L’era dell’incompetenza
Minima&Moralia pubblica un’intervista che va tenuta da parte con cura a Tom Nichols:
Questa intervista è uscita in forma ridotta su “Il Messaggero”, che ringraziamo
di Renato Minore
Dice Tom Nichols: “I primi anni ‘70 del secolo scorso sono stati caratterizzati non solo dalla perdita di fiducia della gente nella maggior parte delle istituzioni governative, questo periodo fu ‘il decennio dell’Io’. Con la comparsa di quella specie di narcisismo che ha prodotto persone che si sentono più intelligenti degli esperti e hanno fatto assurgere a virtù l’incompetenza per non sentirsi inadeguate”.
Nichols è un politologo che insegna a Harvard, autore di un libro di cui si parla e discute molto “La conoscenza e i suoi nemici “(Luiss University Press) in cui offre una chiara analisi della crisi del sapere corrente. Analizzando “l’era dell’incompetenza e i rischi della democrazia”, smonta l’arroganza della “società degli ignoranti”, la faciloneria di chi contrappone credenze a scienza, l’approssimazione diffusa contro i tecnici e gli esperti. Spesso, sebbene la gente abbia a disposizione grandi quantità d’informazioni e accesso all’istruzione, si rifiuta di credere a tutto ciò che contraddice le convinzioni radicate. Sui temi del saggio abbiamo conversato con Nichols, che è stato in Italia per ricevere a Roseto il premio “Città delle Rose” per la saggistica internazionale.
Come spiega che la conoscenza e la competenza siano diventati bersagli di risentimento da parte dell’uomo comune?
Ritengo che questo si possa in gran parte attribuire all’avvento dell’era dell’informazione. Prima tutti avevano chiaro il concetto della categoria del lavoro fisico, cioè persone che potevano costruire delle cose, e sapevano che era diverso dalla capacità intellettuale, cioè la categoria di persone che possedevano specifiche competenze professionali. Tuttavia il XXI secolo appartiene a coloro che sono in grado di comprendere e manipolare le cose immateriali come i dati e l’informazione, un’abilità che non rientra in alcuna di queste categorie. Ciò ha creato un divario fra le persone che capiscono come funziona oggi il mondo e quelle che si sentono lasciate indietro da un mondo che, solo dieci o vent’anni fa, erano in grado di capire.
C’è stato qualche episodio di incompetenza e ignoranza così’ forte da determinare un vero salto paradigmatic o, nel senso che la sua è diventata una analisi di casi generalizzati, e non di singoli casi? Quando ha capito che era l’era dell’incopetenza con relativi rischi per la democrazia?
Come ho scritto nel mio libro, mi sono accorto di questo la prima volta negli anni ‘80 del secolo scorso, gli anni in cui si sono visti i primi risultati del cambiamento della cultura mondiale iniziato alla fine degli anni ‘60 e fiorito negli anni ‘70. I primi anni ‘70 del secolo scorso sono stati caratterizzati non solo dalla perdita di fiducia della gente nella maggior parte delle istituzioni governative (almeno negli Stati Uniti), ma qui in America questo periodo fu definito “il decennio dell’Io”, durante il quale le persone si sono chiuse in se stesse e hanno pensato più a loro che non al posto che occupavano nella comunità civile. Credo che gli anni ‘70 abbiamo segnato la comparsa di quella specie di narcisismo che ha prodotto persone che si sentono più intelligenti degli esperti e che hanno fatto assurgere a virtù l’incompetenza per non sentirsi mai inadeguate.
Non la preoccupa tanto l’ignoranza ma il fatto che per tanti essa è diventata una vera virtu?
È così. L’ignoranza è sempre esistita, anche nelle società più colte e istruite. L’ignoranza non si può eliminare perché gli esseri umani non sono perfetti e alcuni sono portati ad abbracciare la conoscenza più di altri. La differenza sta nel fatto che oggi tendiamo a celebrare l’ignoranza perché abbiamo caro il concetto di “autenticità” e la stupidità giuliva ci appare più autentica, oppure onesta, del linguaggio freddo e distaccato della competenza. Anche questa è una conseguenza del narcisismo: vogliamo poterci immedesimare in tutta la società, compresi esperti e politici. Non si tratta più di voler avere il miglior chirurgo quando stiamo male, ma pretendiamo che sia una persona a noi gradita, con la quale potremmo anche andare a bere qualcosa. In realtà si tratta di un approccio alla vita molto infantile, ma purtroppo assai comune.
Qualcuno ha detto (Michele Serra): il problema è anche il consumismo. Se ciò che conta è ciò che si ha , ciò che si sa passa in secondo ordine. E’ d’accordo?
