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Io non capisco

Non capisco e non ci voglio credere a questo vento in SEL (nella persona di Gennaro Migliore) che vorrebbe legittimare se non addirittura “appoggiare” Matteo Renzi alla segreteria del PD. Non capisco allora se ho frainteso io in questo ultimo anno una campagna alle primarie che giustamente da Renzi prendeva le distanze e non capisco se l’obbiettivo sia quello di essere una forza filogovernativa infiltrata nell’opposizione. Perche quando sento Civati dire che la differenza tra lui e Renzi è che tra Marchionne e la FIOM sceglierà sempre la FIOM allora significa che Civati è più a sinistra di SEL e sta cercando di “condizionare” il PD a “fare qualcosa di sinistra” che era uno degli obiettivi proprio di SEL. E mi chiedo a cosa serva SEL allora. Perché allora Civati è SEL, Migliore è la pinna sinistra di Renzi e io sono mio zio.

(Per farsi un’idea si può leggere qui.)

I circoli

E’ una parola bellissima: i “circoli”. Perché dà tutto il senso del movimento che ci sta dentro e che dovrebbe venirne fuori. Quando immaginavo i circoli, prima di vederne così annacquato il senso, pensavo a quelle cose lì che stavano in circuito ristretto per poi portare il risultato della propria sintesi in un posto dove tutti le sintesi diventano un’altra sintesi con il rispetto di tutte le posizioni. Sembra banale, a leggerlo così scritto con le parole semplici semplici con cui me l’hanno spiegato e ho provato a scrivere qui. Eppure poi in pratica non funziona, non so se l’avete notato: non funziona proprio quasi mai. E così i circoli politici (dei partiti, dei movimenti o comunque si chiamino) rimangono i migliori cuscinetti dello sconforto, i circoli antimafia troppo spesso sono visti come nuova potenziale concorrenza sleale, i circoli umanitari vengono trattati come disturbatori con troppe bandiere di troppi diritti e i circoli culturali come disperazione elegante e poetica. Insomma sarebbe il tempo di organizzare i circoli sul serio o avere il coraggio di distruggerli una volta per tutte; riuscire magari a prendersi la responsabilità di organizzare la discussione uscendo dalle scorciatoie del “movimento liquido”, della “rete”, della burocrazia applicata addirittura allo scambio di idee o al ritornello dell’uno vale uno dove la direzione la indica chi urla più forte.

Circola negli ambienti dell’antimafia una battuta che è significativa: la criminalità è organizzata, noi no. E’ umorismo nero, satira tragica ma coglie  bene il senso: sclerotizziamo le differenze in correnti e lavoriamo “sotto” per provare ad imporre la più vicina a noi. Ci sarebbe da chiedersi se è normale, in un sinistro tempo di “larghe intese” non riuscire nel frattempo ad intendersi nemmeno tra noi, tra i più prossimi di noi o almeno tra gli aderenti alla stessa idea; dovremmo sapere dove sta il granello che ogni volta inceppa il meccanismo della risoluzione per accanirsi nella differenza che nessuno vuole sciogliere. Forse se cominceremo a salvare i circoli inizieremo a chiudere il cerchio.

Sarebbe ora che i circoli fosse gli avamposti piuttosto che le retrovie.

Recitare a schiena dritta. Intervista per Infooggi.

