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Come MilanoX vede la sinistra

MilanoX scrive sulla sinistra nazionale e sulla sinistra del dopo Formigoni (con un passaggio fin troppo buono su di me, grazie). Vale la pena leggere il loro articolo.

Tornando alla politica italiana, la priorità numero uno è seppellire le destre sessiste e razziste. Il Porcellum ci dà l’opportunità di farlo con una coalizione non troppo ampia: vale a dire PD+SEL+IdV. La priorità numero due è impedire il ritorno all’austerity montiana che opprime la società, e quindi stoppare ogni disegno cattomoderato, vale a dire zero spazio di manovra a Casini e all’ala che lo sostiene nel PD, partito che è l’innaturale eternizzazione del compromesso storico di Moro e Berlinguer.

 

Quelli che sono avanti

L’analisi politica del giorno è di Francesco Lanza sul suo blog Volare è Potare:

“Tutti a inseguire il voto dei moderati. Siamo moderati di qui, siamo moderati di là. Non siamo di destra, siamo moderati di centro-destra. Non siamo di sinistra siamo moderati di centro-sinistra. Non sono coglione, sono un moderato centro-coglione. Poi arrivano quelli che non sono né di su, né di giù, ma dicono che sono avanti. (per dirlo secondo statuto bisogna pronunciare la prima “a” maiuscola e poi allungare la seconda “a” facendo con la mano un gesto che scavalca: Avaaaaanti [gesto], altirmenti non sei compliant). 
Ecco, ma se siamo messi così male è proprio perché votiamo gente, da cinquant’anni, che non vuole prendere parte, dando l’impressione di poter accontentare tutti. 
E’ colpa nostra, eh? 
Perché non gli chiediamo mai di essere partigiani (nel senso di “scegliere una parte” qualunque essa sia). Arriveremo al punto che quando gli si chiederà: ma da che parte stai? Risponderanno: “sono un moderato di centro-Avaaaanti [gesto]”. 
Mi sa che ci meritiamo tutto.”

Facciamo La Cosa Seria

Altro che Cosa Bianca.

Facciamo la Cosa Seria.

Un movimento aperto a quel 99 per cento di cittadini che non vive di rendite e di finanza: che siano giovani o anziani, deboli o forti – perché anche i forti possono prendere con onore la responsabilità di essere garanzia degli altri.

Un movimento laico di quella laicità che è la più intelligente garanzia della solidarietà senza esegesi politica.

Nella Cosa Seria le porte sono aperte a tutti coloro che si riconoscono nelle priorità di programma che sono poche e chiare. Nella Cosa Seria ci si impegna ad essere includenti nel senso più pieno: quello che combatte le oligarchie, le iniquità, le rendite di posizione e le corporazioni.

Nella Cosa Seria la memoria è un punto di programma: la memoria della Storia di questo Paese (la migliore come stimolo e la peggiore come vaccino) e la memoria delle scelte politiche delle persone che vogliono starci. I liberisti smodati sono liberisti smodati, perché ne abbiamo memoria. I sostenitori prostituiti ai berlusconismi in tutte le sue salse sono incompatibili con noi, perché ne abbiamo memoria. I fiancheggiatori politici di persone condannate per mafia sono avversari politici senza mediazioni, perché ne abbiamo memoria.

Chi ha votato in Parlamento la sistematica distruzione della scuola, della magistratura, dei diritti dei lavoratori, delle emergenze per sfamare gli appalti, del suolo trasformato in appetitoso margine di monetizzazione, delle infrastrutture utili dimenticate, della sicurezza idrogeologica in nome del profitto, della sanità pubblica e di tutto ciò che è stato confiscato ai diritti, nella Cosa Seria non ha posto perché la memoria è il primo ingrediente della democrazia e i ravveduti dell’ultimo minuto sono alchimisti che ormai sappiamo riconoscere.

Nella Cosa Seria anche la verità è un punto di programma: la verità giudiziaria, la verità storica e la verità politica. Non si parteggia per questo o quel potere: si pretende l’emersione totale dei fatti e si difende chi lavora per questo. Senza calcoli elettorali e posizionamenti da patetico risiko politico.

Nella Cosa Seria si dialoga con il cuore dei partiti: i militanti, gli amministratori, le tante persone serie e per bene che fanno politica con impegno e passione in giro per l’Italia. Perché il sindaco di Pollica, Angelo Vassallo, era un politico, Pio La Torre era un politico, Peppino Impastato era un attivista politico: la politica in Italia per molti è stata ed è una Cosa terribilmente e meravigliosamente Seria.

