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Il business dei Cpr, 44 milioni in 3 anni a soggetti privati per custodire 400 persone nel degrado e senza diritti

Cosa sono i Cpr in Italia? Un “filiera molto remunerativa” senza personale, senza mezzi, senza strutture e senza diritti. È il quadro impietoso che esce dall’ultimo rapporto della Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili (CILD, una rete di organizzazioni della società civile nata nel 2014 che lavora per difendere e promuovere i diritti e le libertà di tutti, unendo attività di advocacy, campagne pubbliche e azione legali) che fin dal titolo lascia trasparire le conclusioni: “Buchi neri – la detenzione senza reato nei Centri di permanenza per i rimpatri”.

In Italia attualmente risultano operativi 10 CPR (Milano, Torino, Gradisca d’Isonzo, Roma-Ponte Galeria, Palazzo San Gervasio, Macomer, Brindisi-Restinco, Bari-Palese, Trapani-Milo, Caltanissetta-Pian del Lago) per una capienza di circa 1.100 posti in tutto. Il rapporto evidenzia come nel periodo 2018-2021, siano stati spesi ben 44 milioni di euro per la gestione da parte di soggetti privati di tali 10 strutture, cui vanno sommati i costi relativi alla manutenzione delle stesse e al personale di polizia. «Una media giornaliera – si legge nel rapporto – di spesa pari a 40.150 euro per detenere mediamente meno di 400 persone al giorno che, nel 50% dei casi, verranno private della propria libertà senza alcuna possibilità di essere realmente rimpatriate nel proprio Paese d’origine. La detenzione amministrativa è divenuta, insomma, una “filiera molto remunerativa”, i cui costi sono sostenuti da tutta la società attraverso la leva fiscale.

All’interno di questo sistema di trattenimento si registra, da un lato, una continua spinta alla minimizzazione dei costi da parte dello Stato e, dall’altro, la ricerca della massimizzazione del profitto da parte delle imprese e cooperative cui vengono assegnati gli appalti. Nel mezzo vi sono centinaia di persone trattenute in delle strutture che non rispettano, in molti casi, neanche gli standard dettati dal Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura». Negli anni infatti si è registrato un drastico calo di tutti i servizi destinati alla persona e con la riduzione del monte ore (fino al 78% nei centri più grandi) del personale dipendente che ha portato a una cronica mancanza di mediatori culturali (che non coprono tutte le lingue parlate dei trattenuti, come a Torino) e una riduzione del monte ore dei medici (per i CPR più capienti) del 70,8% nel 2018 e del 41,7% nel 2021 mentre per quanto concerne gli psicologi, nel passaggio dal 2017 al 2018/2021 vi è stata una riduzione del monte ore del 55,6%.

Poi ci sono i luoghi: mancano locali di pernottamento differenziati per i richiedenti asilo (come espressamente richiesto dal d.lgs. n.142/2015 e dallo stesso Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura), i metri quadri delle singole stanze non sembrano rispettare lo standard dello spazio vitale minimo richiesto dalla Corte Edu, c’è carenza di luce naturale, mancanza di campanelli di allarme, stanze con blatte (come a Palazzo San Gervasio prima dei lavori di ristrutturazione), materassi senza lenzuola, vetri rotti e muffa. Nel rapporto si sottolinea anche come le condizioni igieniche siano pessime e come il cibo non tenga conto delle convinzioni religiose e delle esigenze mediche dei trattenuti. La mancanza di spazi comuni, si legge nel rapporto, «rende tali strutture dei veri e propri “involucri vuoti”, in cui le persone perdono la propria identità per essere ridotte a corpi da trattenere e confinare».