MILANO, 23 LUGLIO 2013 – Giulio Cavalli è attore ed è sotto scorta dal 2008. La ‘Ndrangheta non gradisce gli attacchi che lancia dal palco, le verità che racconta al pubblico di quel Nord dove per molti ancora vale il ritornello: «qui la mafia non esiste». I suoi spettacoli si ispirano a fatti realmente accaduti, al presente civile, sociale e politico dell’Italia. Da Linate 8 ottobre 2001: la strage (2007) sull’incidente aereo, a Bambini a dondolo (2007), sul turismo sessuale infantile, a Primo L. 174517 (2008), uno spettacolo ispirato al romanzo Se questo è un uomo di Primo Levi, agli spettacoli sul tema della mafia: Do ut Des, spettacolo teatrale su riti e conviti mafiosi (2008), A cento Passi dal Duomo (2009), Nomi, cognomi e infami (2009) e L’innocenza di Giulio – Andreotti non è stato assolto (2011). Nell’aprile 2010 all’impegno teatrale ha affiancato quello politico, ed è stato eletto come consigliere regionale indipendente nella lista dell’Italia dei Valori in Lombardia; successivamente ha aderito al gruppo di Sinistra Ecologia e Libertà, che oggi rappresenta nel consiglio regionale lombardo.

Nasce come artista di teatro. I suoi spettacoli si ispirano a fatti realmente accaduti, al presente civile, sociale e politico dell’Italia. Ha affermato che il teatro deve essere un «mezzo per mantenere vive pagine importanti della nostra storia». Deve avere l’obbligo morale di prendere una posizione netta in merito agli avvenimenti che accadono, un teatro di controinformazione. Crede che il teatro possa avere la capacità di influire sulla coscienza civile di un Paese?

Certo. Non lo dico io ma lo dice la storia del teatro. Attraverso la parola si costruisce il pensiero e, nel migliore dei casi, si coltiva la capacità di analisi collettiva. Il teatro poi, a differenza di un libro e soprattutto della televisione, richiede anche allo spettatore una “costrizione” fisica che non può esimersi da una partecipazione attiva: in teatro devi scegliere di andare, scegliere di vedere proprio quello spettacolo e difficilmente si riesce a liquidare l’esperienza in pochi minuti uscendone. In più in teatro ci si mette la faccia e il corpo ed è molto più facile capire se il portatore delle parole sia intellettualmente onesto. É una visione tattile, direi.

Diversi suoi spettacoli nascono da sentenze giudiziarie. In che modo avviene il processo di trasformazione di una sentenza in un’opera teatrale?

Cercando di cogliere all’interno delle carte giudiziarie la storia profondamente umana e il paradigma sociale. All’interno di molti processi si sono scritte verità che esulano dall’ambito giudiziario e descrivono comportamenti di questo tempo. Spesso gli atteggiamenti non sanzionabili per legge (ma comunque inopportuni) sono più significativi delle sentenze. L’umanizzazione delle carte giudiziarie è una scultura che è già disegnata nel cubo, basta farla venire alla luce. E’ un lavoro che ha bisogno di una buona arte di togliere e di una buona umiltà nel non aggiungere.

Dal 2010 è passato anche all’impegno diretto in politica; si è candidato alle elezioni regionali della Lombardia come indipendente nella lista dell’Idv. Come mai ha deciso di affrontare anche questo tipo di impegno? L’approccio culturale non era sufficiente a cambiare le cose? Una volta eletto ha aderito al gruppo di Sel, perché?

Perché il mio teatro è profondamente politico. Ed è politica tutto ciò che decide di non accettare le verità precostituite o semplicemente andare a fondo delle situazioni. Non credo nel “teatro civile” che si illude di fare cronaca o memoria. Si può essere apartitici, certo, ma una posizione politica sta in ogni narrazione che si rivolga alla coscienza civile di un Paese. L’attività all’interno delle istituzioni quindi non ha nulla di innaturale rispetto ad uno spettacolo, un articolo o un libro. L’appartenenza a questo o quel partito è semplicemente un mezzo. Che trovo poco interessante. In Italia la coerenza rispetto ad un’idea spesso è più ferma dei programmi o delle dinamiche di partito.

Dopo aver passato anni a negarne l’esistenza, si può dire che oggi la presenza della mafia al nord Italia è riconosciuta? Qual è la situazione attuale in Lombardia?

Certo è più sentita. Ma siamo ancora a livello di sterile litigio politico o semplice allarme. Manca il percorso di responsabilizzazione e di studio. Oggi il nord ha l’occasione di prepararsi alle mafie facendo tesoro del sud migliore ma è ostaggio di un federalismo che è più un embargo di esperienze positive che altro.

