che la politica racconta ai cittadini per dimostrare che i campi nomadi fanno parte della cultura zingara. Non è vero, e lo dimostra il fatto che l’Unione europea è pronta a multare l’Italia proprio perché non sta smantellando i campi attrezzati.

L’inchiesta della Procura di Roma sulla Mafia Capitale sta svelando quello che da tempo associazioni come la 21 luglio denuncia da anni, e cioè che dietro questa falsa necessità dei campi rom si nasconda una speculazione tutta italiana e tutta mafiosa sulla pelle dei settemila rom censiti nella Capitale: siccome questi ghetti pestilenziali hanno bisogno – dice la politica – di sorveglianza continua e persone che si occupino dell’integrazione, allora ecco gli appalti per i vigilantes, gli scuolabus appositi per i rom e così via.

Ma quanto spende il Campidoglio per sole settemila persone, in maggioranza bambini? 42 milioni in tre anni “e non sappiamo dove siano finiti questi soldi”, diceva un funzionario del Comune all’Huffington Post durante una visita del campo di via Gordiani, dove le famiglie vivono in prefabbricati cadenti con i bagni rotti. Di quella cifra, 32 milioni erano arrivati grazie al Piano Nomadi di Gianni Alemanno.

Sempre durante la giunta Alemanno, era stata approvata una norma che nell’applicazione pratica impediva ai rom – molti dei quali italiani – di accedere alle graduatorie delle case popolari. Di questa ennesima misura discriminatoria si era occupato persino il quotidiano britannico “The Guardian”. Anche questo serviva a perpetuare l’esistenza dei campi nomadi, con un duplice scopo: raccontare alla cittadinanza che in fondo gli “zingari” non vogliono vivere come tutti gli altri, e continuare il business degli appalti intorno ai rom.

L’inchiesta che sembra smantellare la cupola fascio-mafiosa – ma c’è di mezzo un pezzo della sinistra – potrebbe servire finalmente a decostruire tutte le menzogne razziste che tutta la politica, in maniera davvero bipartisan, ha utilizzato per dipingere i rom come aggressori, criminali e ladri di bambini. Un racconto che ha fatto breccia anche nelle anime più progressiste.

(fonte)

Quelli che si amano li riconosci

Quelli che si amano li riconosci perché poi in fondo in fondo non hanno voglia di chiarire tutto; mica come gli altri. Stanno ore guardandosi in faccia senza una domanda e nemmeno una risposta temendo solo la fine del momento. Potrebbe piovere, urlare, cadere, franare, esplodere o liquefarsi il mondo: stanno lì, nemmeno la voglia o il tempo di controllare l’orario del treno.

Poi uno dei due, uno qualsiasi, semplicemente chi ci ha pensato per primo, rompe con permesso l’incantesimo con gli occhi che chiedono scusa e tutti e due sono d’accordo di svegliarsi mettendosi d’accordo di non svegliarsi mai.

Con rispetto per Scampia

Qualche tempo fa, mentre ero ospite di una trasmissione televisiva, ricordo di avere raccolto una bella sporta di insulti da esponenti leghisti e qualche rimbrotto piddino per una mia frase: “Milano in alcune sue zone è come Scampia”. Se non ricordo male il tema della puntata era proprio la rappresentazione televisiva di quel territorio campano diventato metafora di un certo agire criminale. Con il tempo mi sono pentito di quella frase effettivamente non tanto per Milano (che mi disgusta quando si ingegna per apparire compita) quanto per Scampia che non merita di diventare termine assoluto di paragone ad uso di una situazione milanese molto più complessa e per molti versi peggiore. Ieri su Il Fatto Quotidiano Davide Milosa, giornalista puntuale poiché sganciato dall’orrido bon ton lombardo sui temi mafiosi, ha scritto un articolo che riporta con precisione la situazione criminale di alcuni quartieri milanesi in un articolo dal titolo “Milano come Scampia: mafie, racket e droga nelle case popolari” e mi ha riportato all’episodio della mia ospitata televisiva. Forse davvero dovremmo trovare linguaggi nuovi per esprimere l’allarme di un territorio che comunque ospita tra le proprie pieghe episodi che vengono colti con la solita insopportabile insufficienza. Almeno per rispetto per Scampia. Basta leggere il pezzo di Davide per rendersene conto:

