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Mescolarsi

E’ il verbo usato da Vendola nei confronti del PD. E detto così è tutto da capire. Abbiamo praticato il PD, una frequentazione, verrebbe da dire. Il risultato si gioca tutto sul prossimo Presidente della Repubblica. Lì vediamo quanto abbiamo pesato: perché i voti si contano e si pesano.

Mescolarsi potrebbe essere un semplice accumulo e questo (lo sappiamo in molti) non ha una sintesi reale nel partito: non ha sbocchi. Nella sua intervista a La Stampa Nichi aveva parlato di un soggetto unico della sinistra, presagendo una scissione democratica che ormai è diventata un mantra e che non accade mai. Il confine sottile tra responsabilità e testimonianza si gioca su una convergenza valoriale e non elettorale e, per come stanno ora le cose nel poliforme PD, sembra un’alchimia rassicurante per i posti più che per gli obbiettivi. Il prossimo congresso si gioca tutto qui, lo sappiamo vero?

Ripensare un partito (e le parole di Barca)

Mi capita spesso di discutere con i compagni, gli amici e le amiche con cui si prova a ripensare alla forma “partito” di incagliarsi sulle strutture. Mi spiego: passata la moda del “partito liquido” (che in pochi hanno capito cosa fosse veramente) e finita l’epoca in cui la definizione “movimento” è stata usata come foglia di fico per non dovere rispondere alle domande sulla democrazia interna (passerà per tutti, vedrete, passerà per tutti) risulta sempre difficile immaginare una conformazione che sia legittimata all’interno e che risulti credibile per le completezza dei propri “funzionari”, per lo spessore delle figure “politiche” e per l’autonomia (anche economica) rispetto allo Stato.

Abbiamo visto tutti in questi ultimi anni come il livello della classe dirigente politica sia stato inevitabilmente schiacciato dai criteri di scelta dei parlamentari: amici e amiche, cerchi magici, spartizioni di correnti e (questo è il punto che ci interessa) funzionari fatti parlamentari per essere stipendiati di sponda.

Fabrizio Barca riprende il tema con grande intelligenza e dice:

«Serve un partito saldamente radicato nel territorio, animato dalla partecipazione e dal volontariato di chi ha altrove il proprio lavoro e che trae da ciò la propria legittimazione e dagli iscritti parte rilevante del proprio finanziamento».
Il partito nuovo, quindi, «sarà rigorosamente separato dallo stato, sia in termini finanziari, riducendo ancora il finanziamento pubblico e soprattutto cambiandone i canali di alimentazione e assicurandone verificabilità, sia prevedendo l’assoluta separazione fra funzionari e quadri del partito ed eletti o nominati in organi di governo, sia stabilendo regole severe per evitare l’influenza del partito sulle nomine di qualsivoglia pubblico ente».

Quindi, l’idea è di un “partito nuovo” (espressione sulla quale Barca insiste), in gran parte finanziato dagli iscritti, non composto necessariamente da militanti “a vita” e che preveda una rigida separazione tra incarichi di partito e di governo, con regole severe per evitare l’influenza del partito sulle nomine degli enti pubblici.

«Un partito palestra – scrive il ministro  – che, essendo animato dalla partecipazione e dal volontariato e traendo da ciò la propria legittimazione e dagli iscritti e simpatizzanti una parte determinante del proprio finanziamento, sia capace di promuovere la ricerca continua e faticosa di soluzioni per l’uso efficace e giusto del pubblico denaro. Serve un partito che torni, come nei partiti di massa, a essere non solo strumento di selezione dei componenti degli organi costituzionali e di governo dello stato, ma anche “sfidante dello stato stesso” attraverso l’elaborazione e la rivendicazione di soluzioni per l’azione pubblica».

E anche su internet come soluzione onnicomprensiva Barca utilizza parole “sagge” (come le dice Mantellini):

Quindi la rete non è la madre di tutte le democrazie?

Io mi sono avvicinato alla rete solo durante questo governo – le può sembrare strano – mi ci hanno spinto i miei che mi han detto guarda ne cavi molto ed ho imparato – mi auguro – a starci ed ho capito che è un luogo dove arrivano molte sollecitazioni e dove ci si ritrova. Però poi arriva il momento, dopo che si è capito chi si vuol trovare assieme, di confrontarsi, poiché governare è complesso, decidere cosa fare è complesso, se non ci mettiamo in una stanza tre quattro cinque ore, magari ci rivediamo anche il giorno dopo, non riusciamo ad avere quella lentezza, quella profondità, anche – posso dirlo? – quella durezza di scontro, quel conflitto controllato che deriva dal fatto che stiamo insieme, non si litiga mai per lettera, si litiga malissimo per email, nascono moltissimi equivoci sulla rete, è il luogo dove si inizia il processo ma non dove il processo di decisione pubblica può raggiungere il suo acme dove si incontrano persone diverse dove avviene la democrazia

Quindi pensa che Grillo stia sbagliando quando persegue..