È autore del volume “Nomi, Cognomi e Infami”, racconta quale sia lo stato e le collusioni della criminalità organizzata nel settentrione, perché mettere in scena una realtà cruda come quella delle mafie?

Perché mentre chiedevamo di non avere paura siamo finiti sotto minaccia. Ed era inevitabile accettare la sfida.

Le mafie hanno uno o più lati disonorevoli?

Moltissimi. Spesso le mafie sono l’associazione organizzata dei vizi della malapolitica, dell’imprenditoria spericolata e della cittadinanza incostituzionale. E infatti sono i suoi compagni preferiti.

Per lo spettacolo “Do ut Des”, nel 2008, hai subìto delle intimidazioni mafiose. Da quel momento le è stata assegnata la scorta. Immaginava che il suo spettacolo potesse provocare un simile effetto? 

Non parlo di minacce. Mi annoia questa epoca di minacciati fascinosi come bomboniere della legalità. Sono stato minacciato come è minacciata più in concreto la bellezza e la moralità in Italia.

Cos’è la libertà e cosa rappresenta per lei?

Riconoscermi in tutto quello che faccio.

Se potesse tornare indietro, rifarebbe tutto?

Certo. Altrimenti sarei stato un omertoso, no?

Giulia Farneti (da qui)

La bussola di Pisapia

«Potrei votare Renzi se ha superato, come mi sembra abbia fatto, il concetto della rottamazione cercando invece di arrivare a una sintesi dell’utilità e della ricchezza delle persone che hanno esperienza» sono le parole di Giuliano Pisapia sulla probabile candidatura di Matteo Renzi al prossimo congresso del Partito Democratico. Aggiungendo, poi: «Non ho mai pensato che fosse troppo di destra. Penso che sulla giustizia lui abbia una visione come quella che ho io – ha detto Pisapia – e cioè che non ci deve essere un pregiudizio ma un giudizio. Sul altri temi ci sono differenze forti, ma è il bello di una coalizione unita e unitaria».

Il fatto è che le differenze forti sono il bello di una coalizione unita e unitaria se risultano comuni i valori di fondo. Gli stessi valori che non sono sopravvissuti al piano Bersani e che difficilmente sembrano compatibili al piano Renzi. Lo diceva SEL, oggi lo nega Pisapia. Sempre meglio, davvero.

L’antipatico adagio della “sinistra”

Mi chiedono cosa ho intenzione di fare, in politica. Sì, bello, bravo, mi dicono, sei stato bravo e bello ma cosa sei e ancora meglio cosa vuoi essere? La politica è una cosa seria quando serve ad alleggerire l’oppressione degli oppressi ma diventa un esercizio dialettico nei salotti romani. Un reality dove l’isola è il parlamento e le facce vendono sempre più delle idee. E poi sbuca sempre prima o poi (appena un secondo prima della proposta dell’aperitivo) la “sinistra”. Dici “sinistra” di questi tempi e sei già stimabile di tuo perché hai il coraggio di pronunciarla senza eccezioni di parte. Tempi bui questi in cui una parola si porta con sè un bagaglio intero di pregiudizi.

C’è stata la sinistra responsabile che voleva dimostrare di avere la maturità di stare al governo. E ne è uscita (mio dio con che eleganza però, eh) un secondo dopo il governo appena impastato e fatto.

C’è la sinistra dura e pura che a forza di essere puramente dura e duramente pura ha finito per allearsi con quei quattro aspiranti confindustriali che stavano nel partito a forma di piscina gonfiabile insieme a Tonino Di Pietro.

Poi c’è la sinistra di Ingroia che ha voluto essere apartitico con tutti i segretari di partito capilista. Non sarebbe nemmeno servita un’indagine dei vigili urbani per capire che il ricambio era un’ispirazione rimasta bloccata come un nodo in gola e alla fine aveva la forma e l’odore di uno sputo minoritario per sintesi organica.

