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sinistra

Si è costituito

Angelino Alfano ha trovato il coraggio. Sarebbe da ridere se non fosse che ancora qualcuno insiste a farci un governo insieme:

 

 

Nelle foibe c’è ancora posto

181125457-a66e187a-e4d1-41a2-b80d-7311d054e2c6L’ha scritto il capogruppo in zona 9 a Milano di Rifondazione Comunista-Sinistra per Pisapia, Leonardo Cribio che per il Giorno del Ricordo ha deciso di onorarci con una cazzata degna del più becero comico di Caracas. E il fatto che mi colpisce è che nessuno ne chieda le dimissioni come se un’uscita imbecille della maggioranza debba essere perdonata “più” di quelle di centrodestra. Perché l’idiozia è bipartisan e il cambiamento passa estirpandola tutta ovunque si sia sedimentata. E la condanna “morbida” verso gli amici rispetto ai nemici fa sembrare tutti molto più stupidi e meno credibili.

La scelta non è dunque “rinchiudersi nel partitino” né tantomeno sciogliersi nell’indistinto “campo largo dei democratici”

Un emendamento molto interessante presentato al Congresso (sottovoce) di SEL a firma di Barbara Auleta, Stefano Ciccone, Enzo Mastrobuoni e Carolina Zincone:

SEL deve lavorare dunque per un processo di aggregazione e confronto che porti alla costruzione di una nuova forza autonoma della sinistra, popolare, plurale, unitaria e innovativa. Non la sommatoria di frammenti di ceto politico teso all’autoconservazione, ma una nuova esperienza capace di aggregare risorse per produrre capacità di iniziativa ed elaborazione. Il rilancio di una autonomia politica e culturale della sinistra e la costruzione di una coalizione di governo trasformatrice sono due obiettivi non in contrapposizione ma oggi inscindibili. La costruzione di un’alleanza capace d’innovazione non è infatti, oggi, un dato scontato ma un obiettivo da conquistare per il quale è necessario si batta un soggetto della sinistra forte. La scelta non è dunque “rinchiudersi nel partitino” né tantomeno sciogliersi nell’indistinto “campo largo dei democratici”, ma costruire una sinistra più larga di noi, capace di coniugare governo e trasformazione ponendola in relazione con le domande della società. Dobbiamo metterci in relazione con la domanda sociale che chiede di rompere con la religione dei vincoli di bilancio che ha pesato a sinistra e aprire un dialogo con l’istanza di cambiamento e con la critica alla degenerazione dei partiti che hanno alimentato l’astensione o il voto al Movimento 5 Stelle. Va ricostruito un rapporto con quella sinistra che non ha creduto a sufficienza nella nostra proposta e che oggi cerca una risposta più convincente. Ma questo ruolo e questo processo per essere vero e con i piedi ben piantati nella realtà non si costruisce come rapporto tra stati maggiori dei partiti e dei movimenti, si costruisce producendo fatti politici, stando sin da ora nei processi reali costruendo relazioni e nuovi rapporti con associazioni, gruppi, singole personalità con cui definire patti ed accordi anche su singole campagne.

La missione (per ora, opinione personale, fallita) è questa qui. Era questa qui. E difficilmente sarà rispettata. Ma spero di sbagliare.

Una (non) analisi del voto

Io non lo so perché mi è preso questo astio per le analisi del voto. Non so, davvero, se sono solo io ad essere stufo delle parole che circondano i risultati e poi ci accontentiamo di quelle come se i fatti servano solo a confermare gli idilliaci o i pessimisti. Ho avuto modo di dire (dove me l’hanno chiesto) come sia deluso dal mancato “secondo posto” di Civati (almeno) e di come sia colpito della percentuale mostruosa che i due tizi della Leopolda di qualche anno fa (Civati e Renzi) in pochi anni hanno accumulato: proprio loro che erano due “ribelli” da fare scivolare nella banalità e nel ridicolo. Non so nemmeno cosa ci sia di male nell’affermare di essere lontanissimo dalle posizioni di Renzi su molti punti di vista di governo dell’Italia e in Europa (perché avete notato come ora si siano smorzati un po’ tutti) senza però volere essere il solito caravanserraglio portatore di bile. Ogni tanto temo anche di dichiarare liberamente che la delusione a sinistra non è “Renzi” ma la reazione accondiscendente a Renzi come se un partito esterno (vedi SEL ad esempio) voglia ancora farci credere di potere condizionare il PD su posizioni che proprio con Civati hanno preso troppo poco, troppo poco e troppo poco consenso.