In compenso le società che gestiscono i centri (tra cui alcune multinazionali come Gepsa Italia che fa parte di Engie Francia oppure Ors Italia, con sede a Zurigo, che gestisce Centri di accoglienza e di trattenimento dei migranti in 4 Paesi europei: Svizzera, Germania, Austria e Italia e che nel 2015 è stata nominata in un rapporto di Amnesty International per le condizioni inumane di accoglienza dei migranti nel Centro austriaco di Traiskirchen) «sembrano evidenziare come la detenzione amministrativa sia divenuta, anche nel nostro Paese, un settore molto remunerativo e di attrazione per le multinazionali», sempre con gare d’appalto con il criterio di aggiudicazione basato sull’offerta economica più vantaggiosa. CILD ha anche sottolineato come nonostante la pandemia il numero dei transitati sia rimasto costante pure con il blocco dei rimpatri: trattenimenti sostanzialmente illegittimi poiché «la detenzione nei CPR è esclusivamente propedeutica al rimpatrio».

L’organizzazione dei servizi sanitari all’interno dei CPR appare, a detta dello stesso Garante nazionale, «particolarmente critica», per mancanza di personale e per la «totale assenza di protocolli di prevenzione dei rischi, nonostante i numerosi episodi di autolesionismo che si verificano nei Centri». L’assistenza medica e psicologica è garantita, a ciascun trattenuto, per pochi minuti alla settimana (15 alla settimana nel Centro di Milano, solo per fare un esempio). A questo si aggiunge l’abuso di psicofarmaci (utilizzati spesso come metodo di disciplina, più che come cura) oltre a una più che deficitaria campagna di prevenzione e di profilassi per Covid.

Ovviamente CILD sottolinea anche il fatto che i trattenuti non siano informati dei propri diritti e che non possano difendersi in un sistema giudiziario che non ne rispetta i diritti: la durata delle udienze oscilla tra i 5 e i 10 minuti, le sentenze sono quasi sempre formule di stile. Il numero delle morti nei CPR non è mai stato così elevato come negli ultimi anni: tra giugno 2019 e maggio 2021, sei cittadini stranieri hanno perso la vita mentre scontavano una misura di detenzione amministrativa.

L’articolo Il business dei Cpr, 44 milioni in 3 anni a soggetti privati per custodire 400 persone nel degrado e senza diritti proviene da Il Riformista.

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La sparizione del salario minimo

Solo lo scorso 16 marzo la Commissione Lavoro del Senato approvava la direttiva Ue volta a garantire l’adozione del salario minimo legale ai lavoratori degli Stati membri. Il testo impone l’individuazione di soglie minime di salario che possono essere introdotte per legge (salario minimo legale) o attraverso la contrattazione collettiva prevalente, come sottolineato anche dal ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Andrea Orlando.

Il salario minimo (su cui Partito democratico e Movimento 5 Stelle hanno depositato diversi disegni di legge negli ultimi anni) è proprio scomparso nella versione del Piano nazionale di ripresa e resilienza inviata alla Commissione europea nonostante fosse presente nel testo entrato in Consiglio dei ministri.

Nella bozza che circolava pochi giorni fa si parlava di una «rete universale di protezione dei lavoratori» e del «salario minimo legale», oltre alla garanzia di una retribuzione «proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto» per tutti i lavoratori non coperti dalla contrattazione collettiva nazionale. Perfetto: è sparito tutto il paragrafo. Non si tratta di correzioni, di aggiustamenti, no, è sparito tutto.

La cancellazione difficilmente può arrivare dall’Europa vista la direttiva che è stata approvata solo un mese fa in Commissione Lavoro e viste le parole durante il proprio discorso allo Stato dell’Unione 2020, che von der Leyen aveva a riguardo, dicendo che «il dumping salariale danneggia i lavoratori e gli imprenditori onesti, mette a repentaglio la concorrenza sul mercato del lavoro – aveva aggiunto – per questo faremo una proposta per un salario minimo in tutti gli Stati dell’Unione. Tutti devono avere accesso ai salari minimi o attraverso la contrattazione collettiva o con salari mini statutari, è arrivato il momento che il lavoro venga pagato nel modo equo».

