Qualche puntuale precisazione su Scarantino e Di Matteo
Per fortuna c’è Roberto Galullo che prova a rimettere in ordine le cose:
Dell’audizione del sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo il 13 settembre davanti alla Commissione bicamerale presieduta da Rosy Bindi, ho scritto un pezzo praticamente in diretta il giorno stesso sul sito del Sole-24 Ore(http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-09-13/di-matteo-strage-via-d-amelio-mai-entrato-indagini-155547.shtml?uuid=AEJNKNSC&fromSearch).
In sintesi Di Matteo dice, con riferimento a quello che poi si rivelerà essere un falso pentito, vale a dire Vincenzo Scarantino, che «quelle indagini mossero da dichiarazioni e indagini precedenti e dunque si tratta di capire chi condusse quelle indagini e quali siano stati eventuali depistaggi volontari. Ed è qui che crolla l’assunto per cui a tutti i costi mi si vuole coinvolgere». Sottinteso: negli errori di valutazione di un soggetto che menerà la Giustizia a largo dalla verità, lui non poteva, non può e non potrà essere coinvolto.
Pur senza citarla, il riferimento era anche alle parole di Fiammetta Borsellino, figlia del giudice ucciso il 19 luglio 1992 con la scorta a Palermo, che aveva parlato di indagini sulla strage condotte all’epoca da un pool di persone inesperte (tra le quali Di Matteo stesso) e di una procura all’epoca massonica.
Il riferimento, però, era anche e soprattutto a quella marea montante di (dis)informatori (nei media e nella politica) che con cagnesco accanimento ha bersagliato e continua a bersagliare proprio Di Matteo sul presunto suo coinvolgimento nell’abbaglio che portò, immediatamente dopo la strage, investigatori e inquirenti a seguire Scarantino.
Orbene – prima di arrivare ad una prima conclusione di ragionamento in questo primo servizio che dedicherò alla sua audizione del 13 settembre, ora che l’intera trascrizione è stata messa sul sito della Commissione bicamerale – è bene apprendere dallo stesso Di Matteo perché non poteva, non può e non potrà essere coinvolto in un quell’enorme guazzabuglio investigativo che seguì alla strage di Via d’Amelio.
Tra i processi per la strage Di Matteo ha infatti seguito un solo processo, dall’inizio delle indagini alla conclusione della sentenza di primo grado: il cosiddetto processo via D’Amelio-ter. «È stato l’unico che ho seguito dal momento in cui è stato iscritto il fascicolo nel registro delle notizie di reato nei confronti di alcuni soggetti al momento in cui, il 9 dicembre 1999 – ha spiegato scandendo bene le parole accanto a Bindi – è stata emessa la sentenza di primo grado. In quel processo sono state irrogate venti condanne per concorso in strage. Quel processo, l’unico che io ho seguito dall’inizio dell’indagine, prescinde completamente e assolutamente dalle dichiarazioni di Scarantino Vincenzo. In quel processo, Scarantino Vincenzo non è stato chiamato neppure a testimoniare. Nelle sentenze del processo, negli atti di quel processo, non c’è alcun riferimento, non troverete alcuna dichiarazione di un soggetto che noi non abbiamo chiamato neppure a testimoniare».
Ma Di Matteo andrà oltre.
Le trascrivo testualmente le sue dichiarazioni davanti ai membri della Commissione parlamentare antimafia perché sui media (carta stampata web, radio, tv) non ne troverete assolutamente traccia.
«Affermare che tre processi sono stati fondati sulle dichiarazioni di Scarantino è semplicemente un falso – dirà d’un fiato il sostituto procuratore nazionale antimafia – è assolutamente infondato. Vi ho già anticipato alcuni dati in questo senso. Vi ho ricordato il dato del via D’Amelio-ter, processo nel quale Scarantino non è stato nemmeno citato nella lista dei testimoni di accusa. Ma, andando a ritroso, affermare che anche il via D’Amelio-bis si sia fondato esclusivamente sulle dichiarazioni di Scarantino è un altro dato falso, tant’è vero che molte condanne inflitte da quella corte nel via D’Amelio-bis – Salvatore Riina, Pietro Aglieri, Salvatore Biondino, Carlo Greco, Francesco Tagliavia, Giuseppe Graviano – sono state confermate e mai successivamente messe in discussione, nonostante le dichiarazioni di Spatuzza.
Ecco perché, anche per il via D’Amelio-bis, affermare che quel processo abbia dato credito incondizionato alle dichiarazioni di Scarantino è semplicemente falso. Significa non conoscere gli atti; significa adeguarsi a una prospettazione che, molto abilmente, qualcuno sta instillando anche nella mente di persone in buonafede; significa non avere letto la requisitoria. Fingere di non ricordare che lo stesso pubblico ministero, già nel via D’Amelio-bis, aveva sostenuto che le dichiarazioni di Scarantino erano state inquinate dopo i primi tre interrogatori e potevano essere utilizzate – così si esprime il pubblico ministero in quella requisitoria – solo se confortate in maniera particolarmente significativa da altri e forti elementi di prova, da altre dichiarazioni di altri pentiti, da altre testimonianze, da altre intercettazioni telefoniche… Per questo motivo lo stesso pubblico ministero, in assenza di significativi elementi di prova diversi dalle propalazioni di Scarantino, già nel via D’Amelio-bis chiese e ottenne l’assoluzione per il delitto di concorso in strage di Calascibetta Giuseppe, Murana Gaetano e Gambino Antonino, soggetti che poi vennero condannati perché altre fonti di prova vennero in appello – in processi che quindi non seguivo io, non seguiva la procura di Caltanissetta, ma casomai l’organo inquirente della procura generale di Caltanissetta – e le assoluzioni, anche queste sollecitate dal Pm, si trasformarono poi in condanne. Ecco il perché oggi della revisione».
(l’articolo continua qui)