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Salvini

Salvini e Goebbels sono arrabbiati con Left

Doveva accadere, prima o poi. A forza di allenarsi come rabdomante in cerca di nemici Matteo Salvini alla fine è arrivato fin qui, scagliandosi contro Left perché si è permesso (ma va?) di ricordare come molte delle sue parole (ma mica solo le parole: ci sono i giubbotti griffati Casapound, c’è la sua attitudine militaresca alla divisa, ci sono le foto con gli eversivi di destra, ci sono i nostalgici tra le frange del suo elettorato e tutto il resto) abbiano il sapore di quella che fu la propaganda nazista e mussoliniana.

Scrive il ministro dell’inferno nel suo tweet:

«I giornali di sinistra sostengono che avrei usato parole di… Hitler. Ma vergognatevi, cretini!»

Sorgono alcune considerazioni. Primo: il plurale i giornali di sinistra mentre invece sta parlando di Left indica tutto il suo infantilismo per cui esiste Lui, Lui solo, e tutti gli altri sono nemici, indistinguibili, con l’unica caratteristica comune di essere contrari alle sue politiche (che, guarda un po’, è tecnica retorica tipica del fascismo e uno dei punti cardine del “decalogo” di Goebbels sulla propaganda*, appunto). Secondo: di Salvini colpisce come al solito il tempismo e, badate bene, non è un caso che i suoi tweet grondanti di arroganza arrivino proprio nei giorni in cui iniziano anche per lui le contestazioni e in cui ha perso la pazienza dando dei “drogati” ai suoi contestatori (per di più indossando la divisa della Polizia, tanto per rendere il tutto più macabro e più patetico). Terzo: Salvini per attaccare Left riprende un articolo di un piccolo sito locale, come al solito frugando tra le macerie per rilanciare ciò che gli fa comodo dimenticando come gran parte della stampa internazionale lo stia massacrando.

Poi c’è il punto, quello delle parole inventate: in un documento del 16 novembre del 1941 apparivano i dieci comandamenti di Goebbels contro gli Ebrei (chissà se i neofascisti ne conoscono il ruolo, oltre alle dimensioni per il tatuaggio) che diceva letteralmente: «Se uno indossa la Stella di Davide ebrea che in tal modo è contrassegnato come nemico del popolo. Chiunque, nonostante ciò, ancora coltivi relazioni private con lui deve essere considerato e trattato come l’Ebreo». Forte, eh? Proprio simile simile a Salvini che scrive «chi aiuta i clandestini odia gli Italiani». Al massimo dovrebbe essere Goebbels ad arrabbiarsi, mica Salvini.

Intanto, mentre il social stercoraro di Salvini si diverte a scovare nemici del popolo, gli adepti di Salvini rubano coperte ai senzatetto in nome del decoro (come il vicesindaco di Trieste che poi, al solito, vigliaccamente dichiara di essere stato frainteso) e compongono filastrocche razziste contro gli stranieri (e poi, al solito, si scusano, non serve nemmeno dirlo).

Buon lunedì, ministro Salvini.

* 2. Principio del metodo del contagio: Riunire diversi avversari in una sola categoria o in un solo individuo.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2019/01/07/salvini-e-goebbels-sono-arrabbiati-con-left/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Che Paese ha in testa Salvini?

Gli sbarchi non si sono fermati, anzi quelli “fantasma” sono in aumento. I porti non sono, formalmente, chiusi. Il decreto sicurezza scontenta perfino i leghisti e aumenta gli illegali, senza rimediarli in patria. A parte i tweet la verità è che Salvini non fa nulla.

Ne ho scritto per Linkiesta qui.

Chi ha abbracciato Salvini?

Bisogna raccontarla bene, questa storia, senza cadere nella paura di essere ripetitivi. Bisogna raccontarla anche se ogni mattina mi chiedo quanto valga la pena ogni giorno, quasi tutti i giorni, raccontare le mala-gesta del ministro dell’inferno come se fosse lui l’unico problema del Paese ma poi mi fermo, ci penso, e mi dico che sì, che riesce a essere sempre più grave sempre ogni giorno. E non glielo si può concedere, no.