Nella Cosa Seria l’equità non è un spot europeista di macroeconomia ma passa attraverso un ridistribuzione dei diritti e dei doveri, dei costi e dei benefici e soprattutto delle opportunità. Opportunità garantite a tutti: la meritocrazia passa per forza da qui.

Nella Cosa Seria vincere le elezioni è un mezzo e non un fine. E anche governare dopo averle vinte è un mezzo e non un fine.

Nella Cosa Seria i diritti civili non sono più negoziabili con nessuno, né rinviabili, né assoggettabili a compromessi al ribasso o a diktat provenienti da chi fa della propria fede un elemento di divisione e non di fratellanza. E per questo, anche per questo, non sono alternativi ma al contrario strettamente connessi con i diritti sociali.

Nella Cosa Seria si pensa che i cinque miliardi di euro spesi finora per bombardare l’Afghanistan siano stati rubati al welfare, agli ospedali, agli asili nido, alla scuola pubblica. E che le spese in aerei da guerra o in supercannoni tecnologici siano solo un furto ignobile ai danni dei  pensionati come dei precari.

Nella Cosa Seria si sta insieme, perché un’alleanza politica non è un matrimonio e quindi non divorzi se il tuo alleato urla troppo quando parla o è maleducato. Nella cosa seria conta la politica vera, il programma da realizzare, non le simpatie.

Nella Cosa Seria quando dici «ce lo chiede l’Europa» pensi alla legge anticorruzione mai fatta, al salario minimo garantito in Francia, al congedo parentale obbligatorio per i papà della Svezia, al reddito minimo di cittadinanza garantito da tutti gli stati europei tranne che da noi, in Spagna, Portogallo e in Grecia. Pensi a un modello di previdenza sociale che tuteli anche i lavoratori precari e le donne che devono lasciare il posto di lavoro in gravidanza, pensi a una legge sulla procreazione assistita che non ti costringa ad andare all’estero per fare un figlio, pensi al pluralismo dell’informazione e alla diffusione della rete.

Nella Cosa Seria siamo europeisti convinti, per questo pensiamo che l’Europa unita non sia quella delle banche ma quella dei cittadini, e che i mercati finanziari debbano essere controllati e le speculazioni scoraggiate con misure come la Tobin Tax per privilegiare gli investimenti sul lavoro e l’impresa.

Nella Cosa Seria ci si batte per un’Europa matura e solidale con un indirizzo comune, un esercito comune, liste comuni al parlamento europeo e una banca centrale in grado di mettere al riparo i singoli stati dall’attacco della speculazione finanziaria.

Nella Cosa Seria pensiamo che ciascuno sia cittadino del Paese in cui nasce, che l’immigrazione sia una risorsa e non una minaccia.

Nella Cosa Seria vogliamo che il carcere serva a rieducare e non a umiliare e che la detenzione sia l’ultima opzione dopo il ricorso a pene alternative.

Nella Cosa Seria siamo convinti che la lotta all’evasione si combatta abbassando la soglia del pagamento in contanti e tracciando i pagamenti. E che sia ingiusto aumentare il prelievo fiscale ricorrendo all’aumento dell’Iva e non alla patrimoniale.

Nella Cosa Seria immaginiamo città liberate dal traffico e dall’inquinamento grazie alle piste ciclabili, al car sharing, con un trasporto pubblico più efficiente e meno macchine.

Nella Cosa Seria crediamo che l’Italia meriti una politica industriale che punta a un modello di sviluppo sostenibile; nella Cosa Seria pensiamo che si cresca riconvertendo e non cementificando, puntando sulle energie alternative e non sulle grandi opere.

Nella Cosa Seria si fanno le primarie, si scelgono i parlamentari, non si decide mai soli, né in due o in tre.

Nella Cosa Seria sappiamo che la parola “sinistra” nel Paese ha ancora un senso diffuso che non appartiene a ceti politici né a gruppi dirigenti. È un sentimento, un modo di stare al mondo, un’appartenenza ideale e concreta che richiede coerenza e che non può ridursi in piccoli e particolari interessi di bottega, antiche inimicizie e gelosie d’appartenenza.

