I falsari dell’antimafia
Un atto d’accusa di Saverio Lodato che credo vada letto. Si può essere d’accordo o meno ma, credetemi, vale la pena leggerlo e pensarci:
Dicevamo prima: ma di quale “antimafia” stiamo parlando? Ecco, appunto.
Dell’”antimafia” che trova le porte spalancate a Palazzo Chigi, a Palazzo Madama, al Quirinale o in Vaticano?
O stiamo parlando di un‘altra “antimafia”?
Di un'”antimafia” minuscola, piccola piccola, quella che non compare nei tg, nelle prime pagine dei quotidiani, nelle rappresentazioni epiche del regime?
E’ stata fatta un’operazione sporca.
E cercheremo adesso di spiegarla in due parole.
E’ accaduto che in questi 23 anni di anniversari, anno dopo anno, su un piatto della bilancia veniva scaraventato il peso del passato, sotto forma di enfasi, di cerimonia, di retorica pomposa.
Il piatto del presente, dell’attualità, invece, restava vuoto.
Questo era il trucco, questo era il giochetto.
Un sottilissimo bisturi invisibile recideva così, per mano di istituzione, il filo fra passato e presente, fra il c’era una volta e il “qui e ora”.
Una cosa, insomma, era Falcone, una cosa sono le mafie romane.
Una cosa sono gli inquisiti per mafia, che non risparmiano più nessuna regione e nessun capoluogo di provincia e nessun partito, una cosa sono i “mafiosi” battezzati come tali da Falcone trent’anni fa.
Una cosa sono “quelli” di allora, una cosa sono “quelli” di oggi (Nino Di Matteo docet!).
Non facciamola troppo lunga.
In Italia, la mafia oggi c’è. Ce ne sono tante.
E che ci sia (e che ci siano), lo sanno in tutto il mondo.
Ma noi, che siamo un Paese di guitti, il 23 maggio e il 19 luglio facciamo finta di commemorare ciò che accadde. E ci diciamo “antimafiosi”.
Che in molti si siano stancati, è fisiologico.
(fonte)