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Per quelli che “sono tutti uguali”

Perché il gioco per cui se tutti sono ladri alla fine nessuno è ladro. E’ un gioco antico. E allora vale la pena rivendicarle, le differenze.

Forse vale la pena leggervi (e fare leggere) l’articolo qui. Questo il titolo:

 

Sono tutti uguali

Sì, lo so il quadro è desolante. Dopo il caso Fiorito nel Lazio e tutto quello che a cascata ne verrà fuori. E’ imbarazzante che i rendiconti dei soldi pubblici non debbano essere pubblici. Come se esistesse un “pubblico” parallelo che non si può vedere. Ma il giochetto del “tutti uguali” non è etico lo stesso. No. L’articolo è qui.

 

Contenuti e contenitori

 Anche io, personalmente, da elettore di centrosinistra senza ancora le idee chiare, vorrei che i candidati si prendessero la pena di rispondere, non solo alle domande poste dall’associazione Laicità e Diritti (qui: http://www.laicitaediritti.org/). Mi piacerebbe capire in modo chiaro che tipo di mercato del lavoro propongono (perché – per esempio – a me il “modello Ichino” convince molto poco) che tipo di rapporti intenderebbero tessere con il mondo dell’imprenditoria (perché – per esempio – mi provoca l’orticaria sentire più d’un candidato di una coalizione di centrosinistra magnificare il “modello Marchionne”), che tipo di modello di tassazione si intende perseguire (perché la Costituzione – se non sbaglio – già indica la via della progressività, che altro non è se non la declinazione del principio redistributivo della ricchezza). Giusto per iniziare. Giusto per capire. Anche perché fino ad ora queste primarie hanno parlato poco di contenuti e troppo di contenitori.

Francesco per Non Mi Fermo. E la risposta che aspettiamo per credere che le primarie siano iniziate sul serio.

Serve il coraggio, in Lombardia

Ci vuole coraggio. Scegliere di provare a scostarsi dal luogo di osservazione dove per comodità si sono ammassati tutti come comari e provare a guardare la Regione Lombardia con occhi nuovi: dalle strade, dalle piazze e in mezzo ai presìdi, tra la gente, per dire. E forse sarebbe anche ora di provare a rivendicare il primato di questa politica così bistrattata, millantata e stropicciata da interessi minuscoli di botteghe coagulate da venti anni di mani sottobanco e sempre anticipata dall’intervento di una magistratura che fotografa le macerie di un sistema politico che è diventato schiavo delle sue maschere.

La crisi del formigonismo non è una crisi giudiziaria, su questo dobbiamo metterci d’accordo per non cadere nella tentazione di accettare un modello politico che nasce antisolidale al di là degli eventuali illeciti dei propri interpreti: oggi in Lombardia (e non solo) la crisi è profondamente politica, è il fallimento del potere che vuole diventare sistema e finisce per alimentare oligarchie, diseguaglianze e disgregazione sociale.

Nella sanità le vicende del San Raffaele, prima ancora della clinica Santa Rita e per ultime quelle che riguardano la Fondazione Maugeri raccontano di una discrezionalità del Governatore (esercitata con “le carte a posto”) che ha finanziato lautamente servizi ai cittadini che oggi rischiano di risultare compromessi per mala gestione privata: una spaventosa ricaduta pubblica causata dalla dissennatezza privata mostra il fianco di un’architettura organizzativa che scarica i costi e le colpe sulla comunità. Nel caso del San Raffaele qualche giorno fa l’Assessore Bresciani ha avuto modo di dirci in Commissione Sanità che “la faccenda occupazionale non riguarda la Regione essendo una struttura sostanzialmente privata” e la difesa patetica svela perfettamente l’inceppamento che ha incagliato il motore della Lombardia: il denaro dei cittadini lombardi viene affidato a strutture private e le responsabilità politiche possono finire tranquillamente in un cassetto. Senza risposte. Senza assunzioni di responsabilità. Senza spiegazioni.

