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sinistra

La sinistra concreta (nel giorno della balena bianca)

Poiché va molto di moda parlare dell’esperienza di “Podemos”, la nuova sinistra spagnola, e poiché mi sembra evidente che sia importante per la propria immagine parlarne (fingendo di saperne) vale la pena leggere questo discorso di Pablo Iglesias pronunciato durante un’assemblea:

podemosSo molto bene che la chiave per comprendere la storia degli ultimi cinque secoli è la formazione di specifiche categorie sociali, chiamate “classi”; è per questo che vorrei raccontarvi un aneddoto. Quando il movimento 15-M ebbe inizio, alla Puerta del Sol, alcuni studenti del mio dipartimento, il dipartimento di scienze politiche, studenti molto politicizzati – avevano letto Marx, avevano letto Lenin – parteciparono per la prima volta nella loro vita a iniziative politiche con persone normali.
Si disperarono. “Non capiscono niente! Proviamo a dirglielo, voi siete proletari, anche se non lo sapete!” Le persone li guardavano come se venissero da un altro pianeta. E gli studenti tornavano a casa depressi, dicendo “non capiscono niente”.
Gli avrei voluto rispondere: “Non capite che il problema siete voi? Che la politica non ha nulla a che fare con l’avere ragione, ma con il riuscire?” Voi potete fare le migliori analisi, comprendere le chiavi di lettura dello sviluppo economico a partire dal sedicesimo secolo, capire che il materialismo storico è la via da seguire per capire i processi sociali. E dopo di questo, cos’è che fate? Urlate a quelle persone “siete proletari e nemmeno ve ne rendete conto”?
Il nemico non farebbe altro che ridervi in faccia. Potete indossare una maglietta con falce e martello. Potete persino portare un enorme bandiera rossa, e tornarvene a casa con la vostra bandiera, il tutto mentre il nemico continua a ridervi in faccia. Perché le persone, i lavoratori, continuano a preferire il nemico a voi. Gli credono. Lo capiscono quando parla. Mentre non capiscono voi. E probabilmente voi avete ragione! Probabilmente potreste chiedere ai vostri figli di scrivere sulla vostra lapide: “Aveva sempre ragione – ma nessuno lo seppe mai”.
Quando si studiano i movimenti rivoluzionari di successo, si può notare con facilità che la chiave per riuscire è lo stabilire una certa convergenza tra le proprie analisi e il sentire comune della maggioranza. E questo è molto difficile. Perché implica il superamento delle contraddizioni.
Pensate che avrei qualche problema ideologico nei confronti di uno sciopero selvaggio di 48, di 72 ore? Neanche per idea! Il problema è che l’organizzare uno sciopero non ha nulla a che fare con quanto grande sia il desiderio mio e vostro di farlo. Ha a che fare con la forza dei sindacati, e sia io che voi siamo insignificanti in materia.
Voi e io possiamo desiderare che la terra sia un paradiso per l’umanità intera. Possiamo desiderare quello che vogliamo, e scriverlo su una maglietta. Ma la politica è una questione di rapporti di forza, non di desideri o di quel che ci diciamo in assemblea. In questo paese ci sono solamente due sindacati che hanno la capacità di organizzare uno sciopero generale: la CCOO e la UGT. Mi piacciono? No. Ma così è come stanno le cose, e organizzare uno sciopero generale è molto difficile.
Ho partecipato ai picchettaggi davanti ai depositi degli autobus a Madrid. Le persone che erano lì, all’alba, sapete dove dovevano andare? A lavoro. Non erano crumiri. Ma sarebbero stati cacciati dal loro posto di lavoro, perché lì non c’erano sindacati a difenderli. Perché i lavoratori che possono difendersi da soli, come quelli nei cantieri navali o nelle miniere, hanno sindacati forti. Ma i ragazzi che lavorano come venditori telefonici, o nelle pizzerie, o le ragazze che lavorano nel commercio al dettaglio, non possono difendersi.
