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sincerità

Ora per Italia Viva il Mes “non è imprescindibile”: svelato l’inganno, Renzi voleva solo la testa di Conte

Ogni tanto conviene esercitare la memoria, anche quella più breve, anche in un momento di eccitazione politica, almeno per una questione di igiene intellettuale, perché ognuno possa giudicare senza farsi travolgere dalle mistificazioni.

Ieri Maria Elena Boschi, esponente di spicco dei renziani, ha dichiarato in scioltezza che Italia Viva non ha mai preteso il Mes: “Abbiamo sempre detto che non era per noi imprescindibile”, dice l’ex ministra. E tutti che fanno sì sì, senza nemmeno porre qualche domanda.

Badate bene: è la stessa Boschi che lo scorso 12 gennaio disse che Italia Viva aveva “chiesto al governo di prendere il Mes”. “Servono soldi per la sanità, non poltrone per noi”, diceva.

È lo stesso partito che il 13 gennaio, in piena crisi politica, disse per bocca del suo padrone Matteo Renzi: “Qual è il punto decisivo per la rottura? Tanti. Ma su tutti, il Mes. Noi chiedevamo più soldi per la sanità, attivando il Mes”.

Il 17 gennaio fu sempre Renzi, ospite di Lucia Annunziata, a dire: “Non voterò mai un governo che si ritiene il migliore del mondo e di fronte a 80mila morti non prende il Mes”.

E fu sempre Renzi che disse: “La mancata attivazione del Mes sarà pagata dai dottori, dai ricercatori, dai malati e dalle loro famiglie”.

E quindi? Quindi il punto centrale della rottura di Italia Viva con il Governo Conte nel giro di pochi giorni è diventato precipitosamente un’inezia su cui si può soprassedere senza nessun problema.

Per carità, non stupisce: in questa fase politica, sotto il nome della “responsabilità”, stiamo assistendo alle più inaspettate (e poco dignitose) acrobazie per giustificare inversioni delle proprie fedi politiche: i sovranisti sono diventati europeisti, i nemici delle banche si sono innamorati di un banchiere, gli appassionati dei programmi scritti hanno acceso una smisurata passione al buio, i cultori dei passaggi democratici si scocciano ad avere a che fare con questo Parlamento.

Ma una domanda, una, sorge spontanea: il Matteo Renzi che per settimane ci ha detto che non fosse un problema di nomi e di persone ma che tutto il suo agitarsi fosse figlio di un’irrefrenabile coerenza per i suoi contenuti politici cosa ci dice ora del Mes, di Arcuri che dovrebbe rimanere dov’è, del reddito di cittadinanza che probabilmente non verrà toccato e di un governo che nasce proprio su un nome, su una persona?

Perché altrimenti avrebbe potuto dire che il problema era Conte, solo Conte e la pazza idea di governare (ancora) con il centrodestra. La sincerità è una virtù. Lo diceva anche Confucio.

Leggi anche: La videolettera di Riccardo Bocca: Caro Draghi, lei è il medico del pronto soccorso ma è la politica che deve resuscitare

L’articolo proviene da TPI.it qui

Gli stra-ordinari pazienti di Gallera

Il magico mondo della Sanità privata visto con gli occhi dell’assessore al Welfare con delega alla Sanità della regione più devastata dalla pandemia

«Gli ospedali sono stati sommersi da pazienti Covid e il privato ha aperto le sale di terapie intensive e le loro stanze lussuose a pazienti ordinari che venivano trasferiti dal pubblico. Il nostro compito è mantenere questo equilibrio». Sono le parole dell’assessore al Welfare della Regione Lombardia Giulio Gallera, uno che ogni volta che parla riesce a mostrarsi perfettamente per quello che è e per quello che pensa. In fondo è una fortuna avere politici così: non c’è nemmeno bisogno di grattare la superficie per trovarci già tutto bell’e pronto.

Nella frase c’è tutto, basta avere voglia di analizzare con calma.