Qualcuno prova a teorizzare che la cancellazione in extremis potrebbe essere il risultato degli incontri con le parti sociali nella fase finali della stesura, ipotizzando che un eventuale salario minimo possa indebolire le trattative sindacali poiché alcune aziende potrebbero così semplicemente accontentarsi di essere a norma di legge. Peccato che sia da tempo sotto gli occhi di tutti la moltiplicazione di accordi sottoscritti da soggetti non del tutto rappresentativi che hanno contribuito alla corsa al ribasso per certe categorie. Del resto il problema dei contratti pirata (soprattutto nelle zone più depresse del Paese) è sempre poco dibattuto nonostante abbiano affiancato spesso il lavoro nero.

L’ex ministra del lavoro Catalfo disse: «Il salario minimo è da sempre un obiettivo mio e di tutto il Movimento 5 Stelle. Una risposta essenziale per contrastare il cosiddetto dumping salariale, riequilibrare il sistema di concorrenza interna fra le imprese e ridare dignità e futuro ai “working poor” (i lavoratori poveri) e alle loro famiglie. Una risposta che la crisi innescata dalla pandemia ha reso ancora più urgente e necessaria e sulla quale, come Italia, dobbiamo investire con determinazione nel nostro progetto di rilancio».

E quindi? E ora? Il Pd e il M5s che dicono?

Buon giovedì.

(nella foto il ministro del Lavoro Andrea Orlando)

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Cassieri, commessi e altri eroi dimenticati: l’insopportabile classismo nella corsa delle categorie ai vaccini

È tutta una questione di priorità, di scelte, di azioni: la trama di un tempo e della sua politica sta nell’agire svestito dalle parole che gli si mettono intorno per condire le sensazioni. Arriva il virus, arrivano i vaccini e decidere le priorità di chi mettere al sicuro è una cartina di tornasole che non consente troppe interpretazioni.

La Fondazione Gimbe, nella sua ultima rilevazione, racconta che oltre ai soggetti over 80 e a quelli ad elevata fragilità nella categoria “altro” dei vaccinati rientrano 572.692 dosi (il 39,6 per cento della categoria) somministrate a persone over 70 considerabili a rischio per fascia anagrafica e 873.787 (il 60,4 per cento) inoculate a soggetti di cui non è possibile rilevare altre indicazioni di priorità. Le percentuali degli “altri” sono addirittura al 19,5 per cento del totale in Sicilia, al 18,3 per cento in Calabria e al 16,4 per cento in Campania. Lì dentro, in base alle indicazioni regionali, ci sono le cosiddette professioni “a rischio” come insegnanti, magistrati, avvocati e così via.

L’essere umano è furbo in momenti di pace e diventa addirittura feroce in tempi di pandemia, quando c’è da correre per mettersi in salvo prima di tutti e in queste settimane abbiamo assistito alle diverse rivendicazioni (talvolta ridicole) delle diverse categorie professionali che smanacciano per superare la fila. 

Ora facciamo un passo di lato. Negli ultimi giorni solo a Roma sono morti due addetti alla vendita di supermercati: Rudy Reale era direttore di un Todis e prima di lui è mancato Riccardo, commesso di Carrefour. Qualche giorno prima era morta una commessa dell’IperSimply di Brescia.

Solo il 30 marzo, soltanto nella città di Roma, sono stati ufficializzati 20 nuovi contagi tra lavoratori di supermercati. E questi sono i dati ufficiali, quelli che sappiamo: «Faccio parte del Comitato Covid e nell’ultimo periodo mi hanno indicato 15 casi alla Coop di Roma Eur e altri 15 alla Coop di Roma Casilino. C’è omertà sui positivi ma questo non aiuta. E poi è saltato il tracciamento. Chi lavora nei supermercati non si ferma mai, neanche con la zona rossa. Per Pasqua rischiano di essere degli agnelli sacrificali», spiega Francesco Iacovone dei Cobas a Il Messaggero.