Maglietta nera, jeans, capelli rasati sui lati. Guarda. È insistente. Un pit bull gli pascola attorno. Dice: “Cerchi qualcuno?”. Risposta abbozzata: “Sì, anzi no, facevo un giro”. Oltre a lui adesso sono in sei, cinque ragazzi e una ragazza. Tutti italiani. Altri passeggiano sul grande spiazzo di cemento chiuso tra quattro palazzi di sette piani. Questo è territorio off limits. “Tra noi qualcuno è di troppo”, dice lei. Ride ma mica tanto. Meglio andare. Camminata rapida verso il cancello bianco che ti sputa sullo stradone di traffico. Il passo accompagnato dai bassi di un stereo che manda ritmi tecno dalla finestra.

Benvenuti a Milano nel fortino tra viale Sarca e viale Fulvio Testi, periferia nord della città. Case popolari. Gestione Aler in capo alla Regione che fu di Roberto Formigoni e che ora è di Bobo Maroni. Impronta leghista, ma identico risultato. E mentre la politica apparecchia il banchetto dell’Expo, Milano assiste alla frantumazione del suo tessuto sociale. Perché quello degli appartamenti gestiti dall’Azienda lombarda per l’edilizia residenziale è un fronte che monta ogni giorno. Con la cronaca che accatasta violenze, occupazioni abusive, voti comprati.

Dal Giambellino al Gallaratese, Aler si mostra impotente. L’azienda regionale, travolta dagli scandali, da sempre poltronificio per i partiti, in perenne rosso, controlla 72 mila alloggi. A Milano ha edificato 170 quartieri dove vivono 350 mila persone. Dal 1° dicembre, però, 28 mila alloggi torneranno sotto la gestione del Comune. “Ce ne assumiamo la responsabilità”, promette il sindaco Giuliano Pisapia. “Siamo pronti a vincere la sfida”.

Viale Sarca, comandano i clan e il voto costa 50 euro
“Il quartiere Sarca-Testi è il centro di tutto”, racconta un ex funzionario dell’Aler cacciato dall’amministrazione dopo che per qualche anno ha vigilato sui palazzoni, denunciando gli opachi rapporti tra i dirigenti pubblici e alcuni pregiudicati. Anche per questo si è fatto ben volere soprattutto dagli anziani. Non la pensa così l’azienda che gli ha fatto il vuoto attorno. “Qui rom e calabresi controllano tutto, dal racket allo spaccio”. Famiglie ben conosciute e con un pedigree criminale di tutto rispetto. Alcune di loro sono finite sotto la lente dell’antimafia.

“Qui anche i motorini dei postini vengono fatti a pezzi”, dice l’ex funzionario, “non succede la stessa cosa invece per certe fuoriserie”. In Sarca-Testi ci passa di tutto. “Anche gente di camorra legata al clan Gionta”. In questi palazzoni, poi, la politica viene spesso. “Nel 2010”, ricorda l’ex funzionario che chiede l’anonimato per timore di ritorsioni, “qui fece campagna elettorale un noto politico lombardo che entrò nella giunta Formigoni”. Non fa il nome, ma spiega: “Un voto vale 50 euro. Nel periodo pre-elettorale arrivano macchinoni e gente in giacca e cravatta. Gli accordi si prendono con i boss del clan Porcino e del clan Hudorovich. La mazzetta viene lasciata a una sola persona che ha poi l’incarico di distribuire il denaro ai vari inquilini”.

E se da un lato in questa enclave della mala politica incassa preferenze, dall’altro, funzionari Alervengono ricattati. “Qui si spaccia di giorno e di notte, e in certi casi i pusher hanno ripreso con i telefonini funzionari e impiegati dell’azienda mentre acquistano la droga, video che poi hanno utilizzato per ricattarli”. Come? “Per esempio per ottenere un cambio alloggio in tempi rapidissimi”. Il controllo del territorio è totale. “A tal punto”, spiega l’ex funzionario, “che nel 2010 qui trovò riparo un latitante, i carabinieri lo hanno cercato per settimane”. Quartieri sull’orlo di una crisi di nervi, e palazzi abbandonati. Anche questa è Aler.