R Lui valorizza moltissimo questo strumento, credo che si sbagli ad immaginare un mondo in cui le decisioni possono essere prese lì perché questo vale solo per decisioni estremamente semplici che non richiedono quel confronto democratico di cui ho parlato

L’ultrapolitica per vincere sulla disaffezione alla politica e una nuova forma-partito (ma per davvero) per uscire dal movimentismo di facciata. Ce lo siamo detti tante volte, eh.

Non c’è sinistra con l’ombra di Berlusconi

C’è un odore strano nell’aria. Non so se si sente anche dalle vostre parti ma qui comincia ad essere fastidioso e onnipresente: è l’odore marcio della “normalizzazione”, quel fine gioco delle parti una volta ostili (ostili, si fa per dire, per qualcuno di qualche parte) che ora tentano un ricongiungimento sotto traccia. Ci vogliono fare passare per “igienici” questi due cani che si annusano il culo anche se ogni tanto ringhiano in favore di telecamera: Cicchitto propone Violante per la Presidenza della Repubblica, Brunetta parla di un accordo “responsabile” che s’ha da fare e addirittura Berlusconi si consuma in elogi per Bersani mentre D’Alema (come sempre) rimane in auge come “pontiere” tra passato che non vuole passare e un futuro che continua ad assomigliare a se stesso.

Io vorrei essere chiaro e che ci fosse l’onestà intellettuale per dirsi che non esiste un progetto rinnovatore della sinistra (o da sinistra) che possa tollerare una larga intesa non potabile come questa. Vorrei che non succedesse anche a noi di credere che in nome di “una nuova sinistra di Governo” che l’accordo largo sia un passaggio inevitabile con il solito machiavellismo tutto italiano di credere che sia il fine ad interessarci e non i mezzi.
Dovremmo chiederci perché abbiamo perso la capacità di “stare in mare aperto” deludendo i pezzi di società civile che hanno la sensazione che SEL abbia rallentato (i più ottimisti) o si sia arenato. Perché volare in alto significa essere leggibili e coerenti, e i due ingredienti hanno bisogno di una mescola che sia di spessore politico per evitare che sembrino specchietti non compatibili tra lror e esibiti di volta in volta per colmare le lacune del consenso. Uno alla volta.

Perché c’è una parte di elettorato “extraparlamentare” che è “nostro” ma non ci ha votato perché ha avuto dubbi sulla nostra tenuta nella parte dei coerenti “scassaminchia”, e l’elezione del Presidente della Repubblica è il primo, fondamentale, bivio per dimostrarci all’altezza.
Perché voglio essere chiaro: non c’è un progetto serio di sinistra nemmeno con un alito in comune con Silvio Berlusconi e la sua storia politica e personale.

La partita delle commissioni e dei compagni poliformi

Dunque il PD ha fermato la costituzione delle commissioni. Ed è una grande occasione persa non solo per il partito di Bersani ma per tutto il centrosinistra, SEL incluso, di uscire dalla bolla di niente che continua a permettere al Movimento 5 Stelle di giocare di sponda senza nemmeno fare un’azione (odio le metafore calcistiche, giuro, ma questa mi ricorda tanto i tempi dell’oratorio quando alcuni scarsi ma furbi fingevano di nascondere un enorme talento e venivano creduti dai sognatori per indole).

E’ un peccato perché la posizione espressa a maggioranza è il contrario di quella interpretata dai piddini che per indole sentiamo più vicini (basta leggere Pippo per rendersi conto della “convergenza evidente”) ma soprattutto perché rinvia (un’altra volta e sempre più vicini all’essere troppo tardi) il confronto strettamente “politico”. Questo gioco strisciante di additare Bersani come il colpevole del ritardo della formazione del Governo rimanendone fuori.

E’ il momento di uscire dalla politica fatta sui giornali, sulle televisioni e con le interviste incrociate e ricominciare a costringere i deputati (quelli più o meno telecomandati) a votare sui temi e le commissioni sono il recinto migliore per l’esercizio del confronto che qui una volta chiamavano democrazia.

Saremmo confortati dalle incompatibilità evidenti tra il nostro programma e quello del solito Berlusconi, saremmo portatori (come siamo) di idee che Grillo spaccia per nuove e invece giacciono da anni in cerca di una maggioranza e finalmente saremmo chiari: chiari nelle parole, nelle scelte, nei voti, nei sì o nei no.