Questa storia va raccontata perché ancora una volta il trucco del ministro dell’interno ha deciso di buttarla a ridere, di sminuire, confidando nella disattenzione generale: «sono un indagato tra gli indagati!» ha detto Salvini a chi gli faceva notare la sua amichevole vicinanza (con abbraccio annesso) a Luca Lucci, capo ultrà del Milan di cui il vicepremier è assiduo tifoso. E Salvini pensava forse di cavarsela così, con una battuta sprezzante sulla giustizia italiana, per la sua confidenza con quello che viene descritto da molti giornali come semplice “condannato per droga” (come se non fosse già schifoso così) e invece è un uomo che merita di essere descritto per intero.

Luca Lucci è la persona che ha sfasciato la faccia e il bulbo oculare a Virgilio Motta durante una spedizione punitiva contro i tifosi dell’Inter (in un settore frequentato da famiglie e bambini, sempre per quella vecchia storia dei forti contro i deboli), colpevoli di avere tagliato uno striscione dei tifosi rossoneri che impediva la visione della partita. Nel 2009 Lucci viene condannato in primo grado per quel pugno che ha reso cieco da un occhio Virgilio Motta a quattro anni e mezzo di carcere e a un risarcimento di 140.000 euro. Lucci però è un furbo, uno di quelli che le condanne non le sconta perché risulta nullatenente e quindi alla sua vittima non resta che mettersi il cuore in pace. Peccato che Virgilio Motta, dopo avere perso il lavoro per la sua cecità, cade in una profonda crisi depressiva e si suicida tre anni dopo.

Ma il nome di Lucci compare anche in un altro processo, questa volta per ‘ndrangheta: durante il processo per l’omicidio dell’avvocatessa Maria Spinella il killer Luigi Cicalese confessa di avere utilizzato per l’agguato proprio l’auto di Luca Lucci, ottenuta dall’amico comune Daniele Cataldo, rapinatore e spacciatore. Solo negli ultimi anni arriva anche il patteggiamento a un anno e mezzo per questioni di droga, dopo essere stato arrestato.

Ecco chi ha abbracciato Salvini. E rimane da vedere se il ministro dell’interno sia incappato (ma davvero?) in questo funesto abbraccio per ignoranza o per commistione. In entrambi casi, sicuramente, non è all’altezza del ruolo che riveste. In entrambi i casi comunque è un ministro che dovrebbe combattere i malavitosi che scherzosamente si intrattiene con un malavitoso.

«Sono un indagato tra gli indagati!» è una risposta che funziona solo tra i travestiti che trangugiano le ampolle del Po. Ci riprovi, ministro.

Buon martedì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/12/18/chi-ha-abbracciato-salvini/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Quattro morti per maltempo, ma Salvini combatte la “tristezza della pioggia” col salame


Sia chiaro, nulla di nuovo sotto al sole. Che Salvini (o meglio, il suo social manager Luca Morisi) abbia un senso istituzionale che nella sua esposizione mediatica rasenta lo zero è una storia vecchia a cui siamo abituati però nel tweet di oggi c’è tutta la fallacia della sua strategia: non ci si inventa ministri dell’interno, non basta essere uno “come noi”.
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La forza di Salvini è nella pavidità dei suoi compagni di governo


Dov’è questa improvvisa credibilità guadagnata da Salvini nel giro di qualche mese dopo essere stato a lungo ai margini del berlusconismo come cameriere che guardava a destra? Sta tutto nella mollezza di compagni di governo che ogni giorno, tutti i giorni, gli permettono di alimentare l’epica di un personaggio che in tutto il mondo viene visto come tronfio provocatore degli istinti bassi e goffa fotocopia di un Trump rivisto in salsa padana.
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Come Salvini ha fatto da megafono alle parole del gestore di un ristorante della ‘ndrangheta


In pratica il ministro dell’interno, colui che per ruolo dovrebbe essere l’argine contro le mafie, travolto dalla brama di cercare una voce dissonante nei confronti del sindaco Lucano per colpire un nemico politico è riuscito nella brillante impresa di fare da megafono (solo sulla sua pagina siamo ora a 550.000 visualizzazioni) a un mafioso.
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Salvini e i 49 milioni in 76 anni: provate a chiedere lo stesso trattamento alla vostra banca