Per questo chiediamo che Sinistra Ecologia e Libertà e una parte consistente del Partito Democratico siano il motore di una coalizione che sia una Cosa Seria. Che guardi a Italia dei Valori, Federazione della Sinistra, ALBA, Verdi e tutti coloro che si riconoscono in un manifesto di posizioni chiare e realmente governabili, oltre che di governo. Perché non ci piace la strategia dell’inerzia per capitalizzare il consenso trascinandosi alle prossime elezioni, ma preferiamo la semplicità e la chiarezza delle idee da valorizzare insieme. Soluzioni collettive per risolvere i problemi, insieme: politica presa come una Cosa Seria.

 

Questo documento è stato scritto a molte mani (da Giulio Cavalli, Francesca Fornario, Alessandro Gilioli, Matteo Pucciarelli, Luca Sappino e Pasquale Videtta) ma non ci interessano i padri o i primi firmatari; ci interessa farsene carico e condividerlo. Sul serio.

Occhio all’Olanda

Ne sentiremo parlare. E’ un momento politico da studiare, seguire, analizzare. Ci siamo presi questo impegno, del resto. Intanto ne scrive Mario Pianta:

Nessuno in Italia ha mai sentito nominare Emile Roemer. È oggi il politico più popolare d’Olanda, capo del Partito socialista (di sinistra) che secondo i sondaggi potrebbe diventare il primo partito del paese nelle elezioni del 12 settembre prossimo. Secondo i sondaggi di Maurice de Hond, i socialisti potrebbero passare da 15 a 34 seggi, i liberali del primo ministro Mark Rutte scenderebbero a 32, la destra sarebbe in calo. Per governare, serve una maggioranza di 76 seggi; i socialisti potrebbero allearsi con il più moderato partito laburista e con la GreenLeft; i liberali hanno un alleato storico nei democristiani, ma tutti questi partiti sono a terra nei sondaggi. Una parte importante dell’elettorato laburista e verde è deciso a scegliere i socialisti, ma i sondaggi suggeriscono che potrebbero raccogliere voti anche a destra. Il perché di questo possibile successo? La politica anti-austerità proposta dai socialisti, con una ferma opposizione ai 13 miliardi di euro di tagli al bilancio imposti dal governo per portare il deficit sotto il 3% del Pil, come chiesto dal “Fiscal compact” deciso dall’Unione europea.

Al ritorno dalle vacanze potremmo avere una nuova lezione sul valore della democrazia e sulla forza elettorale che può avere un’alternativa alla crisi e alle politiche neoliberiste. Non verrebbe più, come nel giugno scorso, dal paese più in difficoltà d’Europa, la Grecia, dove la sinistra radicale di Syriza, guidata dal giovane Alexis Tsipras, è arrivata a un passo dalla maggioranza. Questa volta verrebbe da uno dei pilastri dell’ortodossia neoliberista, l’Olanda, il più fedele alleato di Berlino, il paese che per primo era andato alle elezioni dopo lo scoppio della crisi e – incredibilmente – aveva scelto la destra, il liberismo di Mark Rutte e l’alleanza con la destra xenofoba e populista, il Partito della libertà di Geert Wilders, proprio quando il crollo della finanza e la recessione del 2009 mostravano a tutti i disastri del liberismo. Oggi in Olanda tutto sembra cambiare. Il voto a sinistra, il possibile consolidamento di un blocco sociale post-liberista vengono dalla semplice necessità di difendere i propri interessi. Ben diverso dalla spinta al cambiamento esplosa ad Atene, nata dalla disperazione per la tragedia greca. A rompere con il passato sarebbero i cittadini di un paese appena scalfito dalla crisi, con un basso debito pubblico (ma con un altissimo debito privato), che ha lungamente praticato politiche liberiste di ogni tipo (mercato del lavoro flessibile, part time diffusissimo, finanziarizzazione dell’economia), ma che continua ad affidarsi al welfare state.

Occupare la sinistra. Nel centrosinistra. A parte gli isterismi.

Confesso che un po’ mi viene da ridere. Perché leggere i soloni che scrivono le analisi politiche pregustando il piacere di predire i fatti mi procurano sempre un certa tenerezza. Ne ho già conosciuti parecchi ma ogni volta che ne incrocio uno mi ristupisco di nuovo. Non riesco a farci l’abitudine. L’ovvietà mi annienta ogni volta, per dire.

Oggi ci avevano dichiarato che la foto di Vasto si sarebbe sostituita con la foto di Vendola abbracciato all’UDC. Grande tumulto in rete (giustamente, ci mancherebbe). Poi ci hanno detto che Vendola scaricava l’IDV (che poi sarebbe da capire quale IDV: quello di Di Pietro o quello di Donadi che oggi sono antitetici o quello di Luigi De Magistris che è una penisola attaccata con un ponte di corda?).