Non sono d’accordo. Esistono diversi aspetti del capitalismo, e il capitalismo e la virtù – e la religione organizzata – sono riusciti a convivere felicemente per molto tempo. Lo sanno soprattutto gli europei. Max Weber ha scritto su questo e molte generazioni di analisti politici ed economici hanno studiato a lungo il rapporto tra il mercato libero e i comportamenti virtuosi. Il mercato può insegnarci molte cose, compresa la necessità di essere leali (se vogliamo fidelizzare i nostri clienti facendo sì che tornino ad avere rapporti con noi e continuino a interagire) e l’importanza del merito e dell’eccellenza (se vogliamo che i nostri prodotti e servizi abbiamo successo). Un aspetto del capitalismo – o perlomeno del capitalismo non regolamentato – che, a mio parere, è sbagliato è il fatto di assecondare i nostri peggiori impulsi dandoci tutto ciò che desideriamo, anche quando questo non è un bene per noi. Se vogliamo cibo spazzatura, il mercato crea cibo spazzatura. Se vogliamo pornografia, il mercato la produce. Nel caso del declino della competenza, il mercato ha generato una molteplicità di media e di flussi d’informazione che ci lusingano e ci ripetono continuamente che abbiamo ragione a lamentarci e che non è mai colpa nostra. Abbiamo chiesto al mercato di fornirci una razionalizzazione per i nostri comportamenti e il mercato è stato pronto a farlo. I Padri Fondatori americani credevano che senza virtù la nostra democrazia non potesse prosperare. Io non credo che il problema sia il capitalismo. Credo che il problema sia che non apprezziamo più la virtù, lo stoicismo o qualsivoglia nozione di gratifica differita. Ci rifiutiamo di crescere e di ammettere che non sappiamo tutto e che forse siamo responsabili di molte delle nostre sventure.
Le chiedo: guardando all’Italia degli ultimi tempi la ha sorpresa qualche episodio significativo del fatto che la gente può credere alle sciocchezze, in campo politico o anche in altri settori?
Non sono un esperto di politica italiana, ma non posso dire di essere rimasto sorpreso dalle vostre recenti elezioni. Essendo americano di origine greca, ho pensato che gli stessi problemi che sono sorti in Grecia alla fine avrebbero afflitto anche l’Italia. Ricordo di essermi recato in Grecia verso la metà degli anni ‘90 con mio padre, il quale una sera ebbe una discussione con dei nostri parenti che ricordo molto bene. Disse che la cultura dei pensionamenti precoci e dell’assistenzialismo in vigore in Grecia non avrebbe mai funzionato nell’era moderna. Mio padre non era un uomo istruito o un esperto, ma non serviva un genio della matematica per capire quanto la situazione fosse insostenibile. Credo che la stessa cosa si sia verificata in diversi paesi europei e che gli elettori, pur di non confrontarsi con gli aspetti economici del problema, abbiano cercato dei capri espiatori ai quali addossare la colpa: l’economia, gli immigrati, gli esperti, i tedeschi, le banche, e così via. Mentre mio padre, un uomo che aveva a mala pena finito la scuola secondaria, aveva previsto più di vent’anni fa quello che sarebbe accaduto non solo in Grecia, ma nella gran parte dell’Europa meridionale, basandosi sul semplice teorema che i governi non possono continuare a spendere più di quanto riscuotono.
La campagna di Trump rappresenta quasi un modello per chi guarda con preoccupazione alla fine della competenza?
Vorrei mettere in chiaro che non ho scritto il libro a causa del Presidente Trump (e le mie parole non rappresentano le opinioni del governo degli USA o del popolo americano). Ho scritto quasi tutto il libro molto prima delle elezioni. Non l’ho scritto neppure come reazione alla Brexit, anche se ne parlo. Non avevo previsto la vittoria di Trump, ma ero convinto che prima o poi sarebbe arrivato qualcuno come lui. In questo senso Trump è l’esempio più calzante di ciò che accade quando si fa una campagna elettorale contro gli esperti e si tenta di governare senza esperienza, soprattutto per quanto riguarda la politica estera. L’economia americana sta andando bene in questo momento, ma questo accade soprattutto perché nessun presidente americano ha mai il controllo sulla gestione dell’economia del paese, per quanto tentino di prendersene il merito.
E il suo comportamento una volta eletto da presidente? Mi può indicare un esempio più forte di altri?
Credo che l’esempio migliore sia la politica estera in quanto, in qualsiasi nazione, serve molta competenza per capire e attuare la politica estera. La politica estera americana è alla deriva e va in direzioni diverse nello stesso tempo. La NATO è nel caos. I russi, i cinesi e altri sono diventati spavaldi. Anche i recenti eventi in Corea, per quanto sembrino promettenti, si sono verificati quasi malgrado gli americani, che hanno promesso un summit con una delle peggiori nazioni del mondo e (finora) non hanno ricevuto niente in cambio. Questo accade quando un presidente prende una decisione senza avere nessun ambasciatore sul posto o senza riflettere sui passi successivi assieme a consulenti intelligenti. Ripeto, a molti elettori piace questo modo di fare perché sembra “autentico” e “genuino”, mentre in effetti è alquanto pericoloso.
