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La #cosaseria in Sicilia: cosa succede intorno a Fava

Dunque, tra le osservazioni che sono arrivate al nostro appello Facciamo la Cosa Seria ci sono immancabilmente quelle degli analisti politici. Loro li riconosci subito dalla quella faccia che dice “la politica è un’altra cosa e non è cosa per il popolo bue” e dal fatto che non arrivano mai con le proprie osservazioni alla fonte ma attraverso tortuosissimi sentieri di pretoriani che fanno da sponda.

La Cosa Seria, secondo loro, non funziona perché servono i numeri. E’ la stessa frase che mi disse un alto dirigente PD in Lombardia quando mi confermò che loro dialogano con l’UDC perché a differenza mia volevano vincere (che poi, dico l’UDC piacerebbe sapere a tutti quanto pesi elettoralmente in questo momento perché credo che un alieno che legge le cronache degli ultimi mesi sia portato a pensare che sia un monolite da 50/60% di consensi) e per vincere bisogna, mi ammonì severo, stare tutti insieme: affermazione inquietante in politica, dove ognuno ha il compito di rappresentare le differenze per potere tutelare tutti. Insomma gli analisti politici (dalemiani nell’oratoria e nella postura, di solito) dicono che la Cosa Seria pone un veto e non funziona e se gli si risponde che in realtà vorrebbe togliere il veto al blocco più di sinistra di questo Paese controbattono che la coalizione si fa con i partiti di Governo e non con le meteore populiste o veterocomuniste (che tutti insieme tra l’altro pesano ben più dell’UDC, ma la matematica degli analisti non ha le regole della matematica degli ingenui come noi, si vede).

Intanto succede che in Sicilia Claudio Fava dica a chiare lettere che discontinuità significa evitare ammucchiate e rompere davvero con il passato. Una posizione politica chiara: no al Cuffarismo, nessun credito alla conversione dell’UDC siciliana e a malincuore no al PD che cerca sponde con loro. Assomiglia tanto alla Cosa Seria, verrebbe da dire.

E un sondaggio di Pagnoncelli dice che Fava sarebbe in testa in una corsa in cui la corazzata PD-UDC amata dagli analisti risulta addirittura terza.

Non so se Claudio Fava ce la farà (e ci torneremo, e faremo di tutto perché accada) ma a volte succede che i numeri assomiglino davvero ad un comune sentire così lontano dagli strateghi forse un po’ logori e sordi. Ed è una piacevole e confortante evoluzione. In attesa delle cose lombarde. Anche.

 

#cosaseria Sì, tutto bello, e poi?

Beh abbiamo lanciato l’appello e si è aperto un dibattito. In rete ognuno aggiunge, toglie, modifica e critica i punti della Cosa Seria che secondo noi dovremmo prenderci la briga di fare. E ora cercheremo di ragionare su tutto quello che ci è stato detto, proposto e stroncato. Ma la frase sfiduciata che mi colpisce di più è quel “e poi?” che in molti mi hanno scritto: innanzitutto perché dà il senso della disperazione nell’effetiva possibilità di cambiamento e in più perché disegna un’abitudine a credere che il distacco con i dirigenti non sia sanabile.

E allora provo a rispondere a quel e poi? con qualche osservazione. Sappiamo bene che i punti proposti sono da approfondire e molto perfettibili ma almeno vogliamo esercitare il diritto di fissare dei punti sulle mediazioni potabili e su ciò che rischi di essere un compromesso. Nell’articolo per L’Espresso di Silvia Cerami le strade cominciano a prendere forma e così succede che Claudio Fava (toh, un dirigente, appunto) dica riferendosi alla propria candidatura in Sicilia «Sono candidato con una coalizione che esclude qualsiasi possibilità di accordo con l’Udc e non soltanto perché è stato il partito di Cuffaro, ma anche per il partito che è oggi, che muove in una direzione di sostanziale continuità con il passato non onorevole ed encomiabile della politica dei governi siciliani. Un partito che ha ricercato il consenso come unica fonte di legittimazione della funzione politica, un partito che ha una responsabilità grave per le condizioni di devastazione economica e sociale in cui si trova la Sicilia. Se si vuole un’alternativa di senso e di merito non ci si può alleare». Vuoi vedere che la Sicilia potrebbe essere un primo laboratorio politico per provare a costruire una Cosa Seria?

