romanzo
La mia intervista a Radio24 sull’uscita del mio romanzo “Mio padre in una scatola da scarpe”
Giulio Cavalli è un attore e uno scrittore che combatte le mafie attraverso l’utilizzo della forma artistica e delle parole.
Vive sotto scorta da molti anni, ma tira dritto e non demorde.
E’ partito con uno spettacolo su Genova 2001 e la morte di Carlo Giuliani. Ha poi messo in scena la narrazione sulla strage all’aeroporto di Linate, ha raccontato storie di bambini comprati e sfruttati. Poi è passato alle mafie al Nord, al processo Andreotti.
Il suo prossimo spettacolo sarà su Marcello Dell’Utri.
Proprio in questi giorni pubblica “Mio padre in una scatola di scarpe”, un romanzo ispirato alla vera storia di Michele Landa.
Il mio romanzo avrei voluto scriverlo dieci anni fa
Ne parlavo giusto qualche giorno fa mentre stavamo rivedendo gli ultimi dettagli prima dell’uscita del mio romanzo (Mio padre in una scatola da scarpe, Rizzoli, esce il 17 settembre, mi raccomando): questo libro è quello che avrei dovuto scrivere dieci anni fa.
Sono nato teatrante ma poi i casi della vita mi hanno portato all’obbligo di difesa. Legittima difesa. Incessante legittima difesa perché un teatrante minacciato non è cosa, non si fa, non piace mica solo alla mafia ma anche e soprattutto a coloro che dell’investigazione ne dovrebbero fare un mestiere e invece si occupano di relazioni accondiscendenti per i propri superiori. Alla fine molto di quello che ho scritto e portato in scena in questi anni è servito più a difendermi piuttosto che raccontare. Fino a questi ultimi mesi.
Quando ho deciso che davvero non vale la pena spendersi per giustificazioni che sono orme leggere, passibili di qualsiasi lettura, mentre i critici per pregiudizio hanno la mano pesante e lo sguardo strettissimo. Non è propriamente voglia di piacere a tutti i costi, qualcosa di più destruens: cercare di abitare dentro lo spazio disegnato e arredato dagli altri. Ecco: ho passato gli ultimi dieci anni a mentre mi convincevano che avrei dovuto chiedere scusa. Per cosa, poi. Per l’etica calcolata che qualcuno non può permettersi di farsi sporcare.
Ho scritto un romanzo perché è il mio lavoro, quello che non ho mai avuto il tempo di fare. Raccontare l’ordinarietà di vite quotidiane che si ritrovano comunque, senza fari e senza microfoni sotto la bocca, ad avere l’occasione di essere giusti. Lasciare perdere gli eroi usati come soprammobili e scendere nell’umanità, quella di giorno e lavoro e sudore e contesto e salsa, andare lì dove c’è una poesia, un libro o uno spettacolo che è rimasto incastrato nei meccanismi quotidiani. Avrei voluto avere il coraggio di fottermene già dieci anni fa, raccontare le battaglie degli altri piuttosto che difendere la mia dagli stupidi, perché è lì la bellezza, tra le cose che scavalchiamo per noia e per disattenzione.
Sono in ritardo di dieci anni. Ma ci sono tutti i miei anni dentro.
“Lui si era sentito come il capobanda che dà il tempo della marcetta al resto del mondo”
“Rosalba Ida, sorrise come sorridono solo le femminepersempre e i palloncini colorati. Lui si era sentito come il capobanda che dà il tempo della marcetta al resto del mondo”.
(Mio padre in una scatola da scarpe, quando Michele incontra per la prima volta Rosalba, l’amore della sua vita. Esce il 17 settembre per Rizzoli in libreria)
Ci aveva anche provato, Michele
“…Ci aveva anche provato, Michele, a spiegare al Nonno che tra l’essere improvvido e omertoso c’è una linea che è fin troppo sottile (non aveva usato la parola omertoso, certo, altrimenti il Nonno sarebbe andato alle scintille) e gli aveva anche detto che non sapere è una soluzione e non concede opportunità, ma il Nonno non sentiva e non sente; bisogna essere responsabili verso le persone che si amano, dice, e così il discorso è chiuso”.
(tratto dal tredicesimo capitolo del libro Mio padre in una scatola da scarpe, che esce il 17 settembre)
E ho pensato che è una fortuna bellissima quella di imparare ancora.
Abituato per lavoro a scrivere inchieste, articoli e spettacoli (così profondamente giornalistici, del resto) quando mi sono messo a scrivere Mio padre in una scatola da scarpe ho vissuto la bellezza dello spaesamento di chi si ritrova di fronte a così tanto spazio. Una certa agorafobia tra la testa e le dita. Una cosa così.
Ma la differenza principale mai vissuta prima è il potersi dedicare alla parola giusta, anzi il doversi dedicare alla parola giusta come se quella pagina, quella frase o quel paragrafo debba per forza avere una parola che è quella parola lì. Come se non esistessero differenti opzioni.
Poi mi succede magari che mi avvicino, la rigiro ma so che il senso è quello ma non la parola, come se parola e senso fossero la mano destra e la sinistra di un tronco che deve stare in piedi, diritto, in equilibrio.
Quando studiavo teatro, ero giovane, premuroso per lo studio e il suo senso, quando facevamo gli esercizi da attori giovani, ci dicevano sempre, cioè cercavano di insegnarci, che l’equilibrio di tutti noi sul palco, per sentirlo e abitarlo bene, funzionava se ci immaginavamo che il palco fosse la zattera e tutti noi dovessimo tenere “in bilico” la zattera.