Ci sono i lussuosi ospedali privati. Gente che riesce con soldi pubblici a puntare all’esclusività come caratteristica. Ora alzi la mano chi si sente rassicurato dall’abitare in una regione in cui la sua eventuale malattia ha la possibilità di svolgersi nel lusso, come se gli ospedali siano resort da giudicare per i servizi annessi e connessi in un Paese (e in una regione) in cui ci si mette mesi a accedere a esami specialistiche con lunghissime liste d’attesa. Eccola la sanità lombarda, il modello di cui tutti ci parlano da decenni: ospedali lussuosi pagati con soldi pubblici che tolgono denaro e energie agli ospedali pubblici che annaspano. Glorificare un ospedale perché lussuoso è un po’ come magnificare un salame perché è veloce oppure lodare un architetto perché cucina ottimi tortellini. Una cosa così.

Poi ci sono i pazienti ordinari. E siccome l’italiano non è un’opinione quella frase ci dice che ci sono anche pazienti straordinari, inevitabilmente. Non si sfugge. Che esistano pazienti di serie a e di serie b in una regione che ha trasformato la cura in un business è cosa risaputa. Non si tratta solo di chi può permettersi la sanità (così come la scuola) privata alla faccia di chi deve affidarsi al servizio pubblico che ogni tanto non c’è: si tratta di avere l’accidente giusto, in sostanza avere la fortuna che la propria malattia possa interessare a livello di fatturato e quindi si diventa improvvisamente ottimi clienti. Perché è tutto un enorme supermercato dei malati, pagato con i soldi di tutti, in cui guadagnano in pochi.

Complimenti per la sincerità, Gallera.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Qui dove il cinismo viene scambiato per sincerità

È che viene facile facile essere cinici, in fondo è la via più breve: essere cinici significa arrogarsi il diritto di riprendere con violenza alla violenza, significa poter buttare tutto nel cesso dell’ironia bieca, comprese le fragilità più fragili dei fragili che ci sono in giro.

Il problema è che il cinismo, inteso come banalizzazione cattiva della complessità che ci accade intorno, viene vissuto addirittura come sincerità. In sostanza si crede che il modo più alto dell’essere sinceri sia quello di essere merde senza vergognarsene in pubblico. Se qualcuno augura a un suo nemico di morire o di soffrire con acutissimo dolore viene considerato coraggioso perché è stato capace di rivendere una sua pulsione (di quelle basse, delle peggiori) come gesto di coraggio. È di moda il coraggio di essere merde, senza rendersi conto che è la via più semplice, quella che viene facile facile: pronunciare ad alta voce ciò di cui ci dovremmo vergognare è diventato un atto di coraggio, anche se è solo una stolta impudicizia.

Ci siamo innamorati della nobilitazione della parte peggiore di noi stessi e ne rimaniamo perdutamente affascinati. Ormai non sogniamo più di essere migliori ma aspiriamo al massimo a una dialettica spendibile del nostro peggio: spargere odio con una frase colorita è la nostra realizzazione.

E così accade che alcuni pensatori (giornalisti, politici o presunti intellettuali) che hanno ceduto al rilascio dei proprio sfinteri improvvisamente diventino dei profeti. Va per la maggiore quello che dice “non fate quello che faccio ma ascoltate soltanto quello che dico” e così siamo tutti contenti. E anche i deliri di un vecchio suonato alla fine sembrano delle intuizioni immancabili.

Se si muore, poi, il quadro è completo: il rigor mortis è sostituito dall’idiozia del fine vita. Tutto accettato, tutto bello. E quelli che combattono per le idee in cui credono vorrebbero farli passare come deboli illusi e invece siete voi, cinici che vi rivendete come sinceri, che siete solo dei poveri sconfitti smutandati. Vale la pena ricordarvelo.

Buon martedì.

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Vorrei

Imparare ad avere il cuore pulito. Vorrei imparare a perdonare. Vorrei imparare a trattare la paura per quel poco che conta. Vorrei riconoscermi  sempre ogni volta che mi raccontano senza assistere a proiezioni eroiche o millantatrici. Vorrei imparare a chiedere scusa sentendo anche scuse. Vorrei rispettare tutti, anche quelli più lontani da me senza dovere ogni volta cadere nella trappola del banale per forza. Vorrei avere un cuore e una testa abbastanza grandi per non incorrere nelle semplificazioni.

Vorrei restare umano: tra la resistenza e il silenzio c’è tutto quello che puoi provare ad essere.