Qualcuno mi fa notare giustamente che questi punti devono arrivare all’interno delle segreterie dei partiti: ottimo, io per la mia parte e per quel che posso credo che questo sia un buon documento per l’assemblea nazionale di SEL che ci sarà nei prossimi giorni. Alcuni democratici hanno intenzione di discuterne nei propri direttivi. Non basterà direte voi (so già), può essere. Avremmo fatto tutto quello che serviva per tenere la barra dritta. Avremo dichiarato la nostra posizione: cosa è accettabile e cosa no. E prendere posizione (e chiederne il rispetto e lavorare perché possa essere un sentire comune rappresentato) è politica. O no?

Non finisce qui. Inizia adesso.

Facciamo La Cosa Seria

Altro che Cosa Bianca.

Facciamo la Cosa Seria.

Un movimento aperto a quel 99 per cento di cittadini che non vive di rendite e di finanza: che siano giovani o anziani, deboli o forti – perché anche i forti possono prendere con onore la responsabilità di essere garanzia degli altri.

Un movimento laico di quella laicità che è la più intelligente garanzia della solidarietà senza esegesi politica.

Nella Cosa Seria le porte sono aperte a tutti coloro che si riconoscono nelle priorità di programma che sono poche e chiare. Nella Cosa Seria ci si impegna ad essere includenti nel senso più pieno: quello che combatte le oligarchie, le iniquità, le rendite di posizione e le corporazioni.

Nella Cosa Seria la memoria è un punto di programma: la memoria della Storia di questo Paese (la migliore come stimolo e la peggiore come vaccino) e la memoria delle scelte politiche delle persone che vogliono starci. I liberisti smodati sono liberisti smodati, perché ne abbiamo memoria. I sostenitori prostituiti ai berlusconismi in tutte le sue salse sono incompatibili con noi, perché ne abbiamo memoria. I fiancheggiatori politici di persone condannate per mafia sono avversari politici senza mediazioni, perché ne abbiamo memoria.

Chi ha votato in Parlamento la sistematica distruzione della scuola, della magistratura, dei diritti dei lavoratori, delle emergenze per sfamare gli appalti, del suolo trasformato in appetitoso margine di monetizzazione, delle infrastrutture utili dimenticate, della sicurezza idrogeologica in nome del profitto, della sanità pubblica e di tutto ciò che è stato confiscato ai diritti, nella Cosa Seria non ha posto perché la memoria è il primo ingrediente della democrazia e i ravveduti dell’ultimo minuto sono alchimisti che ormai sappiamo riconoscere.

Nella Cosa Seria anche la verità è un punto di programma: la verità giudiziaria, la verità storica e la verità politica. Non si parteggia per questo o quel potere: si pretende l’emersione totale dei fatti e si difende chi lavora per questo. Senza calcoli elettorali e posizionamenti da patetico risiko politico.

Nella Cosa Seria si dialoga con il cuore dei partiti: i militanti, gli amministratori, le tante persone serie e per bene che fanno politica con impegno e passione in giro per l’Italia. Perché il sindaco di Pollica, Angelo Vassallo, era un politico, Pio La Torre era un politico, Peppino Impastato era un attivista politico: la politica in Italia per molti è stata ed è una Cosa terribilmente e meravigliosamente Seria.

Nella Cosa Seria l’equità non è un spot europeista di macroeconomia ma passa attraverso un ridistribuzione dei diritti e dei doveri, dei costi e dei benefici e soprattutto delle opportunità. Opportunità garantite a tutti: la meritocrazia passa per forza da qui.

Nella Cosa Seria vincere le elezioni è un mezzo e non un fine. E anche governare dopo averle vinte è un mezzo e non un fine.

Nella Cosa Seria i diritti civili non sono più negoziabili con nessuno, né rinviabili, né assoggettabili a compromessi al ribasso o a diktat provenienti da chi fa della propria fede un elemento di divisione e non di fratellanza. E per questo, anche per questo, non sono alternativi ma al contrario strettamente connessi con i diritti sociali.

