Ci pagano anche il battello
Tra i tanti appuntamenti e serate su e giù per l’Italia questa non mi era mai capitata. E racconta quanto ci tengano tutti alla serata di domani con me, Salvatore Borsellino e Antonio Ingroia. Vi pagano anche il battello.
Tra i tanti appuntamenti e serate su e giù per l’Italia questa non mi era mai capitata. E racconta quanto ci tengano tutti alla serata di domani con me, Salvatore Borsellino e Antonio Ingroia. Vi pagano anche il battello.
Tre giorni di sedute di Consiglio importanti per il bilancio, la vergognosa legge sui parchi e i nostri ordini del giorno (tutti gli argomenti scaricabili qui). E poi:
martedì 26 luglio, ore 21 alla Festa Provinciale Sinistra Ecologia Libertà di Monza e Brianza Area feste via Aldo Moro Brugherio (MB): presento il mio libro “Nomi, cognomi e infami”, intervengono:Valerio D’ Ippolito, referente LIBERA Monza/Brianza, Daniele Cassanmagnago, Assessore all’urbanistica comune di Desio e Alfredo Luis Somoza, presidente ong ICE.
giovedì 28 ore 19 “Antimafia a Milano: Commissione o Comitato?” Intervengono: NANDO DALLA CHIESA Professore di Sociologia della Criminalità Organizzata, Università Statale di Milano, GIULIO CAVALLI Scrittore, Politico, Consigliere Regionale di SEL, MIRKO MAZZALI Avvocato, Consigliere Comunale, Presidente della Commissione Sicurezza di Palazzo Marino. Libreria del Mondo Offeso Corso Garibaldi 50Milano.
giovedì 28 ore 21 “Chi paga la crisi?”con Alfonso Gianni (nazionale SEL), Giulio Cavalli (consigliere regionale SEL), Damiano Galletti (segretario provinciale SEL), Donatella Albini (consigliere comunale SEL). Festa Provinciale Sinistra Ecologia e Libertà, Centro Civico Collebeato Via San Francesco 1 Collebeato (BS).
venerdì 29 ore 21 “La linea della palma” con Antonio Ingroia, Salvatore Borsellino e Giulio Cavalli, moderatore Pierluigi Senatore. Piazza Spallanzani Porto Venere (SP).
sabato 30 ore 20.30 in scena con lo spettacolo “Nomi, cognomi e infami”, organizza l’ Associazione Antiracket 1° chiostro abbazia benedettina S.M.Arcangelo – Montescaglioso (MT).
(mi-lorenteggio.com) Trezzano sul Naviglio, 02 giugno 2011 – “In occasione della vittoria della sinistra a Milano e Napoli, con De Magistris e Pisapia, i cittadini hanno riscoperto il valore della partecipazione democratica che con forza spinge gli amministratori, una volta eletti, a lavorare per il bene del comune.
La stessa partecipazione unita al sostegno ai magistrati è la base per sconfiggere la Mafia. Solo informandosi e stando uniti si può sconfiggere il sistema criminale ormai integrato in alcune parti della politica.
Ecco perché è necessario partecipare con forza ai referendum del 12 e 13 Giugno contro il nucleare e il legittimo impedimento e a favore dell’acqua pubblica; per dimostrare che i cittadini ci sono e decidono” comunica Antonio Borrello, dell’IdV di Trezzano sul Naviglio.
L’Italia dei Valori spiegherà in questi giorni i motivi per i 4 SI ai referendum. Per questo il 10 Giugno, in occasione della chiusura della campagna referendaria, ci sarà un convegno in cui si parlerà di Referendum, Legittimo Impedimento e Mafia con Salvatore Borsellino, Giulio Cavalli, Garuti, D’Amico, Mapelli alle 21 al Punto Expo di via Vittorio Veneto. per una serata all’insegna della partecipazione e del dibattito.
V.a.
Testo scritto e recitato in Via D’Amelio il 19 luglio 2009 per il diciassettesimo anniversario della strage di Paolo Borsellino e la sua scorta.
Ecco Leonardo,
questa sera per non addormentarsi mi viene con un nodo di raccontarti una storia. Una storia di quelle che non dormono, una storia che a guardarla di fretta, di passaggio, o da lontano ha la gonna della favola per un giro beffardo di sensi unici nel rione del destino. Una favola con i buoni, un re, una guerra e addirittura un castello. Una favola con tutti i trucchi e gli ombretti per finire dritta nei libri rilegati di azzurro e di rosa, sullo scaffale del conforto e della buonanotte. È che succede, caro Leonardo, che una mattina, sarà che c’era un umido che ci gocciolava tra le ossa, l’onestà e il cuore, o sarà stato che era una mattina che ci si era acceso a tutti il diritto di rivendicare un dubbio, un punto di domanda. Un punto di domanda che si stiracchia appena nato e morde il guscio. Un punto d domanda che è andato a riprendersi un libro, il libro della storia con i buoni, con i re, con la guerra e addirittura il castello. Ma una favola da rendere, restituire perché ce l’hanno venduta scassata: ci hanno venduto una favola in cui ci mancano i cattivi.
