Vai al contenuto

sanità

La donna che ha tolto il sonno a Roberto Maroni

maroni

Forse è la legge del contrappasso: dopo anni in cui Maroni è riuscito a proiettare un’immagine di incorruttibile nemico di mafie e corruzione (ha vestito i panni del ministro dell’Interno con la calzamaglia del quasi supereroe e ha agitato le scope in casa della Lega) alla fine si ritrova, da presidente della Lombardia, a fare la conta degli arresti. Il primo è stato il suo vicepresidente Mario Mantovani e la Lega ha avuto gioco facile nello scaricare tutte le responsabilità sugli alleati di Forza Italia, ma negli ultimi giorni lo scossone è tutto in salsa verde: Fabio Rizzi è il “padre” della riforma sanitaria in Lombardia, quella “rivoluzione leghista” che avrebbe dovuto portare la Regione fuori dalle acque torbide del formigonismo. E invece niente: Rizzi, il consigliere regionale, è stato arrestato e con lui finiscono in manette anche l’imprenditrice Maria Paola Canegrati, attiva nel campo dell’odontoiatria privata, nonché la moglie di Rizzi, un suo collaboratore e la sua compagna, oltre che una decina di funzionari pubblici ovviamente asserviti. La solita bava, insomma: un servizio pubblico che si piega agli interessi privati ungendo i burocrati con le giuste mazzette. Altro che “cambio di passo”: la sanità lombarda ha lo stesso odore degli ultimi anni solo con un po’ di più di salsa al prezzemolo.
Ma come è cominciato l’incubo di Maroni? Questa volta la denuncia arriva dall’interno, l’esposto da cui è partita l’operazione Smile ha un nome e un cognome: Giovanna Ceribelli.

(l’articolo continua qui)

Eh, sì, con Maroni è proprio cambiato tutto

maroni

Un nuovo scandalo sulla sanità si abbatte sulla Regione Lombardia, scatenando un vero e proprio terremoto. In manette finisce Fabio Rizzi, 49 anni, ex senatore, plenipotenziario di Maroni per la sanità e ‘padre’ della riforma della sanità lombarda, provvedimento di cui il governatore lombardo si è detto più volte fiero.

Perquisizioni in Regione. Era in corso la commemorazione delle vittime delle forze dell’ordine quando si sono presentati i carabinieri del Comando provinciale: si sono diretti nell’ufficio di Rizzi e hanno iniziato a perquisirlo. Erano gli investigatori dell’operazione ‘Smile’ che ha portato in carcere o ai domiciliari altre 19 persone oltre a Rizzi e alla sua compagna. Undici sono i funzionari pubblici raggiunti dai provvedimenti della procura di Monza. Avrebbero favorito alcuni gruppi imprenditoriali specializzati in servizi e forniture dentistiche che lavoravano in outsourcing all’interno di ospedali pubblici lombardi.

Maroni riunisce la maggioranza. Il governatore ha chiamato a raccolta tutta la maggioranza. Nel primo pomeriggio a Palazzo Lombardia, Maroni ha convocato tutti i capigruppo e i capi delle delegazioni in giunta. La seduta della commissione sanità prevista per domani potrebbe essere cancellata. La notizia dell’arresto è stata commentata così da Raffaele Cattaneo (Ncd), presidente del Consiglio regionale: “C’è sgomento e tristezza. Da un punto di vista istituzionale è un altro colpo alla credibilità del Consiglio che stiamo cercando di recuperare”. Il precedente scandalo in ambito sanitario è di pochi mesi fa: era ottobre, infatti, quando in carcere era finito Mario Mantovani, ex vicepresidente della Regione ed ex assessore alla Sanità. Gli investigatori lo accusavano di gare pilotate, anche sui dializzati.

Il Tweet del governatore. Ironia della sorte ha voluto che i primi tweet della giornata di Maroni fossero a commento della rassegna stampa del settore sanità. Commentando un paio di articoli, uno sul pronto soccorso pediatrico, l’altro sulle cure dei malati cronici, il governatore aveva coniato l’hashtag #sanità eccellente in Lombardia.