Nella Cosa Seria si pensa che i cinque miliardi di euro spesi finora per bombardare l’Afghanistan siano stati rubati al welfare, agli ospedali, agli asili nido, alla scuola pubblica. E che le spese in aerei da guerra o in supercannoni tecnologici siano solo un furto ignobile ai danni dei  pensionati come dei precari.

Nella Cosa Seria si sta insieme, perché un’alleanza politica non è un matrimonio e quindi non divorzi se il tuo alleato urla troppo quando parla o è maleducato. Nella cosa seria conta la politica vera, il programma da realizzare, non le simpatie.

Nella Cosa Seria quando dici «ce lo chiede l’Europa» pensi alla legge anticorruzione mai fatta, al salario minimo garantito in Francia, al congedo parentale obbligatorio per i papà della Svezia, al reddito minimo di cittadinanza garantito da tutti gli stati europei tranne che da noi, in Spagna, Portogallo e in Grecia. Pensi a un modello di previdenza sociale che tuteli anche i lavoratori precari e le donne che devono lasciare il posto di lavoro in gravidanza, pensi a una legge sulla procreazione assistita che non ti costringa ad andare all’estero per fare un figlio, pensi al pluralismo dell’informazione e alla diffusione della rete.

Nella Cosa Seria siamo europeisti convinti, per questo pensiamo che l’Europa unita non sia quella delle banche ma quella dei cittadini, e che i mercati finanziari debbano essere controllati e le speculazioni scoraggiate con misure come la Tobin Tax per privilegiare gli investimenti sul lavoro e l’impresa.

Nella Cosa Seria ci si batte per un’Europa matura e solidale con un indirizzo comune, un esercito comune, liste comuni al parlamento europeo e una banca centrale in grado di mettere al riparo i singoli stati dall’attacco della speculazione finanziaria.

Nella Cosa Seria pensiamo che ciascuno sia cittadino del Paese in cui nasce, che l’immigrazione sia una risorsa e non una minaccia.

Nella Cosa Seria vogliamo che il carcere serva a rieducare e non a umiliare e che la detenzione sia l’ultima opzione dopo il ricorso a pene alternative.

Nella Cosa Seria siamo convinti che la lotta all’evasione si combatta abbassando la soglia del pagamento in contanti e tracciando i pagamenti. E che sia ingiusto aumentare il prelievo fiscale ricorrendo all’aumento dell’Iva e non alla patrimoniale.

Nella Cosa Seria immaginiamo città liberate dal traffico e dall’inquinamento grazie alle piste ciclabili, al car sharing, con un trasporto pubblico più efficiente e meno macchine.

Nella Cosa Seria crediamo che l’Italia meriti una politica industriale che punta a un modello di sviluppo sostenibile; nella Cosa Seria pensiamo che si cresca riconvertendo e non cementificando, puntando sulle energie alternative e non sulle grandi opere.

Nella Cosa Seria si fanno le primarie, si scelgono i parlamentari, non si decide mai soli, né in due o in tre.

Nella Cosa Seria sappiamo che la parola “sinistra” nel Paese ha ancora un senso diffuso che non appartiene a ceti politici né a gruppi dirigenti. È un sentimento, un modo di stare al mondo, un’appartenenza ideale e concreta che richiede coerenza e che non può ridursi in piccoli e particolari interessi di bottega, antiche inimicizie e gelosie d’appartenenza.

Per questo chiediamo che Sinistra Ecologia e Libertà e una parte consistente del Partito Democratico siano il motore di una coalizione che sia una Cosa Seria. Che guardi a Italia dei Valori, Federazione della Sinistra, ALBA, Verdi e tutti coloro che si riconoscono in un manifesto di posizioni chiare e realmente governabili, oltre che di governo. Perché non ci piace la strategia dell’inerzia per capitalizzare il consenso trascinandosi alle prossime elezioni, ma preferiamo la semplicità e la chiarezza delle idee da valorizzare insieme. Soluzioni collettive per risolvere i problemi, insieme: politica presa come una Cosa Seria.