Sarebbero segati immediatamente il giorno dopo lo sciopero. E voi non sarete lì, e io non sarò lì, e nessun sindacato sarà lì per sedersi col capo e dirgli: faresti meglio a non far fuori questa persona perché ha esercitato il diritto di sciopero, perché pagherai un prezzo per questo. Questo non succede, non importa quanto entusiasmo possiamo avere.
La politica non è ciò che io o voi vogliamo che sia. È ciò che è, ed è terribile. Terribile. Ed è per questo motivo che dobbiamo parlare di unità popolare, ed essere umili. A volte dovrete parlare con persone cui non piacerà il vostro linguaggio, con le quali i concetti che voi usate non faranno presa. Cosa possiamo capire da questo? Che stiamo venendo sconfitti da parecchi anni. Il perdere tutte le volte implica esattamente ciò: implica che il “senso comune” sia differente [da ciò che noi pensiamo sia giusto]. Ma non è nulla di nuovo. I rivoluzionari lo hanno sempre saputo. L’obiettivo è riuscire nel deviare il “senso comune” verso una direzione di cambiamento.
César Rendulues, un tipo molto acuto, afferma che la maggior parte delle persone sono contro il capitalismo ma non lo sanno. La maggior parte delle persone difende il femminismo anche se non ha mai letto Judith Butler o Simone de Beauvoir. Ogni volta che voi vedete un padre fare i piatti o giocare con suo figlio, o un nonno spiegare a suo nipote di condividere i suoi giocattoli, c’è più trasformazione sociale in questi piccoli episodi che in tutte le bandiere rosse che potete portare ad una manifestazione. E se falliamo nel comprendere che queste cose possono servire come fattori unificanti, loro continueranno a riderci in faccia.
Quello è il modo in cui il nemico ci vuole. Ci vuole piccoli, mentre parliamo un linguaggio che nessuno capisce, fra di noi, mentre ci nascondiamo dietro i nostri simboli tradizionali. È deliziato da tutto ciò, perché sa che finché continueremo ad essere così, non saremo mai pericolosi.
Possiamo avere toni davvero radicali, dire che vogliamo organizzare uno sciopero selvaggio, parlare di popolo armato, brandire simboli, portare ritratti dei grandi rivoluzionari alle nostre manifestazioni – loro ne saranno deliziati! Ci rideranno in faccia. È quando metterete insieme centinaia, migliaia di persone, quando inizierete a convincere la maggioranza, persino quelli che votavano per il nemico – è in quel momento che inizieranno a spaventarsi. E questo è quel che è chiamata “politica”. Quello che abbiamo bisogno di capire.
C’era un compagno qui che parlava dei Soviet del 1905. C’era un tizio calvo e col pizzetto – un genio. Egli intuì l’analisi concreta della situazione concreta. In tempo di guerra, nel 1917, quando il regime russo era sull’orlo del collasso, disse una cosa molto semplice ai russi, fossero essi soldati, contadini o lavoratori. Egli disse: “Pane e pace”.
E quando disse “pane e pace”, che era ciò che tutti volevano – che la guerra finisse e che si potesse avere abbastanza da mangiare – molti russi che non sapevano neppure se fossero di “destra”o di “sinistra”, ma sapevano di essere affamati, dissero: “Il tizio calvo ha ragione”. E il tizio calvo fece molto bene. Non parlò ai russi di “materialismo dialettico”, gli parlò di “pane e pace”. E questa è una delle lezioni più importanti del ventesimo secolo.
Cercare di trasformare la società scimmiottando la storia, scimmiottando i simboli, è ridicolo. La strada non è quella di ripetere le esperienze di altri paesi, eventi storici del passato. La strada è quella di analizzare i processi, le lezioni della storia. E comprendere in ogni momento della storia che il “pane e pace”, se non è connesso a ciò che le persone sentono e provano, è giusto una ripetizione, come farsa, di una tragica vittoria del passato.