Un nuovo pronto soccorso a misura di bambino: #sanità eccellente in @LombardiaOnLine pic.twitter.com/kufDqe8zh2

— Roberto Maroni (@RobertoMaroni_) 16 Febbraio 2016

L’inchiesta. E’ condotta dal tribunale di Monza e si muove sull’ipotesi dell’associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, alla turbativa d’asta e al riciclaggio. Al centro dell’operazione c’è un gruppo imprenditoriale accusato di aver turbato in proprio favore l’aggiudicazione di una serie di appalti pubblici banditi da varie aziende ospedaliere per la gestione, in outsourcing, di servizi odontoiatrici, corrompendo i funzionari preposti alla gestione delle gare. É stato il componente di un collegio sindacale di un’azienda ospedaliera a far partire le indagini. “Sono quattro gli imprenditori che si sono aggiudicati importanti gare d’appalto per la gestione dei servizi odontoiatrici nel territorio lombardo, su cui ha indagato il Nucleo Investigativo di Milano – ha spiegato il comandante provinciale dei carabinieri di Milano, colonnello Canio Giuseppe La Gala – le gare di appalto pubbliche venivano vinte illecitamente da questo gruppo con la complicità di undici funzionari pubblici. Gli arresti sono stati eseguiti prevalentemente nelle province di Milano, Monza, Como, Bergamo e Varese”.

Le persone coinvolte. In carcere è finito anche un imprenditore vicino a Rizzi, Mario Valentino Longo: i due erano anche soci in un’impresa comune. Come per Rizzi, anche la moglie di Longo è agli arresti domiciliari.

(fonte)

Per curarsi in Italia bisogna essere ricchi. Lo dice il Censis.

tagli-sanitaSecondo il Censis 2 milioni di anziani sono costretti a rinunciare alle cure perché non possono più permettersele. Dati agghiaccianti che secondo lo Spi-Cgil dimostrano che in Italia ormai per curarsi bisogna essere ricchi e facoltosi.
“Ormai è del tutto evidente che per potersi curare in Italia bisogna essere ricchi e facoltosi. Lo dimostrano i dati agghiaccianti riferiti a tutti quegli anziani con redditi medio-bassi che hanno dovuto rinunciare alle cure perché non possono più permettersele”.
Così il Segretario generale dello Spi-Cgil Carla Cantone commenta quanto evidenziato oggi dal Censis. “Di fronte a questo drammatico scenario – ha continuato Cantone – viene da domandarsi che cos’altro deve succedere affinché la politica si svegli e rilanci sanità e welfare, che da cinque anni a questa parte sono stati inesorabilmente smontati pezzo dopo pezzo”.

Alzare la mano per salvare un bambino: quanto costa la cura.

Simona Ravizza (giornalista sempre puntuale e attenta sulla sanità lombarda) scrive un pezzo che ancora volta apre uno squarcio sulla regione Lombardia, ciellina e dal cattolicesimo ostentato ma incapace di prendersi cura in senso costituzionale e cristiano del termine:

TOURNOI_ROULETTE_RUSSE_DESSINEUn’alzata di mano per decidere se ricoverare un bimbo in rianimazione. Succede anche questo nella Sanità sempre più a corto di soldi. E accade in uno dei più importanti ospedali pubblici per bambini, con sede nel cuore di Milano.

Un ricovero potenzialmente da 50mila euro

Mancano pochi giorni a Natale e alla clinica pediatrica De Marchi sono tempi difficili. Gli Uffici del Controllo di gestione e programmazione si sono appena raccomandati di non sforare il bilancio. È fine anno e per i vertici degli ospedali è fondamentale chiudere con i conti in pareggio. I direttori generali, nominati dalla Regione, vengono giudicati anche – e soprattutto – sulla capacità di evitare buchi. A cascata, le pressioni per non andare in rosso coinvolgono tutti.
Poche ore dopo il richiamo a spese più attente, arriva alla De Marchi la richiesta di ricoverare un bambino egiziano di quasi un anno. Ha una grave malattia, un’immunodeficienza ereditaria, con enormi rischi di non riuscire a sopravvivere anche alla più banale infezione. I medici capiscono bene che per il piccolo paziente servono cure particolarmente costose. Ci sono da spendere oltre 50 mila euro e l’esito delle terapie è tutt’altro che scontato. E c’è il pericolo di un reale accanimento terapeutico. Il reparto che lo deve prendere in carico ha già superato il budget di spesa annuale, lo sforamento è di quasi 100 mila euro.