 

Questo documento è stato scritto a molte mani (da Giulio Cavalli, Francesca Fornario, Alessandro Gilioli, Matteo Pucciarelli, Luca Sappino e Pasquale Videtta) ma non ci interessano i padri o i primi firmatari; ci interessa farsene carico e condividerlo. Sul serio.

Niente voto utile in SEL per favore

Leggo sul sito di SEL e trasalisco (o trasalgo, il problema non è letterario):

Un centrosinistra esplicitamente aperto al dialogo politico, finanche alla collaborazione su temi di comune interesse, con l’UDC, tanto per dare un nome alle perifrasi bersaniane, in una temperie storica che, in particolare sul tema cruciale del significato europeo, non vede un lineare sereno all’orizzonte. Ovvero l’inversione dell’approccio seguito nell’ultimo ventennio dalle correnti maggioritarie della sinistra italiana, D’alema per intenderci, che dall’accordo strategico col centro avevano fatto l’elemento centrale della loro linea su alleanze e programmi.

In questo percorso si esclude l’IDV, non per una preclusione sui temi programmatici, che quel partito ha condiviso con SEL, in quest’ultima fase del periplo dipietresco, ma per l’impossibilità di addensare una seria prospettiva di governo con chi, in tutta evidenza, non riesce ad abbandonare la tattica della guerriglia contro gli alleati, a mero scopo di visibilità. Così si sarebbero potuti leggere i giorni a cavallo di luglio e agosto, senza eccedere in forzature ottimistiche, solo per stare a fatti e dichiarazioni.

No. Il voto utile in salsa postveltroniana non ci ci interessa. Davvero. E non funziona. Fidatevi. E qualcuno alzi la voce per chiedere l’unità della sinistra con la parte (di sinistra) del pd, con fds, verdi e idv. C’è qualcuno? Sì, noi.

Il ritorno è notizia da poco

Ma succede. I greci lo chiamerebbero nostos.

Mentre in giro nella crisi dei partiti si stracciano le tessere qualcuno decide di tornare in SEL. Con parole bellissime:

SEL ha bisogno di recuperare tutto quanto di bello e di importante c’è stato nel percorso della sua formazione. L’energia, la forza, la volontà, la generosità, la lungimiranza, la pazienza, la fermezza, la tenacia, l’ottimismo, la speranza che ognuna ed ognuno di noi, anche in piccole gocce ci ha messo devono sostenere la nostra volontà di cambiare per il meglio e di costruire quel soggetto politico che abbiamo sognato insieme per costruire un futuro migliore per noi, per l’Italia, per l’Europa.

Bentornato Guido e tutti i prossimi.

 

La svolta, i confini, le idee. Appunto.

Giuliano Pisapia cassa l’idea del listone nazionalpopolare dei sindaci (Io la penso così: il compito dei sindaci è portare a termine il mandato che hanno ricevuto, dunque governare le città. Non esistono gli uomini della provvidenza, nemmeno gli unti del Signore, dice) e segna il confine. Molto bene, tra l’altro. Così, mentre qualcuno raglia, in fondo da Milano (e in Lombardia) si lavora. Con le idee chiare e non interpretabili.

Questa idea sembra condivisa oggi da Pd e Sel. Vede la possibilità che possa coinvolgere anche i centristi?
«Questo progetto non passa e non può passare con l`ingresso dell`Udc nella nostra coalizione. Il centrosinistra deve essere capace di rinnovarsi, di aprirsi alla cittadinanza, ai delusi e disillusi della politica. È necessario un cambiamento interno alla coalizione come
svolta, con le elezioni, rispetto all`attuale governo. Un`alleanza capace di governare ma profondamente alternativa al centrodestra e che faccia scelte di politica economica e sociale diverse da quelle del governo Monti, che comunque dobbiamo ringraziare per averci restituito credibilità internazionale ed averci evitato un collasso definitivo».

Però anche Casini sta all`opposizione e potrebbe essere importante per una futura maggioranza…
«Basta leggere la carta di intenti del Pd e le proposte di Sel per comprendere che Casini non è parte di questa coalizione. La sua posizione su temi sensibili e fondanti – non solo su temi eticamente sensibili, ma anche su temi economici e sociali – è diversa. Anche Casini, però, fa una proposta alternativa a quella di Berlusconi. Bene, questo significa che il centrosinistra in Parlamento potrà confrontarsi con il centro e cercare convergenze. Così come potrà avvenire con altre forze presenti in Parlamento non di destra. È indispensabile però che ci sia un denominatore comune condiviso tra chi vuol far parte della coalizione progressista che si candida al governo».

