L'onorevole Pecorella, Don Diana e quel gioco antico
E’ un gioco antico (ma non per questo meno doloroso) il dubbio che cammina sul bordo della delazione per le vittime di mafia. E’ la ginnastica suicida di un paese che non riesce nemmeno a lasciare in pace la propria memoria, quella più violenta e infame che di solito finisce sotto un lenzuolo. Che l’onorevole Pecorella decida o meno di ripassare il brillantante su “l’eroico” Vittorio Mangano o altri è una liturgia che potremmo aspettarci, come pure che tutto passi latente e indolore come si conviene ad un paese bengodiano che indossa sempre la maschera del martire per celebrare i funerali con tanto fumo da offuscare il ricordo dei fatti; ma che, ancora una volta, si condisca il cadavere di un giusto con l’olio e le feci del dubbio è e deve essere inaccettabile.
Ho sentito la prima favoletta detrattrice su Don Peppe Diana mentre l’auto blindata mi portava dentro le viscere polverose di Casal di Principe pochi mesi fa, mi dicevano di questa consonanza di cognome con famiglie di camorra e alludevano alle armi nascoste in sacrestia. Mi si è chiuso lo stomaco. Alludevano con l’occhio peloso delle malignità che riuccide, con quella mano che indica e subito si ritira, con l’impunità di un momento storico per la responsabilità alla deriva dove non dimenticare è reazionario, raccontare i fatti prima delle opinioni è desueto e vigilare un privilegio che ci viene generosamente accordato. La delazione invece (meglio ancora se esercitata nella sua forma più pavida della insinuazione) è un esercizio gratuito e per tutti che saltella popolare dai bar e dagli uffici fino ad arrampicarsi tra i pensatori maximi sbrindellati e cicciottelli nei consigli comunali e ancora più su. In un democraticissimo e trasversale turbine di livore, invidia, noia e bassezza d’animo che defeca dubbio.
Il dubbio è la pratica culturalmente mafiosa più abusata dalla società civile per isolare i vivi e riseppellire i morti. E’ uno schiaffo infame perchè non appartiene a nessuna mano, nessuna faccia ma arriva come un’ombra quasi sempre di rimbalzo dalla piazza. E’ la solitudine di dover rispondere a qualcuno non si sa chi che ti preme dentro il cervello e ti esplode nell’inimmaginabile assurdità di doversi difendere dopo essere già stato colpito o, peggio, proprio per scontare la colpa essere stato attaccato.
Una pratica che hanno esercitato con arte i corleonesi contro i magistrati, la camorra contro Don Peppe Diana, i suoi stessi colleghi contro Giovanni Falcone, la finanza deviata contro Giorgio Ambrosoli e poi Mauro Rostagno, Peppe Fava, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Rita Atria, Antonino Scoppellitti… l’elenco sarebbe lunghissimo e doloroso come nessuna nazione mai si meriterebbe. E poi ci sono i vivi: Roberto Saviano, Pino Maniaci, Rosario Crocetta, Vincenzo Conticello, Piera Aiello, Pino Masciari, Lirio Abbate… e anche questo sarebbe lunghissimo e doloroso come nessuna nazione mai si meriterebbe.
Caro onorevole Pecorella, legga di fila quei nomi e scoprirà un unico denominatore: sono nomi che alla sera, da vivi e da morti, si saranno chiesti se è normale doversi difendere non solo dai nemici dichiarati (che fanno parte del gioco) ma soprattutto da questo vento di isolamento che nasce dall’insinuazione. E ci aiuti anche lei, per il ruolo istituzionale che ricopre, a fare in modo che i fatti riprendano il posto e la forma dei fatti, le opinioni non tracimino dalle sponde del rispetto e i professionisti della delazione possano continuare a masturbarsi la propria povertà nella solitudine da wc che si meritano.
La solitudine da scontare sia solo cosa loro per il 41 bis.