E’ secondario

Sono quasi due giorni che ripenso alla dichiarazione di Renzi secondo cui l’aumento dell’astensione è un fatto “secondario”. Mi è capitato anche di leggere in giro le centinaia di analisi che proliferano sui siti e nei social e come ogni elezione sembra che abbiano vinto tutti o perso tutti, tanto alla fine ci dicono che è la stessa storia. Se non ricordo male anche qualche Ministro disse, non molto tempo fa, che le proteste dei lavoratori e della FIOM, sono rappresentative semplicemente di interessi “particolari” e non di tutti i cittadini. Sulle vicende di Tor Sapienza qualche solone del Partito Democratico ebbe a dire che si trattava di vicende “periferiche”, disse così, nel senso di periferia rispetto alle questione importanti. Del resto erano casi particolari e minoranza anche gli esodati, non so se ve ne ricordate, quando si disse che semplicemente si erano sbagliati di qualche migliaio. In fondo anche la vicenda di Di Matteo e del processo sulla “trattativa” è qualcosa che interessa solo a quelli del “settore” (che poi mi dico che settore è? Quello della verità e giustizia? E’ quindi un campo solo per hobbisti?) e le misure anticorruzione sono un compitino dato per le vacanze al buon Raffaele Cantone, parafulmine contro le critiche.

E allora è proprio vero che gli interessi dei pochi sono diventati secondari, ha ragione Renzi. E alla fine dei diritti degli altri ci si interessa solo nei ritagli di tempo e con la dovuta sufficienza. E a quelli che cercano la “sinistra” basterebbe guardare in quel sottoscala lì, quello delle cose “da riprendere se c’è tempo” del circo paninaro e democratico di governo.

Sinistre schiaccianti vittorie

Vale la pena leggere Alessandro nel suo post di oggi per dare un senso ai “corvi” o ai “gufi” di questi giorni che vengono superficialmente bollati come sempiterni sconfitti:

Prendete il concetto di vittoria, di cui oggi molto si parla dopo tanti anni in cui ha prevalso la subcultura dello sconfittismo: un’emancipazione mentale da accogliere con entusiasmo, quindi, purché però ci si intenda sul suo significato. Le colonne dei giornali e le librerie sono infatti piene di editoriali e di saggi che spiegano alla sinistra che per vincere deve diventare di destra: convertirsi alle regole del pensiero mainstream neoliberista, andare alla ricerca dell’accordo con le “forze moderate” o diventare direttamente tali. Ma la vittoria non è un fine in sé: è un strumento per trasformare la realtà. Se si vincono le elezioni ma poi non si cambiano in meglio le cose, è esattamente come averle perse: quindi l’altra faccia dello sconfittismo. La vittoria è invece un mezzo, non uno scopo slegato dalle sue conseguenze. Basti pensare al Regno Unito, dove le ripetute vittorie del New Labour blairiano non hanno invertito la tendenza alla ridistribuzione della ricchezza verso l’alto: il che, per la sinistra, è evidentemente una sconfitta.

Ci si vede da Pippo al PolitiCamp 2014

Ci si vede a Livorno domenica 13 luglio. Il titolo della mattinata è “La sinistra possibile”. Appunto. Il sito è qui.

20140702_Programma_PoliticampPOLITICAMP 2014
Livorno 11, 12, 13 Luglio

PROGRAMMA

VENERDI, 11 LUGLIO 2014

ORE 18.00
La parità è possibile
Marina Terragni introduce:
Ilaria Bonaccorsi, Mercedes Lanzilotta, Filomena Gallo

ORE 20.00
Buff­et di autofinanziamento

ORE 21.00
La partecipazione è possibile
Andrea Fabozzi introduce:
Andrea Pertici, Elly Schlein, Vannino Chiti, Nadia Urbinati, Fabrizio Barca, Maurizio Landini

SABATO, 12 LUGLIO 2014

ORE 10.00 (Palco interno)
La cultura è possibile
Massimo Monaci introduce:
Tomaso Montanari, Maria Chiara Carrozza, Andrea Ranieri, Pietro Folena, Maria Grazia Rocchi

ORE 10.00 (Palco esterno)
Expo in ognuno di noi, Expo dappertutto
Mirko Tutino introduce:
Monica Frassoni, Francesco Vignarca, Vito Gulli, Paolo Gandolfi, Veronica Tentori,
Renata Briano, Paolo Sinigaglia, Simona Galli, Alberto Bencistà, Bengasi Battisti