Prima c’è un buco: un buco e Palermo che gocciola tutto intorno. Dentro il buco c’è una fetta di mondo. C’è un figlio che è a un mezzo centimetro dal primo ciao di oggi per sua madre, C’è Emanuela, Vincenzo, Claudio, Agostino e Eddy che anche oggi sono a misurarsi per un mestiere con la pistola in tasca al posto delle ali. C’è quell’alone sempre stonato e che sa di metallo di costringersi ad illudersi che si possa veramente, anche per oggi, almeno per mezz’ora pure mezza festiva, si possa veramente, non essere un nemico, non essere un eroe, essere un figlio attaccato al citofono.
Ecco, Leonardo, io da padre non avrei mai voluto raccontarti che qui succede che le favole a volte comincino con un’autobomba, come uno schiaffo che è uno sputo di sangue e subito dopo un plotone di potenti con lo straccio in via D’Amelio a leccare gli ultimi avanzi. Ecco io non avrei mai creduto di pensare che ci siano leoni che pascolano nella memoria come per mangiarsela in un banchetto apparecchiato in mezzo alla savana. Ecco io non vorrei non farti addormentare raccontandoti che ci sono bombe che scoppiano in un silenzio sudato come un replay.
Non si era mai visto nelle favole rosa o azzurre un ladro come un bassotto con un’agenda in mano, mentre tutto intorno bolle come un rallentatore un brodo di pezzi e sangue. Ecco, io da padre, non so proprio come spiegartela a te che dovresti dignitosamente essere bambino che dentro all’intestino di quel buco con Palermo che gocciola tutto intorno c’è un guanto di gomma che si tura il naso e si porta via la memoria del buono, come un dente sul sangue che sanguina e si mette in tasca la memoria. Una memoria a forma di agenda. Un’agenda nella tasca insieme al fazzoletto usato del ladro, le chiavi di una casa a forma di castello e qualche pezzo di qualcuno, portato tra le scarpe come fosse una macchia di sugo. Un’agenda a forma di buco.
È una favola che non addormenta nessuno una favola che comincia con un’autobomba e finisce con un’agenda che non c’è. È Peter Pan in canotta e ubriaco che non vola più. Una storia che non meriteresti, da mio figlio poco prima di addormentarti, in questa sera che è l’anniversario di una storia che con le unghie mi si arrampica sul cuore.
Nelle favole che hanno fatto carriera c’è sempre un bel matrimonio, tutto fiori e parenti con strette di mano al buffet. Uno sposo e la sposa che ridono per ridere tra la panna e le bollicine. Vedi, Leonardo, perché ce l’hanno mandata scassata questa mezza storia stropicciata come una lista della spesa. Il matrimonio ci tocca andarlo ad annusare grattando via tutta questa vernice, questo smalto in giacca e cravatta che profila venti anni di storia tutta muta, farsa e condonata. Venti anni di storia a forma di bugia metallizzata. Ecco, qui il matrimonio l’hanno sepolto sotto un avverbio come si conviene per le figure oscene dentro ai libri per bambini. Un matrimonio con troppi padri per una sposa, le nozze invisibili celebrate dentro un confessionale. E allora vedi, caro Leonardo, che favole da ridere dove dentro si sposano i buoni con i cattivi e nemmeno un mezzo ciuccio che crede di essere un cavallo bianco. Non ci sono figli che si meritano favole taroccate, con Pinocchio che sposa Mangiafuoco o Cappuccetto Rosso che ha le provvigioni sulla cesta della nonna. È impossibile quasi trovarci le parole che è incredibile come l’abbiano scritta.
Una favole che inizia mentre scoppia, passa per un’agenda, e in mezzo un matrimonio a forma di buco.
Ecco, Leonardo, non avrei mai creduto di mettermi con la testa così alta a raccontarti un favola che non piace a nessuno anche se, come dice il buono di questa nostra storia in questa sera, sarà che proprio perché non mi piace ho cominciato ad amarla e il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare. Sarà per questo che la ripeto tutte le sere per guadagnare i mio stipendio con la parola da raccontare.
Una favola taroccata con un castello e un campanello. E dietro al campanello non rispondono né principesse né draghi. Una favola con un castello che non risponde nessuno. Un castello con un cordone ombelicale che umido si sotterra nelle fogne di via D’Amelio.
Una favola schifiata con i protagonisti che hanno dimenticato la parte, e balbettano qualcosa, come alla recita d’asilo provata male, e s’imbarazzano nascondendosi in quinta.
Una favola con i buoni che finiscono per la colpa di volere iniziare, i cattivi sott’aceto e un funerale lavato con il borotalco.
Una favola stuprata, che per quattro monete il gatto e la volpe si sono rivenduti il finale.
Una favola coperta con il lenzuolo bianco, un lenzuolo che figlia muffa mentre soffoca il sole.
Una favola che si arrotola nei processi, che si mescola e impunita ride. Come un disegno che non si capisce da che lato guardarlo.