I medici di fronte a una scelta difficile

I pediatri si interrogano. Il ricovero del bimbo va accettato? Il piccolo paziente è destinato a un trapianto di midollo in un altro ospedale ed è in arrivo alla De Marchi dopo essere già stato ricoverato in altre due strutture. Entrambe si sono scontrate con i medesimi problemi economici della De Marchi: si sono già prestate alle costose cure, ma ora chiedono aiuto altrove.
Per prendere la decisione si susseguono riunioni. L’ultima, la decisiva, avviene in reparto per alzata di mano. Ai presenti – una decina – viene chiesto di esprimersi attraverso una votazione. Si decide di ricoverare il bimbo. Ma l’alzata di mano lascia un segno tra i presenti che ora – con il bambino miracolosamente migliorato – si domandano: «Possibile che nel servizio sanitario un medico debba trovarsi a fare scelte di questo tipo? Pesare la vita di un bimbo in relazione alle spese per salvarlo?».

La situazione dei contri nella sanità

Questione di soldi. La clinica pediatrica De Marchi è una costola del Policlinico di Milano, ospedale universitario che è un punto di riferimento nazionale per oltre 200 malattie rare. Per queste patologie le terapie sono onerose perché, essendo poco diffuse, i farmaci sono particolarmente cari. Il problema dei conti in ordine è una lotta quotidiana. E con i tagli al bilancio della Sanità degli ultimi anni la situazione in Italia è sempre più precaria. Secondo le stime delle Regioni nel 2012 sono arrivati complessivamente 3 miliardi di euro in meno e nel 2013 ben 5 miliardi e mezzo.
È di questi giorni, inoltre, la discussione sull’ennesima riduzione di finanziamenti per una cifra di 2,450 miliardi di euro. Eppure già oggi in Italia la spesa sanitaria è solo il 9,2% del Pil, assai inferiore a quella degli Stati Uniti (16,9%) e di Paesi europei come la Francia (11,6%) e la Germania (11,1%). Il minore trasferimento di soldi colpisce con un effetto domino le Regioni, gli ospedali e i singoli reparti.

Ora il bambino sta meglio

Dopo aver votato, i pediatri si sono rivolti alla direzione di presidio. «Sono al corrente di quanto accaduto e ho sostenuto i medici nella decisione dando la copertura sanitaria richiesta – spiega il direttore Basilio Tiso -. Il bambino è stato curato e sta meglio. Nei prossimi giorni ci sarà il trapianto di midollo».
È andata bene, fa intendere Tiso, ma è difficile andare avanti così: «Con lo sforzo di tutti, amministratori, direzione strategica dell’ospedale, medici e infermieri, questa situazione si sta risolvendo. Ma se i fondi continueranno a diminuire – sottolinea – è indispensabile una profonda riforma del sistema sanitario. Occorre diminuire il peso dell’apparato amministrativo, burocratico e politico sulla Sanità, in modo da sbloccare risorse in favore degli operatori medici e infermieristici, delle tecnologie più all’avanguardia e dei nuovi farmaci». Un medico non può e non deve fermarsi a riflettere sul costo di una cura.

Bobo Maroni premia il manager inquisito

Io non riesco ad immaginare un abbassamento dell’etica peggiore di questo tempo lombardo:

La Regione Lombardia ha assegnato il premio di risultato nella sanità, tra gli altri, a Paolo Moroni, direttore dell’ospedale Melegnano e coinvolto in un’indagine giudiziaria.
Il caso era scoppiato lo scorso maggio, quando i vertici dell’azienda ospedaliera di Melegnano erano stati coinvolti in un’inchiesta relativa ad Expo 2015 e a presunti reati di corruzione nel settore delle forniture sanitarie. A seguito della vicenda il manager era stato sospeso.
La cifra del premio è superiore ai 25mila euro.