Poi succede che c’è la conferenza stampa e Nichi (e il direttivo nazionale di SEL) dicano (semplifico, eh): Il centrosinistra da oggi c’è. L’alleanza tra PD e SEL c’è. Caro Di Pietro non si può essere solo parte destruens, dobbiamo costruire sulle macerie. Non sopporto veti incrociati, meglio discutere di questioni concrete. Superamento del liberismo sfrenato e diritti civili e sociali devono essere al centro di un’agenda politica di alternativa alle destre. Amo coalizioni larga verso movimenti sociali. Difficile essere alleato di Rocco Buttiglione, ma mai metterò veto. Valuteremo nel merito dell’agenda del cambiamento. Sulla legge elettorale ho detto a Bersani almeno di far rispettare il milione di firme che chiedevano il mattarellum. Il referendum sull’art18 non é ammissibile. Per me quel contenuto va nel programma di governo, non è oggetto di propaganda. Ci sono punti chiari: lotta al liberismo, cancellazione legge 30, stop a legge Bossi-Fini, diritti civili e di libertà.

Ecco, a parte gli isterismi, io ci vedo un bel po’ del programma che cerchiamo di costruire. Anche qui in Lombardia.

Però vorrei fare un appunto sulle reazioni. Rubare ancora qualche minuto. Hanno fatto bene i compagni di partito a preoccuparsi e farlo sentire: le incompatibilità sono i limiti definiti della propria identità. E vanno rivendicati.

Ma mi stupisce la reazione di gente che stimo del PD (penso a Pippo e all’ala “sinistra” dei democratici che si sono lasciati andare a giudizi un po’ affrettati e sono saliti in poppa per urlare allarmati uddicì uddicì). Lavoriamo per occupare la sinistra del centrosinistra ognuno per cambiare il proprio partito e costruire un futuro di diritti e uguaglianza. Ma senza rivendicazioni adolescenziali (che poi dovrebbero essere il peccato veniale che proprio i democratici rinfacciano a Di Pietro, per dire, e viene un po’ da ridere), perché come scrive Chiara qui da noi in Lombardia la tentazione del bacio con la lingua con l’UDC non è un nostro vizio. E poi, a dirla tutta, basta vedere chi governa oggi, in Parlamento. E giocare al gioco delle vergini lascia sempre il tempo che trova. Ed è pericoloso.

Ah, un’ultima cosa. Vendola è candidato alle primarie del centrosinistra. Quelle che facevano schifo perché nessuno parlava di sinistra. E quelle dove tutti cercano di palleggiare a centrocampo per farsi notare dal Mister che stilerà le liste elettorali.

Per occupare la sinistra nel centrosinistra. Come ci siamo promessi di fare.

I referendum di Pippo sono già qui

Non posso che essere contento dei referendum proposti da Pippo Civati e Prossima Italia all’interno del PD. E condivido tutti i punti.

Poi mi viene da pensare che sono punti di programma già serenamente predisposti nel programma di SEL. Tutti. Ma proprio tutti.

E forse per questo SEL esiste e ha senso di esistere nonostante la postura di sinistra del PD, molto spesso per marketing più che per convinzione politica.

Non per polemizzare, per carità.

Ma perchè sono contento che qui, almeno questo, non si debba lottare per progetti politici che sono già princìpi condivisi e fermi. E sono quelli che ci rendono così difficile, a volte, dialogare con il PD.

Perché la politica è strana ma non è difficile. E forse la strada che che si staglia all’orizzonte sarà una bella sorpresa.

 

La sinistra è come mia zia

Francesco Piccolo per il Corriere della Sera scrive del film The Artist ma, soprattutto, di coloro erano stati chiamati al mondo per spingerlo in avanti e non per tenere premuto il freno:

Tutti, tutti almeno una volta alla settimana sentono di dover comunicare al mondo di sentirsi estranei al presente. Tutti, insomma, hanno una gran voglia di sentirsi incompresi e isolati come The Artist. Ovviamente in questo elenco disordinato e parziale ci sono valori oggettivi (e non parlo solo di Platini). Però poi se si ragiona così si finisce per fare film sulla bellezza del passato, e per giunta per farli come si facevano in passato. E poi questo film fa sciogliere in lacrime chi va a vederlo. Ed è proprio questa la novità — mi sembra: finora, abbiamo assistito a una pressione logica delle idee reazionarie; più spesso, a una veste irrazionale, poco comprensibile ma di cui bisognava prendere atto. Questo film fa un passo ulteriore: è costruito per coinvolgere lo spettatore complice sul piano emotivo. È la prima opera-manifesto che seduce i reazionari emotivamente, che li fa commuovere al pensiero di se stessi e delle proprie lotte.