E credo non sia un caso che proprio in Lombardia stiano spuntando torbide figure professionali con evidente “peso politico” che sono proprie di tempi che si speravano passati. Nel processo Andreotti c’è un’interessante deposizione di Tommaso Buscetta che racconta una Sicilia dove politica, imprenditoria e Cosa Nostra si incontrano, ognuno con la propria spericolatezza, nella penombra degli interessi convergenti che soddisfano tutti. Dice Buscetta che i protagonisti di questo sistema che vive più tra le pieghe che nei luoghi ufficiali sono “gli amici degli amici”, quelli che “in ogni momento possono fare capire di essere vicino alla gente che conta”. Quando saltano i meccanismi di trasparenza e democrazia (ovvero quando la politica decide di essere socia d’impresa) i “faccendieri” sono gli anelli di congiunzione dei poteri che hanno bisogno di mettersi d’accordo. Per questo la vicenda Daccò è una storia intollerabile per il malcostume che rappresenta, al di là delle ricevute e delle barche di lusso.

Sotto la gonna della sussidiarietà sventolata da Formigoni e la sua banda c’è la solidarietà svenduta per poche lire ai soliti noti. Succede nella sanità, nella scuola, nei grandi appalti delle inutili infrastrutture, nella gestione del territorio nel consenso ammansito dalle periodiche regalie.

E allora ci vuole coraggio. Ci vuole anche il coraggio di porre le domande giuste. Una volta per tutte.

I soldi dati in questi anni alla sanità e alla scuola privata avrebbero costruito eccellenze pubbliche di cui essere fieri tutti e non qualche cerchia? Una seria legge sul consumo di suolo avrebbe impedito i PGT costruiti su misura per insoliti noti come la vicenda Ponzoni insegna? Un chiaro piano industriale regionale potrebbe evitare i soliti disperati e inefficaci interventi tampone? È possibile uscire dal linguaggio delle cose e tornare alle persone? Smettere di parlare di lavoro senza tenere conto dei lavoratori? Spogliare il PIL regionale su cui tutti si immolano dal doping del riciclaggio? Svincolare la cura dal profitto e tornare ad investire sulla prevenzione? Ricostruire una sanità ormai ospedalocentrica partendo dai presidi di medicina di base nei territori? Pensare ad una mobilità dolce che non abbia bisogno di più cemento ma di trasporto pubblico? Chiedere cultura, pretendere cultura, rivendicare il valore d’impresa e occupazione che sta dietro alla cultura? Occuparsi dell’accesso alla rete in zone con mastodontiche tangenziali e senza banda larga? Dirsi che i diritti civili sono di solito i diritti degli altri?

Ci vuole coraggio. Ci vuole il coraggio di riconoscere che il centrosinistra ha fallito perché troppo spesso ha inseguito i formigonismo di maniera volendo solo sostituire gli interpreti (ne è un esempio chiaro il penatismo che si è saputo pensare solo sistematico e sistemistico allo stesso modo con la sola differenza di essere fallimentare anche dal punto di vista elettorale). Ci vuole il coraggio di non sopportare più chi propone lo stesso modello promettendo una gestione più etica. Ci vuole il coraggio di dichiarare (alzando la voce, se serve) che un’alternativa si costruisce solo percorrendo le diversità, con compagni di viaggio che vogliano arrivare là dov’è il posto che ci prendiamo la briga di raccontare e volere raggiungere. E ci vuole il coraggio di rinunciare all’autopreservazione a mezzo di alchimie algebriche, alleanze matematiche più che di intenti e riciclaggio di facce che hanno già avuto l’occasione e l’hanno persa, ci vuole il coraggio di uscire da un centrosinistra con cinquanta sfumature di grigio che corteggia pornograficamente le segreterie prima dei cittadini.

Noi siamo in viaggio. Questo è il nostro viaggio. Il viaggio nel coraggio di sinistra che ancora è diffusa in tutte le città della Lombardia.

Scritto per MilanoX

La priorità è il lavoro

In casa Fiom un sindacato «naturalmente» industrialista si interroga liberamente su cosa, dove e come produrre, cioè sulle compatibilità sociali e ambientali del lavoro, e lo fa insieme a chi alza la bandiera della decrescita. Si parlerà di vecchie povertà, quelle dickensiane, e nuove povertà, prodotte dalla crisi e dalle ricette liberiste per (non) uscirne, insieme a Marco Revelli. Ci si chiederà con economisti di diverso orientamento se ha un senso, e quale e come, finanziare le imprese. Si parlerà di giornali che sentono il fiato caldo della crisi sul collo e una volta ancora la Fiom farà la sua parte, sostenendo il manifesto con una cena di finanziamento, ma troverà uno spazio di ascolto anche un giornale che nasce: Pubblico.