Ve li ricordate? Erano tra gli “eroi” della zona rossa (e lo sono ancora) eppure non vengono mai citati come priorità, non esistono nemmeno nella narrazione. Perché in fondo ci dicono che classismo sia una parola superata ma il concetto rimane sempre modernissimo: troppo poco nobili per essere prioritari.

Leggi anche: La pandemia economica non ha bollettini quotidiani, ma in Italia ci sono un milione di poveri in più (di G. Cavalli) // I lavoratori “indispensabili” ai tempi del Coronavirus sono quelli sottopagati e meno considerati (di G. Cavalli) // Sabino Cassese a TPI: “I magistrati chiedono il vaccino, ma gli autisti dei bus non mi pare abbiano mai pensato di sospendere il lavoro” // Vaccini, in Abruzzo il governatore Marsilio fa saltare la fila ai magistrati: “Voi potete vaccinarvi”

L’articolo proviene da TPI.it qui

Sui vaccini indaga Zuccaro, il ‘complottista delle Ong’ idolo di destra e grillini

Tra le procure che hanno aperto indagini sulle eventuali reazioni avverse dei vaccini c’è la procura di Catania, con il procuratore Zuccaro che sta indagando per il reato 443 c.p (“Commercio o somministrazione di medicinali guasti o imperfetti”) ed è bastato giusto il tempo di mettere in piedi una bella conferenza stampa per lanciarsi in una dichiarazione che lascia a dir poco interdetti: «Stiamo verificando – ha detto il procuratore Carmelo Zuccaro al quotidiano La Repubblica – se determinati soggetti trombofilici possano avere una predisposizione ad attivare alcuni fattori detonatori. Potrebbero esserci nel vaccino eventuali controindicazioni per alcune persone, controindicazioni che non sono state analizzate considerato il poco tempo a disposizione per la realizzazione del farmaco». E poi: «L’obiettivo della nostra indagine è raccogliere dati su questo aspetto particolare e provare a dare un contributo alla scienza. E così spazzare via tutte le diffidenze attorno a un vaccino che è indispensabile».

Evidentemente siamo ingenui noi a pensare che le indagini servano per indagare su un presunto reato senza sapere invece dell’esistenza di inchieste con finalità di ricerca scientifica: nelle parole del procuratore ci sono già le “reazioni gravi” (ma allora a che serve l’Ema?), c’è la poca informazione scientifica di chi parla di “sostanze o altro nelle fiale” (qui siamo oltre la chimica e la famaceutica: siamo in un film di spionaggio di 50 anni fa) e c’è il diritto del dubbio antiscientifico applicato alla scienza. Zuccaro, vale la pena ricordarlo, è sempre quello che nel 2017 parlò in lungo e in largo del suo personale bisogno di «denunciare un gravissimo fenomeno criminale» intorno alle Ong che a suo dire agivano in combutta con gli scafisti.

«Potrebbe anche essere, e sarebbe più inquietante, che queste Ong perseguono finalità di destabilizzazione dell’economia italiana», disse leggero in televisione, dando di gomito ai peggiori complotti finanziari internazionali. Venne intervistato, venne audito in Parlamento, divenne l’idolo di certa destra e del M5S. Peccato che mancassero quei piccoli particolari che in un processo si chiamano “prove”: «E’ possibile ma è solo un’ipotesi che al momento non ha riscontro», diceva. «Non lo posso escludere, ma non lo posso neanche sostenere».

Niente prove, niente riscontri (che evidentemente per un magistrato sono solo inezie) ma in compenso ci fu a lungo una gran caciara utile a ingrossare un certo clima. Il processo ovviamente finì in un buco nell’acqua, la sua mancanza di riservatezza è stata in fretta dimenticata. Ora Zuccaro si butta sui vaccini e ricomincia con la sua solita pacatezza come se non avesse imparato la lezione. A proposito della cautela dovuta in questa caso.

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