Tutti (o quasi tutti) quelli che pensano e riflettono e vanno ai festival culturali e scrivono libri e li leggono, in questi anni, credono sia loro dovere fare resistenza al nuovo. Il ceto medio riflessivo, sul quale abbiamo fatto affidamento per la ricostruzione di un Paese civile e innovato, pensa che la soluzione sia semplice: opporsi alle tecnologie, non concedere al nemico (il progresso) nemmeno un centimetro del territorio (la conservazione del passato). Del resto, a dirla tutta, anche Franzen scrive romanzi bellissimi, il cui unico difetto sta nel fatto che tendono (consapevolmente) a sembrare dei romanzi alla Zola. Ma pare che questo sia proprio il suo pregio. Tutto bene, tranne per due cose: il fatto che il ceto medio riflessivo, gli intellettuali che lo rappresentano, mia zia e Franzen erano stati chiamati al mondo per spingerlo in avanti e non per tenere premuto il freno. E la seconda: ma noi tutti, qui, nel presente, allora, cosa ci stiamo a fare?

Sarebbe poi di sinistra

Alessandro Gilioli sul suo blog:

Ad esempio, per me sarebbe di sinistra mettere i piedi nel piatto della finanza, vietando gli strumenti speculativi a rischio e i cda incrociati. Ma sarebbe di sinistra anche ridurre alla ragione un neocapitalismo palesemente impazzito e arrogante come mai era stato, ad esempio mettendo un tetto agli stipendi dei manager e introducendo nelle aziende un rapporto retributivo tra il dipendente a tempo pieno più pagato e quello meno pagato, più un’aliquota marginale oltre il milione di euro tassata al 60-70 per cento, e ovviamente una patrimoniale vera.
Oppure, sarebbe di sinistra l’abolizione di tutti i privilegi fiscali e di altro tipo per le Chiese, il taglio delle spese militari, la fine dellle ‘missioni di pace’, tutte.
Ma sarebbe di sinistra anche decidere di non porre nessun limite alla ricerca scientifica – neanche sulle cellule staminali embrionali – l’abolizione della legge 40/2004, il diritto di redigere le proprie volontà in tema di fine vita e di testamento biologico, compresa l’eutanasia, il diritto a ogni tipo di terapia del dolore, il diritto alla scelta farmacologica e indolore per l’interruzione volontaria di gravidanza, l’abolizione della necessità di ricetta medica per l’acquisto della pillola del giorno dopo per le maggiorenni, il diritto di matrimonio e adozione per ogni persona indipendentemente dal suo orientamento sessuale.
E poi sarebbe di sinistra, secondo me, decidere che l’otto per mille per il quale il contribuente non dà indicazione venga destinato al welfare, così come sarebbe di sinistra alleviare quella tortura che sono le carceri italiane con la diffusione degli arresti domiciliari con verifica tecnologica (sensori, gps etc), ma anche il diritto alla sessualità in carcere e l’abolizione dell’ergastolo.
Sarebbe di sinistra pure decidere, secondo me che ogni parlamentare ha l’obbligo di pubblicare, nello spazio riservatogli dal sito della Camera di appartenenza, la sua ultima Dichiarazione dei Redditi entro 15 giorni dalla consegna all’Agenzia delle Entrate, e che nello stesso spazio ha l’obbligo di dichiarare ogni tipo di contributo ricevuto non solo dal proprio partito ma anche da eventuali fondazioni o associazioni di cui faccia parte.
Penso anche che sarebbe di sinistra abolire il quorum per il refendum abrogativo e decidere che le leggi di iniziativa popolare non discusse e votate dalle Camere entro due anni dalla loro proposta diventino oggetto di referendum popolare propositivo, sempre senza quorum. E sarebbe di sinistra che ogni proposta o disegno di legge depositato alle Camere fosse messo on line almeno tre mesi prima della loro discussione per ricevere i contributi in merito dei cittadini.
Sarebbe poi di sinistra stabilire una dead-line oltre la quale proibire la circolazione sul territorio nazionale di automobili con motori a combustibili fossili, e inserire nella Costituzione l’accesso a Internet come diritto umano fondamentale, stabilendo che la Rete è libera e ogni legge che la riguarda debba essere ispirata alla salvaguardia e all’estensione della sua libertà e non al proibizionismo.