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Ecco qui, per chi non vuole sentire

Vendola intervistato:
“Io penso che il centrosinistra si debba allargare, debba proporre punti chiari e forti. Se Casini accetta di fare subito una legge sulla rappresentanza sindacale, se condivide con noi di liberare l’Italia dalla sua ipoteca culturale, di avanzare sul terreno dei diritti civili, dai matrimoni gay, alla fecondazione assistita, al testamento biologico, se decide di difendere l’Europa dai diktat della troika. Ma accetta secondo lei? A me sembra fantapolitica”.
Non è simile a quel Noi crediamo che non sia una questione di ‘veti’ ideologici ma al contrario di pragmatica consapevolezza che una coalizione innaturale non porterà mai ad alcun reale risultato politico, né potrà mai dare all’Italia quella frustata di civiltà e di giustizia di cui ha fortemente bisogno che (giustamente) chiede qualcuno?

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Una casa in cui non c’è l’UDC

Detto così. A parole chiare nel videomessaggio di Nichi Vendola (lo potete vedere qui).

E questa è la posizione che difenderò fino alla fine. E in fondo ero tra quelli che ieri e oggi ha insistito nel chiarirlo. E sono contento che sia detto a chiare lettere. Perché la politica proviamo a farla, prima che dirla. E così non è comprensibile una ghettizzazione dell’IDV in una coalizione che (per molti) invece vorrebbe essere morbida con gli amici di Cuffaro. E senza dimenticare quel pezzo di sinistra che tutti in questi giorni non hanno nemmeno nominato e con cui mi ritrovo a pensare così bene una nuova Lombardia.

Buona serata.

Fare politica senza la politica

Un intervento di Marco Furfaro, da condividere. Finalmente.

La cosa più grave è che di politico in tutta questa discussione non c’è niente. Tutto diventa una farsa. Persino il referendum sull’articolo 18 diventa propaganda sulla pelle delle lavoratrici e dei lavoratori. Quel referendum non è ammissibile. Perché i referendum non vengono fatti nell’anno delle elezioni. Non lo dico io. Ma ce lo hanno detto costituzionalisti in una riunione in cui erano presenti sindacati e forze politiche e in cui, tutti insieme, compreso l’Idv avevamo deciso di non “giocare” sui lavoratori. Poi spunta il referendum e chi non lo firma perché non si presta al gioco dello sciacallaggio diventa colui che non sostiene i lavoratori. Non va bene niente di questa discussione, è solo propaganda fatta per cercare consenso. E’ ovvio che non andremo alle elezioni con l’UDC (a meno che non diventino antiproibizionisti, laici, antiliberisti, antimontiani e così via… cioè socialdemocratici praticamente), ma è altrettanto ovvio che se questo non viene percepito da tutti dobbiamo rimettere in campo un profilo chiaro e netto, e che qualche passaggio lo abbiamo sbagliato. Come, anche se mi fa orrore il gioco di Di Pietro, fino all’ultimo dobbiamo portare l’IDV all’interno del centrosinistra nel confronto sui contenuti. L’informazione italiana fa schifo, ma lo sapevamo e la comunicazione andava gestita meglio. Lo dico senza fraintendimenti, per me la partita è nel centrosinistra. Perché voglio giocarmela la partita. Ma da oggi dobbiamo parlare chiaro e candidarci alla guida del Paese, dentro e fuori le primarie, sui temi che abbiamo a cuore senza mollare di un millimetro. Perché per me quelli, anche con i rischi connessi, sono la mia discriminante per capire se ne vale la pena. Servono coraggio e chiarezza.

10 cose da fare

Per essere chiari:

Vogliamo contrastare tutte le mafie, reprimendone sia l’azione criminale che l’immensa forza economica. La presenza dei capitali mafiosi, a maggior ragione in un momento di crisi, è un elemento devastante per ogni prospettiva di rilancio del paese. Vanno sostenute le attività delle procure e degli amministratori locali, ma va soprattutto reciso ogni legame o sospetto di complicità di alcuni rappresentanti politici. L’adozione di un codice etico e il contrasto delle attività criminali mafiose è un’urgenza inderogabile.