Una favola che non si sono nemmeno presi la briga di raccontarci e già speravano che si fosse addormentata.
Una favola tutta rutti e sorrisi, rigurgiti e strette di mano.
Una favola che sta scritta nelle cose non dette, con il principe chiuso a chiave dentro il cesso, la principessa a forma di macchia sul muro e il cavallo bianco cucinato alla griglia.
Una favola dove non si capisce chi ha posato i fiori e chi ha posato le bombe.
Ecco Leonardo, non è per niente civile farti addormentare questa sera raccontandoti la paura, la paura che nel paese fatato spegne le luci come una magia. Ecco, quando da papà ogni tanto mi scopro in tasca la paura penso sempre che sarebbe come offendere questa favola. Con la paura accartocciata che è sempre ora di buttare via.
E allora sarebbe il caso che venga qualcuno, a raccontarla questa favola ai nostri figli, a riprendersi quella sbeccata che vi ridiamo volentieri di resto. Sarebbe i caso almeno perché non è mica una questione di onore, non è mica una questione di gusto: almeno per un senso di quella pudica verità.
Sarebbe il caso di curarlo quell’occhio allucinato e stanco di un bambino davanti ad una favola che non riesce ad addormentare nessuno.
Una favole che inizia mentre scoppia, passa per un’agenda, e in mezzo un matrimonio a forma di buco.
Una favola con i buoni a pezzetti e senza cattivi in cui cercano comunque di sfilarci tutti. Con i tromboni della politica manieristica che recitano a mani giunte, con le finestre chiuse dei soliti fondali delle storie da non raccontare, con, per non farsi mancare niente in questo diciassettesimo silenzio che non vuole stare zitto seduto sull’orlo del buco, per questo diciassettesimo anniversario di una storia sotto spirito, anche l’onore basso di Riina U’ Curtu che si intrufola per gridare che non è stato lui e alzare la manina come nei castighi di classe.
Una favola zeppa di gente che non è stata, che non sa, che non ricorda, che non c’era eppure commemora. Una favola senza storia che ci finge di avere memoria. Un’isola che non c’è. A forma di buco.
Ecco, caro Leonardo, da papà ti dico e ti racconto che per questa sera la morale devi andarla a prendere, tirarla per una manica e salvarla da quel buco con una nazione tutto intorno. Ecco, ci sono favole che le senti da piccolo e c’è da digrignare i denti per capirle ormai vecchio. C’è il dovere di verità e giustizia dentro l’alito anche del più bucoso dei buchi.
Ci sono favole che alla sera, quando si smette di raccontarle, ti fanno venire voglia di tenere accesa la luce.
stavo rimasticando questi quattro fogli tutti pieghe e mezze orecchie che da qualche giorno mi chiedono di urlare. Sto scrivendo, innamorato del privilegio e la responsabilità, questo mezzo pugno da liberare in via D’Amelio che si è acceso con il nostro abbraccio di qualche mese fa. E mentre mi ascolto in quel fiume così comodo tra la testa e il dito, ripenso a quella tua faccia serena mentre mi dicevi “io so”. E questa mattina, che si prepara alla mia nuova galera per salvarmi, mi soffia un pensiero osceno: in fondo tu hai vinto, Salvatore, comunque vada in questa partita bislacca che si è incastrata tra i silenzi bollati di quelle mila fotocopie fatte sempre storte dai tribunali. In fondo adesso rimane il resto: tutto quel calcolare, incastrare e scegliere la forma di questo diciassettesimo anniversario omicida in via D’Amelio. Dicono gli Dei della cabala che il diciassettesimo debba essere per numerologia la volta più nera, quella che pesa addosso a qualcuno per tutte le altre. E allora anche la cabala questa mattina ci sorride e ci prende sottobraccio per imbarcarsi con noi. Perchè io so, all’ombra rincuorante e fresca di quel tuo dolore mai arreso e della tua rabbia comunque educata, che resuscitare un funerale lungo diciassette anni è un rito coraggioso e vincente. Come una rincorsa lunga sedici anni per ammonire che il ricordo si esercita solo dopo aver saputo, capito e visto in faccia. Tu lo sai bene quanto ogni mattina è pieno il mondo di orfani, vedove e pendolari del lutto che spolverano il marmo; ecco, Salvatore, io dentro questi fogli vorrei metterci invece tutta la polvere degli anni prima, ed atterrare in via D’Amelio con due sacchi di iuta per farli sbuffare sul palco. Perchè la forma turpe e sconcia di quella nuvola almeno ti faccia sorridere, almeno un secondo, di ritrovare disegnata questa tua intollerabile coltre che ti si è appoggiata sul cuore, questo velo mendace che il 19 luglio ci ritroviamo tutti insieme a provare a sparecchiare. Anche io “so”, Salvatore, che quel giorno saremo lì, tutti insieme, per svestirici dal lutto, buttare le corone di fiori e, se serve, anche per mano, sporgerci senza paura per guardare dentro a quel buco.