Poi c’è la sinistra extraparlamentare, extrapotentati che ha finito per essere anche extrasociale come un barricadero intriso di rhum ma simpaticissimo, per carità, come affascina seduti al bancone nessuno mai, mai.

Poi c’è la sinistra del centrcentrocentrosinistra che non vuole cambiare la partita ma vuole cambiare il partito e alla fine vorrebbe convincerci che la loro battaglia sia totalizzante nonostante il recinto. Perché per costruire una sinistra in Italia, ci dicono, bisogna fare che il PD diventi di sinistra. E poi giù con le risate finte come nelle commedie in pellicola incrostata e incerottata degli anni ’50.

Rimane di sinistra qualcuno, sì. Rimangono di sinistra gli anziani seduti al bar che vorrebbero far pagare in modo direttamente proporzionale le tasse come avevano scritto quei tali nella Costituzione parlando di “ognuno secondo la propria capacità contributiva”. Vorresti far pagare quindi i ricchi? Chiedono sdegnati i responsabili del bar ACLI la giù nella bassa provincia di qualsiasi provincia qualsiasi e quelli, responsabilmente alcolici come erano alcolici i compagni qualche decennio fa, dicono che sì, che dovrebbero pagare la crisi quelli che non l’hanno sentita che spesso sono quelli che l’hanno provocata per una disuguaglianza che costa troppo ormai. Ma nessuno li prende sul serio, nessuno.

Poi ci sono i “cantori della sinistra”. Meravigliosi. Aprono un cantiere al giorno e intanto dentro le proprie mutande nominano anche il segretario di circolo. Perché il controllo è tutto, dicono, e poi da lì credono che passi la potenza mentre spariscono nelle percentuali.

Vincono tutti lì dentro il recinto e sono preoccupatissimi di quello che si potrebbe preparare fuori. Mi telefonano allarmati e allarmanti. Perché a lavorare normali, senza commissioni e strategie da caffè, ma lavorare normali con un lavoro che sia di scadenze e cliente e impegni presi non riescono a concepirlo. Proprio no.

Cosa stai facendo? mi chiedono. Cosa hai intenzione di fare, intendo politicamente? Osservo il teatrino della sinistra più mendace e borghese di questi ultimi anni. Poi si vedrà. Come in “via col vento” perché mi vergogno anche solo a citarlo, Berlinguer.

C’è un bel vento, a Lodi

Le proposte che hanno un senso e valgono. Un programma semplice: quello di SEL Lodi e di come immagina la mia (ex) città: Lodi. Fare politica, a volte, è un temerario esercizio di rivoluzione. Anche a Lodi.

A Lodi come in tutto il paese la crisi impatta il mondo del lavoro in modo sempre più violento, disoccupazione e precariato si tengono compagnia, mentre i diritti si assottigliano e la pensione, più che un traguardo, diventa un miraggio. Lodi e il lodigiano non fanno eccezione con aziende in liquidazione, fabbriche, uffici, negozi chiusi o a rischio chiusura e la cassa integrazione ormai diventata prassi. E’ necessario liberare risorse per rimettere in moto l’economia locale, produrre servizi pubblici di qualità per i cittadini e pensare ad una città più viva e accessibile per tutti. Bisogna investire nella “Green economy”, puntando davvero sul futuro e sui giovani, favorire l’insediamento di attività innovative e la pratica della filiera corta, valorizzando le peculiarità del nostro territorio e collegando l’agricoltura e i produttori locali attraverso la Piccola Distribuzione Organizzata. Bisogna difendere le piccole realtà commerciali dalla grande distribuzione, inibendo l’insediamento di grandi centri commerciali – che già assediano Lodi – con gli strumenti urbanistici contenuti nel Piano di Governo del Territorio comunale e provinciale (PTCP). L’Amministrazione Comunale deve essere protagonista e non spettatrice nello scenario di questa crisi che rende il lavoro una merce sempre più rara; si può e si deve puntare, in collegamento con le realtà sindacali, alla sicurezza nel mondo del lavoro e investire nella formazione perché la “scommessa del lavoro”, certamente tra le sfide più difficili da raccogliere, ci impone di mettere in campo uno sforzo fatto, innanzitutto, di “volontà politica”, affinché Lodi sia in grado di dare risposte concrete.