Vogliamo proporre una legislazione che contrasti lo strapotere della finanza speculativa a partire dalla tassa sulle transazioni finanziarie, rendendo permanente il divieto di vendita allo scoperto e attaccando vigorosamente i paradisi fiscali.

Vogliamo richiedere una rinegoziazione dei trattati che non stanno salvando né l’euro né il modello di vita dei cittadini europei. In questo contesto vanno date nuove funzioni alla Bce, a partire dalla possibilità di intervenire senza condizioni in caso di attacco alla nostra moneta. La lealtà istituzionale e la necessità di trovare un consenso oltre i nostri confini non può impedirci di indicare quale sia la nostra direzione di marcia. Dobbiamo essere noi i primi protagonisti del cambiamento.

La sinistra combatte senza esitazione gli sprechi e la spesa pubblica improduttiva. Ma è una manipolazione della verità storica considerare la spesa sociale come sinonimo di dissipazione e di spreco. Il Welfare non è stato un cedimento ad un non meglio precisato “buonismo sociale” ma la più rilevante conquista del Novecento. Sappiamo che molto va cambiato nel modo di allocare le risorse e nel peso che ha la politica fiscale. Nel ridefinire priorità e gli strumenti di riforma del welfare va riconosciuto il valore economico e sociale del lavoro di cura svolto dalle donne. Dobbiamo dire con chiarezza da dove si prendono le risorse e dove invece vanno restituite. La politica fiscale deve ritornare ad essere, in linea con la Costituzione, basata sulla “capacità contributiva”. Le tasse sono troppo onerose per chi le paga, sia che sia un lavoratore dipendente che autonomo, ma è incredibile non rilevare che più dell’80% del gettito venga da lavoratori dipendenti e pensionati.

Proponiamo una lotta prioritaria all’evasione fiscale per ridurre l’imposizione fiscale in primo luogo ai lavoratori a basso reddito e proponiamo una tassazione sui grandi patrimoni che sostituisca l’ingiusta tassa sulla prima casa per i cittadini meno abbienti.

La riduzione del debito pubblico deve avvenire senza dogmi rigoristi, poiché sappiamo che dalla crescita della ricchezza possono venire benefici assai più fruttuosi che dalla mera riduzione dello stock del debito. Se cresce la disoccupazione e diminuisce il tenore di vita e il potere d’acquisto dei salari e degli stipendi, l’aumento delle tasse e taglio dei servizi produrrà soltanto effetti recessivi.

Vogliamo investire le risorse recuperate dalla lotta all’evasione fiscale, dal contrasto alla corruzione e dal taglio alle spese militari, in un piano per il lavoro, pubblico e privato, basato sugli investimenti per la messa in sicurezza del nostro territorio e delle città, nella erogazione di un reddito minimo garantito come c’è nel resto d’Europa e il recupero del potere d’acquisto perso dai salari negli ultimi vent’anni.

Ci sono alcuni punti che, simbolicamente e concretamente, possono segnare una svolta rispetto al passato: ridurre da 45 a 4 le tipologie contrattuali oggi previste, che hanno alimentato la spirale della precarietà; restituire ai lavoratori, anche quelli di aziende sotto i 15 dipendenti, la tutela del reintegro sul posto di lavoro a seguito di un licenziamento ingiustificato; differenziare, a seconda dell’effettiva vita lavorativa e dal diverso carico lavorativo che pesa sulle donne per le attività di cura, l’età pensionabile, poiché non possono essere trattati nello stesso modo una infermiera o una puericultrice o un operaio alla catena di montaggio e un professore universitario o un alto funzionario pubblico; introdurre dell’equo compenso per le lavoratrici e i lavoratori autonomi; estendere gli ammortizzatori sociali e i diritti per tutte le forme contrattuali, per un welfare universale, come per esempio nel caso del diritto alla maternità/paternità universale.