Ma il punto sostanziale non è la questione economica della vicenda giudiziaria: ciò che dovrebbe indignare (e invece vedrete che anche questa volta passerà sotto silenzio da parte della maggioranza) è che un governo che si rivende (e il ministro dell’interno Salvini ne è il protagonista principale) come sceriffo senza pietà contro i furbi e i delinquenti proprio oggi non riesca a proferire parola su questo.
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La Bestia di Salvini

Che sia stato lui o che sia merito del suo social manager Luca Morisi poco importa: il ministro dell’inferno Matteo Salvini ci ha messo poco a capire che la democrazia italiana si basa sulla popolarità come unico metro di giudizio e ha messo in campo tutte le armi che servono per raggiungerla il prima possibile.

Il meccanismo a ben vedere non è nemmeno così complesso: si sale alla ribalta nazionale con qualche filotto di sparate che ti rendano riconoscibile (non dimentichiamolo, Salvini divenne famoso a livello nazionale per avere proposto da consigliere comunale a Milano di istituire delle carrozze della metropolitana riservate agli extracomunitari, fu quello il momento in cui l’Italia scoprì Salvini), si sgomita nel proprio partito invocando il cambiamento (o la rottamazione, eh sì), si individua un nemico facile facile da offrire in pasto alla propria comunità per potersi cementare (prima erano i terroni, oggi sono gli extracomunitari, domani sarà l’Europa ma il giochetto è sempre lo stesso), si dipinge la propria crescita elettorale come inarrestabile e tendente alla maggioranza assoluta (anche questa l’avete già sentita, lo so, lo so), si detta l’agenda dei media trovando almeno una provocazione al giorno, si racconta di avere tutti i poteri forti contro risultando un salvatore e infine ci si preoccupa di governare la percezione fingendo di governare il Paese.

Dalla sua Salvini ha una caratteristica in più: ha capito che i social, usati con furbizia, diventano notizia, ancora di più in un Paese in cui i giornali troppo spesso si limitano a essere il megafono di tutto ciò che si è già letto in rete nel giorno prima.

Sulla gestione dei social ha raccontato benissimo la strategia salviniana Alessandro Orlowski, uno dei più influenti hacker italiani che da anni studia campagne virali in rete: «La Lega ha lavorato molto bene – dice in una sua intervista a Rolling stone – durante l’ultima campagna elettorale. Ha creato un sistema che controlla le reti social di Salvini e analizza quali sono i post e i tweet che ottengono i migliori risultati, e che tipo di persone hanno interagito. In questo modo possono modificare la loro strategia attraverso la propaganda. Un esempio: pubblicano un post su Facebook in cui si parla di immigrazione, e il maggior numero di commenti è “i migranti ci tolgono il lavoro”? Il successivo post rafforzerà questa paura. I dirigenti leghisti hanno chiamato questo software La Bestia».

In realtà non c’è nessuna comunicazione: si tratta di cogliere i sentimenti degli elettori (più facilmente i più feroci, i peggiori e meno controllabili) e solleticarli allo sfinimento per spremere voti. Niente di nuovo, verrebbe da dire, se non fosse che ciò che prima era affidato al fiuto dei consulenti oggi può essere perfettamente quantificato da una serie di algoritmi. Così oggi Salvini può prevedere esattamente quale sarà la reazione alla sua prossima dichiarazione semplicemente perché se l’è fatta scrivere direttamente dai suoi seguaci. Se un giorno si spanderà un’incontrollabile paura per i ragni probabilmente vedremo il ministro dell’Interno impugnare una scopa di saggina per spiaccicarne qualcuno sul muro.

Ma c’è un aspetto che forse sfugge: governare sulla popolarità significa avere fondamenta cedevolissime pronte a sbriciolarsi alla prossima percezione più potente o alla prima paura ritenuta vicina al potente di turno. È successo così con Berlusconi prima e con Renzi poi: basta raccontarli vicini (che sia vero o no poco importa) ai prossimi presunti invasori per spostarli dal cassetto degli eroi a quello dei servi.

La picchiata solitamente è veloce e inarrestabile.

L’editoriale di Giulio Cavalli è tratto da Left in edicola dal 14 settembre 2018


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