Vai al contenuto

ROMA

Sì, lo voglio

Lui avrà avuto forse trent’anni, quasi quaranta, sicuramente non più di quarantacinque. Portati male, comunque. Di troppo o troppo poco.

Stavano a Roma in un ristorante troppo imbucato per non essere scientificamente un ristorante costruito apposta con quella forma lì per inghiottirsi tutti i viaggiatori con una predisposizione all’imbuco. Tavolini fuori, sì, ma con siepi altissime, come un cubo di edera. Camerieri riservati da sembrare timidi da almeno un paio di secoli. Nessun orario di apertura o chiusura: se apri un ristorante così introvabile soffri l’orario dei mondi paralleli, degli alieni per salvarsi, dei non-luoghi senza bisogno di aerei o centri commerciali. Insomma un ristorante che esiste solo se si incrociano perfettamente gli appuntamenti: luogo, ora, imprevisti e tutto quel cumulo delle probabilità.

Lei deve essere stata accondiscendente tutto il pranzo. Lo scalino più irto era stata la scelta del vino. Cosa da poco. Hanno finto di metterci la testa per quell’abitudine alle complicazioni come una malattia.

Poi lei deve avere fatto una di quelle domande definitive. Perché lui si è guardato in giro. Per sbaglio ha incrociato anche uno dei riservatissimi camerieri dalla riservatissima postura. Che per poco non ha rischiato il lavoro per quell’errore di mira di sguardi.

Poi si è bloccato. Ha pagato il conto come se dovesse morire ogni secondo e lasciare le cose a posto. Lei ha sorriso prima. Poi si è indispettita. E alla fine si è alzata mentre il rumore di elettrocardiogramma sputava lo scontrino. Dietro l’angolo della strada si sono incrociati di nuovo. Ciechi a tutti. Un sciogliersi di ombre a forma di macchia sul marciapiede per quel sole così matematicamente verticale.

Sono giovani, mi ha detto un carabiniere. Non hanno ancora imparato a non pensare al domani. Un ‘sì, lo voglio’ come il rosario prima di andare a dormire.

Appello per Cinecittà

Inoltro con preoccupazione l’appello che mi hanno inviato i lavoratori degli studi di Cinecittà. Gli ingredienti poi sono sempre gli stessi. Sarebbe un film di scontata e pessima qualità:

I lavoratori di Cinecittà chiedono a tutti i cittadini di questo paese di levare con forza la loro voce contro chi vuole distruggere i famosi stabilimenti cinematografici, vanto e orgoglio dell’Italia.

Abete e soci, per rilanciare il cinema, vogliono seppellire Cinecittà sotto una colata di cemento: un albergo di 200 stanze, 6000 parcheggi, piscina, ristoranti, sale fitness, in sfregio alla mission e ad ogni forma di cultura.

Per realizzare tutto questo progettano di affittare, vendere e licenziare i lavoratori.

Se va in porto questo disegno sparirà per sempre un mondo, la capacità di decine di migliaia di artigiani, che grande hanno fatto la storia del cinema, andrebbe persa per sempre.

Cinecittà rimarrebbe soltanto un sogno del passato e l’Italia sarebbe derubata di uno dei suoi simboli più magici.

Rsu di Cinecitta

Roma: un morto per una rata e l’inondazione

E’ arrivata la rata in scadenza da pagare, quello della mala urbanistica degli ultimi 20 anni. L’ha pagata l’Infernetto, un quartiere residenziale di 1.000 ettari della Capitale d’Italia, con la morte in un seminterrato di un giovane uomo di 32 anni (pare che sia importante dire che era cingalese). Lascia la moglie con una bimba di 3 mesi. Dopo due giorni lavorano ancora le pompe per togliere i 3 metri d’acqua, fango e liquami dai seminterrati di villini tutti uguali, comprati con sacrifici e mutui pesanti.  Una rata in scadenza del lontano (e mai risolto), contratto tra la classe politica romana e i costruttori, che consentiva di costruire praticamente ovunque, anche in zone a rischio idrogeologico, come l’Infernetto, dove le norme su carta stabiliscono che su tre piani una famiglia media di quatto persone abiti in 25 mq (!), così di contenere il carico antropico. Tutto nella legalità perché riportato sulle pubblicità delle riviste patinate della agenzie immobiliari, controllato dagli uffici tecnici, validato dagli studi notarili, ignorato dalla polizia municipale e per ultimo consentito implicitamente dal Comune di Roma. Villini tutti uguali costituiti da seminterrato, piano terra e mansarda, venduti dai costruttori con i bagni nei seminterrati, dove ogni metro calpestabile, a prescindere dall’abitabilità, costa dai 3.000 ai 3.500 euro al mq. Dal notaio si dichiara solo una parte del prezzo, convenendo a nero la restante e con 500 euro gli uffici tecnici rilasciano l’abitabilità. Da leggere l’analisi dell’alluvione romano di Paola de Jesus. E chiedersi perché in Italia non sia possibile che la linea urbanistica sia un punto chiaro dei progetti politici.