Abbiamo bisogno di rafforzare il welfare e la spesa pubblica in settori strategici. La salute, le pensioni, l’assistenza per i non autosufficienti, l’istruzione pubblica, i trasporti pubblici, il diritto ad una giustizia certa e celere, sono diritti inalienabili ma anche fattori di sviluppo essenziali per la tenuta della coesione economica e sociale del paese. La spesa per la formazione e la ricerca va aumentata e riqualificata. Oggi assistiamo ad una ingiusta penalizzazione, in particolare per i giovani che vogliono insegnare o fare ricerca e che spesso sono costretti ad emigrare, che sta impoverendo brutalmente il nostro paese. Non si tratta di “costi” ma di “risorse”.

È necessario ripensare all’intervento pubblico in economia, a partire dal valore strategico delle aziende partecipate come Eni, Enel, Rai, Finmeccanica e quelle relative al trasporto pubblico per affrontare le sfide che la crisi ci propone. Va fatta un’azione che agisca tanto sul versante dell’offerta di nuovi investimenti pubblici, tanto sullo stimolo alla domanda, per esempio nei settori della produzione di energia rinnovabile o nella infrastrutturazione digitale del paese.

Vogliamo la riconversione ecologica dell’economia e della società, che abbia al centro la sostenibilità ambientale, la piena valorizzazione dei beni comuni, la qualità e l’innovazione. Per noi sono beni comuni, sottratti al dominio del mercato, tanto i beni materiali come l’acqua e la terra, quanto quelli immateriali come la conoscenza e la cultura. Siamo consapevoli di quanto le grandi questioni globali, come i cambiamenti climatici, siano connessi con le scelte quotidiane, a partire da una nuova politica energetica basata sul risparmio energetico e le fonti rinnovabili, riducendo le emissioni e penalizzando chi inquina.

C’è urgente necessità di una nuova politica industriale basata sull’innovazione tecnologica ed ecologica, che possa mettere a valore non solo prodotti da vendere, ma vere e proprie produzioni complesse: dal “prodotto” mobilità sostenibile alla riconversione delle manifatture inquinanti o belliche, si può costruire un rilancio della produzione industriale in un paese che conserva grandi risorse sul versante manifatturiero.

È necessario dare centralità ad una politica agricola basata su qualità, istintività territoriale e sostenibilità ambientale e sociale. La buona politica si deve occupare di fare scelte che sappiano immaginare il mondo che dovremo lasciare alle future generazioni.

Per noi i diritti non sono un terreno di formule astruse ma un campo in cui far vivere il principio della laicità. Sappiamo che la società è più avanti nella richiesta di nuovi diritti di quanto lo sia spesso la politica.

Siamo sempre per il rispetto della libertà di scelta per il fine vita, per la regolamentazione della fecondazione assistita, per la rigorosa applicazione della legge 194. Siamo per i matrimoni omosessuali e per la piena cittadinanza delle unioni civili. Siamo per il diritto di cittadinanza ai migranti nati in Italia, per il riconoscimento del diritto di voto alle amministrative, per l’abolizione della legge Bossi-Fini a partire dal superamento dei CIE. Siamo per il recepimento delle convenzioni internazionali sull’introduzione del reato di tortura e per una legge che regoli il diritto d’asilo. Siamo per il rispetto della vita umana e quindi vogliamo che la condizione dei detenuti sia rispettosa della Costituzione. Siamo per una politica antiproibizionista a cominciare dalla abrogazione della legge Fini-Giovanardi per un nuovo approccio responsabile e socialmente inclusivo.

Il populismo non si sconfigge per decreto, né tentando di esorcizzarne la forza devastante. Il populismo si contrasta lì dove esso attecchisce, tra il popolo che ha perso fiducia nella politica e nella democrazia. Abbiamo ancora importanti risorse, di idee e di uomini e di donne, ma abbiamo poco tempo. Chiediamo a tutti un contributo e dobbiamo saper trovare le strade affinché ciascuno sia messo nelle condizioni di poterlo dare. È in gioco la sopravvivenza a lungo termine dell’integrazione europea.

Solamente la solidarietà, la riconversione ecologica e sociale della società e la vitalità della democrazia ci faranno uscire dalla crisi’.

Il documento è qui.