Le proposte per il lavoro, le attività economiche e il commercio

– Stop alla logistica ed alla grande distribuzione, favorendo l’insediamento e la creazione di imprese ad alto contenuto occupazionale e fortemente innovative anche attraverso incentivi di tipo fiscale;
– Promozione della Piccola Distribuzione Organizzata (PDO) che favorisca l’incontro fra consumatori e produttori a “Km. zero”, aziende della filiera certificate o che riutilizzano beni confiscati alle mafie;
– Creazione di un Distretto di Economia Solidale (DES);
– Valorizzazione delle peculiarità territoriali (agro-alimentare, economia verde) e della presenza di know-how scientifico (Istituti di ricerca, Università) all’interno di un progetto che sappia favorire la riconversione ecologica delle aziende e promuovere la Green-economy;
– Potenziamento del pacchetto di misure economiche di sostegno (Fondo anticrisi) a favore di senza-lavoro, cassintegrati, famiglie in difficoltà anche tramite la realizzazione di convenzioni per l’uso agevolato di beni e servizi;
– Creazione di forme di sostegno all’imprenditoria giovanile e femminile attraverso la creazione di un “incubatore” di start-up, l’uso del micro-credito e di incentivi fiscali;
– Recupero e reimpiego di strutture pubbliche attualmente inutilizzate per l’allestimento di spazi lavorativi condivisi (co-working) stimolando la nascita di nuove imprese soprattutto in ambito giovanile e femminile;
– Valorizzazione del patrimonio artistico e paesaggistico locale per il rafforzamento di una rete di turismo culturale ed eco-compatibile.

Il candidato sindaco è il Simone di cui scrivevo qui. C’è un bel vento, a Lodi.

La Cinisello di Siria (Trezzi)

siria trezzi-4Adesso vedrete che tutti si tufferanno a scovare dai risultati delle amministrative i fondi del caffè per prevedere il futuro politico nazionale. E così poi si sprecheranno le analisi, i commenti, i sogni, le diatribe e alla fine la pastura nazionale sarà sempre peggio del previsto. Il collegamento tra l’esperienza dei sindaci (e di bravi amministratori coraggiosi e illuminati ne siamo pieni, eh) e la rappresentanza nazionale si è spento molto prima dei 101 e del governissimo. Per questo sarebbe il caso di cominciare a prendersi la responsabilità (da militanti, da elettori, da cittadini politicamente innamorati) di votare un sindaco con la responsabilità di scegliere davvero la futura classe dirigente.

A Cinisello Balsamo si vota e per il centrosinistra c’è Siria Trezzi. E andrebbe votata molto di più che per Cinisello perché Siria è competente, ostinata, onesta e soprattutto perché è sempre stata dalla parte dei bisogni, quelli veri, quelli che tocchi con mano e guardi in faccia seduti davanti alla tua scrivania.

Siria è anche coraggiosa, perché ho avuto la fortuna di lavorarci fianco a fianco, tutti i giorni per alcuni mesi e l’ho apprezzata non solo per la voglia di “tenere la barra dritta” ma soprattutto per la capacità di farlo: per i risultati oltre che gli intenti, insomma.

Io ho imparato molto, da Siria. E mi piacerebbe che il suo cammino la portasse lontano (spero sempre vicini) e domani passi da Cinisello. Ne abbiamo bisogno.

