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Silvia Resta

Emiliano, Christian, i giornalisti calabresi e le minacce come un prurito

Mi ero ripromesso di parlare e scrivere il meno possibile delle minacce. Soprattutto per una questione mia personale di pudicizia e coscienza e soprattutto per il gioco perverso di questo Paese (oggi posso dire pienamente verificato sulla mia pelle) che ogni volta accende i riflettori sulla bestialità degli intimidatori che meriterebbero il peggiore oblìo.  Non sono per niente convinto che la scelta sia sensata ma me lo ero imposto in questi ultimi mesi in cui ho avuto modo di sentirmi addosso la paura ancora più appuntita. Me l’ero imposto perché potessero cantare ad alta voce tutti i professionisti delle “carte a posto” secondo cui la nostra dovrebbe essere una condizione passeggera e niente di più.

Christian Abbondanza è un uomo contestato e contestabile. Con la sua associazione CASA DELLA LEGALITA’ da anni racconta la Liguria (e non solo) complice consapevole delle mafie sul territorio: dai Gullace e Fazzari, ai Fameli, Mamone, Fotia a tutta la banda Raso-Gullace-Albanese. Senza remore contro i mafiosi e i politici conniventi. Qualcuno dice che sia un allarmista provocatore.

Emiliano Morrone è il direttore de LA VOCE DI FIORE nonché autore di libri sulla ‘ndrangheta calabrese (insieme a Francesco Saverio Alessio) che sono “magicamente” spariti dagli scaffali e che non fanno sconti a nessuno. Qualcuno lo definisce con un po’ di spocchia “un semplice blogger”.

In Calabria (mentre la ‘ndrangheta alza il tiro impunemente contro le istituzioni) quotidianamente si sente di giornalisti minacciati e intimiditi per smussare la scrittura e tacere le notizie che possono dare fastidio. Si accende la solidarietà (poca) per il tempo di ualche editoriale sparso nel web e subito dopo sembra cadere un silenzio cimiteriale. Mentre loro rimangono al fronte. Qualcuno dice che se la sono andata a cercare e cercano un po’ di pubblicità.

Eppure Christian Abbondanza nei giorni scorsi ha ricevuto l’ennesima minaccia che gli ha fatto gridare “basta!“, Emiliano è ritornato la sera a casa e non ha più trovato i computer con le proprie inchieste e i documenti (vi ricordate non molto tempo fa un caso analogo alla giornalista di LA7 Silvia Resta?) e in Calabria si continua con le lettere anonime, i proiettili in busta e le taniche di benzina. Senza contare le centinaia di casi che rimangono taciuti per paura o peggio per nostra disattenzione.

In una scia inaccettabile a cui ormai ci siamo abituati. Come se facesse inevitabilmente parte del gioco. Come se fosse colpa loro pretendere un po’ di attenzione. Come se fosse diventata una colpa in Italia essere minacciati perché, in fondo, chi non si adegua, chi è fuori dal gruppo, non ha il diritto alla solidarietà. Chi alza i toni o accende i riflettori sceglie consapevolmente di uscire dalla “comunità”.

Eppure sembrerebbe così banale e normale che le opinioni e i modi abbiano tutte il diritto di non ricevere pallottole. Anche i blogger e gli allarmisti. O no?

Resta, Silvia. Usciamo noi dai tuoi cassetti.

Ci sono momenti nella vita in cui la confusione tutta sottosopra della propria vita è uno stato che ti rimbalza in pancia e solo dopo è una questione di cassetti e voci. Le mani messe dentro il proprio stomaco sono la fucilata dei codardi che vorrebbero giocare a fare i militari ma hanno il naso da pagliaccio della propria codardìa. Silvia Resta si è ritrovata una porta scardinata come fotografia di una violazione che ha sensi diversi. E immagino gli occhi di Silvia mentre frugano con la stessa fretta a scardinarsi il cervello per capire o cercare almeno di immaginare con un pizzico di realismo. Non so nient’altro che immaginare quanto costi oggi parlare con lo sguardo diritto e la certezza comune di sbagliare spesso. So che gli occhi di Silvia nei suoi servizi andati in onda (e in quelli lasciati nel cassetto) sono gli occhi di chi ci crede. Nonostante tutto. Disinteressata. Con tutto solo da perdere. O trafugare. Per questo vorrei provare ad uscirci io dai cassetti in disordine per stringerti la mano Silvia. Per dirti che non sei da sola. Che ci possono portare via a pezzetti ma mai tutti insieme. E che siamo qui. Tutti. Insieme. Questa sera ancora di più con te.