SEL (la SEL che in molti vogliamo) ha già scelto di chiedere l’insediamento delle commissioni, ora può misurare il proprio peso con il poliforme alleato democratico. Perché per essere un buon “pontiere” con il M5S (lo leggo dappertutto in questi giorni) bisogna prenderesi la responsabilità di smettere di essere pompiere con gli alleati e costringerli piuttosto ad un “incendio” di discontinuità. Siamo lì per questo, no?

La perversione

Provate a spiegarlo ad un bambino: il Movimento 5 Stelle non vuole accordi con il centrosinistra, anzi con nessuno. E’ semplice e lineare. Si può essere d’accordo o meno ma è una decisione che ha un senso (più lucrativo di consenso che politico, forse). Il centrosinistra intanto prova in tutti i modi di trovare un punto in comune con Il M5S per costruire un “governo di scopo” che non preveda PDL e affini (e questo a Bersani va riconosciuto, ma sul serio).

Il M5S ostinatamente rifiuta il corteggiamento. Anzi, dice che è tutta una finta del centrosinistra che vuole farsi dire di no per andare con Berlusconi, e allora loro (anzi, Beppe Grillo) cosa si inventano per disinnescare la trappola? Dicono di no. Ecco.

Il PD si diluisce in mille correnti ma Bersani tenta di tenere la barra dritta. Piuttosto che con Berlusconi (dicono in molti) si ritorna al voto. E qui accade il miracolo: i capigruppi cinquestelle Crimi e Lombardi ci dicono che il voto sarebbe una sciagura. Capito? Loro.

Forse sono troppo semplice io ma un attendismo venduto come un martirio mi sembra proprio una perversione.

(Anche Pippo ne scrive, qui)

Il buon senso

Il deputato 5 stelle Tommaso Currò oggi a Repubblica:

«Io sollevato? Non so. Mi hanno attaccato – ricorda il deputato – mi hanno dato del traditore. Ma io non sto tradendo. E penso che nella vita bisogna far prevalere la coscienza».
La voce trasmette un po’ di ritrovata fiducia: 
«Se abbiamo detto di avere un progetto di Paese e poi stiamo a guardare il governissimo Pd-Pdl, tradiamo la nostra prerogativa di mandare a casa la vecchia classe dirigente ».
L’alternativa? 
«Se proponiamo un governo a cinquestelle, il Pd e Sel faranno emergere persone che non hanno nulla a che vedere con il passato negativo. Obbligheranno la vecchia classe a fare un passo indietro, ne emergerà una nuova».
Prima lei, adesso un altro siciliano come il senatore Bocchino. Avete dato la scossa? 
«Sapevo che Fabrizio mi era vicino. Non so, forse alla base ci sono ragioni sociologiche. Noi siciliani viviamo una voglia di riscatto ».

Il bipolarismo perfetto (e obliquo)

 

la-rivoluzione-non-e-una-cosa-seria-L-hP5lHeHa ragione Alessandro nel suo post di oggi: il bipolarismo perfetto, quello che abbiamo cercato di costruire in questi ultimi mesi, quella Cosa Seria che  seriamente avrebbe dovuto chiarire che la lealtà nel preservare le differenze è un valore politico, insomma il nostro progetto politico (e mai come oggi quel “nostro” è così diffuso nel senso più disordinato e irresponsabile del termine). Solo che il bipolarismo perfetto (lo scrive Gilioli) lo stiamo lasciando agli altri. E se è vero che:

Il Pd si avvia dunque verso la sua scelta più immonda e catastrofica, allegramente condivisa da capi e capetti di ogni età un tempo avversari tra loro (Renzi e Bindi, Veltroni e D’Alema, per non parlare dell’imbarazzante capogruppo alla Camera Roberto Speranza).

Delle tre possibilità che avevano (proporre un ‘governo Zagrebelsky’ o simile per sfondare verso il M5S, andare dignitosamente al voto dopo aver rifiutato B. e tolto ogni alibi a Grillo, gettarsi nella mangiatoia insieme agli impresentabili) i vertici democratici stanno suicidandosi scegliendo l’ultima, nella piena consapevolezza (tra l’altro) di tradire il pensiero del 90 o più per cento dei loro elettori.

rimane anche in campo la posizione di SEL. Abbiamo promesso che non avremmo mai accettato un’alleanza con Monti (anche se qualcuno in cuor suo nemmeno troppo sotto sarebbe stato disponibile) e certo non possiamo accettare il governicchio che vorrebbe essere governissimo. Ma il rischio di assumere una posizione residuale è evidente e possibile e, intanto, da “motore di un cambiamento” si finirebbe per collocarsi semplicemente  “per esclusione”. Ancora, come in tutti gli ultimi decenni qui a sinistra.