Giorgio Airaudo, segretario nazionale della Cgil con un occhio particolarmente attento a Torino che è stata la sua palestra sindacale, ricorda che oggi si costituirà presso la Corte di Cassazione il comitato promotore dei due referendum sul lavoro (art.8 e art.18). Airaudo plaude all’obiettivo difficile e importante raggiunto: «Grazie alla disponibilità dell’Idv si è messo in moto un fronte molto ampio che consentirà di portare i temi del lavoro dentro la campagna elettorale». Ma non si fa soverchie illusioni: quello schieramento non è automaticamente l’embrione di uno schieramento ampio che abbia al centro i temi del lavoro e dei diritti, che però bisognerebbe costruire. «C’è chi, non solo nel Pd, pensa che il lavoro sia un tema del passato. C’è chi, nel Pd, si dichiara dalla parte di Marchionne senza se e senza ma, come ha fatto Renzi». «Nelle primarie del Pd il lavoro non c’è», è la sua amara constatazione. Però Airaudo, Bersani l’aveva invitato, ma verrà Fassina. Invece il Pd, nella sua festa torinese la Fiom non l’aveva invitata, a costo di non parlare della Fiat. Se poi anche nel partito di Bersani passa l’idea cara al presidente Napolitano che chiunque vinca le elezioni il segno della politica economica dovrà essere in continuità con quella messa in atto da Monti, c’è poco da farsi illusioni.

Perché proprio a Torino questo appuntamento? Perché da qui, con il modello Marchionne, è partito tutto. Perché Torino, aggiunge Airaudo senza far sconti al nuovo sindaco Pd Piero Fassino, è la città più indebitata d’Italia e sceglie di tagliare il welfare e appaltarne le briciole ai privati, cooperative disposte a competere abbattendo i diritti di chi ci lavora. «E’ inquietante che a parte la Fiom, e certo con più autorevolezza, l’unico a parlare di declino della città sia il vescovo, che non si fa scrupoli a chiamare in causa la famiglia Agnelli-Elkann».

Non sarà, è la domanda che si ripete noiosamente dal 9 giugno, che la Fiom vuole farsi partito? La risposta è sempre la stessa: la Fiom è un sindacato e vuole fare sindacato. Ciò non vuol dire che sia indifferente a quel che avviene in politica.

Il Manifesto di oggi racconta un vuoto: ecco lì dove dobbiamo stare. Perché il tema è il lavoro ed è il punto da sciogliere prima delle primarie. Uno di quei punti dove (lo continueremo a ripetere all’infinito) non si accettano mediazioni al ribasso. Per identità e per progetto sarebbe bello che una volta sia la politica a presidiare in difesa dei lavoratori e non solo il contrario.

 

#cosaseria un referendum serio

Quindi Idv, Fds e Sel raccoglieranno assieme le firme per il ripristino dell’articolo 18 varato da Monti e Fornero e per l’abolizione dell’articolo 8 dell’ultima manovra d’agosto di Berlusconi, quando il ministro Sacconi ha voluto mutilare la contrattazione nazionale e la democrazia sui luoghi di lavoro. Il partito di Di Pietro aveva già depositato alcuni dei quesiti in Cassazione replicando un’autoreferenzialità già percorsa in occasione dei referendum per la ripubblicizzazione dell’acqua e dei servizi. Stavolta, però, ha accolto l’appello a fare un passo indietro dopo un incontro dirimente stamattina con i metalmeccanici. I quesiti sul lavoro saranno ripresentati nuovamente da un comitato comune perché già era in corso da mesi una discussione tra giuslavoristi (da Gallino a Rodotà ad Alleva) e aree organizzate della sinistra politica e sindacale.

Sarà un caso che insieme si riesca a dire (e fare) cose di sinistra? Sarà un caso che oggi mi siano arrivate molte mail di elettori confortati da questa presa di posizione? Sarà un caso? O, forse, è una cosa seria, come avevamo suggerito un po’ di tempo fa? E un’ultima domanda, senza cattiveria: non manca qualcuno?