Come combattere tutto questo? Con un’istruzione adeguata?
Non credo che l’istruzione da sola possa risolvere il problema. L’Italia e l’America sono entrambe nazioni con livelli elevati d’istruzione, ma in tutta l’Europa e nel Nord America la gente è preda di scarsa informazione e decisioni stupide e non per mancanza di istruzione, bensì perché sceglie di non informarsi sulle questioni fondamentali. Spesso, malgrado la gente abbia a disposizione grandi quantità di informazioni e accesso all’istruzione, si rifiuta di credere a tutto ciò che contraddice le sue convinzioni più profondamente radicate. Il mio più grande timore è che questo rifiuto delle conoscenze specialistiche finirà solo quando si verificherà un disastro: una grande depressione, una guerra o una pandemia. Storicamente questi eventi hanno riportato gli esperti al centro della vita pubblica. Spero solo che impareremo la lezione prima che ciò accada.
Ma il pensiero critico non è l’abilità intellettuale presa più di mira anche nelle università americane?
Questa è forse una delle cose che mi fa sentire più orgoglioso di essere americano, o magari è semplicemente la mia limitata esperienza di insegnamento in alcune delle migliori università americane, ma ritengo ancora che gli Stati Uniti abbiamo i migliori istituti d’istruzione al mondo. Tuttavia ciò che compromette il pensiero critico in questi luoghi è un approccio troppo egualitario all’istruzione, col quale i professori incoraggiano i giovani a considerarsi dei pari invece che studenti. Io penso che gli insegnanti e gli studenti siano dei partner che devono compiere insieme un viaggio di apprendimento – ma non come pari. Forse in questo campo possiamo imparare qualcosa dall’istruzione superiore europea, o magari da quella che era un tempo.
Prendiamo il caso dei vaccini pensa sempre che abbiamo bisogno di un grande spavento per convincerci del valore della competenza rispetto alla chiacchiera che non li vuole?
L’ironia dei vaccini è che sono vittime del loro stesso successo. Non rendendosi conto di quanto fossero comuni le malattie prima dei vaccini, la gente crede che adesso non funzionino o che non servano più. Nella mia famiglia ci sono persone che hanno subito i danni della poliomielite e per questo motivo da ragazzo non ho mai esitato a farmi vaccinare contro la polio, ma molti americani più giovani non hanno ricordi simili. Quando dissi a un mio studente che da ragazzo ero stato vaccinato contro il vaiolo, si meravigliò molto. “Il vaiolo?! Perché le hanno fatto il vaccino contro il vaiolo? Nessuno prende più questa malattia!”. Era totalmente incapace di collegare il successo dei vaccini con l’eliminazione del vaiolo. Non si tratta solo di non capire la scienza, ma dell’incapacità di comprendere i nessi di causalità e la logica di base.
E’ d’accordo con Eistein: c’è qualcosa di peggio dell’incompetenza. La vera crisi è la crisi dell’incompetenza?
Sì. Ritengo che la causa alla radice di tutti i nostri problemi, compreso il declino delle competenze, sia il benessere. Nei paesi sviluppati il tenore di vita è così alto che non ci rendiamo più conto di quanto siano difficili anche le cose più piccole. Come dico ai miei studenti, ogni volta che aprite il rubinetto e sgorga acqua pura e pulita, non dovreste considerarla come una cosa normale, ma come un miracolo. Ci sono voluti urbanisti, scienziati, economisti, idraulici, scavatori e sì, anche politici, perché voi possiate bere un bicchiere d’acqua fresca in una giornata afosa. La gente non considera più queste cose come una sfida. Noi americani non andiamo sulla Luna da oltre quarant’anni perché è diventato noioso. Siamo arrivati a pensare che i viaggi nello spazio siano normali e facili. E ora pensiamo che tutto debba essere facile, a buon mercato e semplice. Ma la vita non è così. Le persone si ribellano all’idea di dover imparare come funzionano le cose perché le fa sentire impotenti e piccole. Invece imparare come funzionano le cose – dall’odontoiatria alla diplomazia – dà potere, se solo ci prendessimo il tempo per farlo.
In conclusione Nichols da voce quello che chiama il suo più grande timore: il rifiuto delle conoscenze finirà solo quando si verificherà un disastro, una grande depressione, una guerra o una pandemia”. Ma ha anche una speranza, “impareremo la lezione prima che ciò accada”.
(fonte)