Certo ora c’è da aspettare e vedere, ci mancherebbe, è la democrazia, per fortuna. E vediamo, nel solito senso di attesa che accompagna l’azione disattesa qui da queste parti per chi vorrebbe sentire parlare di uno stato sociale rivoluzionario nell’uguaglianza e nell’interpretazione del mercato e dell’Europa. E’ che tra questo PD che temiamo possa essere e i forconi giù per strada c’è la solita fetta di gente rappresentata poco, male e debolmente e poche luci all’orizzonte. E mentre Renzi mette in moto numeri da capogiro i detentori del quasinientepercento stanno fitti fitti sulle loro autistiche strategie. Viene da ripensare a quello scritto nelle Confessioni di Agostino d’Ippona:

Né futuro né passato esistono. È inesatto dire che i tempi sono tre: passato, presente e futuro. Forse sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro. Queste tre specie di tempi esistono in qualche modo nell’animo e non le vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro l’attesa.

 

Balle (ah, è nato Esse)

Schermata-11-2456603-alle-17.58.56Quindi, non c’è più la sinistra?

Balle, naturalmente. Se provate a buttare in giro alcuni temi limpidamente e geneticamente di sinistra, scoprirete che godono dell’appoggio di fette di cittadinanza che sfiorano e a volte superano la maggioranza assoluta dei consensi: reddito minimo per i precari e disoccupati, acqua pubblica, istruzione pubblica, sanità pubblica, tagli alle spese militari, tutela del suolo anziché grandi opere, biotestamento, uguali diritti per gli omosessuali, integrazione dei migranti, lotta all’economia speculativa, riduzione degli eccessi sperequativi dei redditi e così via.

Ma prendono sempre più piede, specie tra i nuovi adulti, anche modelli nuovi e più umanisti dell’esistere individuale e collettivo, che privilegiano la qualità della vita quotidiana rispetto al mantra di produzione e consumo a cui siamo stati educati come ‘senza alternative possibili’. In fondo, l’eredità più ingombrante che ci ha lasciato la Thatcher è proprio l’idea che il denaro sia il motore della politica, cioè del vivere insieme. Ecco, quella è la destra. Noi siamo il contrario.

Il commento tutto da condividere, sui cui riflettere e eventualmente condividerne anche le riflessioni è su Esse, la nuova avventura di Giuliano Garavini e Matteo Pucciarelli che ancora si ostinano (grazie a dio) a credere in quello in cui in tanti crediamo.

Civati non datur

Siccome in molti hanno scritto, commentato, criticato e discusso il mio post di ieri e siccome la politica è una cosa bellissima per chi non si trova costretto a farla per sopravvivere, volevo tornare sull’argomento “congresso PD” così come lo sento, come la penso e con tanti saluti per chi teme il dialogo e lo scontro (sano e democratico) che arricchisce.

Vedo due possibilità per la “sinistra” (e qui lo so: la sinistra non esiste più, c’era una volta la sinistra, dobbiamo essere post-ideologici, sono tutti uguali e tutte queste altre cose qui a cui avevo già risposto tempo fa proprio qui) che sia SEL, che sia la “diffusissima” sinistra granulare di questi ultimi anni o che sia chi a sinistra ha preferito non votare: fregarsene del congresso PD o prendere posizione. Il resto è equilibrismo già stanco, stucchevole e timido quasi pavido.

O si decide che il Partito Democratico sia ormai irrecuperabile, troppo filoberlusconiano o schiavo dei 101 e allora ci si mette il cuore in pace e si decide di fare altro prendendosene la responsabilità (anche elettorali, senza accorpamenti dell’ultimo secondo per garantirsi posti in Parlamento con questa legge elettorale) oppure ci si dice apertamente che per cambiare la sinistra (e il centrosinistra) è necessario lavorare per un Partito Democratico che non continui a barcollare su derive centrodestrose e ritrovi il filo e il segno o piuttosto si rompa. Tertium non datur, scrivevamo al Liceo.

Per questo credo che tutte le altre interviste (e le loro smentite) come lunghissime perifrasi servano poco al dibattito e troppo all’attendismo che ha portato il M5S ai risultati recenti.