Ecco. Mentre scrivevo il libro, che si faceva scrivere, ho avuto la stessa sensazione, lo stesso strenuo tentativo di raggiungere l’equilibrio, come se le frasi fossimo noi, giovani, premurosi di abitare nel modo più professionale possibile lo spazio di lavoro.
E ho pensato che è una fortuna bellissima quella di imparare ancora. Dopo tutti questi anni.
Il coraggio di “essere giusti”
In larghissimo anticipo. Ma si parla del mio romanzo che sarà in libreria dal 17 settembre. L’articolo (di Rossella Mungiello) da Il Cittadino:
Cavalli e il coraggio di «essere gusti»
12 agosto 2015«Pochi nascono eroi, molti cercano di esserlo. Ma capita a tutti l’occasione di essere giusti». Anche nelle piccole cose, in un microcosmo reso asfittico dalla paura, a Mondragone, Italia del Sud. Raccontata da una voce del Nord, come quella del lodigiano Giulio Cavalli, autore e drammaturgo, giornalista e oggi anche scrittore, in libreria da settembre con il suo primo romanzo. Mio padre in una scatola da scarpe è il titolo, edito per Rizzoli (288 pagine, 19 euro), in uscita il 17 settembre, con la prima presentazione fissata al Circolo della Stampa di Milano, segno di una commistione tra le diverse anime narrative di Cavalli, che ha all’attivo numerose collaborazioni giornalistiche e che oggi abbraccia per la prima volta la formula del romanzo. In oltre 280 pagine di racconto scorre la storia (vera) della famiglia Landa, di Michele e dei suoi sogni, quello di coltivare un orto e di vivere sereno con la sua famiglia. Aspirazioni di un uomo che non è un eroe e neppure un criminale. Speranze di chi crede nell’amore e sta al fianco di Rosalba, la «silenziosa» da quarant’anni, diventando prima genitore, poi nonno, sognando una casa grande e un albero di mele. Una vita semplice, insomma in una terra difficile, dove serve coraggio anche per vivere tranquilli. E dove Michele, che ha perso il lavoro e molti amici, vivrà la sua occasione di essere giusto, confrontandosi con gli spari, le minacce dei Torre e l’omertà dei compaesani. Dopo cinque anni di gestazione, nei quali Cavalli ha conosciuto la storia di Landa, « prima da Sergio Nazzaro e Carlo Lucarelli», poi incontrando direttamente i suoi figli, «soprattutto Angela, con cui è nata un’amicizia», arriva il tempo del debutto da romanziere per il lodigiano, sotto scorta dal 2007 per il suo impegno contro le mafie. Già autore di libri di inchiesta, comeNomi, cognomi e infami del 2010 e L’innocenza di Giulio del 2012, Cavalli è stato membro dell’Osservatorio sulla legalità e consigliere regionale della Lombardia, mentre oggi vive a Roma. «Credo che il mio lavoro sia questo – ammette – , anche se non ho mai avuto occasione di farlo. Nasco come autore e drammaturgo, poi per i casi della vita sono finito in un ruolo più giornalistico e di denuncia. È come se oggi facessi qualcosa che avrei dovuto fare dieci anni fa». Sempre con il piglio libero del cantastorie, anche se non ci tiene a commentare stile e linguaggio: «Trovo ammorbanti gli autori che commentano il proprio romanzo», chiarisce l’autore nel solco di quanto già fatto negli anni, ovvero «esercitare il mestiere della scrittura: se poi si tratta di arte, saranno i lettori a dirlo». La storia di Michele Landa ha colpito Cavalli nella drammatica semplicità, perché «è la vicenda di una persona che si ritrova a combattere una guerra che non ha mai cercato». Ma anche è e soprattutto una storia «d’amore antica, tra due persone che credono che una cosa rotta vada aggiustata, non buttata», narrata attraverso il filtro, umano, dei loro figli, che hanno raccontato all’autore, anche padre di tre bambini, la vita di famiglia. «A differenza dei mestieri dell’attore, dell’autore, del giornalista – spiega Cavalli – , quello di padre è un ruolo in cui ho sempre il terrore di essere inadeguato. Ma il terrore è positivo, testimonia di essere sulla buona strada».
Rossella Mungiello
Alla fin fine sono un esordiente
In fondo non ci avevo nemmeno mai fatto troppo caso: racconto storie per vivere ma non ne ho mai scritta una fatta e finita. Ho scritto inchieste, ho scritto libri per cercare di sviscerare processi, racconto fatti sul palcoscenico eppure non ho mai scritto un romanzo.
Insomma. Sono un esordiente.
E forse è proprio per questo che quando mi ci sono messo la prima volta mi si è sollevato il cuore con un vento leggero, come se davvero non avessi altri pensieri oltre alle parole, ai sentimenti e ai colori. Se penso a cosa mi assomiglia di più (tra il teatro, il giornalismo e le inchieste) questo libro è casa mia.
Esce in tutte le librerie il 17 settembre. Lo presenteremo probabilmente a Milano. Sicuramente sarò emozionato come un bambino.
Intanto qui c’è il suo spazio sul sito (per ora piccolo e in costruzione) e qui c’è la pagina Facebook.
Così. Mi andava di dirvelo prima che fosse notte fonda.
- « Precedente
- 1
- …
- 4
- 5
- 6