Mi sembra di averle già sentite queste parole. Ed è per questo che mi viene da sorridere quando dietro ai paroloni (penso al “patto civico” ad esempio) si vuole fingere di non sapere che le ‘nostre’ priorità sono in campo da un bel pezzo. Basterebbe dire sì o no. Il risultato sono le alleanze possibili.

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La sinistra vuole vincere da viva

È sempre più difficile trovare il bandolo della matassa di una politica vissuta come pura alchimia, indifferente ai problemi, ai dolori, alle speranze della società. Se qualcuno pensa che SeI sia aggregabile a un polo neomoderato fondato sull’alleanza strategica fra Pd e Udc, spiace deludere, si sbaglia. Non siamo gregari di un’ipotesi che non metta in campo una proposta forte e chiara di alternativa al ‘paradigma Monti’. Nichi in un’intervista al Manifesto oggi.

Ieri, rispondendo ad Affari Italiani, dicevo di quelli che fingono di contestare un sistema e poi invece hanno come progetto politico quello di cambiare gli interpreti e promettere che saranno un po’ più etici.

La mia idea è un po’ più eversiva dal punto di vista della progettazione politica. E non solo la mia, evidentemente.

 

 

Se la sinistra riparte da Atene

Gad Lerner su Repubblica, oggi, per una sfida che SEL non può perdere:

