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SAMAN

Gli avvoltoi su Saman

A destra c’è chi usa la vicenda di Saman Abbas per colpire “gli amici degli stranieri” oppure “le femministe”. Persone a cui della sorte della ragazza interessa poco, quasi nulla. È la solita banalità del male

Era prevedibile, in fondo ne avevamo parlato qualche giorno fa proprio qui e alla fine gli avvoltoi si sono buttati su Saman Abbas usandola come clava per colpire i propri avversari che in questo caso sono la sinistra (che poi, a pensarci bene, beati loro che vedono sinistra dappertutto e noi tutto il giorno tutti i giorni qui a cercarla), le femministe e di sponda anche gli amici degli “stranieri” (perché per loro Saman Abbas è morta perché di fede islamica, mica perché schiacciata da un patriarcato che non la voleva libera) che sarebbero addirittura complici morali.

Mentre le notizie su Saman Abbas disegnano un finale sempre più fosco si moltiplicano gli strumentali appelli di chi urla “e le femministe dove sono?”. Notare che poi siano sempre gli stessi che dipingono ad ogni pie’ sospinto le femministe come delle pazze esagitate rende il tutto ancora più cretino. A questi ovviamente la sorte della ragazza interessa poco, quasi niente, giusto il tempo di usarla come fionda per lanciare i loro sputi e poi tornare nelle loro tane. È la solita banalità del male.

Tra l’altro questi sono gli stessi che stanno trattando la vicenda come una “questione tra stranieri” rivendicando ovviamente la superiorità italiana (sovranisti anche nei femminicidi, che miserabile squallore) e sarebbe curioso sapere cosa ne pensino invece del fatto che Saman Abbas a novembre dell’anno scorso (era ancora minorenne) avesse chiesto aiuto ai servizi sociali di Novellara per non essere costretta al matrimonio, fosse stata trasferita sotto protezione in una comunità di Bologna, e avesse presentato una regolare denuncia ai carabinieri. Non è una storia tra “pakistani isolati”, insomma. Ci sono istituzioni, forze dell’ordine coinvolte. E non solo: l’11 aprile Saman Abbas, ormai maggiorenne, decide di tornare a casa per prendere i suoi documenti e presumibilmente trasferirsi all’estero. Il 22 aprile si presenta (di nuovo) dai carabinieri per denunciare i genitori raccontando che non le veniva permesso di prendere le sue cose, raccontando le minacce di morte a lei e al suo fidanzato pakistano.

I carabinieri si presentano nella casa dei genitori di Saman Abbas solo tredici giorni dopo. Tredici giorni dopo, il 5 maggio. Non trovano più la ragazza e lì cominciano ad affiorare i sospetti e poi l’indagine. Insomma, ci sono un po’ di responsabilità anche di casa nostra, forse, no?

Poi, volendo ci sarebbe il tema vero: questa narrazione di donne che “vogliono diventare occidentali” con la solita boria da superiori e che invece sono donne che vogliono essere libere, che rivendicano il diritto di dire no e che muoiono per questo. Ma del tema vero, credetemi, interessa poco agli avvoltoi.

Buon mercoledì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Il coraggio che manca su Saman Abbas

Bisognerebbe dire che siamo di fronte non solo a un presunto omicidio ma anche a una violenza di genere. E servirebbe una sinistra che riesca a dismettere un certo relativismo culturale per cui un femminicidio di una donna straniera passi sotto traccia

Ogni tanto capita anche a coloro che si espongono a gran voce per i diritti, quelli che abitualmente non perdono (e per fortuna) occasione di sottolineare le ingiustizie: la paura di essere inopportuni fa tralasciare alcune storie e alcune battaglie. Ci sono del resto vicende che richiedono un certo allenamento alla complessità, che non sono così nette da dividere di primo acchito le tifoserie di una parte e dell’altra, storie che rischiano di non starci nei pochi caratteri di un tweet o nei fulminanti post di Facebook che galoppano nell’algoritmo.

Così il coraggio che manca relega Saman Abbas nel cassetto degli “altri” come se fossero mondi che non abbiamo il coraggio di frequentare e nonostante sia un terribile caso di sospetto femminicidio preferiamo annacquarlo con la stupida idea di un’arretratezza che non ci appartiene, che è roba “loro”, mica roba nostra.

Saman Abbas ad esempio potremmo cominciare a chiamarla Laila, come lei aveva deciso di farsi chiamare per togliersi anche dal nome quel velo di violenza di genere che la opprimeva, comunque sia il finale di questa storia. Laila ha denunciato, ha passato mesi in una struttura protetta, aveva avuto il coraggio di ribellarsi e noi non siamo riusciti a prendercene cura. Anche questa è una storia come molte altre, indipendentemente dalla provenienza e dalla religione.

Bisognerebbe avere il coraggio di dirci che siamo di fronte non solo a un presunto omicidio ma anche a una violenza di genere. Bisognerebbe avere il coraggio (smettendola di avere paura di prestare il fianco alle destre) che queste prassi non sono giustificate né nei Paesi d’origine né dalla religione ma sono figlie della cultura del patriarcato: i matrimoni forzati e i crimini sessuali sono condannati dal codice penale anche nei Paesi d’origine. Bisognerebbe smetterla una volta per tutte con questa narrazione di donne che “vogliono diventare occidentali” con la solita boria da superiori: si tratta di donne che vogliono essere libere, che rivendicano il diritto di dire no. Servirebbe una sinistra che abbia il coraggio di dismettere un certo relativismo culturale per cui un femminicidio di una donna straniera passi sotto traccia. Davvero siamo di fronte a una sinistra con una così bassa capacità di elaborazione per cui teme di risultare razzista? Si potrebbe perfino avere il coraggio di ammettere che un caso del genere sia il risultato di una mancata integrazione (ammetterlo con onestà, senza paura) poiché i ricettori del territorio (che siano le istituzioni, la scuola, i contatti sociali) non sono stati in grado di allertare una risposta integrata. Bisognerebbe avere il coraggio di leggere i numeri dopo l’istituzione in Italia del reato di matrimonio forzato (dal 2019) che sembrano indicare poche denunce e poche risposte.

Bisognerebbe avere il coraggio di riconoscere che regalare una battaglia del genere a Salvini che vede solo stranieri da strumentalizzare significa non essere capaci di comprendere (e di spiegare) che qui si tratta di diritti umani. Quelli sono il punto.

Buon lunedì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Mauro Rostagno. Oggi.

Ma certo è curioso che ad appena sette mesi da quella deposizione, di fronte al cadavere di Rostagno, allo stesso carabiniere Cannas e ai suoi superiori non sia venuto in mente di approfondire anche le relazioni tra mafia e massoneria di cui il giornalista s’era interessato. Né se ne trova traccia nei successivi rapporti ai giudici. I carabinieri preferirono concentrarsi sulle «irregolarità» all’interno della comunità, poi sui tossicodipendenti allontanati da Saman, tralasciando l’ipotesi mafiosa… Seguire gli sviluppi del processo Rostagno è un vaccino.