Indignati. Le domande giuste.

Perché ci tocca star sempre qui a comentare la stessa storia? Perché non si riesce MAI a evitare che succeda tutto questo? Perché in altre 850 città del mondo, di cui molte italiane (Milano inclusa) si riesce a manifestare pacificamente ed a Roma no? Non basta condannare i violenti, bisogna evitare, prevenire… se vai in manifestazione con una spranga le tue intenzioni sono chiare anche prima che tu inizi ad usarla. Alemanna sapeva da giorni che ci sarebbero stati incidenti, perché non bloccare i gruppi organizzati? Perché non intercettare i siti e le email per sapere dove si sarebbero radunati per evitare concentrazioni, bloccarli finché erano isolati e prevenire la loro fusione col corteo? Sono sempre gli stessi, possibile che da Roma ci siano stati solo 12 arresti?!? DODICI??? Non ci credo che non siano riusciti ad isolarne e arrestarne molti di più! Dice bene il ducaIl Parroco della Cattedrale di Londra ha benedetto i manifestanti perché è giusto quel che fanno, d’altronde Gesù sta dalla parte dei poveri, non dei banchieri. In Italia, è solo Draghi a dire che le ragioni della protesta (quella pacifica intendo) erano condivisibili, il parroco di San Pietro?

Radicali liberi

Sono d’accordo con Massimo sulla sfacciata passeggiata di Pannella tra il corteo di Roma. “È molto evidente l’intento provocatorio dell’anziano politico, un misto di sfacciataggine, non violenza, pelo sullo stomaco ed aterosclerosi. Poi immediatamente dopo mi colpisce la violenza e la mancanza di freni inibitori dei suoi contendenti che fa disperare sul futuro di questo paese: che per sputare in faccia di un uomo di 80 anni ce ne vuole”.

Il metodo Cossiga

“Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand’ero ministro dell’Interno. In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino di dodici anni rimanesse ucciso o gravemente ferito. Gli universitari invece lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri. Nel senso che le forze dell’ordine dovrebbero massacrare i manifestanti senza pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli a sangue e picchiare a sangue anche quei docenti che li fomentano. Soprattutto i docenti. Non quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì.” (F. Cossiga)

Lo spontaneismo è sempre controproducente

A vederlo assaltare un autoblindo, ti viene il sospetto che si tratti di un infiltrato. Solo quando è morto, e gli scopri il volto, t’accorgi che si trattava di un ragazzo. Anche un bravo ragazzo, a detta di sua madre e dei suoi amici. Dovresti sentirti un verme: come hai potuto sospettare che si trattasse di un agente mandato in piazza a creare disordini? Devi deciderti: o smetti di sospettare che una pacifica protesta possa degenerare in altro solo a causa di un piano ordito da chi vuole sabotarla, e allora con coerenza devi mandare a cagare la madre e gli amici del ragazzo morto, o con animo sereno e onesto accetti l’evidenza che nessuna protesta può essere tanto pacifica da dare piena assicurazione che resti tale. In altri termini: o metti in discussione le ragioni della protesta, quali che siano, o metti in discussione il dogma della nonviolenza. Malvino sui fatti di ieri.