Ma adesso basta

E poi, non avere nessun senso del limite e del ridicolo, nel definire la classe dirigente di cui si fa parte, autorevole. L’autorevolezza vuol dire sì influenza, potere, importanza, ma soprattutto credibilità, autorità morale, prestigio. E sinceramente, la classe politica di cui D’Alema è uno dei principali esponenti non ne ha alcuna. Per i motivi che tutti sappiamo, e che hanno portato il Paese al deafult non solo economico, ma soprattutto politico e sociale.

E quindi caro D’Alema, ti abbiamo voluto bene, molto molto tempo fa, ma adesso basta. Forse non lo sai, ma le persone comuni ti trovano insopportabile. Di te e di quelli come te non ne vogliono proprio più sapere. Impara dai grandi della socialdemocrazia europea e diventa conferenziere, e magari riscopriremo quel tratto di intelligenza che ci aveva affascinato.

Ho letto questo passaggio della lettera che Francesco Nicodemo ha scritto per D’Alema (la potete leggere completa qui) e mi sono alzato in piedi ad applaudire. Da solo davanti allo schermo.

#cosaseria e l’assemblea

Ho voluto aspettare qualche giorno dopo l’assemblea nazionale di SEL perché mi interessava leggere cosa sarebbe uscito sui giornali: già in altre occasioni ero rimasto stupito dalla differenza tra la sostanza ce ci ritrovavamo a discutere e la forma della notizia nei giorni successivi. E ho voluto aspettare che fossero pubblici i documenti perché finalmente si potesse discutere sulle parole scritte e votate e non sulle interviste: la politica fatta come un vespaio che rumoreggia di fondo alle interviste del leader mi sa sempre di fanatismo e il fanatismo, si sa, ama poco le votazioni.

Abbiamo chiesto che SEL (e non solo, ma noi siamo qui) si prendesse la responsabilità di Fare la Cosa Seria e diventare motore per un’alleanza che guardasse convintamente a sinistra e soprattutto ad un’agenda di riforme ben lontana da quella di Monti (sul lavoro, sulla politica economica, sui rapporti con l’Europa e tutto il resto). Abbiamo chiesto che IDV fosse coinvolto nella coalizione insieme alle forze di sinistra e ai tanti movimenti. Insomma che si andasse in mare aperto. Ma sul serio.

Nel documento finale (che potete leggere per intero qui) si legge:

Provare a costruire un’alleanza che competa realmente per il governo del paese ci pare lo strumento in questo momento più efficace per dare rappresentanza e forza a tante persone e soggetti sociali che non hanno voce né potere. Dobbiamo investire nella democrazia e nella partecipazione: tanto più riusciremo a realizzare una vera e propria “invasione democratica” dei soggetti del cambiamento , a partire dalle donne e dai giovani, italiani e migranti, tanto più potremo cambiare il paese. Per questo ci rivolgiamo all’Idv, poiché la sentiamo come parte importante di tante esperienze che già esistono nel nostro paese e, quindi, una risorsa fondamentale anche per il governo nazionale affinché condivida il percorso di costruzione del centrosinistra, e con lo stesso spirito alle forze della sinistra e dei movimenti politici e sociali.

Le nostre scelte politiche devono precedere l’esito della trattativa in corso sulla legge elettorale. In primo luogo ribadiamo la nostra preferenza per il sistema elettorale “mattarellum” che, solo un anno fa, raccolse oltre un milione di firme. Quanto alle voci sulla prossima legge, per noi è fondamentale

che i cittadini possano scegliere gli eletti e decidere la coalizione prima delle elezioni. Ne consegue la nostra ferma contrarietà alle ipotesi paventate che prevedono l’assegnazione del premio di maggioranza al primo partito. La valutazione compiuta della legge elettorale, anche per la peculiarietà di questa materia, si potrà fare solo, e se, una riforma verrà approvata dal Parlamento. 