CO­STRET­TA a for­ni­re il suo ap­pog­gio de­ter­mi­nan­te a un go­ver­no di “uni­tà in­ter­na­zio­na­le”, cioè au­spi­ca­to dai ver­ti­ci del­l’e­co­no­mia mon­dia­le, la si­ni­stra ri­for­mi­sta in Gre­cia ap­pa­re or­mai pros­si­ma al­la can­cel­la­zio­ne.
Eco­sì, di fron­te al­la tec­ni­ca fi­nan­zia­ria che fa­go­ci­ta la si­ni­stra “re­spon­sa­bi­le”, a noi vie­ne da chie­der­ci: po­treb­be suc­ce­de­re an­che in Ita­lia? Trop­pi in­te­res­sa­ti so­spi­ri di sol­lie­vo han­no of­fu­sca­to l’e­si­to del vo­to gre­co. Sup­pon­go ne ab­bia ti­ra­to uno in­con­fes­sa­bi­le pu­re Ale­xis Tsi­pras, il lea­der del­la si­ni­stra ra­di­ca­le Sy­ri­za che ha qua­si rad­dop­pia­to i suoi vo­ti re­stan­do pe­rò al­l’op­po­si­zio­ne, co­me le è più con­ge­nia­le. Me­glio per Tsi­pras che go­ver­ni una coa­li­zio­ne gui­da­ta dal­la de­stra che pri­ma truc­cò i con­ti pub­bli­ci e poi ha as­se­con­da­to le ri­cet­te di­sa­stro­se im­po­ste dal­l’e­ste­ro a una po­po­la­zio­ne che in mag­gio­ran­za (con­tan­do gli aste­nu­ti) le ri­fiu­ta. Una po­la­riz­za­zio­ne che ha ri­dot­to al­l’ir­ri­le­van­za il Pa­sok, cioè il par­ti­to del so­cia­li­smo eu­ro­peo. Li­qui­dan­do co­me vel­lei­ta­ria l’a­spi­ra­zio­ne a una ri­for­ma de­mo­cra­ti­ca del­l’ar­chi­tet­tu­ra del­l’U­nio­ne, fon­da­ta sul­la sal­va­guar­dia dei di­rit­ti e de­gli in­te­res­si dei ce­ti po­po­la­ri.
Il dub­bio si è af­fac­cia­to ie­ri sul­la pri­ma pa­gi­na del­l’U­ni­tà: “Gioi­re per­ché vin­ce la de­stra?”. Ma for­se è trop­po tar­di: i cit­ta­di­ni ate­nie­si che fan­no la fi­la al­le men­se dei po­ve­ri e de­vo­no ri­nun­cia­re al­l’ac­qui­sto di far­ma­ci per i lo­ro fi­gli, non han­no ri­ce­vu­to nei me­si scor­si nes­su­na vi­si­ta di Hol­lan­de, Ga­briel, Ber­sa­ni, Pé­rez Ru­bal­ca­ba. So­spin­ti da un ec­ces­so di pru­den­za, i lea­der del­la si­ni­stra eu­ro­pea han­no pre­fe­ri­to la la­ti­tan­za, evi­tan­do di por­re la que­stio­ne gre­ca fra le prio­ri­tà di una po­li­ti­ca ri­for­mi­sta uni­ta­ria. Qua­si che la ban­ca­rot­ta di cui i gre­ci so­no vit­ti­me, ma, cer­to, an­che cor­re­spon­sa­bi­li, fos­se una di­sgra­zia pe­ri­fe­ri­ca da igno­ra­re in as­sen­za di so­lu­zio­ni rea­li­sti­che; e dun­que non ri­ma­nes­se che tra­smet­te­re la più mio­pe del­le ras­si­cu­ra­zio­ni: noi non cor­ria­mo il ri­schio di fi­ni­re co­me lo­ro. Ve­ro è che Ber­sa­ni ha di­chia­ra­to di ver­go­gnar­si per co­me l’Eu­ro­pa trat­ta la Gre­cia; ma quel sen­ti­men­to non si è an­co­ra tra­dot­to in mo­bi­li­ta­zio­ne po­li­ti­ca.
Non va di­men­ti­ca­to che pri­ma di ca­pi­to­la­re di fron­te al dik­tat emer­gen­zia­le del go­ver­no tec­ni­co di Pa­pa­de­mos, nel no­vem­bre 2011 il pre­mier so­cia­li­sta Geor­ge Pa­pan­dreou ave­va com­piu­to un estre­mo ten­ta­ti­vo: la con­vo­ca­zio­ne di un re­fe­ren­dum che suf­fra­gas­se at­tra­ver­so il re­spon­so del­la so­vra­ni­tà po­po­la­re la scel­ta di re­sta­re nel­l’eu­ro­zo­na, di­spo­sti a pa­gar­ne il prez­zo do­lo­ro­so. Quel­la pro­ce­du­ra de­mo­cra­ti­ca, che ave­va buo­ne chan­ces di ri­scuo­te­re il con­sen­so del­la cit­ta­di­nan­za, fu bloc­ca­ta nel vol­ge­re di po­che ore dal­la rea­zio­ne in­di­spet­ti­ta del­l’e­sta­blish­ment fi­nan­zia­rio e dei più au­to­re­vo­li sta­ti­sti eu­ro­pei. Con­fer­man­do la più spia­ce­vo­le del­le im­pres­sio­ni: l’in­com­pa­ti­bi­li­tà fra le re­go­le do­mi­nan­ti del­l’e­co­no­mia e le re­go­le, ad es­sa sot­to­mes­se, del­la de­mo­cra­zia. I teo­ri­ci del­l’e­stre­ma si­ni­stra (ma an­che del­la de­stra po­pu­li­sta) eb­be­ro co­sì mo­do di de­nun­cia­re che, sia pu­re con il gio­go del de­bi­to al po­sto de­gli eser­ci­ti, stia­mo vi­ven­do una nuo­va epo­ca co­lo­nia­le. Cioè che ab­bia­mo già su­bi­to la li­qui­da­zio­ne an­ti­ci­pa­ta del­l’u­nio­ne po­li­ti­ca con­fe­de­ra­le dei po­po­li eu­ro­pei. Quel ve­to, im­po­sto nel­la più to­ta­le la­ti­tan­za del­la si­ni­stra ri­for­mi­sta eu­ro­pea, se­gnò l’i­ni­zio del­la fi­ne del Pa­sok e spia­nò la stra­da al suc­ces­so di Sy­ri­za: una coa­li­zio­ne di for­ze del­la si­ni­stra ra­di­ca­le fa­vo­re­vo­le a in­fran­ge­re le nor­ma­ti­ve co­mu­ni­ta­rie; le cui com­po­nen­ti nei pros­si­mi gior­ni si scio­glie­ran­no per da­re vi­ta a un ine­di­to par­ti­to-mo­vi­men­to sot­to l’a­bi­le gui­da di Ale­xis Tsi­pras.