Parassiti da corteo

La questione principale è un’altra. E’ la questione delle pratiche. Che devono essere condivise. Non si parassita un corteo che ha altri obiettivi e convocato con altre pratiche, non gli si impone la propria minoritaria presenza. Questa è la violenza peggiore. Imporre agli altri le proprie pratiche. Prendendo la testa in 300 di una manifestazione di 300mila persone e segnando il destino di quella manifestazione. E’ una questione di democrazia. Sommamente significativo che il grosso dei No Tav – i temibili valsusini! – li hanno contestati. In Val di Susa, per dire, nessuno era andato a dire che queste erano la pratiche della giornata. Eppure lassù sono abituati anche a certe pratiche conflittuali – solo, però (e si torna al primo punto), se sono sensate, “razionali rispetto allo scopo”. Marco Rovelli su Nazione Indiana.

La ciclicità banale della violenza

E’ un momento buio. Buio perché alla fine siamo ricascati in un metodo. E nel mentre si raccolgono le idee non posso che riprendere il post del bravo Tafanus (in uno stillicidio di marmaglia opinionistica) che mi ha colpito. E che colpisce. A voi le considerazioni:

Quando la storia di ripete – Da Genova 2001 a Roma 2011, qualcosa che non quadra

Scrivo questo post sotto la pressione dei fatti che sono accaduti e che stanno accadendo sotto i nostri occhi, e condizionato da Genova 2001. Lo scrivo anche condizionato da certe similitudini sconcertanti.
A Roma, come a Genova, una pacifica dimostrazione di massa di alcune decine di migliaia di persone, è stata sfregiata da alcune decine di delinquenti in maschera. Attesi. Riconoscibili. Nessuno dei quali alcune migliaia di poliziotti in assetto antiguerriglia, armati ed attrezzati di tutto punto, sono riusciti ad arrestare.

Peccato. Perchè a Genova, come a Milano, beccarne dieci avrebbe permesso di scoprire identità, provenienza, appartenenza politica ed organizzativa. Peccato, perchè a Genova, come a Roma, gli infiltrati erano previsti, attesi… Solo attesi, o anche invitati, e organizzati? Non lo sapremo mai, a Roma come a Genova, perchè nessuno di loro sarà preso.

Ho scritto questo post di getto, stimolato anche da una strana foto pubblicata da Repubblica. Inquietante, di difficile decifrazione… Mentre alcuni bastardi coperti dai soliti caschi integrali spaccano tranquillamente la porta in cristallo blindato della Carimi, un pacifico signore, a un metro e mezzo di distanza, è tranquillamente appoggiato con le spalle al muro della banca, indifferente a tutto. Ha una certa età, un po’ di pancetta, gli occhiali scuri che ne mascherano buona parte della faccia. Sembra non aver paura né dei black-blocs armati di picconi, né della polizia che potrebbe eventualmente arrivare, scambiarlo per “uno di loro”, massacrarlo a manganellate. Niente. E’ la statua della annoiata tranquillità. A coi ricorda qualcosa? A me di. A me ricorda lo stereotipo del celerino in borghese. Di quelli che ai miei tempi si infiltravano ed infiltravano.

Roma-carimi
Ai miei tempi? No. anche ai tempi dei ragazzi d’oggi. Luglio 2001. Qualcuno ricorda la storia di certe bottiglie molotov? No? Allora ecco un ripassino, ad uso degli smemorati. Niente ricerche complesse… basta andare sul più banale degli strumenti: Wikipedia:

“…nella relazione della Procura di Genova, con cui si chiedeva il rinvio a giudizio di 28 poliziotti per le violenze alla scuola Diaz, i magistrati affermano di aver scoperto la sparizione di alcuni filmati amatoriali sull’irruzione, spediti dalla polizia, senza autorizzazione da parte della magistratura, in Svizzera e in Germania per il riversamento su DVD, e di cui si sono poi perse le tracce (Nessuno, in Italia, avrebbe potuto riversare dei DVD????? Io lo faccio tutti i giorni. NdR)

Il 10 giugno 2002, il vicequestore aggiunto Pasquale Guaglione riconosce, tramite foto e riprese, le due molotov sequestrate ufficialmente nella scuola Diaz come quelle da lui stesso ritrovate in alcuni cespugli di una traversa di Corso Italia, al termine di una carica durante gli scontri del sabato, facendo sorgere i primi sospetti sulla provenienza delle molotov.