E così da viale Sarca ci si sposta al civico 60 di via Adriano verso Crescenzago. Qui, qualche giorno fa, un marocchino di 30 anni, con precedenti per droga, è stato ammazzato. Lo hanno trovato su una montagnetta di rifiuti con la testa rotta. Precipitato dopo una rissa.

Guerra al Giambellino rom contro italiani
Abitava al terzo piano di uno stabile abbandonato. E come lui tanti altri disperati, gente che viene dal Nordafrica e dall’est Europa. Stabile Aler che, nei piani, doveva diventare una scuola. A testimoniarlo un cartello affisso al cancello. Si legge che “l’insegnante della prima ora deve fare l’appello e controllare le giustificazioni”. La data: 2008. Poi solo il degrado. Che si calpesta oggi metro dopo metro facendosi largo tra le erbacce e le montagne di immondizia. Ci sono finestre rotte, porte divelte e su per le scale si intravedono ombre. Dopo la morte del ragazzo nessuno parla. Si chiamava Moustafa.

Ma Aler oggi è anche corpo a corpo e lotta per la sopravvivenza. Una guerra tra poveri che infiamma il Giambellino. Succede tutto la notte del 1 ottobre scorso, quando al civico 58 arriva un camioncino. Quattro uomini entrano nel palazzo. Martellano, sfondano, occupano. Ci piazzano una ragazza con tre bimbi. I carabinieri arrivano ma non la cacciano. Il giorno dopo, in pieno pomeriggio, un gruppo di rom si presenta con sedie, tavoli, materassi. È la miccia che scatena la rivolta. “Arrivano gli zingari”, si sente urlare. La gente scende in cortile. Gli italiani fanno muro. Partono gli insulti. Si sfiora la rissa. Arrivano i carabinieri e i rom se ne vanno. “Qui non li vogliamo”.

Che fanno gli zingari? Si spostano di un chilometro verso via Odazio e piazza Tirana. Con donne, bambini e auto di lusso parcheggiate davanti al civico 4 di via Segneri. Sfilano davanti a una signora italiana con cagnolino al guinzaglio. Lei si sposta, loro tirano dritto, entrano nel cancello e scompaiono. “Ormai”, inizia la signora Rosa, “la piazza è roba loro”. Si avvicina un’altra donna. “Mi chiamo Carla e abito qua da 15 anni. Ogni giorno c’è un’aggressione, i furti sono aumentati, e poi ci sono le baby gang: ragazzi tra gli 11 e i 18 anni che fanno rapine ai passanti”.

Al Gallaratese le auto vanno a fuoco
In via Segneri la gente ha paura di protestare. Un dato comune anche in via Bolla 42, quartiere Gallaratese. Qui in una sola settimana la mafia del racket ha dato fuoco a tre macchine. Incendidolosi, non hanno dubbi gli investigatori. Ne sono certi gli inquilini che da anni protestano. Il ragionamento è questo: ora ti brucio la macchina e ti va bene così, la prossima volta, però, tocca alla tua famiglia. Da queste parti governano clan calabresi che non sfondano le porte ma i muri. “È più semplice”, dicono.

Dopodiché chi protesta, prima di essere minacciato, viene pagato. Dai 50 ai 100 euro. Tutto denaro che poi sarà recuperato con gli affitti abusivi. Succede in via Bolla come in via Asturie, non lontano da viale Sarca, dove il listino prezzi arriva fino a 3 mila euro per un appartamento di tre locali. Si occupa ovunque e Aler non pare in grado di bloccare quest’emergenza. Tanto che rispetto a cinque anni fa, gli sgomberi in flagranza sono calati del 60 per cento. In tutto questo succede anche che sulla giostra delle case popolari salgano abusivi e sbirri. Capita nei due palazzoni Aler di via San Dionigi 42 al confine con il quartiere Corvetto. Le occupazioni sono aumentate dopo la chiusura delcampo nomadi dietro via San Dionigi. La presenza di poliziotti, però, non è un deterrente. Gli abusivi non si fermano e occupano non solo gli appartamenti sfitti, ma anche quelli lasciati vuoti magari da un anziano che per qualche giorno si è ricoverato in ospedale. Il Comune di Milano, però, promette: “Sarà guerra agli abusivi e al racket”.

Da Il Fatto Quotidiano dell’8 ottobre 2014