In ap­pa­ren­za un ta­le sce­na­rio ri­sul­ta dif­fi­cil­men­te re­pli­ca­bi­le in Ita­lia. Qui il di­sfa­ci­men­to del­la de­stra ber­lu­sco­nia­na e le­ghi­sta sem­bra fa­vo­ri­re una su­pre­ma­zia elet­to­ra­le del Par­ti­to De­mo­cra­ti­co e, al­la sua si­ni­stra, Ni­chi Ven­do­la non pa­re in­ten­zio­na­to per il mo­men­to a rom­pe­re l’u­ni­tà del cen­tro­si­ni­stra. Ta­le qua­dro pe­rò è re­so as­sai sdruc­cio­le­vo­le dal­l’ex­ploit del Mo­vi­men­to 5 Stel­le e dal­le ten­ta­zio­ni po­pu­li­ste no eu­ro che al­li­gna­no tra­sver­sa­li, ali­men­ta­te dal­la cri­si. Se in Gre­cia è An­to­nis Sa­ma­ràs di Nea De­mo­kra­tia a pren­de­re da de­stra le re­di­ni del go­ver­no con il Pa­sok e Si­ni­stra De­mo­cra­ti­ca in po­si­zio­ne su­bal­ter­na, il pro­ba­bi­le ter­re­mo­to elet­to­ra­le ita­lia­no po­treb­be de­ter­mi­na­re ri­sul­ta­ti ta­li da co­strin­ge­re an­che il no­stro Pae­se a ri­pro­por­re un al­tro go­ver­no di “uni­tà in­ter­na­zio­na­le” co­me scel­ta ob­bli­ga­ta. “Au­spi­ca­ta” dal­l’al­to. Co­me te­sti­mo­nia an­che la ri­for­ma del mer­ca­to del la­vo­ro che la si­ni­stra par­la­men­ta­re si ac­cin­ge a vo­ta­re con­tro­vo­glia — qua­si fos­se im­pos­si­bi­le pro­muo­ve­re un nuo­vo eu­ro­pei­smo d’im­pron­ta so­cia­le — i ri­for­mi­sti co­stret­ti a muo­ver­si sot­to det­ta­tu­ra tec­ni­ca non rie­sco­no da tem­po a rom­pe­re uno sche­ma che li pe­na­liz­za. Ma la po­li­ti­ca ob­bli­ga­ta a de­ro­ga­re dal­le pro­prie am­bi­zio­ni, sa­cri­fi­can­do i va­lo­ri in cui cre­de e i le­ga­mi so­cia­li che la vi­vi­fi­ca­no, fi­ni­sce per sof­fo­ca­re. L’e­sem­pio del so­cia­li­smo gre­co in­ca­pa­ce di rea­gi­re al­la sof­fe­ren­za del suo po­po­lo è lì a di­mo­strar­ce­lo. Co­sì, nel me­dio pe­rio­do, an­che nel no­stro Pae­se si ri­pro­por­reb­be­ro le spac­ca­tu­re in­ter­ne del­la si­ni­stra, a sca­pi­to del­le for­ze ri­for­mi­ste.
I lea­der del­la si­ni­stra te­de­sca, fran­ce­se, spa­gno­la e ita­lia­na che han­no di­ser­ta­to di fron­te al­la tra­ge­dia gre­ca, in­con­tra­no ogni gior­no nuo­vi osta­co­li sul­la via di una po­li­ti­ca dav­ve­ro eu­ro­pei­sta. Lo te­sti­mo­nia il re­cen­te con­gres­so del­la Spd che ha de­ci­so di pro­ce­de­re su­bi­to, d’in­te­sa con la Mer­kel, al­la ra­ti­fi­ca del Fi­scal Com­pact nel Par­la­men­to di Ber­li­no: un trat­ta­to che co­sì com’è esclu­de pos­si­bi­li­tà di de­ro­ghe per i Pae­si in­de­bi­ta­ti; né più né me­no “stu­pi­do” co­me già lo fu­ro­no i pa­ra­me­tri di Maa­stri­cht vio­la­ti tran­quil­la­men­te dai più for­ti ma im­po­sti ai de­bo­li in no­me di una con­ve­nien­za spac­cia­ta per vir­tù. Del re­sto, per pau­ra di per­de­re con­sen­si, i so­cial­de­mo­cra­ti­ci te­de­schi con­fer­ma­no an­co­ra og­gi il lo­ro ri­fiu­to de­gli eu­ro­bond. Co­me in tem­po di guer­ra, gli in­te­res­si pa­triot­ti­ci l’han­no vin­ta sul­l’in­ter­na­zio­na­li­smo pro­le­ta­rio.
Chi di fron­te al­l’in­co­gni­ta di un’e­co­no­mia al col­las­so vuo­le ali­men­ta­re di nuo­va lin­fa gli idea­li del­l’u­ni­tà eu­ro­pea e del­la giu­sti­zia so­cia­le, non può igno­ra­re più a lun­go l’a­go­nia del­la Gre­cia. O la si­ni­stra ri­co­min­cia da Ate­ne ca­pi­ta­le, o ri­schia di per­der­si.

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