La Cosa Giusta, la Cosa Seria e tutte le cose di questo tempo di mezzo

Qualcuno mi chiede cosa ho intenzione di fare. Io rispondo del libro che sto scrivendo, di RadioMafiopoli che stiamo preparando, dei soggetti che stiamo proponendo, del nuovo spettacolo con Gianluigi Nuzzi e tutti i progetti in cantiere. Lo racconto spesso con un sorriso soddisfatto perché sì, sono contento di quello che potrebbe essere nei prossimi mesi. Ma non basta, mi dicono: la politica? Il cantiere della sinistra di maggio? Civati e il PD? Barca? La Lombardia? Appunto.

Io non credo sia necessario scrivere altro su un governo che non ha nulla per piacermi, nulla: il tradimento del programma sottoscritto con gli elettori (sarebbe una bella cosa restituire i soldi delle primarie agli elettori perché vista così sembra proprio una truffa come i pacchisti fuori dall’autogrill), la spartizione dei ruoli di governo secondo la più democristiana interpretazione del manuale Cencelli, i passaggi politici che non ci sono mai stati spiegati e gli impresentabili riabilitati (ne avevo scritto qui del rivoltante ed euforico Micciché). Insomma: questo governo è la peggiore soluzione impossibile nato con i peggiori meccanismi possibili.

Su Civati ho scritto e riscritto, non vorrei essere noioso, ma credo che interpretare la discussione interna al Pd come manifesto della “sinistra” sia un errore di calcolo e di sopravvalutazione che sarebbe il caso di smettere di fare.

Il PD non ha mantenuto le promesse in campagna elettorale e questo è un fatto. SEL si era presa la responsabilità di garantire un PD che non scivolasse nelle sue antiche e perverse pulsioni centriste e inciuciste e non c’è riuscita: questo è un altro fatto (che in pochi stanno analizzando). Senza remore, inibizioni o balbettamenti dovremmo raccontare che comunque il voto dato a SEL era un voto di “condizionamento” di sinistra di governo che non è accadutoI voti per una sinistra radicale di opposizione non sono qui, per dire. E la bella notizia della Boldrini Presidente della Camera oggi è una nota sbilenca di rappresentanza dal punto squisitamente politico.

Poi c’è la Cosa Giusta dell’11 maggio (che fa un po’ sorridere nel titolo pensando alla Cosa Seria che in tanti non abbiamo mica abbandonato) e la domanda (è sempre quella, sempre) è capire quali sono i passaggi, le discussioni e le opinioni che ci porteranno lì. Perché  non c’è bisogno di piazza ma di politica.

C’è la sinistra nella Cosa Giusta o c’è l’attesa (ormai diventata beckettiana) che si rompa il PD (che non si romperà a breve)? Chi sono i soggetti del cantiere (a parte lo sventolio di Rodotà)? I soggetti che componevano Rivoluzione Civile ci fanno tutti schifo? Peggio sempre Ferrero di Fioroni, come mi disse una volta qualcuno?

Scrivevamo qualche mese fa:

Nella Cosa Seria sappiamo che la parola “sinistra” nel Paese ha ancora un senso diffuso che non appartiene a ceti politici né a gruppi dirigenti. È un sentimento, un modo di stare al mondo, un’appartenenza ideale e concreta che richiede coerenza e che non può ridursi in piccoli e particolari interessi di bottega, antiche inimicizie e gelosie d’appartenenza.

Per questo chiediamo che Sinistra Ecologia e Libertà e una parte consistente del Partito Democratico siano il motore di una coalizione che sia una Cosa Seria. Che guardi a Italia dei Valori, Federazione della Sinistra, ALBA, Verdi e tutti coloro che si riconoscono in un manifesto di posizioni chiare e realmente governabili, oltre che di governo. Perché non ci piace la strategia dell’inerzia per capitalizzare il consenso trascinandosi alle prossime elezioni, ma preferiamo la semplicità e la chiarezza delle idee da valorizzare insieme. Soluzioni collettive per risolvere i problemi, insieme: politica presa come una Cosa Seria.

Basta mediazioni. Per chi mi chiede: io sono qui.