Ma chi abbiamo salvato in Afghanistan?
Chi abbiamo salvato in Afghanistan? Non è una domanda da poco, le democrazie si misurano dalla capacità di progettare e istituire sistemi che rispondano in modo sistematico ai bisogni. Le buone democrazie, quelle con un impianto valoriale e legislativo solido, non hanno per forza bisogno di “brave persone” per funzionare poiché sono talmente robuste da garantire una veloce individuazione dei bisogni e una pronta e costante risposta.
Dopo 20 anni imbottire 87 aerei in 15 giorni può considerarsi un successo?
Chi abbiamo salvato in Afghanistan? Il ministero della Difesa guidato da Lorenzo Guerini snocciola i numeri dopo l’ultimo decollo di ieri alle 18.35 dell’ultimo C-130J in direzione Fiumicino: con 87 voli sono state evacuate 5.011 persone di cui 4.890 cittadini afghani di cui 1.301 donne e 1.453 bambini. Guerini parla di «un’operazione molto delicata e complessa sin dalle fasi iniziali», di «un numero di persone ben oltre superiore a quello previsto inizialmente» e ringrazia «l’operato dei nostri militari, silenzioso e costante». Un ponte aereo in piena emergenza non è roba da poco: richiede professionalità, lucidità, mezzi e organizzazione. Però, chi abbiamo salvato in Afghanistan? Perché stiamo parlando di una vera e propria occupazione militare che è durata 20 anni, di un dispendiosissimo impegno in termini economici e di tempo: in 20 anni imbottire 87 aerei negli ultimi 15 giorni è un successo? Posta così la domanda fa tutt’altro effetto, vero?
L’11 settembre si è ripetuto, 20 anni dopo
E qui forse conviene fare il primo slancio per uscire dalla narrazione edulcorata e compita di queste ultime due settimane, dove a molti fa comodo lasciare intendere che qualcosa si sia abbattuto sull’Afghanistan e poi l’Occidente sia intervenuto con prontezza per salvare il salvabile quando invece tutto quello che non è stato salvato è sua responsabilità: sono 38,04 milioni gli abitanti in Afghanistan censiti nel 2019. Lo stato di salute dell’Occidente si misura anche nell’onestà intellettuale che si usa per raccontare le proporzioni: in un Paese in cui «in questo momento metà della popolazione rischia di morire di fame e di sete e di non avere un tetto sopra la testa» (parole di Carlotta Sami, portavoce di Unhcr) qualche migliaio di persone sono state salvate dall’Occidente travestito da salvatore (immaginate un salvatore che salva la sua stessa vittima dopo averci convissuto 20 anni, ma ne salva solo la falange di un dito) sono un risposta immorale, gravemente minuscola e che non si può regalare a una narrazione fiabesca. Non possiamo concederlo, non dobbiamo concederlo. L’11 settembre 2001 si è ripetuto 20 anni dopo, le stesse bombe, gli stessi corpi che stramazzano dal cielo, e 20 anni non si incipriano con le foto opportunistiche delle ultime ore. Mi spiace, no. Davvero, no.
Ecco chi è finito nelle Schilnder’s List dei Paesi occidentali
Ma chi abbiamo salvato in Afghanistan? Abbiamo salvato le persone che hanno avuto la sorte di finire sulle Schindler’s List dei Paesi occidentali per avere collaborato con loro, per avere brigato con pezzi delle loro diplomazie. Abbiamo salvato quelli che hanno avuto il “merito” di esserci amici. Sia chiaro: è un metodo proficuo per individuare una priorità in caso di emergenza. Ma quelli che non sono entrati nelle liste? Quelli che rischiano e moriranno senza avere avuto la fortuna di entrare nei radar di qualche Paese straniero? «Dobbiamo salvare chi ha lottato con noi», ha detto il generale Petraeus che ha guidato il contingente Usa in Afghanistan, con la solita trappola del guardare gli altri solo in riferimento a noi stessi. Abbiamo salvato gli amici e gli amici degli amici. Quindi abbiamo dato la priorità alle disperazioni più appuntite? No. Le famiglie allo stremo fuori dai riflettori di Kabul, periferiche per luogo e per condizione, non abbiamo avuto il tempo nemmeno di sentirle. Compilare una lista di salvabili significa prendersi l’enorme responsabilità di escludere gli altri. Ci abbiamo pensato? Ci penseremo? Viene da scommetterci che no, che quelli saranno gli avanzi di una festa che ha già svolto il suo ruolo per fomentare un po’ di superficiale perdono e anche quelli finiranno con i piedi congelati nel prossimo inverno a percorrere la rotta balcanica cozzando contro i bastoni e i fili spinati.
L’Occidente si illude di aver salvato almeno la faccia
Chi abbiamo salvato in Afghanistan? Abbiamo salvato i bambini, dicono, perfino i bambini che sono passati sopra le teste della mandria accalcata ai cancelli dell’aeroporto non prima di una foto da spedire in giro. Gli abbiamo detto «siete troppo dolci e carini per lasciarvi sbudellare dalle bombe nel canale di scolo dell’aeroporto e quindi vi portiamo da noi». Dei loro genitori invece niente: «I bambini hanno bisogno di un papà e di una mamma», si sente ripetere da anni ma se il papà è afghano allora niente, la regola non vale e siamo a posto così. Chi abbiamo salvato in Afghanistan? Abbiamo salvato la faccia. Almeno così credono quelli per cui la politica è l’ingegneristica produzione di una sensazione che duri almeno fino alle prossime elezioni. Negli ultimi 10 anni nei Paesi dell’Unione europea sono arrivate circa 697 mila richieste di protezione da parte di afghani: lo sentite lo scricchiolio dei numeri di questi giorni di fronte alla realtà più ampia e rispettata nella sua complessità?
Chi abbiamo salvato in Afghanistan? Siamo alle solite: l’Occidente che si era prefissato lo scopo di essere la patria del diritto dove i bisognosi potevano godere del diritto di essere accolti si è sfaldato. Basterebbe avere l’onestà di dirselo. Nell’Occidente si entra per amicizia, per merito, per utilità o perché si è finiti in una lista. E pensare che l’Occidente farebbe l’Occidente ogni volta che qualcuno arriva sulla battigia, nudo, apre le braccia e dice: «Non so niente, non ho niente, non sono capace di fare niente, sono niente» e nessuno gli chiede nient’altro che della sua disperazione. Pensate come suona un’utopia oggi il pensiero fondante di una parte di mondo. Buona fortuna agli afghani e buona fortuna a noi. Presto avremo 240 milioni di migranti di cui un 20 per cento per motivazioni “politiche” e tutto il resto per desertificazione e inondazioni. Chi abbiamo salvato in Afghanistan? Per l’ennesima volta ci illudiamo di esserci salvati. Poveri noi.
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