Allora forse chi ci accusava di velleità potrà ricredersi almeno un poco: la discussione è stata riaperta, la posizione è stata scritta e sono arrivate (finalmente) anche le parole chiare sull’UDC:

Nel corso del mese di agosto si è alimentata una discussione che ha messo insieme legittime preoccupazioni, reazioni emotive e palesi strumentalità. Non faremo nessun accordo elettorale e di governo con l’Udc. Se non fossero bastati i chiarimenti forniti tanto da Vendola che da Bersani, riteniamo utile ribadire che l’Udc è un partito che non appartiene al campo del centrosinistra e che per motivi politici, e quindi non astrattamente pregiudiziali, non farà parte del progetto di governo che intendiamo portare alla guida del paese. L’Udc si è distinta in questi mesi per i suoi fallimenti, dal “terzo polo” alla “cosa bianca”, e per i suoi richiami a proseguire l’esperienza di Monti, magari anche riproponendo una grande coalizione.

E’ un passo in avanti, certo. Ma la discussione è solo all’inizio. Perché il documento di Fulvia Bandoli, Alfonso Gianni, Giorgio Parisi e Bia Sarasini apre una discussione che non si può ritenere chiusa: la capacità e la voglia di dichiarare la propria contrarietà e indisponibilità all’apertura della coalizione di centrosinistra alle forze moderate, che hanno condiviso interamente l’operato del governo Monti e ne predicano la continuità, sia prima che dopo l’esito elettorale, rifiutando con nettezza e in modo esplicito qualunque ipotesi, come quella emersa nelle dichiarazioni e nella carta di intenti del Pd, di un patto di legislatura con forze politiche, quali l’Udc, che porterebbe inevitabilmente a uno snaturamento del programma politico, sociale e economico di governo.

Insomma, il punto vero (non nascondiamocelo) è la legge elettorale e quanto si riesca a spostare l’asse e preoccuparsi di essere chiari, semplici, e attuali perché in grado di attuare i programmi.

E che diventi una questione di equilibri e non di equilibrismi.

 

 

Se una legge elettorale decide le alleanze

Non ci sta bene la mancata possibilità di scegliere i propri rappresentanti. L’abbiamo detto, lo dicono in tanti, l’abbiamo ripetuto in assemblea nazionale e l’abbiamo scritto di continuo. Anche qui, su questo blog. Forse perché detestiamo il servilismo che oggi è la qualità che naturalmente garantisce le posizioni politiche all’interno del proprio partito e, soprattutto, perché non esiste meritocrazia senza avere prima disarticolato la ricattabilità (anche sociale, senza bisogno di stare sul penale) che sta tra i dirigenti che compilano le liste e i candidati. Con Non Mi Fermo ne abbiamo fatto una battaglia culturale, prima che politica.

L’ipotesi di legge elettorale di cui si parla da giorni è immonda ma è anche vincolante dal punto di vista politico: l’ammucchiata è l’unica via percorribile per governare. Lo dice oggi anche uno studio di IPR MarketingDopo la grande coalizione, ancora grande coalizione. Sarebbe questa l’unica formula in grado di garantire oltre 400 deputati a sostegno di un nuovo governo. Lo sostiene Ipr Marketing, che ha simulato lo scenario post-voto se andremo a votare con la legge elettorale su cui sembra ci sia un accordo tra i maggiori partiti. Una maggioranza più debole, invece, sarebbe quella ottenuta da un’alleanza di centro sinistra con Pd, Sel e Udc: circa 360 deputati.

E alla fine diranno che sì, ci sono incompatibilità politiche, ma conta la governabilità. Che fa rima con austerità e responsabilità. Che l’Europa e la crisi non permettono un governo sul filo dei numeri e che il momento storico ci chiede di stare tutti insieme.

Dopo il governo tecnico una legge elettorale che sospenda le differenze, la dialettica e la risoluzione in aula dei conflitti sociali: una legge elettorale che sospende la politica. Ancora.

Come MilanoX vede la sinistra

MilanoX scrive sulla sinistra nazionale e sulla sinistra del dopo Formigoni (con un passaggio fin troppo buono su di me, grazie). Vale la pena leggere il loro articolo.

Tornando alla politica italiana, la priorità numero uno è seppellire le destre sessiste e razziste. Il Porcellum ci dà l’opportunità di farlo con una coalizione non troppo ampia: vale a dire PD+SEL+IdV. La priorità numero due è impedire il ritorno all’austerity montiana che opprime la società, e quindi stoppare ogni disegno cattomoderato, vale a dire zero spazio di manovra a Casini e all’ala che lo sostiene nel PD, partito che è l’innaturale eternizzazione del compromesso storico di Moro e Berlinguer.