ORE 13.00
Pranzo di autofinanziamento

ORE 14.30 (Palco interno)
Art. 49 e il partito delle possibilità
Stefano Catone introduce:
Beatrice Brignone, Paolo Cosseddu, Thomas Castangia, Gennaro Acampora, Luca Pastorino

ORE 14.30 (Palco esterno)
Legalità
Salvo Tesoriero introduce:
Lucrezia Ricchiuti, Davide Mattiello, Carla Rossi, Gabriele Guidi, Alessandro Capriccioli,
Nunzia Penelope, Marco Omizzolo, Beppe Guerini

ORE 17.30
Il Sud è possibile
Marco Sarracino, Elena Gentile, Anna Rita Lemma, Mimmo Talarico,
Mimmo Lo Polito, Fausto Melluso, Renato Natale

ORE 18.30
La politica economica del possibile (qui e ora)
Rita Castellani introduce:
Stefano Fassina, Filippo Taddei, Roberto Renò

L’economia del possibile (per i nostri pronipoti)
Carlo Clericetti introduce:
Ernesto Longobardi, Stefano Fassina, Filippo Taddei,

DOMENICA, 13 LUGLIO 2014

ORE 10.00
Il sindacato possibile
Manuele Bonaccorsi introduce:
Ilaria Lani, Francesco Sinopoli, Giuseppe Allegri

ORE 11.00
La sinistra possibile
Elisabetta Amalfitano introduce:
Marco Boschini, Alessandro Gilioli, Marco Furfaro, Gianni Cuperlo, Walter Tocci
Intermezzo di Stefano Bartezzaghi;
Claudio Riccio, Daniele Viotti, Giulio Cavalli
Giuseppe Civati

ORE 13.30
Pranzo finale di autofinanziamento

Adesso, a sinistra

Sulla mia proposta semplice semplice si vede che anche Civati (ma sono in tanti, vedrete) concorda e a Livorno presenterà azioni uscendo dalle discussioni. Basta ascoltarsi e rilanciare, confrontarsi e agire, mettersi insieme per contare. Contarsi, invece, lo facciamo dopo e se tutto viene fatto seriamente sarà una bella sorpresa. Sicuro. Io, su questo, ci sono. Subito.

La Cosa Seria (ancora)

E’ il progetto su cui ci siamo spesi moltissimo anche se ai tempi volevano farci credere una sparuta minoranza. In fondo con l’esperienza della lista Tsipras alle europee già si vedeva la luce di quella Cosa Seria di cui tanto avevamo scritto (e tanto avevamo fatto) e in fondo quel nostro manifesto oggi riprende ancora più vigore, forza e modernità. Per questo vale la pena sostenere l’appello degli amici di Esse che trovate qui. E discuterne, anche ad alta voce se serve, discuterne fino a realizzarlo.

Le ombre dopo le europee e Tsipras

Ne scrivevo qualche giorno fa e come prevedevo oggi stanno uscendo le diverse posizioni dentro SEL, con molta intelligenza alla fine di una campagna elettorale che regala comunque alla lista L’Altrea Europa con Tsipras un risultato ottimo vista la situazione ambientale. Una difficile situazione ambientale esterna e interna: perché mentre la lista faticava a farsi riconoscere e avere un minimo di visibilità all’interno di SEL il dibattito è rimasto silenzioso per “rispetto” alla campagna elettorale ma non sopito. Per questo non mi stupisce l’articolo di oggi de Il Manifesto in cui escono le diverse posizioni che non convergono sul progetto di una “Syriza” italiana e nemmeno su un eccessivo allontanamento dal PD e Renzi.

Tsipras (chi?) vince in Grecia

La sinistra è morta, la sinistra vince. In Grecia il partito greco della sinistra radicale Syriza è in testa ai sondaggi per le prossime elezioni europee. L’istituto Kapa Research lo dà infatti al 23% dei consensiprimo partito in Grecia, seguito da quello di centro-destra Nea Dimokratia, del premier Antonis Samaras, che viene dato al 21,7%. Certo in Grecia hanno dovuto subire il “sangue” sociale ed economico prima di votare ora sarà curioso capire come andrà qui da noi. Dipende anche da noi.