Io non ho grandi certezze anzi sono pieno di dubbi ma quello che so è che tra i candidati attuali al congresso del PD c’è qualcuno che ha portato avanti da sempre i temi (e spesso anche i modi) che stanno a cuore alla sinistra come vorrebbe essere e a molti punti di programma di SEL: Pippo Civati. Civati tra Marchionne e FIOM è sempre stato dalla parte della FIOM (al contrario di Renzi, per dire), ha avuto sempre le stesse parole sui diritti in tutte le loro declinazioni, ha una visione ambientale vicina all’ecologismo europeo e ritiene questo Governo un tradimento del patto con gli elettori. Insomma: può non piacere ma mi sembra che abbia le idee chiare. Anche Renzi ha avuto la possibilità (eccome) di chiarire le proprie posizioni e i propri orientamenti: possono piacere o no ma la sinistra è un’altra cosa, per carità.

Mi si dice che Civati non ha possibilità di vincere (ma nessuno di questi mi sa dire se SEL o il post-SEL o qualsiasi altra cosa oggi immaginabile possa raggiungere il 30%, perché vogliamo governare, spero), mi si dice che vincerà comunque Renzi (e allora dovrebbe essere un fanculo all’homo faber fortunae suae che è la molla della politica, o no?) e mi si dice che alla fine comunque sarà sempre “imbrigliato” (lui, capite, e me lo dicono quelli che parlano di PD e col PD ogni santissimo minuto) e mi si dice che le cose non cambiano.

Pochi giorni fa mentre facevamo un evento insieme ad Arzo Gianluca Grossi diceva che per cambiare il mondo bisogna essere capaci di farsi cambiare dal mondo.

Ecco, ad oggi di strade ne vedo due e non capisco perché Civati non datur.

Indignati tutte le mattine, mi raccomando.

Non ho un buon rapporto con l’abuso di indignazione anche se mi capita di usarla (in teatro o in scrittura o in politica) per fare leva sull’ascolto più attento e aperto ma l’abuso, no, proprio no. Mi sembra che quando l’indignazione diventa diffusa e permanente ci sia una sorta di annacquamento flaccido e stancante. Per questo valgono le parole di Manuel Peruzzo per Gli Altri, quando dice:

La sinistra vuole nobilitare l’incazzatura. La destra, per imitazione e complesso d’inferiorità, vuole incazzarsi nobilmente.

Ecco, mi manca svegliarmi per un progetto. Che sarebbe infinitamente meglio. No?

Nell’appiattimento generale

Vale la pena leggere le parole (e coglierne lo spirito) di Alfonso Gianni:

Ma la Grosse Koalition non è un’invenzione dell’ultima ora. Parafrasando Giulio Bollati – quando parlava del fascismo, che è cosa diversissima, per dire che non era improvviso né imprevedibile – «il fenomeno può essere condensato in una formula: nulla è (nelle larghe intese) quod prius non fuerit nella società, nella cultura, nella politica italiana, tranne che (le larghe intese) stesse» da almeno 25 anni a questa parte. Infatti questa forma di governo a-democratica, prima ancora che tecnocratica, è la più congrua al capitalismo finanziario nel quadro europeo. Il Pd è diventato il pivot di questa politica. Non ha senso proporsi di modificarlo all’interno (oltretutto tutti lavorano per Renzi) né attenderne la possibile implosione. Il “campo del cambiamento” va organizzato fuori e contro. La caduta del governo Letta è il primo compito di un’opposizione di sinistra che si rispetti e non può essere messo in ombra da calcoli congressuali.

L’Italia ingiusta e seconda in classifica per disuguaglianza

L’Italia è tra i paesi che registrano le maggiori disuguaglianze nella distribuzione dei redditi, seconda solo al Regno Unito nell’Unione europea e con livelli di disparità superiori alla media dei paesi Ocse. Non solo: nel nostro paese la favola di Cenerentola si avvera con sempre minore frequenza, nel senso che le coppie tendono maggiormente a formarsi tra percettori di reddito dello stesso livello; inoltre, gli estremi si allontanano, ovvero i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. E la ricchezza si sposta sempre più nei portafogli della popolazione più anziana, a scapito delle giovani generazioni.

Sono queste le tendenze di fondo per l’Italia, che emergono dallo studio “Gini-Growing inequality impact” commissionato dalla Ue, nell’ambito del VII Programma quadro, a un pool di gruppi di ricerca di diverse università europee: un progetto, finanziato con oltre due milioni di euro e sviluppato per circa tre anni, i cui risultati saranno pubblicati in due volumi entro dicembre.
La disparità nella distribuizione dei redditi è stata misurata con l’indice di Gini: si tratta di un indice di concentrazione il cui valore può variare tra zero e uno. Valori bassi indicano una distribuzione abbastanza omogenea, valori alti una distribuzione più disuguale, con il valore 1 che corrisponderebbe alla concentrazione di tutto il reddito del paese su una sola persona.
Dallo studio emerge che, alla fine della prima decade degli anni Duemila, l’Italia ha un indice di Gini pari a 0,34: ovvero, due individui presi a caso nella popolazione italiana hanno mediamente, tra di loro, una distanza di reddito disponibile pari al 34% del reddito medio nazionale.