(fonte)

Anche in Lombardia i candidati mafiosi si fanno in casa

Spesso ci è capitato di discuterne nei nostri incontri: la mafia che, delusa dalla politica, passa alla produzione “in proprio” dei dirigenti e dei candidati è il segno di una crescita sostanziale nella radicazione sul territorio. E infatti ne scrive Cesare Giuzzi:

Il milanese ha sostituito il calabrese. Dialetto lombardo, boss e cumenda. Affiliati ai clan nati e cresciuti al Nord. Senza neppure una goccia di sangue d’Aspromonte. La ‘ndrangheta cambia, e anche a Milano – suo feudo imprenditoriale ed economico – le regole si adattano al limite del mutamento genetico. Per esempio aprendo le porte a nuovi «battezzati» che «non hanno origine calabrese» e vengono «affiliati all’interno dei vari locali della ‘ndrangheta lombarda con cariche e doti secondo gerarchie prestabilite, con cerimonie e rituali tipici». Ma non solo. Sotto la lente della squadra Mobile di Milano e della Dda guidata da Ilda Boccassini, sono finiti anche due medici. Chirurghi noti e stimati nell’ambiente sanitario lombardo oggi sospettati di «essersi messi a disposizione di affiliati e dei loro parenti» per ottenere «scarcerazioni e cure privilegiate».

Gli investigatori li hanno seguiti e fotografati durante incontri e cene con condannati per mafia o familiari di arrestati nelle ultime operazioni antimafia al Nord. Si tratta di due medici di origine calabrese che lavorano al Niguarda di Milano e al Policlinico di Monza. Con loro anche un infermiere di origini calabresi. Una conferma ulteriore dell’interesse mafioso per la sanità lombarda. Come già emerso a proposito dell’ex dirigente sanitario dell’Asl di Pavia, Carlo Chiriaco, condannato in secondo grado a 12 anni. Proprio da quelle indagini è nato il fascicolo che ha permesso, alcuni mesi fa, di scoprire la presunta «cupola» che voleva spartirsi gli affari di Expo.

La capacità di adattamento delle famiglie criminali calabresi e la loro struttura «flessibile» hanno permesso di riempire i vuoti dopo i 300 arresti dell’operazione Infinito-Crimine (luglio 2010) e quelli delle inchieste successive. Tanto che, secondo la polizia, i clan a Milano si sono «immediatamente riorganizzati e hanno di fatto ricostruito e preservato la scala gerarchica che consente alla ‘ndrangheta di rimanere solidamente legata al territorio».

La fotografia scattata dalla relazione inviata alla Direzione nazionale antimafia dalla squadra Mobile di Milano è l’immagine di una mutazione in atto. Dopo aver investito sui politici – spesso con aspettative superiori rispetto ai risultati ottenuti – i clan oggi «si sono posti l’obiettivo di entrare direttamente nei gangli della vita imprenditoriale e politico-istituzionale». Come? Candidando affiliati di assoluta fiducia nelle amministrazioni locali: «Gli appartenenti alla ‘ndrangheta, dimorando al Nord ormai da più generazioni, hanno progressivamente acquisito una piena conoscenza del territorio consolidando rapporti con le comunità locali e privilegiando specifici contatti con rappresentanti della politica e delle istituzioni locali che occupano ruoli chiave nelle amministrazioni». Il tutto, come annotano gli investigatori della squadra Mobile diretti da Alessandro Giuliano, grazie alle nuove generazioni che hanno permesso alla ‘ndrangheta al Nord di «diventare col tempo un’associazione dotata di un certo grado di indipendenza rispetto a quella autoctona calabrese con la quale continua comunque a mantenere rapporti molto stretti».