Successivamente il 4 luglio 2002 Michele Burgio, l’agente che guidava il mezzo in cui erano le bottiglie, affermò di aver avvertito il generale Valerio Donnini (che era sul mezzo di cui Burgio era autista) della presenza di queste e di aver chiesto se era opportuno portarle in questura, ricevendo però una risposta brusca (“lui si è rivolto a me in modo alterato, come se avessi fatto una domanda stupida o che comunque non dovevo fare”), e disse di aver ricevuto successivamente l’ordine dal vicequestore Pasquale Troiani di portare le molotov davanti alla Diaz. È stato inoltre ritrovato un video dell’emittente locale Primocanale (classificata col nome Blue Sky), che aveva seguito tutti i giorni della manifestazione, girato nel cortile della scuola durante l’irruzione, in cui si vedrebbero i responsabili delle forze dell’ordine che stavano guidando la perquisizione intenti a parlare tra loro al telefono, con in mano il pacchetto azzurro in cui erano contenute le molotov.

Il vicequestore Pasquale Troiani (che non ricopriva nessun ruolo durante l’operazione), si contraddisse durante i successivi interrogatori, affermando sia di aver ricevuto effettivamente le molotov fuori dalla scuola, da Burgio, sia che probabilmente era già stato avvertito della presenza delle bottiglie sul mezzo prima di arrivare alla Diaz e che forse ne aveva parlato con il vicequestore Di Bernardini. Ammise tuttavia di aver detto a quest’ultimo che “erano state trovate nel cortile o nell’immediatezza delle scale d’ingresso. Questa è stata la mia leggerezza, e me ne rendo conto”.

Spartaco Mortola, l’ex capo della Digos genovese (che stando a quanto riferito dai media è una dei superiori che compaiono nel filmato di Primocanale), sostenne invece che le molotov gli furono segnalate da due agenti del reparto mobile che le avevano trovate dentro la scuola, che con lui in quel momento erano due colleghi, forse La Barbera (morto l’anno successivo al G8) e Gratteri, e di aver visto al piano terra della scuola una cinquantina di manifestanti tranquilli e apparentemente senza lesioni o ferite.

Francesco Gratteri (presente, sempre secondo le notizie date dai media, nel succitato filmato) durante l’interrogatorio nell’ottobre 2003 sostenne, a proposito del finto accoltellamento: “…io penso che l’episodio dell’accoltellamento simulato sia stato determinato dal fatto che qualcuno ha esagerato… Che l’episodio dell’accoltellamento potesse in qualche maniera parare, giustificare, coprire l’eccesso di violenza usato…”. Aggiunse che non ricordava né quando furono consegnate le molotov, né se gli erano state indicate, e che aveva trovato anomala la presenza delle telecamere delle televisioni subito dopo il loro arrivo.

Giovanni Luperi, vice di La Barbera, affermò che il sacchetto delle molotov era passato di mano in mano tra gli ufficiali presenti, per rimanere infine a lui quando questi se ne erano andati mentre stava telefonando (stando alla sua testimonianza, lo consegnò alla dottoressa Mengoni della Digos di Firenze). Sulla presenza delle molotov una volta portate all’interno della scuola disse:

“Le ho viste, queste due bottiglie molotov, stese su uno striscione. Ritengo che fosse un qualche suggerimento ad uso stampa. Qualcuno aveva intenzione di far riprendere le immagini fotografiche del materiale sequestrato all’interno della Diaz.”

Basta così. Il capitolo dedicato a questa faccenda da Wikipedia è lungo ed esaustivo, e chiunque ne abbia voglia puo leggere il seguito  . al link relativo.Tutti però ricordano le conclusioni dell’inchiesta: le molotov erano state trovate altrove, nascoste in un cespuglio. Forse non dalle maestre d’asilo di Giustizia e Libertà, arrivate in autobus da Chivasso. Più probabilmente dai black-blocs, o da “altri”. Sono state portate alla Diaz – ha accertato la magistratura – per giustificare l’irruzione e la “macelleria cilena”.

Ecco perchè quella vetrina mi inquieta. Cioè, ad inquietarmi non è la vetrina, ma quel tranquillo signore con occhialoni e pancetta che aspetta, alquanto annoiato, il completamento dell’operazione. Chi sarà mai, quel signore così tranquillo ed indifferente? Tafanus