Lo scrive qui Il Sole 24 Ore.

L’uguaglianza come primo punto dell’agenda: diritti, lavoro, giovani, anziani, sanità e tutti i cardini della democrazia passano da qui. E poi mi dicono che non c’è bisogno di sinistra.

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L’antipatico adagio della “sinistra”

Mi chiedono cosa ho intenzione di fare, in politica. Sì, bello, bravo, mi dicono, sei stato bravo e bello ma cosa sei e ancora meglio cosa vuoi essere? La politica è una cosa seria quando serve ad alleggerire l’oppressione degli oppressi ma diventa un esercizio dialettico nei salotti romani. Un reality dove l’isola è il parlamento e le facce vendono sempre più delle idee. E poi sbuca sempre prima o poi (appena un secondo prima della proposta dell’aperitivo) la “sinistra”. Dici “sinistra” di questi tempi e sei già stimabile di tuo perché hai il coraggio di pronunciarla senza eccezioni di parte. Tempi bui questi in cui una parola si porta con sè un bagaglio intero di pregiudizi.

C’è stata la sinistra responsabile che voleva dimostrare di avere la maturità di stare al governo. E ne è uscita (mio dio con che eleganza però, eh) un secondo dopo il governo appena impastato e fatto.

C’è la sinistra dura e pura che a forza di essere puramente dura e duramente pura ha finito per allearsi con quei quattro aspiranti confindustriali che stavano nel partito a forma di piscina gonfiabile insieme a Tonino Di Pietro.

Poi c’è la sinistra di Ingroia che ha voluto essere apartitico con tutti i segretari di partito capilista. Non sarebbe nemmeno servita un’indagine dei vigili urbani per capire che il ricambio era un’ispirazione rimasta bloccata come un nodo in gola e alla fine aveva la forma e l’odore di uno sputo minoritario per sintesi organica.

Poi c’è la sinistra extraparlamentare, extrapotentati che ha finito per essere anche extrasociale come un barricadero intriso di rhum ma simpaticissimo, per carità, come affascina seduti al bancone nessuno mai, mai.

Poi c’è la sinistra del centrcentrocentrosinistra che non vuole cambiare la partita ma vuole cambiare il partito e alla fine vorrebbe convincerci che la loro battaglia sia totalizzante nonostante il recinto. Perché per costruire una sinistra in Italia, ci dicono, bisogna fare che il PD diventi di sinistra. E poi giù con le risate finte come nelle commedie in pellicola incrostata e incerottata degli anni ’50.

Rimane di sinistra qualcuno, sì. Rimangono di sinistra gli anziani seduti al bar che vorrebbero far pagare in modo direttamente proporzionale le tasse come avevano scritto quei tali nella Costituzione parlando di “ognuno secondo la propria capacità contributiva”. Vorresti far pagare quindi i ricchi? Chiedono sdegnati i responsabili del bar ACLI la giù nella bassa provincia di qualsiasi provincia qualsiasi e quelli, responsabilmente alcolici come erano alcolici i compagni qualche decennio fa, dicono che sì, che dovrebbero pagare la crisi quelli che non l’hanno sentita che spesso sono quelli che l’hanno provocata per una disuguaglianza che costa troppo ormai. Ma nessuno li prende sul serio, nessuno.

Poi ci sono i “cantori della sinistra”. Meravigliosi. Aprono un cantiere al giorno e intanto dentro le proprie mutande nominano anche il segretario di circolo. Perché il controllo è tutto, dicono, e poi da lì credono che passi la potenza mentre spariscono nelle percentuali.

Vincono tutti lì dentro il recinto e sono preoccupatissimi di quello che si potrebbe preparare fuori. Mi telefonano allarmati e allarmanti. Perché a lavorare normali, senza commissioni e strategie da caffè, ma lavorare normali con un lavoro che sia di scadenze e cliente e impegni presi non riescono a concepirlo. Proprio no.

Cosa stai facendo? mi chiedono. Cosa hai intenzione di fare, intendo politicamente? Osservo il teatrino della sinistra più mendace e borghese di questi ultimi anni. Poi si vedrà. Come in “via col vento” perché mi vergogno anche solo a citarlo, Berlinguer.