Il nuovo «governo» delle ‘ndrine «si realizza con un tasso di violenza marginale, privilegiando invece forme di accordo e collaborazione con settori della politica, dell’imprenditorie e della pubblica amministrazione». Ecco la zona grigia. Così, come era emerso nel recente passato, dal traffico di cocaina l’attenzione dei boss milanesi s’è spostata sull’edilizia, sugli appalti pubblici (Expo, ma non solo), usura, frodi immobiliari, giochi, scommesse e l’acquisto di locali in centro. I clan investono all’estero: Romania, Gran Bretagna, Cipro e Svizzera. «L’ingresso di nuovi elementi ha consentito alle più solide consorterie mafiose calabresi di confermare il proprio assetto territoriale e di riaffermare il proprio ruolo di referenti locali rispetto alla casa madre».

Per quanto riguarda i medici indagati, l’inchiesta avrebbe messo in luce rapporti con boss del calibro di Pasquale Barbaro detto ‘U Nigru , originario di Platì (Reggio Calabria) e arrestato nel 2011 nell’inchiesta Minotauro della Dda di Torino, di affiliati (Molluso e Trimboli) della potente cosca Barbaro-Papalia («La sua egemonia a Milano e hinterland è assoluta») e del clan Morabito-Palamara-Bruzzaniti di Africo.

La fragilità farmaceutica

Su Doppiozero Gianluca Solla scrive un articolo intelligente e pieno sul preoccupante approccio sempre più farmacologico riguardo i bambini e le loro diverse irrequietezze. C’è un confine sottilissimo tra un sistema sanitario che preservi l’umanizzazione del paziente e un freddo meccanismo di utenti, disposizioni e ricerca del farmaco per intervenire. Il mercato psichiatrico dei bambini in sostituzione di interventi didattici e sociali meriterebbe qualche chilo di attenzione in più.

L’“utente” dell’istituzione medica avrà anche diritto ai suoi diritti, ma per definizione non parla. Altri lo fanno al posto suo; in realtà anche questi ultimi a loro volta parlano una lingua standardizzata e preventivamente approvata: parlano una lingua in cui i significanti sono stati già fissati senza rischio di smentita. Una lingua in cui, in definitiva, nulla deve accadere. Dentro questo cerchio magico non sarà più questione di sintomi, ma sempre e solo di disturbi e di handicap. Sono pochi quelli che conservano a questo punto la capacità di accorgersi di cosa succede: questa trasformazione linguistica del “disagio” in “handicap”, questa cancellazione del sintomo in quanto sintomo, segnala un passaggio importante.

Un sintomo rappresenta una verità, l’apparire di qualcosa altrimenti nascosto: magari una verità che riguarda la famiglia o i genitori e che non ha trovato altro modo di emergere che attraverso il sintomo. Un handicap non ha ovviamente alcuna verità; l’unica verità è quella riconosciuta alle pratiche terapeutiche che intendono estirpare il male. Se il sintomo era ancora una parte del corpo che parlava, l’handicap è un disturbo con cui il paziente finisce per venir identificato in questa lingua diagnostica. Il passaggio espressivo da “l’enuresi è un handicap” a “è un handicappato a causa della sua enuresi” è da questo punto di vista esemplare: quella di handicappato è una condizione inventata da un’istituzione, laddove il sintomo è comunque uno stratagemma del soggetto per dire il suo disagio ad accettare il ruolo che gli è stato attribuito. La constatazione si trasforma in un’identità che cattura il soggetto: dentro la gabbia d’acciaio dell’“utente” il soggetto che vi è rinchiuso fatica a farsi sentire; fatica a trovare la via verso quella parola che è sua e di nessun altro.

Se in effetti emerge un conflitto tra la dimensione farmaceutica e quella linguistica, è forse perché, come gli antichi greci sapevano bene, la parola ambisce, sin dalla sua prima ora, a essere riconosciuta come farmaco. Quando la lingua torna a essere la parola che si fa in ciascuno per salti, invenzioni, balbettii – la parola fragile, fragile come la vita che la porta; la parola che deve essere cercata, presa in prestito, trasformata ogni volta da capo – allora riconosciamo in lei il suo potere di pharmakon. Rispetto alle parole sottratte ci viene incontro quanto diceva una poetessa di lingua tedesca, il fatto cioè che abbiamo bisogno di frasi vere. Mai come oggi questa frase sembra assumere a distanza di tempo un valore profetico che gli sviluppi della nostra epoca non hanno fatto che confermare.