Allora forse sarebbe il caso (anzi: è il caso) di chiedere subito a quelli del PD che non sono d’accordo con questa ennesima fase berluschina di avere coraggio, di alzare non solo la voce ma proprio il culo dalla sedia e prendersi la responsabilità di fare “altro”. Un “altro” serio, includente e semplice senza bisogno di essere banale. Includente, SEL incluso.

I piccoli orizzonti dei soliti dirigenti

Le illusioni di Franceschini e la vecchia storia degli orizzonti che non riescono mai ad essere lunghi qui dalle nostre parti a sinistra, lo racconta perfettamente Andrea Colombo su GLI ALTRI:

Si tratta, come si vede, di strategie inconciliabili: la prima scommette su tempi lunghissimi e disponibilità al compromesso, la seconda su tempi rapidissimi e rigidità. Ma sempre tattiche sono, se non “dalemoni”, nulla più di “dalemini”. Piani di battaglia ispirati dalla convenienza, non da un orizzonte politico.

E’ la stessa corda a cui quel partito continua a impiccarsi da anni, e c’è un solo modo per smettere di insaponarsela da soli: mettere in campo un progetto, articolarlo in leggi e verificare lì, non sulla maggiore o minore presentabilità di Berlusconi, la possibilità di intese anche temporanee. Certo, per farlo bisognerebbe avere il coraggio di scegliere su particolari come il ripristino dell’art. 18 o il nuovo affondo contro il mercato del lavoro che chiede il Pdl, una legge rigorosa contro la corruzione o i pannicelli caldi che reclama Berlusconi, la patrimoniale o no, l’immediata cancellazione delle leggi che hanno riempito le carceri come la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi o il loro mantenimento. La politica, insomma…

Esterni al concorso esterno, per favore

Ora si fa insistente la voce di un accordo PD, PDL: ne parlano i giornali ma se ne parla anche qui tra i corridoi a Roma. La notizia è la solita commistione delle sopraffine menti degli antichi strateghi politici che in Parlamento “fanno da conto” sui numeri e non sulle idee (figurarsi sugli ideali).

Se accade il grande inciucio (resta solo da trovare un nome elegante) saranno chiare le responsabilità di chi ci ha provato e chi no e, soprattutto, di chi ha ostacolato ad ogni costo. E non sarà solo Bersani a dovere lasciare il campo, no. Qualcuno anche dalle nostre parti dovrà spiegare la strategia di SEL e perché ancora una volta l’abbraccio è stato narcotizzante e deleterio e i patti non rispettati.

Il mancato cambiamento in Parlamento cambierà molte cose, qui fuori.

Expo 2015 e la società abusiva che controlla gli abusivi

Villa-campaaAbbiamo detto che il controllo degli accessi nei cantieri Expo è un nodo cruciale per evitare le infiltrazioni. Dico: ce lo siamo detti in tutte le salse, in tutte le serate di campagna elettorale, in tutti i convegni, in tutti i libri senza bisogno di essere saggi o ex ministri degli interni o professori.

Ogni tanto mi viene il dubbio che a qualcuno basti avere la soddisfazione di esprimere la propria analisi più o meno autoreferenziale (quando almeno è un’analisi e non solo una declamata masturbazione), che a qualcuno basti potere dire “l’avevo detto”, “vi avevo avvisato”, “era prevedibile” e ci si dimentichi del pezzo del “fare”.

Perché il “fare” oggi dovrebbe essere (correggetemi, vi prego, se sbaglio) quel potente signore ex ministro con gli occhialini che siede nel piano alto di Palazzo Lombardia e i garanti (a tutti i livelli politici, Comune incluso) delle varie commissioni e delle centinaia di protocolli “per la legalità” che ci propinano tutti i giorni con una santa conferenza stampa, tutti i giorni.

Perché non si capisce se il nodo degli accessi ai cantieri è un punto nevralgico per l’antimafia in Expo, ecco, non si capisce come possa succedere che la cooperativa CMC (che non è proprio di destra, diciamo) affidi la sicurezza dei cantieri alla Pegaso srl che da una denuncia per mancati pagamenti scopriamo non avere nemmeno le carte in regola per svolgere quel lavoro.

Come dice bene MilanoX “sono insomma degli abusivi che controllano che non ci siano abusivi nel cantiere.” 

O in fondo sono abusivi gli “esperti dell’antimafia” che qui hanno raccolto qualche briciola di troppo di credibilità.