La ristrettezza della neolingua psico-medico-terapeutica che non parla più con i pazienti, né è più capace di ascoltarli, perché sono per lei solo “utenti”, questa ristrettezza è spazio sottratto alle vite, spazio-di-vita per riguadagnare il quale a questo punto non basta più affidarsi al ritornello rassicurante della protezione della vita, ma occorre inventare un’altra narrazione di sé, che parta forse proprio dalla fragilità come luogo necessario e prezioso della nostra personale sperimentazione nel mondo.

Rispetto a questa gabbia in cui veniamo rinchiusi come soggetti sofferenti, ma trattati come “utenti”, l’allargamento della noseologia dei disturbi psichiatrici operata dalle successive edizioni dei DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, in italiano: Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) lascia sconcertati. Per non fare che pochi esempi, nell’ultimo DSM vengono introdotte sindromi dalla definizione incerta e dai confini sfumati, che permettono tuttavia proprio per queste loro caratteristiche una più ampia applicazione casistica. Per esempio: la “sindrome di rischio psicotico” (corsivo mio); il “disturbo composito ansio-depressivo”; il “disturbo di ansietà sociale”… La timidezza, la tristezza a seguito di un lutto, le difficoltà scolastiche o esistenziali, diventano malattie che hanno il loro corrispettivo in altrettanti prodotti farmaceutici.

Fondazione Maugeri: gli innocenti che patteggiano

Un milione di euro a titolo di sanzione pecuniaria e la confisca di immobili per un valore di 16 milioni di euro. È il patteggiamento della Fondazione Maugeri, ratificato oggi dal gip di Milano Andrea Ghinetti. La fondazione pavese era indagata in base alla legge sulla responsabilità amministrativa nell’inchiesta milanese a carico, tra gli altri, dell’ex Governatore lombardo Roberto Formigoni, ora senatore del Pdl.

L’accordo di patteggiamento era stato raggiunto nei mesi scorsi tra i pm Laura Pedio, Antonio Pastore e Gaetano Ruta e la difesa e stamattina è stato ratificato dal giudice al termine dell’udienza. I 16 milioni di euro sono parte del profitto del reato, in relazione all’associazione per delinquere e alla corruzione di cui rispondono gli ex vertici e i consulenti del polo di riabilitazione con sede a Pavia, tra i quali l’ex direttore amministrativo Costantino Passerino e l’ex presidente Umberto Maugeri. Anche loro, così come altri indagati (cinque in tutto), hanno concordato patteggiamenti che dovranno essere ratificati nelle prossime settimane.

La notizia la riposta La Stampa e mi riporta alla Commissione Sanità della scorsa legislatura, quando abbiamo dovuto sopportare i pidiellini (e i leghisti al seguito) che ci accusavano di essere dei giustizialisti e di volere mettere in discussione l’etica del patron della Fondazione. Ancora una volta la giustizia arriva mentre la politica è secondaria (nel senso che arriva seconda) mentre passano le legislature e gli anni.

Ma il meglio deve arrivare: tra poco tocca l’udienza preliminare per Roberto Formigoni, che qualcuno in questa legislatura è riuscito a far diventare Presidente di Commissione, tra l’altro.

Poveri (anche) sanitari

In Italia dal 2006 al 2013 è aumentata la povertà sanitaria in media del 97%: sono aumentati i cittadini che hanno difficoltà ad acquistare i medicinali anche quelli con prescrizione medica. Se prima la crisi colpiva le famiglie costringendole a fare a meno di alimenti, di vestiario e di generi di consumo, oggi è in difficoltà anche la capacità di procurarsi le medicine.

Se lo chiede e lo chiede la deputata Piazzoni (SEL)